Il quinto volume della collana Fenomenologie, edito da Morcelliana e curato da C. Brentari, presenta, sotto il titolo Fenomenologia del dono, alcuni tra i più recenti e originali sviluppi degli studi fenomenologici di aerea francese. In un percorso a due voci si confrontano le riflessioni di J. L. Marion, autore tra i più incisivi all’interno del variegato quadro della fenomenologia francese già a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, e le ricerche sul pensiero di J. Patočka di É. Tardivel.
Secondo un’oculata scelta compiuta dal curatore, vengono raccolte nel volume le relazioni delle conferenze tenute da J. L. Marion presso il Centro di Studi e Ricerche Antonio Rosmini dell’Università degli Studi di Trento nel 2014, e tre contributi di É. Tardivel, tra i quali un articolo pubblicato nel 2015 nella Revue de métaphysique et morale. Ne risulta, pur nella diversa provenienza dei testi, un armonico tracciato di riflessioni che restituiscono con chiarezza non solo il cammino di progressivo approfondimento compiuto dalla fenomenologia della donazione di J. L. Marion, ma anche lo scenario più ampio degli studi fenomenologici con cui la sua proposta si confronta, da M. Henry a C. Romano e, non ultimo, secondo le indicazioni di Tardivel, J. Patočka. Viene così prospettato al lettore un nitido spaccato di quelle ricerche di ambito fenomenologico che, elevando a idee direttrici della propria proposta teorica concetti come quelli di dono, donazione, evento, nascita, hanno contribuito a ridefinire il rapporto di coappartenenza originaria tra il soggetto e la realtà fenomenica.
Si deve indubbiamente agli studi di J. L. Marion l’aver rintracciato, nelle analisi di Husserl e Heidegger, una «breccia» per una rinnovata interpretazione dei fenomeni e del soggetto che affranca quest’ultimo dal potere costitutivo e modificante della fenomenalità e i primi da un appiattimento allo status di cose-sostanze. Già a partire dal primo saggio del volume, Dio e l’ambivalenza dell’essere, viene delineato da Marion un modo alternativo di pensare l’essere e gli enti che metta in luce il portato del loro venire in presenza, della loro manifestazione. Ripercorrendo le prime tappe del suo cammino di ricerca compiute in Dio senza essere (1984), il filosofo francese si propone di affrontare una delle questioni cruciali sia della metafisica occidentale sia della teologia cristiana, l’attribuzione dell’essere a Dio, in una chiave che ne orienta la risoluzione in prospettiva fenomenologica. L’indagine si snoda a partire da alcuni interrogativi che, riproposti dall’autore a più riprese e con sfumature diverse, guidano il lettore nello sviluppo della argomentazione: “[…] allorché ne va di Dio, la questione stessa dell’essere, volgarmente detta dell’ontologia, non dovrebbe anch’essa ricevere una nuova configurazione? […] che intendiamo con «essere» allorché si tratta di Dio?” (p. 16). Secondo Marion, per rispondere a tali quesiti, bisogna prima comprendere in che modo la metafisica ha posto la domanda sull’essere e che cosa ci ha insegnato sul modo di essere degli enti. Il concetto di ente, infatti, sembra non dire nulla sull’ente e lasciarlo indeterminato, vuoto, tanto universale quanto confuso e, pertanto, assimilabile al niente. Nondimeno, anche quando la metafisica tenta di rintracciare alcuni caratteri dell’ente e lo designa con il termine sostanza, non è in grado di cogliere il proprium dell’ente (pp. 21-23). L’essere inteso come substantia, infatti, si identifica con ciò che sussiste per sé e, di conseguenza, con ciò che persiste ovvero “insiste nella presenza” (p. 25). Come nota Marion, una volta assicurata al presente la sua presenza, viene obliterato quel processo di fenomenalizzazione che ha determinato l’ascesa del fenomeno alla presenza, “come se la presenza, contratta nella sua insistenza, tagliasse i ponti per dimenticare il suo viaggio verso se stessa e per costringersi a restare sulla terra ormai conquistata” (p. 26). Inoltre, afferma il filosofo francese, la presenza ricondotta alla sola presa di possesso del presente, non tiene in considerazione tutti quegli enti che non sono ancora o non sono più presenti e non è in grado, pertanto, di dar ragione di una fenomenalità che si dà, ma non si mostra. Segue da queste considerazioni la necessità di individuare una strada alternativa a quella finora prospettata dalla metafisica e ciò è particolarmente evidente quando ci si accosta all’analisi di un fenomeno come quello del dono. Il dono, infatti, manifesta chiaramente la sua irriducibilità a un ente “sussistente che occupa il momento presente” (p. 31). Secondo Marion “ricevere il dono consiste nel vedere il donato come donato, come ad-veniente da un donatore ormai, e obbligatoriamente, assente. Nondimeno, ricevere un dono significa non soltanto vederne l’origine, ma anche costituirsi come destinatario – destinatario nel senso in cui il destino invia (Geschick) e provoca un processo di avvenimento, in assenza del quale il dono apparirebbe soltanto come un fatto bruto, una semplice trovata, un incontro a caso […]” (p. 33). Si palesa nel dono una modalità dell’apparire che eccede l’ostinazione nel presente e lascia che il pro-cesso, il tra-sporto, la tra-versata, l’ad-vento si diano a vedere e, al contempo, riconfigurino la soggettività che ne attesta la manifestazione. Viene così a delinearsi un altro pensiero dell’essere che consente di comprendere l’essere di Dio, così come appare nella vicenda del Cristo nel Nuovo Testamento: egli non ha considerato come un possesso ciò che era, l’essere uguale a Dio, ma se ne è disappropriato e, riconoscendolo come un dono del Padre, (pp. 37-40) lo ha rimesso alla Sua volontà.
Individuata in questi termini una diversa modalità dell’apparire, nel secondo saggio, Donazione e ermeneutica, Marion ritorna sulle riflessioni che, a partire dalla rilettura di Husserl e Heidegger proposta in Riduzione e donazione (1989) e, successivamente, in Dato che (2001), lo hanno condotto a formulare il quarto principio della fenomenologia tanta riduzione, quanta donazione. Il saggio, tuttavia, non si limita a ripercorrere le analisi che avevano portato il filosofo francese a inaugurare la sua fenomenologia della donazione, ma risponde ad alcune delle obiezioni avanzategli da più parti sul rapporto tra donazione e ermeneutica. Ancora una volta come filo conduttore dell’argomentazione di Marion si può individuare un interrogativo: “Dare equivale forse a deporre un oggetto sotto lo sguardo o disporlo sotto la mano?” (p. 49) o, riprendendo i termini heideggeriani, “Che cosa significa «dato», «datità» […]?” La risposta a tale quesito indica il varco per la creazione di un ponte tra donazione e ermeneutica. Il problema della datità, afferma Marion, deve essere inquadrato come un enigma che prende le distanze sia dall’immediatezza dei sense data dell’impressione soggettiva sia dall’oggettualità costruita dalla mediazione della conoscenza (p. 55). E l’ermeneutica permette di schivare entrambe le opzioni praticando sul dato una donazione di senso che libera il dato nella sua manifestazione. Il dato pertanto si mostra nel suo riflesso, nella risposta di colui che lo vede, solo in quanto costui riceve se stesso da questo dato (p. 61).
Il manifestarsi del dato attiva una dinamica di chiamata e risposta: la chiamata del dato interpella l’io, il soggetto, conferendogli lo status di adonato. La figura della soggettività dismette i panni del soggetto costituente e assume i tratti dell’interloquito, dell’interpellato, dell’ego a-soggettivo, “il solo volto fenomenologico legittimo dell’ego” (p. 83). È in questa rinnovata configurazione della soggettività che è possibile misurare la vicinanza tra la proposta fenomenologica di Marion e quella di Patočka, come viene prospettato dal terzo e ultimo saggio del filosofo francese, La donazione dispensatrice del mondo. Nel pensiero del filosofo ceco, Marion rintraccia la possibilità di schiudere uno spazio di riflessione sul mondo, questione rimasta finora al di fuori della sua fenomenologia della donazione: “Il mondo ci dispensa il dato […], ma si dispensa dal mostrarlo; ci chiede di dispensarlo dalla manifestazione, che solo noi dobbiamo tuttavia dispensargli” (p. 84).
A partire da queste ultime considerazioni si snodano i tre saggi di Tardivel, in cui viene presentata al lettore una puntuale lettura del pensiero di Patočka in un costante raffronto con gli studi fenomenologici di C. Romano e di J. L. Marion. Nel secondo contributo dell’Autrice, Mondo e donazione. Una revisione del quarto principio della fenomenologia, Tardivel propone di accostare la revisione del metodo fenomenologico proposta dal filosofo ceco con la fenomenologia della donazione di Marion (pp. 99-119). Attraverso l’analisi della distinzione tra epoché e riduzione proposta da Patočka, Tardivel mostra come la prima, sospendendo ogni tesi, sospende anche la coscienza e consente “l’accesso al mondo come originariamente dato” (p. 113). L’epochè, a differenza della riduzione, non è una procedura integralmente soggettiva e, in quanto tale, schiude una significazione più originaria del mondo, quella del mondo come donato, “dunque, come evento” (p. 119) e, al contempo, consente all’io di dismettere la sua «porpora trascendentalizia» e di assumere lo status di adonato, di testimone. Nella dimensione a-soggettiva dell’ego sorge una nuova consapevolezza, quella di essere «l’operatore della manifestazione» e, in quanto tale, continuamente in ascolto dell’eco di quell’origine che lo ha generato e che, come scrive Tardivel nel saggio Il mondo e la questione della nascita, lo lega all’evento della nascita. Secondo l’Autrice, la nascita è un fenomeno che rispecchia le caratteristiche della fenomenalità definite da Marion. Si tratta infatti di un “evento senza fenomeno” (p. 86) o di un “fenomeno senza oggetto” (p. 87) in cui si dispiega una donazione senza mostrazione e, in virtù di ciò, l’ego non solo viene al mondo, ma ad-viene a se stesso secondo un duplice movimento di radicamento e apertura (pp. 86-97). A partire da questa prospettiva, sarebbe possibile scorgere un ulteriore principio fenomenologico che Tardivel definisce nell’ultimo saggio del volume, Mondo e rivelazione. Una lettura fenomenologica di Rm 1,20, con la formula “tanta donazione, quanta rivelazione” (p. 143). L’ego che viene istituito come adonato dalla manifestazione del dato dispensatagli dal mondo è in grado di scorgere dentro di sé l’eternità e l’infinito, verità immutabili che messe a confronto con la variabilità del mondo, lasciano intendere l’appello di un Dio che si rivela a partire dal mondo e che svela l’essere creato dell’ego.
Nell’articolazione delle argomentazioni di Marion e Tardivel è possibile scorgere un unico fil rouge, che, come sottolinea Brentari, definisce chiaramente i tratti di una svolta a-soggettiva della fenomenologia che garantisce alla realtà fenomenica di darsi in piena autonomia “solo se, parallelamente, il soggetto dismette la sua potenza invasiva, costitutiva o trasformativa, e accetta di limitare il suo ruolo alla risposta, all’accettazione, alla disponibile apertura” (p. 5). Vengono così prospettati i tratti di un’antropologia pedagogica di orientamento fenomenologico attraverso cui è possibile ridefinire la correlazione tra il soggetto e la realtà fenomenica nei termini di una donazione di senso rovesciata, in cui il soggetto, in quanto adonato, non si costituisce da sé, ma a partire da altro, il dato che il mondo elargisce e in cui continua a risuonare in modo consapevole l’eco di un’origine inattingibile in senso pieno, ma oltremodo feconda.