Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.24 n.58 (2020)
ISSN 1825-8670

Promuovere creatività nelle intelligenze multiple: filoso-fare a scuola negli atelier

Eleonora ZorziUniversità di Padova (Italy)

Dottore di ricerca in Scienze Pedagogiche e dell’Educazione; ha sviluppato due percorsi di ricerca post-dottorali su connective capabilities, improvvisazione, creatività, inclusione, dialogo educativo. Formatrice in P4C, è docente di Scienze Umane presso la scuola secondaria di secondo grado e docente a contratto per Didattica per l’inclusione presso l’Università di Padova.

Sofia Marina AntonielloMiur (Italy)

Laureata in Scienze della Formazione Primaria presso l’Università di Padova, ha conseguito il titolo di “Teacher” in Philosophy for Children, rilasciato dal CIREp. Insegna presso una scuola primaria di Padova dove partecipa al progetto “Oltre l’apparenza” svolgendo attività di Philosophy for Children.

Published: 2020-12-21

Fostering Creativity in Multiple Intelligences: Philosophizing at School in the Atelier

A research-action path carried out in the second class of primary school is presented, to encourage the promotion of creativity declined in the different ways of thinking that are described within the theoretical framework of multiple intelligences. The hypothesis from which the research-action work starts is that creativity, in its plural forms, can promote a school of each and everyone, and for this reason, the Italian school must recognize it (again) space and dignity. Promoting creativity also becomes a cultural choice, for a society that returns to reflect on the ethical meaning of education.

L’articolo presenta un percorso di ricerca-azione realizzato presso una classe seconda di una scuola primaria, per favorire la promozione della creatività declinata nelle diverse modalità di pensiero che vengono ascritte al quadro teorico delle intelligenze multiple (Gardner, 1987; 1994; 2005). L’ipotesi da cui il lavoro di ricerca-azione è partito è che la creatività, nelle sue differenti declinazioni, può contribuire a promuovere una scuola di tutti e di ciascuno, e per questo è importante che la scuola italiana le riconosca (nuovamente) spazio e dignità. Promuovere creatività – colta nelle sue dimensioni “del fare” e “del pensare” – diventa anche una scelta di civiltà, per una società che torna a riflettere sul significato etico dell’educazione, perché come ci ricorda Bruner (2001; pp. 7-14) il modo di concepire l’educazione è una funzione del modo di concepire la cultura e i suoi scopi, espressi o inespressi.

Keywords: creatività; didattica; atelier; comunità di ricerca; ricerca-azione.

Attribuzioni: i paragrafi 1, 2 e 4.1 sono attribuibili al primo autore, insieme alla revisione complessiva del lavoro; i paragrafi 3, 3.1, 3.2, 3.3, 3.4, 3.5 e 4 sono attribuibili al secondo autore.

1 Sfumature sul pensiero creativo: per un inquadramento teorico

Gli studi di ricerca scientifica sulla creatività – sviluppatisi solo nella seconda metà del XX secolo – pur pagando ancora oggi l’oggettivo ritardo dell’indagine con una lenta estinzione degli stereotipi collettivi, hanno in realtà fin da subito identificato che la creatività è una regola dell’attività mentale umana, piuttosto che una sua eccezione. L’individuo ne è sempre potenzialmente dotato ed è l’ambiente socio-culturale che può risvegliare tali potenzialità. Come ricorda Vygotskij (2010, p. 17), per attività creatrice si intende qualunque attività umana che produca qualcosa di nuovo, sia poi questo prodotto un oggetto del mondo esterno (dimensione del fare) o una certa costruzione dell’intelligenza o del sentimento che solo nell’intimo dell’uomo esista e si manifesti (dimensione del pensare). La creatività sussiste di fatto non solo dove si realizzano insigni, storiche creazioni, ma dovunque c’è un uomo che immagina, combina, modifica e realizza qualcosa di nuovo (ibidem; p. 21).

In quanto specificità del pensiero e del comportamento umano, la creatività viene inserita nelle life skills di cui – secondo l’OMS (1994) – ciascuno individuo ha bisogno per poter vivere una vita sana basata sullo sviluppo delle proprie potenzialità. Adattarsi ai cambiamenti con flessibilità, creatività, imprenditorialità è anche la declinazione di una delle competenze chiave – imparare ad imparare – da sviluppare per il benessere e lo sviluppo umano nella contemporaneità (EU, 2008). La scuola è invitata a educare i bambini e i ragazzi a questo adattamento, alla comprensione della complessità e della diversità delle situazioni, sviluppando abilità creative, di innovazione, di apprendimento costante, che li rendano cittadini consapevoli e critici (MIUR, 2018).

Nelle “life skills” la creatività viene definita come la capacità di trovare soluzioni e idee originali e contribuisce infatti sia al decision making che al problem solving, permettendo di esplorare le alternative possibili e le conseguenze delle diverse opzioni (Marmocchi, Dall’Aglio, Zannini, 2004; p. 18). Questo tipo di definizione, si rifa prioritariamente alla teoria di Guilford (1950) che per definire il pensiero divergente – identificato con il modo di ragionare peculiare degli individui creativi – gli attribuisce quattro caratteristiche: fluidità (la capacità di proporre rapidamente molte idee o soluzioni), flessibilità (la capacità di affrontare un problema in maniere diverse), originalità (la capacità di proporre idee nuove e inattese), ed elaborazione (la capacità di organizzare, dettagliare, portare a compimento un’idea). Alla prospettiva cognitivista sul tema della creatività, si aggiunge anche quella socio-culturale, che valorizza appunto le relazioni sociali e il contesto culturale come fattori incidenti lo sviluppo di un pensiero creativo. I ricercatori infatti evidenziarono (soprattutto dagli anni ’90) che per spiegare la creatività occorreva comprendere non solo le dinamiche di funzionamento, ispirazione e talento del singolo individuo e della sua attività mentale, ma anche i fattori sociali come la collaborazione, le reti di supporto e confronto, il background educativo e culturale (Sawyer, 2006; p. 4). Questi due approcci sono quelli che ancora oggi – supportati dalle conferme delle neuroscienze – maggiormente influenzano i lavori di ricerca sulla creatività in ambito educativo e scolastico. Oltre ad essere quindi una specificità propria dell’essere umano, intimamente connessa alla sua forza creatrice e generatrice, la creatività è anche una specificità del nostro essere sociali, influenzata dalle esperienze, dai contesti, dalle culture, dalla collettività.

Nell’incontro tra queste due prospettive, il contributo specifico di Gardner (1987; 1994) fu quello di connettere le plurali intelligenze da lui indagate1 alle attività artistiche, dato che secondo l’autore le intelligenze in quanto meccanismi computazionali grezzi, possono essere organizzate da simboli artistici o per fini e produzioni artistiche. Egli rileva infatti che dalla metà degli anni novanta in poi del XX secolo, sia l’ambito artistico che l’ambito psicologico hanno sottolineato che anche l’arte è una questione mentale: la capacità artistica è prima di tutto un’attività della mente (Gardner, 2005; p. 80) ma deve essere qualcosa che prima o poi il pensiero comune-collettivo potrà capire, accettare e apprezzare dato che la creatività è al tempo stesso un giudizio sociale e culturale (Gardner, 1994; p. 54).

La riflessione di interesse di questo lavoro è stata quella di cogliere gli studi e i pensieri della ricerca sulla creatività di indirizzo cognitivista e socio-culturale, derivanti dalla psicologia contemporanea e di coniugarli con un approccio educativo attivo-pragmatistico che consentisse non tanto di osservare le diverse intelligenze in ambito artistico, ma di promuovere il pensiero creativo nelle diverse aree delle intelligenze.

Parlare di creatività è sempre estremamente complesso. All’origine di tutto ciò che è creativo, c’è un atteggiamento mentale: curiosità, insoddisfazione, inquietudine; una maniera di osservare il mondo intercettando dettagli significativi e facendosi domande non ovvie. Uno stile di pensiero che integra percorsi logici e salti analogici (Testa, 2010; p. 8). Il pensiero logico ha soprattutto funzioni pragmatiche e organizzative, mette ordine nei pensieri e nei processi di riduzione e organizzazione simbolica; il pensiero analogico invece è trasversale, discontinuo, pluriverso, spesso imprevedibile e casuale. Grazie a queste caratteristiche è generativo: suggerisce e avvia processi di invenzione, di creazione, di modificazione del reale e del “già dato” (Dallari, 2018, p. 3). Come hanno individuato gli psicologi della forma (Lewin, Köhler), proprie del pensiero creativo-analogico sono alcune operazioni mentali peculiari come il raggruppamento, la segregazione, la centratura, la trasposizione, che favoriscono la ristrutturazione del campo percettivo e che si accompagnano alla funzione euristica dell’intuizione. Le idee creative nascono da un cortocircuito tra elementi distanti tra loro: bisognerebbe costruire reti, comunità e occasioni di incontro e contaminazione tra differenti discipline, visioni, progetti, per contagiarsi reciprocamente in condizioni creativamente favorevoli. Anche per Munari (1979) “creare relazioni”2 fra ciò che già si conosce è l’unico modo per sviluppare creatività e fantasia, e occorre quindi fare esperienza di materiali da avvicinare e confrontare, di idee somiglianti e opposte, per poter cogliere la varietà dei rapporti che sussistono tra le cose. Preferibilmente insieme, in rete, in condivisione, perché anche il dialogo, il confronto di idee, gesti, immagini, parole è potenzialmente sempre creativo.

La creatività viene in tal modo a costituire, sotto il profilo dell’educabilità dell’essere umano, una preziosa sorgente di umanità che mette il soggetto al riparo dai rischi della passivizzazione e impegna l’educazione a coltivare, fin dall’infanzia, la disposizione ad interrogare in modo originale la realtà umana e naturale, a trovare le possibili relazioni tra i fatti, ad esercitare lo spirito critico (Angori, 2001; p. 58). La realtà influisce sull’immaginazione pertanto è necessario che il bambino disponga di molta esperienza per sviluppare al meglio il suo pensiero creativo. Il ruolo dell’ambiente nello sviluppo della creatività è dunque fondamentale per favorire occasioni ed opportunità che permettano l’insorgere del creativo di tutti e di ciascuno, che siano per ognuno esperienza educativa nel senso deweyano del termine (Dewey, 1968), ossia frutto dello scambio attivo tra soggetto e natura, pieno di inferenze e di riflessioni che favoriscano l’espansione e l’arricchimento della persona. L’intelligenza creativa consente in questo ciclo di riflessioni di trovare un equilibrio e un’organizzazione tra le esperienze passate e le condizioni presenti, trasformando ogni esperienza in un atto di espressione.

Recuperare quindi e valorizzare la dimensione intellettiva della creatività o meglio ancora, la dimensione creativa del pensare, delle intelligenze, consente lo sviluppo di un pensiero divergente, analogico, artistico, non obbligatoriamente utile, o efficace, o performativo, ma sicuramente generativo, bello, ossigenante, umano. Questa dimensione del pensare trova la sua armonica coniugazione nella dimensione del fare, che costituisce il lato creatore e produttore della creatività umana: l’una dimensione non sussiste senza l’altra e la creatività si manifesta sempre in entrambe le dimensioni.

2 Promuovere creatività a scuola: quali ambienti e opportunità

Sviluppare una didattica per la creatività, non è quindi necessariamente sviluppare una didattica legata esclusivamente al fare ma piuttosto una didattica che sappia coniugare la dimensione della produzione creativa con la dimensione del pensare creativamente. Una didattica che crei ambienti che consentono di ristrutturare le idee, di modificarle, di trasformarle, che favorisca il cambiamento concettuale, la critica, la crescita nello scambio e nel confronto e nello stesso tempo un ambiente che consenta di trasformare quelle idee in immagini, oggetti, prodotti che incarnino o riflettano il pensiero. La creatività infatti si nutre di un clima favorevole, di un ambiente in cui al bambino è consentito di parlare, formulare domande, esprimere anche idee bizzarre, di veder rispettato il suo modo di pensare (anche se apparentemente contorto e improduttivo), di “pasticciare” compiendo esperienze che conducono ad apprendimenti “spontanei”, che veda apprezzata la fatica che va compiendo nel cercare di cogliere i significati del mondo simbolico in cui è immerso (Angori, 2001; p. 77). Il tutto in una prospettiva collettiva, comunitaria, che valorizzi gli aspetti sociali e comunicativi delle dimensioni della creatività.

La figura dell’educatore quindi (insegnante) è una figura che in questi spazi promuove la libertà e l’esplorazione dei materiali e del pensiero, ponendosi come facilitatore di processi di scoperta e di ricerca, comunitari e collettivi (Santi, 2006a); è un improvvisatore virtuoso che insieme ai bambini sperimenta nelle attività e nelle pratiche le categorie del rischio e dell’ignoto, che la creatività trasforma in fantasia, immaginazione, possibilità (Zorzi, Camedda, Santi, 2019; Santi, Zorzi, 2015).

L’atelier educativo – così come pensato dal pedagogista Loris Malaguzzi (1995) – e la comunità di ricerca – così come declinata nell’approccio della Philosophy for Children (Pierce, 1955; Lipman, 2005; Santi, 2006b) – sono stati identificati come gli spazi educativi che consentono questa trasformazione, questo passaggio fluido e inclusivo tra la dimensione del fare creativo ed estetico e la dimensione del pensare creativamente e comunitariamente. Un ambiente flessibile ma contenuto, dove i fattori contestuali e sociali cari all’ICF (2002), sono facilitatori e non barriere, dove l’attività e la partecipazione di ogni individuo al proprio processo di crescita, sono variabili costitutive del lavoro educativo proposto e non solo elementi personalizzati di una didattica “accomodata ragionevolmente”.

L’atelier educativo concettualizzato e realizzato dall’educatore e pedagogista italiano Loris Malaguzzi si basa sul principio per cui l’ambiente ha una funzione educativa fondamentale, e deve quindi essere pensato, osservato, modificato per promuovere il migliore apprendimento possibile. Un ambiente nel quale si possono manifestare creativamente e liberamente i “cento linguaggi dei bambini”, siano questi composti da parole, immagini, gesti, suoni; linguaggi che esprimono pensieri, riflessioni ma anche dubbi e domande sul mondo circostante all’interno di una dimensione dialogica e partecipativa dove attraverso il confronto e la negoziazione sia possibile giungere a soluzioni condivise. Malaguzzi infatti introdusse questi spazi a scuola come luogo laboratoriale di interscambio e di dialogo fra la materialità del “fare”, del “pasticciare” e i processi cognitivi della mente: valorizzare il processo realizzativo piuttosto che il prodotto finale, favorire la trasversalità culturale attraverso i linguaggi piuttosto che il contenuto, genera una spirale virtuosa di arricchimento individuale e collettivo. Come ricorda Malaguzzi la parola si irrobustisce con i guadagni che vengono dagli altri linguaggi, e tutti si costruiscono nell’esperienza; anche i linguaggi della non parola hanno dentro di sé molte parole, sensazioni e pensieri, desideri e mezzi per conoscere, comunicare ed esprimersi. Occorre quindi dare spazio a tutti di manifestarsi ed realizzarsi, affinché ciascun individuo possa promuovere il proprio stile di sviluppo e di crescita personale e creativo (Malaguzzi, 1995). La nostra cultura e il nostro sistema scolastico hanno separato i linguaggi secondo uno schema analitico (le materie scolastiche) non sempre funzionale alla comunicazione, al pensiero creativo, e alla formazione, mentre le esperienze pedagogico-didattiche più avanzate utilizzano approcci inter e transdisciplinari, che mescolano e fondono linguaggi e stili comunicativi in progetti e laboratori (Dallari, 2018, p. 6).

La comunità di ricerca è un ambiente che promuove la dimensione creativa del pensiero anche attraverso lo stupore, le domande, che nutrono la meraviglia del pensare creativamente. Argomentando e ragionando deliberatamente e comunitariamente, i partecipanti sono coinvolti in una discussione filosofica che li interroga sul mondo che li circonda e che dà voce alle domande di senso che osservando la realtà ciascun bambino a suo modo si pone (Santi, 2006b). La “ricerca” è un’attività esplorativa, inquisitiva, di natura comunitaria che muove dal pensare creativamente (Lipman, 2005) che si appoggia sulla comunicazione simbolica e valutativa che è necessariamente sociale. Nella comunità di ricerca, i bambini sono riconosciuti come partecipanti attivi dell’esperienza dialogica, essi si “vedono” e si “sentono” gli uni gli altri, in modo realistico e completo, fisicamente, emotivamente, cognitivamente, spiritualmente: proprio come nei “processi di ricerca con i bambini” (Mortari, Mazzoni, 2010; p. 4) essi agiscono in maniera intenzionale, influenzano i contesti in cui sono presenti, sono soggetti che hanno una loro percezione del mondo (a volte diversa da quella degli adulti) e sono capaci di esprimere preferenze e fare scelte consapevoli. Sono “esperti del proprio mondo”, detentori di criteri che permettono loro di definire quello che è importante e significativo nella loro vita.

Una scuola a misura di alunno (Baldacci, 2006; pp. 9-31) si fonda su un ideale democratico, sostenendo e realizzando il diritto all’apprendimento di tutti e di ciascuno; è una scuola autenticamente democratica che garantisce l’uguaglianza delle opportunità formative (poiché in questa società della conoscenza, disuguaglianza formativa equivale a ineguali chance di vita). Un’educazione di qualità quindi è un’educazione che crea delle condizioni di apprendimento tali da permettere a ciascun bambino – secondo le proprie peculiarità, differenze, linguaggi – di formarsi e crescere al meglio. Nella didattica che promuove la creatività, emerge l’intelligenza di ciascuno che consente all'insegnante di vedere l’unicità di ogni suo alunno. Ecco che allora l’attività del “pasticciare” in atelier e del filosofare in comunità di ricerca, si possono fondere per dare voce ed esperienze didattiche che utilizzano linguaggi plurimi, creativi, linguaggi che usano le mani, le parole, le immagini i suoni per condividere socialmente prospettive di scoperta del mondo, per “vedere” e “udire” voci che ciascuna mente poi farà proprie a modo suo (Mead, 2010; pp. 281-290).

L’insegnante in queste attività si assume il rischio e la responsabilità che derivano dall’attuare una didattica che si apre all’improvvisazione in quanto didattica inclusiva, per tutti e per ciascuno (Zorzi, Camedda, Santi, 2019). Il rischio è una categoria pedagogica fondamentale che si sposa con la creatività: è proprio nel rischio dell’incertezza, nel cercare relazioni e collegamenti che diano un senso all’ignoto, che il bambino fa esperienze educative, alimentando la sua creatività. Trasformare l’aula in un atelier, dove una “comunità di ricerca” possa co-costruire la conoscenza in forma dialogica e democratica è un modo per restituire dignità al pensiero di ciascuno nella sua complessità.

3 Il progetto di ricerca-azione: “filoso-fare negli atelier”

L’obiettivo della ricerca-azione è stato stimolare e promuovere nei bambini la creatività intesa come dimensione del “fare” ma soprattutto del “pensare”, attraverso lo sviluppo di comunità di ricerca.

In riferimento alla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006, la competenza-chiave implicata nella ricerca-azione è stata “imparare a imparare”. L’approccio educativo-didattico della ricerca, le scelte metodologiche attuate e le tematiche affrontate hanno permesso di spaziare anche tra le altre competenze-chiave di cittadinanza. La ricerca-azione si è sviluppata in un percorso di dieci incontri da due ore ciascuno nel periodo compreso tra aprile e giugno 2018. Ogni incontro iniziava con un momento di dialogo nella “comunità di ricerca”, per riflettere sulla creatività in ogni intelligenza, e proseguiva con l’applicazione pratica del pensiero creativo nelle intelligenze multiple, per dare concretezza al pensiero co-costruito in precedenza. Questa modalità ha reso evidente come il “fare creativo” sia sempre preceduto, accompagnato e seguito dal “pensiero creativo”.

3.1 Partecipanti e metodo: “piccoli” ricercatori in azione

La ricerca-azione si è svolta in una classe seconda di una scuola primaria. La classe era formata da 24 alunni, tra i quali una bambina in situazione di disabilità ed altri allievi che presentavano situazioni familiari e socio-economiche svantaggiate. La classe veniva gestita da un’insegnante prevalente e da altre tre colleghe. La scuola era una realtà piccola, bella, semplice, locale, sobria e lenta; aveva esattamente le caratteristiche che una scuola creativa descritta da Gianfranco Zavalloni (2012) dovrebbe avere.

Si è scelto di utilizzare la ricerca-azione perché è un metodo di indagine prassiologico avente un riferimento diretto e immediato alle pratiche educative. Esso assume e produce una connessione tra conoscenza dell’evento educativo e azione in esso. Il ricercatore e partecipanti sono attivamente coinvolti nel processo di ricerca che è identicamente un progetto di lavoro educativo (Bertolini, 1996; p. 509). La ricerca-azione ha carattere attivo, qualitativo e trasformativo, perché si sviluppa in contesti reali, indaga problematiche concrete e gli attori coinvolti sono immersi in situazione. Ricerca e azione si creano e alimentano reciprocamente in un processo circolare generativo orientato all’emancipazione. Si pone come obiettivo un cambiamento, una modificazione sociale: in un contesto di libertà e democraticità tale cambiamento è l’immagine speculare di quanto prodotto nel gruppo di partecipanti con lo scopo di migliorare se stesso e di incidere sulla trasformazione della realtà. Coinvolgere i bambini come “collaboratori” di un processo di indagine, significa infatti considerare la possibilità che i bambini stessi possano contribuire ai processi di cambiamento che li riguardano, ragionando ed esprimendosi non come “utenti” di pratiche educative ma come costruttori attivi di tale progettualità (Mortari, Mazzoni, 2010; p. 4). Il compito primo di un ricercatore che fa ricerca con i bambini – come ricorda Mortari (2009; p. 11) è quello di offrire buone esperienze educative, dalle quali essi possano apprendere, al di là delle ipotesi da verificare e/o confermare sul piano teorico, al di là della validità dei dati da raccogliere. La ricerca-azione proposta fa riferimento al modello di Kurt Lewin (Felisatti, Mazzucco, 2013; pp. 85-88), risalente alla metà del secolo scorso, caratterizzato da tre fasi cicliche: pianificazione, esecuzione, indagine o valutazione. Le attività di dialogo e discussioni sviluppate negli atelier e nella comunità di ricerca risentono esplicitamente della prospettiva socio-costruttivista e vygotskiana. Nell’ottica socio-costruttivista l’apprendimento si co-costruisce attraverso lo scambio intersoggettivo tra i soggetti coinvolti nel processo cognitivo. Nella discussione il confronto consente di adottare procedure di indagine di natura dialogica che favoriscono la co-costruzione di nuova conoscenza mediante l’ascolto, l’apertura alla diversità, la negoziazione e la ricerca di soluzioni condivise. L’interazione sociale attivata nella discussione consente di lavorare su quelle che Vygotskij definisce “zone di sviluppo prossimo” al fine di co-costruire nuova conoscenza e giungere a traguardi sempre più elevati. Lo sviluppo culturale del bambino compare quindi inizialmente a livello sociale come categoria interpsicologica e poi a livello interiore come categoria intrapsicologica. Ogni soggetto modifica il proprio mondo interiore attraverso l’assimilazione del mondo esteriore, diventando capace di appropriarsi dei criteri per agire in modo autoregolato e cosciente (Santi, 2006).

3.2 L’atelier: circolo virtuoso tra mente e mani

L’atelier presentava al proprio interno due aree distinte ma reciprocamente interconnesse (fig.1). Un’area adibita all’attività dialogica caratterizzata dalla disposizione delle sedie in cerchio, e uno spazio dedicato alla produzione dei lavori creativi strutturato attraverso l’unione dei banchi in un grande tavolo. Nell’atelier la cattedra era addossata al muro ed era adibita alla raccolta di occasioni, stimoli ed esperienze atte a favorire l’apprendimento creativo (materiali, strumenti e oggetti forniti dal ricercatore ma anche dai bambini stessi).

Figura 1: Setting della ricerca-azione: area adibita all’attività dialogica; spazio dedicato alla produzione dei lavori creativi; cattedra addossata al muro adibita alla raccolta di stimoli e occasioni di apprendimento.

La ricerca-azione è stata progettata secondo il modello di progettazione a ritroso di Wiggins & McTighe (2004). Rispetto all’obiettivo della ricerca-azione e al principio educativo-pedagogico sul quale si fondava, non vi era una matrice strutturata e ben dettagliata delle attività da svolgere nei singoli incontri: il ricercatore forniva ai bambini occasioni di apprendimento, ipotizzava quali potessero essere i percorsi da intraprendere e sceglieva coscientemente e consapevolmente lo stimolo per avviare il dialogo nella “comunità di ricerca”. L’azione didattica veniva però guidata dai bambini stessi al fine di liberare il pensiero creativo, individuare tutte le intelligenze e le possibili attività creative da svolgere con esse.

3.3 Attività e materiali

Nella tabella seguente (tab.1) sono presentati i materiali alternativi ai libri di Lipman (Waksman & Kohan, 2013) utilizzati nella “comunità di ricerca” e le attività proposte nei rispettivi “atelier di creatività” per ciascun incontro della ricerca-azione. Concetti e figure, affiancandosi e dialogando, costruiscono un sapere attento sia alla dimensione logica che a quella analogica, sia alle esigenze di tipo concettuale e razionale che a quelle estetiche e affettive (Dallari, 2018; p. 16).

Tabella 1: materiali stimolo utilizzati nella comunità di ricerca e attività svolte negli “atelier di creatività”
Incontri svolti a scuola durante la ricerca-azione Materiale usato nella “comunità di ricerca” Attività negli “atelier di creatività”
1_ Il concetto di comunità Estratto del racconto “Kio e Gus” di Lipman Scelta e creazione dello stemma della comunità di ricerca
 
2_ Intelligenza linguistica Libro “La grande fabbrica delle parole” di de Lestrade Attività del sole;
Scrittura di una storia di oggetti
 
3_ Intelligenza logico-matematica Estratto del libro “Sono il numero 1. Come mi diverto a diventare bravo in matematica!” di Cerasoli L’immagine nascosta nei numeri;
Creazione di un problema
 
4_ Intelligenza cinestetica Albo illustrato “La corsa di Elmer” di McKee Mago trasforma animali; Viaggio nella foresta; Gioco dei pirati; Invenzione di giochi
 
5_ Intelligenza spaziale Albo illustrato “Il punto” di Reynolds Cosa mi viene in mente; Disegno sul materiale
 
6_ Intelligenza interpersonale Albo illustrato “La rapa gigante” di Tolstoj Opera collettiva;
Mood, indovina quale è il mio stato d’animo
 
7_ Intelligenza naturalistica Libro “Tondo come il mondo” di Gabetti e Corva La natura si trasforma;
Cosa si crea dalla terra
 
8_ Intelligenza musicale Video della “Vegetable orchestra” Nuovi strumenti musicali
 
9_ Intelligenza intrapersonale Albo illustrato “Pezzettino” di Lionni Mi racconto
 
10_ Conclusioni A partire dai lavori creativi realizzati durante il percorso, gli alunni sono stati stimolati a porsi delle domande reciprocamente.

Di seguito vengono riportate alcune documentazioni raccolte durante la ricerca-azione, raffiguranti alcune attività creative realizzate negli atelier di creatività delle intelligenze multiple.

Figura 2: Attività creativa “L’immagine nascosta nei numeri”
Figura 3: Attività creativa “Cosa mi viene in mente”
Figura 4: Attività creativa “Disegno sul materiale”
Figura 5: Attività creativa “Nuovi strumenti musicali”

3.4 Risultati creativi e riscontri positivi

La ricerca-azione ha presentato riscontri positivi in termini educativo-didattici, sociali ed inclusivi. Per quanto concerne l’area educativo-didattica, la ricerca-azione ha promosso la trasversalità e interfunzionalità della creatività attraverso l’interazione delle diverse intelligenze in ciascun atelier. Tali intelligenze sono emerse attraverso il dialogo nella “comunità di ricerca” stimolando lo sviluppo del pensiero complesso nella sua dimensione creativa. La prospettiva dialogica e democratica della comunità ha consentito ai bambini di formulare liberamente domande sul mondo, imparare ad ascoltare il pensiero altrui, apportare propri contributi alla discussione e negoziare quanto emergeva per giungere a soluzioni condivise. I bambini sono diventati responsabili e consapevoli di essere i protagonisti dell’azione didattica e della loro crescita cognitiva.

In riferimento alla dimensione sociale, negli atelier era evidente quanto afferma Vygotskij (2010) sull’attività creatrice del bambino e Dewey (1976) sulla relazione tra esperienza ed intelligenza creativa. Gli alunni infatti hanno creato prodotti rielaborando elementi che già conoscevano e che hanno imparato dagli altri. L’esperienza e la vita quotidiana dei bambini sono entrati negli atelier esattamente come le loro personalità e peculiarità. In questo modo gli alunni hanno potuto lavorare sulla zona di sviluppo prossimo attingendo anche dalle esperienze e dalle capacità dei loro compagni. Gli “atelier di creatività” sono stati dunque luoghi di crescita individuale e collettiva per tutti e per ciascuno.

In merito ai riscontri positivi in termini inclusivi, la ricerca-azione ha stimolato lo sviluppo della creatività nelle diverse intelligenze consentendo ad ogni bambino di accedere al sapere dalla porta privilegiata, pur avendo l’occasione di conoscere e sperimentare anche tutte le altre. Negli “atelier di creatività” le diversità individuali sono state riconosciute e valorizzate come risorsa per la crescita collettiva della comunità di ricerca, promuovendo così una scuola più inclusiva a misura di alunno.

Benché la ricerca-azione abbia presentato riscontri positivi in termini sociali, educativo-didattici ed inclusivi, si sono evidenziati momenti di difficoltà nella fase iniziale della sua realizzazione. La ricerca-azione è stata proposta in una classe che era abituata ad un certo stile di insegnamento quindi è stato necessario mediare tra il contesto scolastico di afferenza e l’intento di rinnovamento del progetto di ricerca. Gli alunni non hanno compreso subito come dialogare all’interno della “comunità di ricerca” perché non erano mai stati abituati a farlo, ma lentamente e progressivamente sono diventati i protagonisti attivi del processo di co-costruzione della conoscenza. Formulare domande in una scuola che stimola solo a dare risposte è molto difficile, infatti i bambini hanno iniziato a porre domande alla comunità sono negli ultimi incontri della ricerca-azione.

Così come il dialogo nella “comunità di ricerca” anche il lavoro creativo negli atelier non è stato facile ed immediato per i bambini; sono riusciti a liberare il loro potenziale creativo con maggiore autonomia e spontaneità solo negli ultimi incontri del percorso. Dalla ricerca-azione emerge dunque che abituare i bambini ad abitare la dimensione della creatività richiede tempo, lentezza e pratica.

3.5 Valutare il processo

Valutare la creatività è una questione complessa e ampiamente discussa. È possibile e giusto valutare la creatività con test standardizzati o prove oggettive che selezionano gli alunni attraverso la dicotomia corretto/sbagliato? La creatività è uguale per tutti? Già Alberto Manzi aveva criticato il sistema burocratico di valutazione scolastica caratterizzato da schede di valutazione e giudizi selettivi, in evidente contrasto con la sua visione olistica del lento e non necessariamente lineare processo educativo (Farné, 2011). Una valutazione basata sul profitto scolastico non può essere in grado di valutare la creatività quindi si è scelto di utilizzare un tipo di valutazione autentica (Santi, 2006a; pp. 134-143): essa è in grado di esprimere un giudizio più esteso ponendo l’accento su come l’alunno costruisce la conoscenza, come la sviluppa e sulla sua capacità di applicazione nel contesto reale. In questa prospettiva la valutazione autentica promuove la capacità di generalizzare, trasferire e utilizzare la conoscenza acquisita a contesti diversi attraverso lo sviluppo del pensiero complesso (Santi, 2006a). La valutazione autentica consente di valutare la promozione e lo sviluppo del pensiero creativo nelle intelligenze multiple.

Nello specifico, la valutazione di processo della ricerca-azione è avvenuta attraverso prove associate alle principali abilità primarie individuate da Thurstone (1954; Antonietti, Cornoldi, 2006): intelligenza verbale; fluenza verbale; capacità matematica; visualizzazione spaziale; rapidità percettiva; memoria; ragionamento.

Nella tabella che segue (tab.2) vengono specificate le prove associate a ciascuna abilità primaria.

Tabella 2: le abilità primarie individuate da Thurstone (1954) associate alle prove realizzate nella ricerca-azione
Abilità primaria individuata da Thurstone (1954) Prova realizzata nella ricerca-azione
Intelligenza verbale
 
Scrittura di una storia di oggetti
Fluenza verbale
 
Attività del sole
Capacità matematica
 
Creazione e risoluzione di un problema
Visualizzazione spaziale
 
“Cosa mi viene in mente”; disegno sul materiale; la natura si trasforma; cosa si crea dalla terra
Rapidità percettiva
 
Nuovi strumenti musicali; l’immagine nascosta nei numeri
Memoria
 
Opera collettiva
Ragionamento
Il gioco inventato; “mi racconto”

Queste prove hanno stimolato e promosso lo sviluppo del pensiero creativo nelle intelligenze multiple, in quanto hanno consentito ai bambini di attingere dalla loro esperienza per raggiungere orizzonti nuovi ed inesplorati attraverso l’utilizzo dell’attività creatrice dell’immaginazione. Tra i dati documentativi del processo di ricerca vi sono infatti – oltre alle “agende di discussione” della comunità di ricerca co-costruite durante gli incontri – i lavori creativi realizzati dai partecipanti negli “atelier di creatività” delle intelligenze multiple.

Figura 6: Agenda della comunità di ricerca sull’intelligenza naturalistica

Tali prove se realizzate più volte e in momenti temporali diversi, possono evidenziare un cambiamento significativo nell’utilizzo della creatività nelle diverse intelligenze, ma a causa di ragioni tempistiche, non è stato possibile effettuare più volte le prove individuate a distanza di tempo. La ricerca-azione ha dunque evidenziato risultati positivi in termini di stimolazione e promozione del pensiero creativo nelle intelligenze multiple – scopo della ricerca – ma non ha fornito prove certe sul progresso del suo sviluppo nel tempo. Educare all’utilizzo del pensiero creativo è uno stile didattico che richiede di essere coltivato nel tempo, con lentezza, gradualità e improvvisazione consapevole, non una semplice pratica in grado di restituire un riscontro immediato.

4 Conclusioni

Dalla ricerca-azione proposta emerge che è possibile realizzare una scuola creativa ma è innegabilmente difficile a causa del contesto scolastico che caratterizza la complessa società contemporanea. Una scuola creativa è flessibile, libera e aperta al cambiamento, di gran lunga diversa dal rigido impianto strutturale, organizzativo e didattico della scuola tradizionale. Ci vuole tempo, lentezza e una buona dose di rischio consapevole per affrontare con spirito critico, provocazione e sguardo nuovo la scuola di oggi. In questa prospettiva, la ricerca-azione “filoso-fare negli atelier” ha proposto un percorso incentrato sulla promozione e stimolazione della creatività come strada per raggiungere una scuola a misura di tutti e di ciascuno, predisponendo ambienti educativi in grado di accogliere la pluralità dei linguaggi e delle espressioni. Lipman (2005) ritiene che il pensiero creativo, nonostante abbia peculiarità proprie, quali l’essere immaginativo, olistico, inventivo e generativo, è intrinsecamente legato alle altre due dimensioni del pensiero complesso (critical, caring).

Proprio come il pensiero critico, anche quello creativo favorisce la problematicità, la spontaneità e l’intelligibilità. In questa prospettiva, tutti i dialoghi della comunità e le attività creative proposte nei diversi atelier hanno stimolato gli alunni ad attingere dalla loro esperienza per crearne di nuova, ponendosi delle domande, ricercando nuove risposte e alimentando quella che anche Dewey (1976) definisce “intelligenza creativa”.

Questa ricerca ha reso evidente anche il legame tra pensiero creativo e caring, in quanto entrambi stimolano la dimensione affettiva, empatica e attiva dell’esperienza. L’ambiente, la forma dialogica della comunità e l’apertura degli atelier ad accogliere e valorizzare le diverse intelligenze hanno permesso a ciascun alunno di abitare la propria creatività generando un’atmosfera di scoperta, fiducia e ascolto. Ogni opera creativa realizzata negli atelier raccontava la storia dell’alunno che l’aveva creata ma racchiudeva in sé anche le esperienze e le conoscenze che i compagni avevano condiviso con lui.

Filosofare nella comunità ha consentito la co-costruzione del pensiero invece la ricerca creativa negli atelier ha stimolato la condivisione di esperienze. Entrambi i processi hanno favorito la crescita collettiva, individuale e sociale di tutti gli alunni. Scoprire se stessi e gli altri, interrogarsi sul mondo e sperimentare soluzioni creative attraverso la natura complessa e triadica del pensiero rappresentano i risultati educativi più importanti della ricerca.

4.1 Implicazioni didattiche

Molte sono inoltre le implicazioni didattiche che questo studio ha posto in essere. La creatività, intesa come una dimensione del pensiero complesso, si può inserire all’interno del paradigma della pedagogia jazz (Santi, Zorzi, 2016) che, nella quotidianità scolastica, si traduce in didattica improvvisativa. Si tratta di una pratica che pone al centro di ogni azione l’opportunità e l’apertura alla scoperta, al rischio. L’improvvisazione rende la didattica innovativa, libera e flessibile capace di aprirsi ad ogni possibilità, all’imprevisto come occasioni di crescita e di miglioramento per tutti e per ciascuno. L’improvvisazione è strettamente legata ai processi creativi e inclusivi (Santi,Zorzi, 2015; Zorzi, Camedda, Santi, 2019): il dialogo nella comunità di ricerca e le attività svolte negli atelier lo hanno dimostrato. Nella ricerca, infatti, sono stati scelti i materiali ed è stato organizzato l’ambiente di apprendimento a priori ma la discussione nella comunità e le opere creative negli atelier sono stati entrambi il frutto della condivisione di pensieri, esperienze e relazioni degli alunni. In questo modo i bambini hanno potuto ampliare le loro conoscenze, sviluppare abilità socio-relazionali e lavorare su quella che Vygotskij (2010) definisce zona di sviluppo prossimo. L’improvvisazione in didattica non è mai dunque mero spontaneismo estemporaneo (o impreparazione), ma rappresenta l’intenzione di abitare l’adesso in prospettiva futura.

Un insegnante che sceglie di adottare una didattica improvvisativa (Zorzi, 2020) perché creativa ed inclusiva sceglie di predisporre l’ambiente educativo lasciando che il bambino sia il vero protagonista dell’azione didattica, l’agente attivo del proprio processo di apprendimento e di crescita. Si tratta di un insegnante che, attraverso uno stile di insegnamento incentrato sulla creatività, improvvisa includendo e include improvvisando (Zorzi, Camedda, Santi, 2019).

La ricerca azione proposta ha dimostrato come la creatività sia un atteggiamento didattico inclusivo e un’azione educativa volta alla possibilità, alla progettualità, alle opportunità e alla trasformazione del possibile. In una società complessa, globalizzata e diversificata come quella odierna, è importante che la scuola dia significato educativo, politico e sociale alla creatività (Zorzi, Camedda, Santi, 2019).

Se è vero che la creatività è accessibile a tutti perché è potenziale di tutti, allora tutti possono essere diversamente creativi attraverso l’educazione. Pensare e promuovere una didattica della e per la creatività potrebbe fungere da strumento differenziale per tutti e per ciascuno, all’interno di un pensiero pedagogico che attraverso l’educazione alla creatività nutre l’educazione alla libertà, alla prospettiva, all’immaginazione. Un’educazione etica che mette al centro lo sviluppo di ciò che è umano.

La nostra scuola dà al bambino un pochino di aritmetica, un pochino di geografia, un pochino di storia. Gli dà dei secchielli di questo oceano, ma … noi non possiamo consegnare l’oceano un secchiello alla volta, però gli possiamo insegnare a nuotare nell’oceano e allora andrà fin dove le sue forze lo porteranno, poi inventerà una barca e navigherà con la barca, poi con la nave… La conoscenza non è quantità, è una ricerca. Non dobbiamo dare ai bambini delle quantità di sapere ma degli strumenti per ricercare, degli strumenti culturali perché lui crei (Rodari, 2014, pp. 42-43).

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  1. Le intelligenze gardneriane si declinano in: linguistica (trasporre facilmente da una lingua ad un’altra); logico-matematica (leggere analogie e rapporti tra numeri); spaziale (interpretare lo spazio oltre le pure coordinate geometriche); musicale (cogliere gli ordini e le regole dei suoni); corporeo-cinestetica (riguarda la padronanza dei movimenti); interpersonale (capire gli altri); intrapersonale (capire se stesso guidando il proprio comportamento). Nel 1999 aggiunge un’intelligenza naturalistica (legata alla sensibilità ambientale) e considera l’ipotesi di un’intelligenza esistenziale (come attitudine filosofica a riflettere impiegando grandi categorie astratte e universali).↩︎

  2. Munari, B. (1979, p. 34). Relazioni come rovesciare una situazione, pensare al contrario, all’opposto; relazioni di ripetizione, senza mutazioni di qualcosa, oppure con variazioni; relazioni tra affinità visive o funzionali (gamba del tavolo = gamba di animale); relazioni che si potrebbero mettere assieme sotto la definizione di cambio o sostituzione di qualcosa.↩︎