Collocato in una collana di Erickson che intende valorizzare i processi mentali e simbolici di tipo analogico e metaforico, il volume di Adalinda Gasparini e di Claudia Chellini sottolinea l’attualità e il ruolo psicologico della fiaba. Il libro dimostra che un’analisi attenta di alcuni temi e motivi fiabeschi può facilitare le relazioni tra uomini e donne e tra diverse generazioni, aiutando a ricostruire rapporti insidiati da trasformazioni sociali assai veloci e profonde.
Dal testo emerge che non solo l’infanzia si nutre di contenuti e di simboli immersi in tempi e spazi lontani, ma che anche l’immaginario adulto attinge a temi e motivi fiabeschi. Letteratura, cinema e pubblicità ne riprendono spesso gli intrecci e i personaggi; le fiabe inquietanti di Angela Carter guardano ad un pubblico adulto, così come una recente pubblicità di cellulari, recuperata Cappuccetto Rosso, punta esplicitamente agli anziani. Le fiabe, insomma, non viaggiano solo nei libri di scuola o nelle librerie per ragazzi, ma attraversano da sempre classi sociali e generazioni in modo trasversale.
Nei primi tre capitoli Adalinda Gasparini presenta le trasformazioni nel tempo de “La Bella addormentata nel bosco”. Partendo da “Sole, Luna e Talia” di Basile, esamina la variante di Perrault, e poi “Rosaspina” dei Grimm.
Dall’analisi emergono i condizionamenti storici da cui deriverebbe un impoverimento del senso in alcune varianti medioevali e barocche rispetto alle successive versioni che rimuovono elementi ritenuti sconvenienti dalla corte del Re Sole o dall’ambiente romantico dei Grimm. Vengono anche messi in luce i legami tra motivi fiabeschi e rituali religiosi (ad esempio, le analogie tra le sante cristiane e le belle addormentate), e soprattutto il valore simbolico del sonno che rappresenterebbe “una sorta di iniziazione al femminile, qualcosa di simile alla morte, che corrisponde al rischio di morte delle iniziazioni maschili praticate nelle popolazioni senza scrittura”.
Nel quarto capitolo Claudia Chellini esamina il ritorno de “La Bella addormentata nel bosco” nel cartone animato di Disney e poi nel film Maleficent (2014), dimostrando la vitalità e la persistenza di alcuni temi e personaggi fiabeschi. In questa live action l’intreccio si trasforma e il personaggio di Malefica si dilata dando corpo ad una creatura affascinante, Maleficent, che mette in contatto Aurora con l’ambivalenza profonda del materno e le permette di esplorare difficoltà e complessità del rapporto madre/figlia. “Aurora dovrà infatti scoprire che la sua fata madrina è la strega cattiva, che la sua protettrice è anche la sua persecutrice (…) che è colei che l’ha destinata a un crudele destino di morte”. La fata oscura è onnipotente perché riunisce in sé due lati contraddittori della figura materna, quella che maledice e quella che ama generosamente. Da questo tratto traspare l’attualità della fiction che, idealizzando l’onnipotenza femminile, non permette al maschile – il principe – di svolgere la sua funzione generatrice.
Nella seconda parte del libro riemerge l’attitudine degli intrecci e dei motivi fiabeschi a permeare l’immaginario contemporaneo. Claudia Chellini individua il ruolo psicologico del femminile e la possibilità di umanizzare la bestia attraverso l’accettazione della sua aggressività. I rapporti tra donna e bestia e tra donna e mostro vengono esplorati a partire da “La Bella e la Bestia”, poi in romanzi ottocenteschi che presentano bestie più moderne (Frankenstein o Lo strano caso del dottor Jekyll o di mister Hyde), fino a arrivare, nel secondo novecento, a serie di successo (Beauty and the Beast) o alle Storie dell’incredibile Hulk in cui la bestia ricompare in fumetti e in film, in serie animate e in live action.
Affiora, insomma, quella tendenza tentacolare della fiaba evidenziata da Calvino, in grado non solo di contaminare generi letterari come il romanzo o il racconto, ma anche di insinuarsi in varie forme nei media. Caratteristica, questa, che rappresenta la forza, la duttilità e la attualità della fiaba. Merito di questo libro, che si colloca sulla scia del Mondo incantato di Bettelheim, è quello di chiarire come le fiabe svolgano la loro funzione psicologica e terapeutica. “La fiaba ci invita a procedere lungo un percorso, non a sezionarla per interpretarla come un linguaggio allegorico decodificabile” avverte Gasparini, invitando a rispettare il senso del racconto senza farsi condizionare troppo dalle possibili interpretazioni.
Dopo aver presentato i più noti modelli interpretativi, le autrici si collocano in ambito freudiano con ampia tolleranza per le altre chiavi di lettura perché “la potenza significativa delle fiabe non è minimamente scalfita da un’interpretazione”.
La fiaba è infatti un oggetto duttile che riesce a sfuggire alle gabbie interpretative, siano queste freudiane (Bettelheim) o junghiane (Von Franz), idealiste (Croce) o strutturaliste (Propp). Come il mito e il sogno, la fiaba è caratterizzata dall’indeterminazione e dalla vaghezza, ed “è proprio l’efficacia di ogni interpretazione, se colta nel suo carattere vago, a costituire la forza dell’interpretazione stessa”.
Le diverse chiavi di lettura, sottolinea Gasparini, devono comunque ricondurre il lettore al testo fiabesco che nella sua semplicità è riuscito nei secoli a sopravvivere alle molteplici analisi dei critici.
La fiaba si difende dall’invadenza delle interpretazioni, infatti la sua forza è quella di un testo nato orale, che talvolta si contamina con elementi colti e s’impreziosisce, continuando comunque a prevalere sulle intellettualizzazioni di chi pretende di interpretarla in modo esclusivo o troppo limitante.
La vaghezza e l’indeterminazione, che non deve abbandonare (pena la perdita del senso), sono legate alla natura metaforica e simbolica del testo fiabesco che racconta cose concrete, alludendo ad altro. Vaghezza, metaforicità e richiamo al simbolo ne arricchiscono il senso, permettendo a ciascuno di utilizzarlo in modo personale. E il suo senso è talmente ricco da poter reggere qualche incoerenza o contraddizione. La fiaba, infatti, sopporta un certo grado di approssimazione e di imprecisione perché non si fonda sull’esattezza lessicale come un manuale di botanica, né ricerca la motivazione logica delle azioni dei personaggi, e neanche persegue una consequenzialità degli eventi come un giallo. Essendo frutto dell’immaginazione e basata sull’analogia, si accontenta di utilizzare la logica analogica e di ricorrere alla magia o alla metamorfosi quando si trova in difficoltà, senza preoccuparsi di spiegare perché la puntura di un fuso faccia dormire cent’anni o perché al passaggio del principe il roveto di spine si trasformi in roseto.
Il testo fiabesco è un oggetto concreto dalla forma duttile e metamorfica che non esclude l’intervento di aiutanti magici o l’esistenza di animali parlanti. Se il principe dei Grimm deve superare la barriera di spine che isola il castello, più che la logica, sarà la metamorfosi ad aiutarlo a farsi strada tra i rovi. La fiaba, infatti, preferisce attingere alla saggezza del mondo contadino e dei proverbi più che ai princìpi rigorosi della scienza e della logica, senza sottrarsi al racconto di prìncipi o di re. “In fondo la fiaba è piccola cosa – scrive Gasparini – e non ambisce a frequentare i teologi o gli storici della letteratura”, anche se risulta perfettamente in grado ancora oggi di rivelare i nostri bisogni e desideri più profondi, come questo libro dimostra.
Riferimenti bibliografici
Bettelheim, B. (1988). Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe. Milano: Feltrinelli.
Calvino, I. (1956). Le Fiabe italiane. Torino: Einaudi.
Von Franz, M. L. (1983). Il femminile nella fiaba. Torino: Bollati Boringhieri.