Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.24 n.56 (2020)
ISSN 1825-8670

Lo smarrimento della ragione e il compito dell’educazione

Enrico BotteroIndependent researcher (Italy) https://www.enricobottero.com/

È stato insegnante, Dirigente Scolastico e per molti anni ricercatore presso l’Istituto Regionale di Ricerca Educativa del Piemonte (già IR.R.S.A.E.); membro del Comitato di redazione della Rivista Infanzia e del Comitato Scientifico della Rivista Encyclopaideia; è stato inoltre professore incaricato presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Torino.

Published: 2020-05-22

The Loss of Reason and the Task of Education

Democracy is not just a set of rules and procedures. Today, through a clever use of analogical and digital technologies, increasing invasive consumerism can erode two attitudes of the citizen: the deep attention and the construction of the symbolic world. Actually, for the consumer conditioned by the drive to buy, reflective thinking is only an obstacle. Education, in particular in the school, cannot renounce the formation of thought. For this reason it is important to rehabilitate rituals, albeit in new forms, in order to form the ability to wait. It is also important to train to the pleasure of learning instead of pleasure of success. The pleasure of learning is the premise for being able to cultivate humanistic and scientific knowledge and through them, enrich one’s own symbolic world.

La democrazia non è solo un insieme di regole e procedure. La sua realizzazione richiede la presenza di cittadini, cioè soggetti dotati di libero giudizio e autonomia di pensiero. Oggi, grazie a un uso sapiente delle tecnologie analogiche e digitali, un consumismo sempre più invasivo tende a erodere due attitudini del cittadino: l’attenzione profonda e la costruzione del mondo simbolico. Per il consumatore condizionato dalla pulsione d’acquisto il pensiero riflessivo è infatti solo un ostacolo. L’educazione, in particolare quella della scuola, non può però rinunciare alla formazione del pensiero. Per questo è importante riabilitare i rituali, sia pure in forme nuove, al fine di formare la capacità di attesa. È anche importante formare al piacere di apprendere invece che al piacere di riuscire. Il piacere di apprendere è la premessa per poter coltivare i saperi umanistici e scientifici e, attraverso di essi, arricchire il proprio mondo simbolico.

Keywords: Democracy; Consumerism; Cognitive Technologies; Disruption; Deep Attention.

1 Democrazia

La definizione più comune di democrazia la indica come la condivisione di regole comuni di convivenza che permettano il libero svolgimento del gioco democratico. Norberto Bobbio, ad esempio, ha scritto che la democrazia è costituita da “un insieme di regole (primarie o fondamentali) che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure” (Bobbio, 1995, 4). La prima di queste regole è quella della maggioranza.

Se stiamo a questa definizione minima sembra che la democrazia moderna consista in un metodo piuttosto che in un contenuto. Ma la democrazia come sistema è solo questo? Può un sistema politico fondarsi solo su una procedura e non anche su valori e sentimenti comuni? Questo limite della concezione liberale non era stato notato solo da Rousseau (il quale, però, non ha utilizzato il termine “democrazia”) ma anche da pensatori liberali come John Stuart Mill. Stuart Mill, infatti, aveva pensato a come coltivare nella società una “simpatia allargata” senza interferire con la libertà degli individui, dunque senza venir meno ai principi del liberalismo.

La democrazia richiede dunque anche valori e principi comuni. Uno di questi è la presenza di cittadini, cioè soggetti che grazie al loro libero giudizio siano in grado di esprimersi su come organizzare lo spazio collettivo. Il libero giudizio richiede capacità di riflessione e di argomentazione razionale, riconoscimento della priorità della ragione sull’opinione, della libera discussione sulla legge del più forte. La prevalenza dell’argomentazione razionale sull’opinione urlata con i suoi corollari (rispetto dell’umanità dell’altro e rifiuto della violenza) è il fondamento del vivere civile. Solo così è possibile che non prevalga un’autorità dogmatica ma un’esigenza di verità e di libera ricerca. Queste “virtù” si costruiscono nel tempo attraverso l’educazione. Di qui il suo ruolo centrale per la tutela e lo sviluppo della democrazia.

In Europa, dopo l’ultima guerra, anche grazie alla memoria delle tragedie prodotte dai nazionalismi e dai totalitarismi, hanno prevalso lo spirito della collaborazione e la ricerca di linee comuni. Oggi siamo tutti testimoni della rinascita di fenomeni preoccupanti di chiusura, che sono stati sintetizzati con i termini “populismo” e “sovranismo”. Questi fenomeni potrebbero portare a una crisi irreversibile delle democrazie. Perché? Come è potuto accadere? Che cosa può fare il mondo dell’educazione per promuovere la formazione di un cittadino democratico, attento, critico e rispettoso del bene comune? Avanzo qualche ipotesi che cercherò successivamente di argomentare.

2 Il consumismo e l’erosione della ragione

Negli ultimi decenni le società democratiche sono state invase da un’ideologia pervasiva, quella del consumismo. La sfera economica, prima regolata dai poteri pubblici, è dilagata a tutte le dimensioni della vita (Sandel, 2012). È lecito ipotizzare che la generalizzazione dell’ideologia del consumo che si è imposta abbia una relazione con la regressione sociale in tutti i Paesi industrializzati e con gli inevitabili effetti collaterali: la crescita delle destre estreme. La regressione nasce dalla progressiva erosione di due caratteristiche del cittadino libero e democratico: l’attenzione profonda e la ricchezza del mondo simbolico. Un ruolo importante in questa direzione è stato svolto dall’enorme sviluppo e diffusione delle tecnologie cognitive. Per tecnologie cognitive si intendono tutti quegli strumenti (mappa, orologio, abaco, scrittura, stampa, strumenti analogici e digitali) utili ad ampliare o rafforzare le nostre facoltà mentali (memoria, pensiero, ecc.). Le tecnologie cognitive sono parte integrante della storia dell’umanità. Ben presto, infatti, l’uomo ha acquisito la consapevolezza che la condizione per mantenere la memoria viva (anamnesis) è il fatto di potersi proiettare al di fuori di sé (hypomnemata) alimentando e trasmettendo il sapere acquisito (Stiegler, 2013, 379). Ogni tecnica, però, come già notavano i greci, è un pharmakon, cioè può essere sia rimedio che veleno, fattore tossico o terapeutico. Il tema è stato approfondito ampiamente in ambito fenomenologico (v. Husserl, L’origine della geometria). Nel corso del Novecento, è questa la grande novità, alla scrittura, la tecnica su cui si fondano i tradizionali saperi teorici, si sono aggiunti in modo prepotente i media analogici e digitali. L’uomo del Novecento costruisce il suo pensiero soprattutto attraverso le immagini: fotografia, cinema, televisione sono diventati strumenti formidabili di costruzione del pensiero (e dunque di marketing politico e commerciale). Le grandi aziende e i leader carismatici e autoritari del Novecento ne hanno fatto un uso sapiente e spregiudicato, con esiti spesso devastanti. L’esperienza non ha insegnato molto all’Europa di oggi. Quando si è parlato di “economia della conoscenza” (Commissione delle Comunità Europee, 1995), ad esempio, non si è adeguatamente tenuto conto della natura ambivalente delle tecnologie cognitive, che nel frattempo avevano ulteriormente sviluppato il loro potenziale di condizionamento. Queste tecniche sono state pian piano monopolizzate dal marketing commerciale e politico o di entrambi (in Italia è emblematico il caso del berlusconismo) con lo scopo di “formare” e “profilare” il consumatore, un soggetto che cede facilmente alla pulsione d’acquisto, meno riflessivo e meno capace di attenzione profonda. La televisione commerciale è stata approvata ampiamente dagli italiani alla sua nascita in nome della “libertà”. Tuttavia, gli stessi italiani, grazie a una concezione errata della libertà, non hanno riflettuto a sufficienza sul fatto che, nella maggior parte dei casi, le comunicazioni per cui non si paga nulla si remunerano in altro modo: ad esempio, attraverso la persuasione.1 Dunque si pagano in ogni caso, e non solo con la pubblicità.

Il consumismo costruisce la dipendenza, non la libertà, non perché di per sé preferisca l’autocrazia alla democrazia ma per la semplice ragione che la prevalenza di suggestioni pulsionali legati all’immagine sul pensiero è la precondizione per garantire l’acquisto del prodotto. Il consumatore passivo sarà anche un cittadino passivo, facilmente suggestionabile da politici che, assistiti da abili consulenti di marketing, si impegnano ad utilizzare mezzi molto persuasivi. Questi mezzi, per la loro stessa struttura, preferiscono l’immagine al testo, il testo breve (soggetto, predicato, complemento, slogan) al testo argomentato. In questo modo, si sviluppano gli storytelling, narrazioni la cui verità è per il fruitore molto meno importante della pervasività e della capacità di validare pregiudizi preesistenti. La loro forza di penetrazione è ampliata dalle immagini e da slogan semplici capaci di sollecitare le paure diffuse di ceti medi già impauriti negli anni dalla progressiva riduzione delle protezioni dello Stato sociale (Bauman, 2014). Cittadini impauriti dalla diminuzione delle protezioni sociali figlia di una vincente offensiva liberista diventano sudditi inconsapevoli. Non si è trattato di un complotto (il complottismo, con la sua pretesa di superiorità sociale e chiaroveggenza, è un’altra forma di risposta irrazionale e narcisista) ma il convergere di una serie di condizioni storiche.

In Italia, patria del berlusconismo, nei decenni appena trascorsi la televisione ha giocato di fatto (e gioca ancora) un ruolo centrale. Il dominio delle televisioni commerciali, con programmi organizzati espressamente al fine di spettacolizzare e sollecitare le pulsioni primarie degli ascoltatori, ha contribuito alla progressiva distruzione delle capacità riflessive. Alle tv si è aggiunta la rivoluzione digitale, le cui enormi potenzialità sono state sfruttate dalle industrie del marketing planetario e, naturalmente, anche dalla propaganda politica.2 Grazie al monopolio delle industrie “culturali” multinazionali (in primo luogo, Google, Facebook, Amazon, Apple, i cosiddetti GAFA), Internet, nato come strumento per la condivisione dei saperi, è in gran parte diventato il campo delle distrazioni e dell’esplosione delle pulsioni collettive. Le distrazioni hanno invaso tutte le dimensioni delle nostre società. I social network e gli smartphone, moltiplicando i sistemi di distrazione e, favorendo le “bolle”, hanno giocato un ruolo decisivo. I social network hanno offerto a tutti la possibilità di interagire con il mondo (anche in modo anonimo), per relazionarsi, esprimere emozioni, fare propaganda, diffondere notizie false in assenza di adeguato contraddittorio. È molto difficile, infatti, su questi mezzi, far circolare pensieri argomentati: gli strumenti sono stati costruiti per pubblicare brevi comunicazioni e soprattutto immagini e musica, tutto ciò che colpisce l’inconscio dei soggetti invitandoli a passare velocemente ad altro (aumentando così il valore pubblicitario delle profilazioni). Con lo smartphone abbiamo a disposizione per la prima volta un solo dispositivo mobile che consente di fare chiamate, utilizzare le funzionalità di un computer, navigare su internet e, grazie alle applicazioni, registrare e riprodurre video, musica e foto. Questa combinazione inedita tra nuovi strumenti e nuove piattaforme web con cui comunicare ha ulteriormente favorito il condizionamento della dimensione emotiva e pulsionale già ampiamente alimentato dai programmi televisivi. Tutto ciò è in controtendenza rispetto all’educazione, che ha tra le sue principali finalità l’elaborazione delle pulsioni primarie e lo sviluppo delle capacità di attesa, necessarie premesse allo sviluppo del pensiero riflessivo. Siamo di fronte a una vera e propria sofistica di dimensioni industriali che lavora per l’infantilizzazione degli individui. Ma in cosa consiste la tossicità del pharmakon?

3 Disruption: dall’attenzione profonda all’attenzione superficiale

L’invasione di questi sistemi di interruzione (disruption)3 ha prodotto una riduzione dell’attenzione profonda e l’impoverimento del mondo simbolico. L’attenzione profonda, la chiave per il consolidamento dei ricordi, è caratterizzata dalla concentrazione su un singolo oggetto per un periodo piuttosto lungo ignorando gli stimoli esterni. L’attenzione superficiale, al contrario, è caratterizzata dal frequente cambiamento di compiti cognitivi, dalla preferenza per diversi flussi informativi e dalla bassa tolleranza per la noia. Entrambe le forme di attenzione hanno vantaggi e svantaggi. La prima ad essere stata sviluppata da esseri umani impegnati a lottare per la sopravvivenza è l’attenzione superficiale. Con l’emergere di forme più complesse di cooperazione sociale si è pian piano sviluppata l’attenzione profonda, quella che ha permesso la formazione del pensiero. Le società evolute hanno creato ambienti (la scuola è uno di questi) in grado di favorire lo sviluppo dell’attenzione profonda. Ora stiamo assistendo a un cambiamento importante: il ritorno alla prevalenza dell’attenzione superficiale (Hayles, 2008). Un esempio di attenzione superficiale (Hyper Attention) è il multitasking, caratterizzato dal frequente cambiamento dell’attenzione a causa di sollecitazioni continue (i messaggi, le notifiche, le mail che ci vengono prontamente segnalati dai nostri dispositivi). Secondo Daniel Levitin, neuroscienziato, quando pensiamo di fare multitasking, in realtà stiamo solo passando da un compito a un altro molto rapidamente. Il multitasking – dice Levitin – crea un circolo vizioso di dipendenza dalla dopamina, premiando il cervello quando perde la concentrazione. Viene così disturbata la corteccia prefrontale, la regione del cervello di cui abbiamo bisogno per restare concentrati (Levitin, 2014). Non è un caso, dunque, che il tempo dedicato alla lettura approfondita e concentrata sia in diminuzione. Non è neppure un caso che siano sempre più rare le pubblicazioni che superano un certo numero di pagine: quale casa editrice oggi pubblicherebbe, ammesso che qualcuno li scrivesse, libri come Guerra e pace, I fratelli Karamazov o Alla Ricerca del tempo perduto?

4 L’importanza del mondo simbolico

La prevalenza dell’attenzione superficiale porta con sé un’altra conseguenza: una maggiore difficoltà di apertura al mondo simbolico. Vivere il mondo simbolico significa pensare l’assenza, immaginare una relazione con un oggetto o una persona che non sono presenti fisicamente. Il pensiero simbolico permette di liberarsi dalla riproduzione dell’immagine aprendo la via all’immaginario, di liberarsi dal vincolo del mondo reale per pensarlo attraverso concetti e modelli. Nel simbolico l’imitazione assume un significato (Meirieu, 2012, p. 173). Solo le persone che hanno costruito significati sono autenticamente sociali. Crescere come persone insieme agli altri, infatti, vuol dire condividere e costruire insieme significati, soprattutto attraverso la lingua parlata e scritta. La cultura letterata, in particolare, libera il soggetto dall’utilitarismo immediato e gli permette di acquisire un atteggiamento più lucido e critico.

La riduzione dei tempi di riflessione, l’insofferenza nei confronti della noia, la riduzione dei tempi di attesa compromettono lo sviluppo del pensiero simbolico. Un soggetto impoverito del suo mondo simbolico, della possibilità di elaborare il suo vissuto, delle relazioni empatiche, perde più facilmente la sua capacità di ragionare, a volte anche il sentimento di esistere, accumulando risentimento e odio (Stiegler, 2013). Ci troviamo qui agli antipodi del progetto educativo, che ha l’obiettivo di far crescere l’autonomia dell’individuo e la sua socialità anche per rafforzare la vita democratica. È la socializzazione democratica (Vincent, 2008). L’individuo infantilizzato perde il suo senso di responsabilità adulta nei confronti dell’infanzia e della collettività. Di qui la crisi dell’autorità e dell’educazione.

5 Il ruolo dell’educazione

L’educazione non può rinunciare all’esigenza del pensiero promossa nella modernità dagli ideali dell’Illuminismo (il sapere aude kantiano). Non mi soffermo sulle attuali politiche dell’educazione, pur trattandosi di un tema centrale che andrebbe approfondito. Ci si dovrebbe infatti interrogare sulle scelte fatte con riforme che hanno promosso negli anni controllo tecnocratico e concorrenzialità anche nel sistema formativo pubblico (con l’esaltazione della performance, della fiducia acritica nel mercato e nelle tecnologie che ci ha messo a disposizione). Mi limito invece a due dimensioni più pedagogiche su cui intervenire qui ed ora nell’azione educativa: ricostruire la capacità di attesa e aiutare ad entrare nel mondo simbolico.

La diffusione della “distrazione” è un fatto che viene osservato da molti insegnanti: tempi di attenzione più brevi, difficoltà di formalizzazione, problemi di relazione e di negoziazione con gli altri. Oggi la priorità è dunque la restituzione del tempo e l’apprendimento dell’attesa: attesa tra la percezione e il giudizio, tra la pulsione e l’atto, tra l’ascolto della domanda e la formulazione della risposta, tra la prima elaborazione di un lavoro e la sua messa in atto. La capacità di attendere si sviluppa grazie alla pratica della scrittura e di attività progettuali in cui i ragazzi siano personalmente coinvolti. Ma tutto questo va preparato costruendo un ambiente adatto e un atteggiamento mentale di disponibilità. Come?

6 I rituali per educare all’attesa

Anzitutto introducendo i rituali. Con la scuola di massa sono scomparsi i rituali che un tempo strutturavano l’edificio simbolico della scuola caserma (l’espressione è di Fernand Oury): le file, le uniformi e i grembiuli, i saluti, la distribuzione dei premi, ecc. Nessuno di noi4 ha nostalgia di quei rituali ma resta una domanda: la scuola può fare a meno dei rituali? I rituali, non a caso molto utilizzati nella musica e nello sport, servono a introdurre regole nel fluire della vita mentale aiutando a gestire l’attesa e la formazione degli atteggiamenti. Hanno un rapporto stretto con i compiti di apprendimento: li preparano e delineano un contenitore simbolico. È ciò che hanno ben compreso molti educatori: Baden Powell, Fernand Oury, Janusz Korczack, Anton Makarenko. Oggi, con la prevalenza dell’orizzontalità, i rituali non possono nascere dall’imposizione ma da un’elaborazione collettiva del gruppo insieme all’insegnante. Successivamente vengono formalizzati e periodicamente ridiscussi. Possiamo distinguere tre livelli di rituali: rituali di organizzazione dello spazio (segni di passaggio tra diverse organizzazioni e utilizzo degli spazi), rituali di organizzazione del tempo (scandire con gesti il passaggio tra i diversi momenti della giornata), rituali dei comportamenti (codificazione e modalità di memorizzazione ed esposizione delle regole che garantiscono la sicurezza fisica ed emotiva di tutti).

7 Per entrare nel mondo simbolico promuovere il piacere di apprendere

Abbiamo già osservato che il mondo dei concetti permette di liberarsi dal vincolo della realtà attraverso la modellizzazione. Sia il linguaggio delle arti che quello della scienza riescono a dire ciò che l’essere umano può cogliere per comprendersi e per comprendere il mondo. Immergendosi nelle invenzioni letterarie è possibile sperimentare la dinamica di alcuni sentimenti universali (speranza, paura, felicità, dolore) ma anche sentimenti più complessi come il coraggio, l’autocontrollo, la dignità, che sono la premessa della compassione. Questo ingresso nel mondo simbolico deve vedere la scuola in primo piano. La famiglia ha un ruolo importante ma i contesti familiari sono molto diversi tra loro (quanti genitori sono in grado di promuovere nei figli questo percorso? Probabilmente solo quelli delle classi più colte). Se l’insegnante è colui che promuove il piacere di apprendere aiutando ad entrare nel mondo simbolico, non può essere, come vorrebbe qualcuno, un semplice prestatore d’opera nel mercato delle certificazioni degli apprendimenti.

Concludo con qualche breve osservazione sul come operare per favorire l’ingresso nel mondo simbolico rinviando per approfondimenti a quanto ho già scritto altrove.5 I metodi trasmissivi ritualizzati nella scuola non hanno più corso nella situazione attuale. Più che fare lezioni, anche affascinanti e seduttive, secondo la migliore tradizione retorica dell’idealismo italiano (si è parlato anche di un’“erotica dell’insegnamento” che sarebbe figlia della bella lezione), è importante organizzare situazioni in cui i giovani possano operare su questioni che per loro hanno un senso e con finalità precise: lavorare per problemi e per progetti, organizzare attività individualizzate, fare teatro e musica, prevedere momenti di elaborazione collettiva delle decisioni (consiglio degli allievi). Ecco qualche via su cui muoversi, faticosa forse, ma anche entusiasmante e, soprattutto, non rinviabile.

Riferimenti bibliografici

Bauman, Z. (2014). Il demone della paura. Roma-Bari: Laterza.

Bobbio, N. (1995). Il futuro della democrazia. Torino: Einaudi.

Commissione delle Comunità Europee (1995). Libro bianco su istruzione e formazione. Insegnare ad apprendere. Verso la società conoscitiva. Bruxelles.

Galli Della Loggia, E. (2018). Cattedre più alte per tutti i professori. Corriere della Sera: 4 giugno.

Hayles, N. K. (2007). Hyper and Deep Attention: the Generational Divide in Cognitive Modes. Professor, 13, 187-199. https://doi.org/10.1632/prof.2007.2007.1.187

Husserl, E. (2010). L’origine de la géométrie. Paris: Presses Universitaires de France.

Levitin, D. (2014). The organized mind. Thinking straight in the Age of Information Overload. New York: Dutton Penguin.

Meirieu, P. (2012). La pédagogie et le numerique: des outils pour trancher? In Gautier, Julien & Vergne, Guillaume (a cura di). L’Ecole, le numerique et la societé qui vient (pp. 159-178). Paris: Mille et une nuits.

Meirieu, P. (a cura di). (2016). Il piacere di apprendere. Teramo: Giunti e Lisciani. Ediz. orig. (2014). Le plaisir d’apprendere. Paris: Autrement.

Sandel, M. (2012). Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato. Milano: Feltrinelli.

Stiegler, B. (2013). Pharmacologie du Front National. Paris: Flammarion.

Stiegler, B. (2018). Dans la disruption. Comment ne pas devenir fous?. Paris: Actes Sud.

Vincent, G. (2008). La socialisation démocratique contre la forme scolaire. Éducation et francophonie, 36(2), 47-62. https://doi.org/10.7202/029479ar

Weinstein, L. (2019). Propagande. L’art de vendre des mensonges. Germania-Canada. Film documentario trasmesso dal canale TV Arte.


  1. Fanno eccezione le comunicazioni scientifiche. In questo caso la remunerazione sta nello sviluppo della conoscenza. Ma spesso anch’esse, in seguito, vengono utilizzate per altri scopi.↩︎

  2. Sulla storia della propaganda come strumento a disposizione di ogni potere per acquisire il consenso, rinvio al bel documentario di Larry Weinstein, Propagande. L’art de vendre des mensonges, Germania, Canada, 2019. V. https://www.arte.tv/fr/videos/075835-000-A/propagande-l-art-de-vendre-des-mensonges/↩︎

  3. Disruption (in italiano, disrupzione) letteralmente significa rottura, interruzione. In questo caso si riferisce alla perdita di protensioni collettive (desideri, attese, volizioni) causata da una società reticolare monopolizzata da media che si muovono più velocemente delle volontà individuali. Sul tema v. Bernard Stiegler, Dans la disruption. Comment ne pas devenir fous?, Paris, Actes Sud, 2018 .↩︎

  4. Va ricordato che nel dibattito pubblico sui media è comunque molto presente la nostalgia della scuola “seria” e dei suoi rituali. V., ad esempio, Ernesto Galli Della Loggia (2018). “Cattedre più alte per tutti i professori”. Corriere della Sera, 4 giugno.↩︎

  5. Sito dell’autore: https://www.enricobottero.com/↩︎