Il ruolo delle emozioni nei processi formativi in contesti formali, non formali e informali rappresenta senz’altro un tema di grande interesse per la pedagogia contemporanea, tant’è che si parla, oggi, di “educazione emozionale” e di “alfabetizzazione emozionale”.
Il lavoro di Maria Buccolo si inserisce, a pieno titolo, in quel filone di studi e ricerche che intende indagare, proporre metodologie e strategie didattiche per formare soggetti – in tutto l’arco della vita – che siano in grado di saper individuare, riconoscere e dare un nome ai propri vissuti emotivi, nei contesti di vita sociali e di pratica situata.
Già nel 2015, l’Autrice aveva tracciato un'interessante analisi comparativa della figura dell'educatore professionale in ambito nazionale ed internazionale, con la chiara finalità di fare luce sulla formazione delle professioni educative e formative, a partire dalle origini fino ad oggi.1 Questo ulteriore contributo, a mio avviso, rappresenta il “come” l’educatore professionale possa e debba lavorare per lo sviluppo della competenza emotiva a livello più “micro”, a partire dalla scuola dell’infanzia fino alla senilità.
D’altra parte, non c’è più bisogno di evidenziare quanto i nostri apprendimenti risentano fortemente delle dinamiche emotive che caratterizzano il nostro vivere sociale, configurando “saperi personali”2 che delineano soggettività e professionalità irripetibili. Ma è vero anche il contrario: pensiamo a come particolari vissuti emotivi possano determinare la costruzione di un certo tipo di pensiero e quindi di apprendimenti. Quindi, di pratiche.
L’Autrice ci consegna una visione innovativa delle emozioni, che vengono considerate una componente strutturale e una preziosa risorsa nei diversi contesti umani e professionali. Una risorsa che serve per conoscere, agire e progettare.
L’attuale dibattito sul cosiddetto “professionalismo”, ad esempio, si incentra proprio sullo studio e la sperimentazione sul campo di possibili modelli utili a formare i professionisti alle cosiddette “competenze trasversali”, ormai diventate indispensabili in qualsiasi professione che preveda il contatto con i colleghi e con utenti di un servizio.
Citando le parole della Senatrice Iori nella Presentazione del volume, “La nostra umanità, infatti, è l’unica chiave di accesso che ci consente di comprendere l’umanità degli altri” (p. 13). Da qui, l’importanza dell’“alfabetizzazione emotiva” per tutti e lungo il corso della vita, a partire dalla scuola dell’Infanzia.
Un pensiero “de-emozionalizzato” non riesce ad introdursi e a comprendere a fondo le realtà complesse e le soggettività nelle quali e con le quali agiamo, non è capace di orientare bene la pratica. In questo quadro diventa, dunque, essenziale imparare a dis-apprendere e ri-configurare riflessivamente le proprie emozioni e i propri sentimenti.
Il volume è strutturato in cinque capitoli e una ricca biblio-sitografia.
Nel primo, Buccolo esplicita cosa significa educare alle emozioni nell’infanzia, presentando le teorie, i modelli e come i bambini apprendono le emozioni, compreso il ruolo che queste giocano nella relazione educativa.
Il secondo capitolo è incentrato sulla definizione e sul ruolo dell’educatore emozionale e sulle sue competenze nella gestione delle emozioni (competenze culturali e psico-pedagogiche; tecnico-professionali; metodologiche e didattiche; relazionali; riflessive).
A livello “pratico”, è molto interessante il paragrafo che riguarda la “cassetta degli attrezzi dell’educatore emozionale”, in cui viene delineata una metodologia formativa per poter lavorare con passione, dedicando un’approfondita riflessione agli elementi della respirazione, della voce, del corpo e della gestione delle emozioni.
Il terzo capitolo contiene gli strumenti pratici per lo sviluppo dell’alfabetizzazione emotiva nell’infanzia, partendo dal gioco come metodologia didattica esperienziale per favorire lo sviluppo delle emozioni nel bambino. Vengono inoltre presentati due progetti molto interessanti, che riguardano l’alfabetizzazione emotiva come linguaggio di comunicazione nella prima infanzia e la fiaba come strumento di costruzione ed elaborazione dei saperi emozionali.
Nel quarto capitolo, Buccolo affronta il tema dell’educazione emozionale nel curricolo scolastico, dalla famiglia alla scuola, passando per i nuovi media nell’era digitale e consegnando al lettore un modello formativo molto interessante sperimentato dalla stessa Autrice: “Pinocchio: emozioni da favola”. Il progetto ha avuto come obiettivo quello di educare al riconoscimento e alla gestione delle emozioni in classe con la lettura espressiva e la scrittura creativa del copione teatrale. "Un’azione teatrale che è stata capace di far emergere consapevolezze emotive e si è posta come obiettivo principale lo sviluppo di competenze personali e sociali atte a favorire la crescita dell’individuo come futuro cittadino del domani in linea con le Indicazioni nazionali del curricolo per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (2012) (infra, p. 109).
Il quinto capitolo è dedicato al ruolo delle emozioni in età adulta, in particolare alla gestione delle emozioni nei contesti organizzativi e al benessere nei luoghi di lavoro, dove “i fattori emotivi si rivelano indispensabili per le scelte razionali” (infra, p. 115).
Estremamente interessante si rivela, a tal proposito, l’intervista sul tema della felicità al lavoro dell’Autrice a Paolo Boccardelli, Direttore, LUISS Business School di Roma, che evidenzia l’importanza di sviluppare “una cultura a favore del bilanciamento vita-lavoro; promuovendo il lavoro flessibile; dando al proprio team adeguate responsabilità per far crescere l’organizzazione e al tempo stesso distribuire in modo equo la mole di lavoro […]. È leader colui che è emotivamente intelligente, che agisce per favorire il cambiamento” (infra, p. 119).
Infine, vengono presentati due progetti molto stimolanti per la gestione delle emozioni nella vita professionale e personale e per la gestione dello stress-lavoro correlato con il training teatrale.
L’ultima parte del capitolo affronta la tematica delle emozioni nella terza età, forse non sempre trattata in letteratura con la dovuta importanza che merita: “gli anziani sanno bene che la chiave della felicità non è aspettare qualcosa dalla vita, ma il vero benessere risiede nel soffermare lo sguardo sul presente con umiltà, semplicità e ottimismo vivere il”qui ed ora" nella sua preziosità" (infra, p. 132). È la saggezza dettata dall’esperienza.
Anche qui, il capitolo riporta la sintesi del progetto “Pratica-mente”, percorso che ha offerto spazi
per attività funzionali alle persone anziane ed ha proposto servizi con l’obiettivo di individuare le condizioni di fragilità di natura psicologica socio-ambientale, economica e supportare gli stessi attraverso interventi educativi volti al miglioramento della qualità della vita nella terza età.
L’attuale scenario socio-politico – dove la conflittualità a tutti i livelli è un tratto caratterizzante – suggerisce alla pedagogia e alle scienze dell’educazione la necessità di orientare approcci di studio e ricerca sempre più innovativi, che siano in grado di promuovere apprendimenti realmente trasformativi, riconoscendo alle emozioni e alla felicità un ruolo di prim’ordine per il benessere soggettivo e collettivo, a livello personale e professionale. In questo risiede, a mio avviso, il valore aggiunto di questo contributo che – con acume e perizia – Buccolo ci consegna.
Il volume si rivolge agli studenti dei corsi di laurea delle professioni educative, agli educatori, ai formatori, ai Dirigenti Scolastici, ai Responsabili MIUR, ai ricercatori e agli studiosi interessati ad approfondire il tema delle emozioni – da un punto di vista teorico, metodologico e progettuale – lungo tutto il corso della vita.
Cfr. Buccolo M., Formar-si alle professioni educative e formative. Università, lavoro e sviluppo dei talenti, Franco Angeli, Milano, 2015.↩︎
Cfr. de Mennato P. Il sapere personale. Un’epistemologia della professione docente, Guerini e Associati, Milano, 2003; Polanyi M. La conoscenza personale. Verso una filosofia post-critica, Rusconi, Milano, 1990.↩︎