3 Cittadinanza e servizi socio-educativi davanti alle nuove povertà6
3.1 Attribuzioni di significati nelle periferie urbane
A essere sempre più “a disagio” (Palmieri, 2012, p. 20) nella contemporaneità sono i territori tradizionali, oggi peraltro ulteriormente depotenziati nelle loro capacità socio-relazionali a causa dell’evento pandemico. In particolare, ad essere coinvolti, sembrano i “quartieri periferici, […] zone geografiche particolarmente deprivate, povere e/o prive di risorse”, aree “a disagio”, che “producono disagio, in quanto determinano le condizioni di esperienza, relazione, comunicazione”, in un certo senso significazione, “in una sorta di circolo vizioso” (ivi, p. 20). È qui che, a partire da un territorio problematico, hanno vita biografie e significazioni altrettanto tali (vincolanti e parziali) e dove processi e percorsi di fuoriuscita dalla povertà (vecchia e nuova) appaiono ostacolati e più frequenti sono gli “adattamenti per rinuncia”, funzionali alla sopravvivenza nell’immediato presente più che alla progettazione del futuro (Gui, 1996, pp. 24-26; Uccellatore in AA.VV, 2019, pp. 7-9). Ostacolata sembra essere una (ri-)significazione alternativa, capace di riconnettere le storie di impoverimento non solo a una necessaria resilienza individuale, all’interno di situazioni di vita e territori mortificati e mortificanti, quanto piuttosto a possibilità comuni di critica alle condizioni strutturali-sociali che hanno prodotto esperienze e vissuti di precarietà.
Lo stesso Giambellino di Milano viene raccontato da chi lo vive7 come vincolo, più che come risorsa; come un contesto affaticante in cui le persone (non potendo far altro) “galleggiano” (come riferito dall’operatrice di un’associazione di promozione culturale). Lo descrivono in questi termini anche quanti lavorano nei servizi socio-educativi qui presenti e chi vive/lavora in quei luoghi (bar, farmacie, tabaccherie ecc.), che nel quartiere hanno una storia di radicamento e una significatività relazionale e che, per questo, sono diventati dei servizi “imprevisti”: informali punti di riferimento e di intercettazione delle domande d’aiuto degli abitanti.
Nelle voci dei piccoli commercianti ascoltate nella ricerca, queste domande assumono il contorno di una “delega” (Negoziante 1, uomo) del pubblico al territorio nel fornire, non solo accoglienza, ma anche risposte a bisogni diffusi, contribuendo a alimentare, ora, un senso di abbandono istituzionale di una periferia sempre più “lasciat[a] andare” (Negoziante 2, donna; Schiavi, 2018), ora un volontarismo in alcuni casi elogiato dagli stessi negozianti, con il rischio di proclamare (alle volte “narcisisticamente”) una sorta di autosufficienza territoriale. La consistente attivazione delle realtà (commerciali) di quartiere, tuttavia, appare esposta a una solidarietà obbligata, resa inevitabile dal “rapporto costante e continuo” (Negoziante 1, uomo) che queste hanno con il territorio e i suoi abitanti, che a loro chiede aiuto e che con loro “piangono […]: ‘come devo fare?’” (Negoziante 3, uomo).
Tale attivazione sembra inserirsi problematicamente in un quadro entro cui i territori (alcuni, in particolare) assistono alla moltiplicazione di percorsi di impoverimento, meno evidenti rispetto a quelli tradizionali e, anche per questo, complessi nella loro gestione e nel loro fronteggiamento; dove faticosa e insufficiente appare la messa a sistema, con una logica presidiata, di risposte a problematiche collettive e diffuse nelle città (peraltro faticosamente lette in questi termini) e, in generale, nei “sistemi sociali postfordisti [che] stentano a generare situazioni di vita sicure” (Negri, 2006, p. 14). A questa fatica sembrano connettersi le significazioni che delle cosiddette nuove povertà offrono quanti, a vario titolo, si mobilitano – ufficialmente o informalmente – nel tentativo di un loro contenimento o di una loro gestione: ora con paura, in modo improvvisato e contraddittorio; ora anacronisticamente, rivolgendosi a un’idea di povertà vecchia e “utilizzando strumenti già collaudati se non obsoleti” (Palmieri, 2012, p. 45).
3.2 La povertà nella lente dei servizi “imprevisti”
Delle nuove povertà sembrano far parte anche le stesse biografie di alcuni commercianti del Giambellino che, complice il protrarsi della crisi economica generale, si sono visti costretti a ridimensionare, in alcuni casi, le loro attività come, pure, gli aiuti informalmente disposti a una popolazione che, impoverita, fatica a comprare. Nei loro racconti, essi sembrano collocarsi tra il desiderio di dare “una mano, come [si] può” (Negoziante 4, uomo) e il bisogno di ricevere, loro stessi, un aiuto. Pur assumendo le forme di una sorta di sportello d’ascolto e supporto, facendo “il sociale” e stando “dalla parte di chi aiuta” (Negoziante 4, uomo), occupano infatti una posizione di confine, condividendo con i loro clienti le medesime fragilità territoriali. Lo fanno scendendo inevitabilmente a compromessi, non riconosciuti o non dichiarati, provando a salvaguardare il desiderio solidaristico eppure il personale (necessario) guadagno. Come emerge infatti emblematicamente dal racconto della tabaccaia del quartiere, sembra possibile descriversi come sostituti dei servizi sociali (nelle sue parole definito come “aggregatore sociale”), per questo distanti da chi vive processi di impoverimento, mentre si persegue il tentativo di assicurarsi un guadagno costante, sostenendo informalmente (con proposte di acquisto a prezzi agevolati) comportamenti dipendenti: dal gioco d’azzardo, dal consumo di sigarette scontate, da sé e dalla propria attività.
Anche in questa ricerca, emerge la necessità di una presa di distanza da una condizione di impoverimento diffusa (alle volte sfruttata concorrenzialmente nelle logiche del libero mercato), che permette in parte (quantomeno nella percezione) di separare (e separarsi), chi aiuta da chi è aiutato. Quel che non sempre viene esplicitata è la fragilità e la provvisorietà del confine tracciato.
Tale preoccupazione (di separazione) sembra intravedersi anche oltre la soglia di quei luoghi che si presentano al territorio con un mandato più esplicitamente educativo (per quanto perlopiù volontario), come risulta essere l’oratorio. Qui, nel racconto di un operatore, emerge l’esperienza di difficoltà di un collaboratore volontario che, pur vivendo un progressivo impoverimento, ha temporeggiato nella richiesta di aiuto. Questo racconto vicino tuttavia è solo stato accennato e la stessa prossimità della storia del collega è stata in un certo senso rimossa, con la negazione – nel medesimo racconto – dell’incontro di storie di povertà intermedie, comuni. È, questa, una fatica di riconoscimento e racconto, che sembra scomparire quando la narrazione si sofferma sull’analisi di quelle povertà più conclamate, che possono essere ritenute maggiormente distanti.
Come già ricordato, all’interno di una cultura diffusa che porta a considerate “coloro che non avranno ‘successo nella vita’ […] [come] gli unici responsabili del proprio fallimento” (Boarelli, 2019, pp. 18-20), queste prese di distanza sembrano rispondere al bisogno di contenere percezioni di inadeguatezza, sensi di colpa e vergogna; percezioni che qui appaiono amplificate forse dalla maggiore riconoscibilità sociale connessa ai ruoli e alle funzioni che i soggetti intervistati ricoprono nel territorio.
3.3 Servizi socio-educativi e nuove povertà
Questa presa di distanza sembra ostacolare l’emersione nello spazio pubblico e il riconoscimento delle storie di impoverimento: della loro connessione con passaggi di vita sempre più normali e comuni, come pure della loro diffusione (peraltro presumibilmente in aumento), che segnalano un ampliamento sempre più consistente della “forbice tra chi sta molto bene e chi sta molto male” (operatrice di un servizio di mediazione al lavoro del comune di Milano).
Di questo faticoso accostamento al fenomeno non sembrano del tutto esenti gli stessi operatori di quei servizi socio-educativi, responsabili su Milano della raccolta dei bisogni della cittadinanza e della progettazione di risposte (collettive oltre che individuali) agli stessi. Questi, ora, confinano la nuova povertà all’interno di un’area nuovamente individuale, che le allontana da una zona prossimale e normale e le lega a una “sofferenza psichica” (ibidem), a “particolari condizioni di fragilità” (operatrice del servizio Siloe di Caritas Ambrosiana) personale o al massimo familiare (Caritas Ambrosiana, 2018, p. 4); ora, ancora, pur riconoscendo la complessità del fenomeno, sottolineano la difficoltà nell’individuare/accompagnare storie di impoverimento per cause molteplici. Ciò avviene in ragione di un ampliamento di una zona grigia e della vergogna, che rendono meno evidente lo stato di bisogno e meno scontata la definizione stessa delle nuove povertà; a causa di un accesso “già oltre la soglia, […] già nell’emergenza” (operatore dell’area housing sociale della cooperativa sociale Spazio Aperto Servizi), che complica la distinzione – definita in alcuni casi di “lana caprina” (operatrice di un servizio di mediazione al lavoro del comune di Milano) – tra vecchie e nuove povertà. La difficoltà di definizione si riscontra tanto nel contatto diretto con storie di impoverimento, quanto nello “studio” (accademico) del fenomeno “che è di quest’epoca”, per cui “non ci sono esperienze precedenti da cui attingere e non c’è la letteratura da cui attingere […], non è qualcosa di consolidato” (operatrice del progetto di custodia sociale della cooperativa sociale Spazio Aperto Servizi).
Nonostante queste difficoltà e indipendentemente dalle motivazioni date in alcuni casi allo scivolamento in percorsi di impoverimento di tipo individuale-soggettivo, caratteriale (è il carattere personale che porta a non tessere relazioni sociali/di sostegno) o psicologico, “al di là degli eventi esterni” (operatrice del servizio Siloe di Caritas Ambrosiana); la nuova povertà sembra, spesso, essere associata, da questi operatori, a scelte urbanistiche, a caratteristiche socio-politico-economiche, a una vulnerabilità che si “allarga” e diviene sociale, alla “cronicizzazione, [al]la quotidianizzazione, [al]la familiarizzazione dell’incertezza” (Negri, 2006, p. 15). Se queste significazioni più articolate, generalmente date al fenomeno, sembrano necessarie per affiancarsi alle storie di impoverimento, le stesse, nelle narrazioni degli intervistati, appaiono insufficienti per accompagnare nell’uscita dalla precarietà: per una fatica nell’intercettare nuovi processi di impoverimento, che si complessificano e aumentano; per una difficoltà di accesso ai servizi da parte di una popolazione non abituata ad avere a che fare con il sistema di aiuto; per una fatica dei servizi a rinnovarsi in risposta ai cambiamenti del contesto sociale, ai quali rischiano di dare una “risposta che non viene incontro al bisogno” (Assistente sociale del Comune di Milano); per le significazioni e le rappresentazioni sociali che circolano tanto in merito ai nuovi poveri, quanto ai servizi stessi che con questi (e altri bisogni di cittadinanza) dovrebbero rapportarsi.
Nello specifico, gli operatori incontrati, percepiscono una difficoltà nel fare rete, dovuta anche a una “competizione” del privato sociale, a logiche concorrenziali connesse a una ormai storica frammentazione dei finanziamenti e alla logica dei bandi (progettista della Fondazione Cariplo). Con la fatica di mettersi in rete si tende a dare risposte uguali a medesimi bisogni e alle stesse persone, che sfuggono dalla rilevazione dei dati: “le persone senza dimora a Milano sono le più obese, perché mangiano 15 volte al giorno”, è l’osservazione estrema degli operatori di Spazio Aperto Servizi, che registrano anch’essi, delle sovra-risposte ad alcuni bisogni mentre altri sembrano restare inevasi (operatrice del progetto di custodia sociale della cooperativa sociale Spazio Aperto Servizi). C’è dunque chi connette questa “inerzia” dei servizi a tale fatica, ma anche al sistema dei bandi e delle politiche più in generale, alcune eccessivamente assistenzialistiche, come in parte è stato il REI (reddito di inclusione) e come spesso il Reddito di Cittadinanza viene considerato (Assistente sociale del comune di Milano). Sono tali politiche assistenzialistiche, insieme al diffondersi di una cultura neoliberista (Kumar, 2000), che sembrano avere delle ricadute educative anche nel modo di percepirsi del “povero”, che spesso viene ad assume una postura da “cliente” (operatrice di un servizio di mediazione al lavoro del comune di Milano), e del servizio che a esso si rivolge. È in questo quadro che i servizi sembrano registrare difficoltà nel fornire risposte coerenti a nuovi bisogni anche per le politiche e per un sistema di welfare che pare muoversi sopra le teste degli operatori, creando in essi un senso di impotenza e inefficienza, una modalità di attivazione emergenziale e poco preventiva in una cornice maggiormente collettiva.
4 Necessari processi di ri-significazione nella sofferenza urbana
I processi di significazione, sollecitati e analizzati nelle ricerche qui accennate, forniscono importanti opportunità di riflessione intorno alle implicazioni educative che, con particolare riguardo, concernono il lavoro educativo nei contesti segnati dalla presenza di diseguaglianza e vulnerabilità (Petrillo, 2018), lì dove si consumano “sofferenze singole e […] tragedie collettive” (Ravazzini & Saraceno, 2012). Questi studi permettono di inquadrare bene la complessità incontrata da chi lavora nei quartieri periferici, all’incrocio tra condizioni materiali che consegnano la vita di molti alla vulnerabilità, alla deprivazione e alla marginalità e vissuti d’abbandono, frustrazione e rancore.
Come queste ricerche ben illustrano, gli effetti della problematica educazione sociale connessa allo scenario contemporaneo neoliberista non coinvolgono solo le significazioni e le interpretazioni delle persone intervistate (educate, come detto, a leggere entro una lente individuale e iper-responsabilizzante le proprie e/o altrui condizioni e fatiche). Essi chiamano significativamente in causa le stesse pratiche educative dedicate alla gestione della vulnerabilità sociale, dei suoi processi e sviluppi e, soprattutto, le premesse interpretative da cui queste prendono forma, dando luogo a prospettive e procedure di intervento, come noto, mai neutre. Soggetto ai medesimi climi educativi, lo sguardo di operatori e operatrici sociali non risulta infatti automaticamente immune dalla loro influenza, così come tra le progettazioni educative e le culture diffuse può rintracciarsi una pericolosa e inconsapevole contiguità di orientamenti, valori, significati.
In un procedere irriflesso, incapace cioè di interrogare ovvietà e ordinarietà assunte dalla vulnerabilità e da quel “mondo di significati” (Caronia & Besoli, p. XX) che la connotano nell’attuale contingenza storica, economica e sociale, il rischio di confermare e rinsaldare inconsapevolmente tali contiguità è estremamente elevato. Lo si osserva nelle progettazioni educative entro cui la tensione verso l’autonomia e l’autodeterminazione dei soggetti non si esplica nel bilanciamento con un’attenzione ugualmente dedicata al profilo sociale e contestuale dei bisogni, dei vincoli, delle risorse e (soprattutto) delle responsabilità (Tramma, 2005). È qui che, dietro a costrutti pacificamente assunti come empowerment o resilienza, rischiano di annidarsi le premesse di pratiche educative che (sebbene inconsapevolmente) partecipano della conferma e della riproduzione di un individuo che – da solo – è implicitamente chiamato a provvedere ai suoi bisogni, dinnanzi a un pubblico la cui indifferenza o impotenza si apprende a considerare un dato di fatto inemendabile. Similmente appare accadere per quegli stessi territori chiamati a farsi carico delle fatiche che li connotano. Laddove dimentichi dei diversi interessi dei soggetti presenti (individuali e collettivi) e delle altrettanto diverse (e diseguali) quote di potere tra questi distribuite, gli interventi educativi volti al sostegno dell’attiva partecipazione della cittadinanza per la rivitalizzazione dei territori socialmente ed economicamente penalizzati, rischiano di vedere erose o contraddette le proprie finalità democratiche (Siza, 2018). Come mostrato dal senso di delega e di abbandono restituito dalle voci raccolte nelle ricerche qui presentate, progettazioni educative dedicate allo sviluppo di comunità e alla coesione sociale che limitano il proprio intervento sull’esclusivo stimolo della solidarietà tra cittadini/e, rischiano di adombrarne (ma anche contenerne) dimensioni conflittuali potenzialmente generative (anche da un punto di vista pedagogico) di mobilitazione e partecipazione.
La consapevolezza dell’educazione sociale che caratterizza il nostro presente e dell’influenza che esercita sul nostro (e altrui) sguardo e sui nostri (e altrui) processi di significazione, si conferma, in questo senso, uno strumento pedagogico irrinunciabile per la pensabilità, la progettazione e la praticabilità di un futuro differente e per il riparo da tensioni esortative che trattengono dentro di sé un avvallo – colpevole anche laddove inconsapevole – del presente e delle sue diseguaglianze.
Riferimenti bibliografici
AA.VV. (2019). Atti del convegno: #cisiamo7. La settima edizione dell’incontro di riflessione e dibattito sul tema delle nuove forme di povertà a Milano. Luoghi e percorsi di ripartenze. Milano: Fondazione Ernesto Pellegrini.
Baldacci, M. (2017). Oltre la subalternità. Praxis e educazione in Gramsci. Roma: Carocci.
Bauman, Z. (2005). Vite di scarto. Roma-Bari: Laterza.
Bauman, Z. (2016). Stranieri alle porte. Bari-Roma: Laterza.
Beck, U. (2000). La società del rischio. Verso una seconda modernità. Roma: Carocci.
Beck, U. (2008). Costruire la propria vita. Quanto costa la realizzazione di sé nella società del rischio. Bologna: il Mulino.
Bertaux, D. (1999). Racconti di vita. La prospettiva etnosociologica (Bichi R., a cura di). Milano: FrancoAngeli.
Biesta, G. J. J. (2006). Beyond Learning. Democratic Education for a Human Future. London and New York: Routledge.
Biolcati-Rinaldi, F. & Giampaglia, G. (2011). Dinamiche della povertà, persistenze e corsi di vita. Quaderni di Sociologia, 56, 151-179. https://doi.org/10.4000/qds.631
Boarelli, M. (2019). Contro l’ideologia del merito. Bari-Roma: Laterza.
Brambilla, L., De Leo, A., Tramma, S. (a cura di) (2014). Vite di città. Trasformazioni territoriali e storie di formazione nel quartiere Bicocca di Milano. Milano: FrancoAngeli.
Brambilla, L. & Tramma, S. (2019). Educare in “tempi bui”. Discorsi d’odio e responsabilità pedagogiche. Metis, 9(2), 85-100. DOI: 10.30557/MT00099
Caritas Ambrosiana-Osservatorio diocesano delle povertà e delle risorse (a cura di) (2018). La povertà nella Diocesi ambrosiana. Dati 2017. Milano: Fondazione Luigi Moneta.
Caronia, L., Besoli, S. (a cura di) (2018). Il senso della realtà. L’orizzonte della fenomenologia nello studio del mondo sociale. Macerata: Quodlibet.
Cornacchia, M., Tramma, S. (a cura di) (2019). Vulnerabilità in età adulta. Uno sguardo pedagogico. Roma: Carocci.
Gallino, L. (2001). Il costo umano della flessibilità. Roma-Bari: Laterza.
Ghigi, R. (2018). Ritorno al corpo. Epistemologie femministe e realtà sociali. In L. Caronia, S. Besoli (a cura di). Il senso della realtà. L’orizzonte della fenomenologia nello studio del mondo sociale. Macerata: Quodlibet (pp. 131-150).
Gui, L. (1996). L'utente che non c'è. Emarginazione grave, persone senza dimora e servizi sociali. Milano: FrancoAngeli.
Iori, V., Rampazi, M. (2008). Nuove fragilità e bisogni di cura. Milano: Unicopli.
Jedlowski, P. (2001). Sociologia fenomenologica e critica sociale. Quaderni di teoria Sociale, 1 (I), 43-56.
Jedlowki, P. (2018). Il mondo dato per scontato. Conversazioni quotidiane e costruzione sociale della realtà. In L. Caronia, S. Besoli (a cura di). Il senso della realtà. L’orizzonte della fenomenologia nello studio del mondo sociale. Macerata: Quodlibet (pp. 119-130).
Kumar, K. (2000). Le nuove teorie del mondo contemporaneo. Dalla società post-industriale alla società post-moderna. Torino: Einaudi.
Morrone, A., Reynaudo, M. (a cura di) (2011). Impoverimento e povertà. Percorsi di vita e servizi a Roma e Torino. Torino: Edizioni Gruppo Abele.
Murgia, A. (2010). Dalla precarietà lavorativa alla precarietà sociale. Biografie in transito tra lavoro e non lavoro. Bologna: I libri di Emil.
Negri, N. (2006). La vulnerabilità sociale. I fragili orizzonti delle vite contemporanee. Animazione Sociale, 205, 14-19.
Palmieri, C. (2003). La cura educativa. Riflessioni ed esperienze tra le pieghe dell’educare. Milano: FrancoAngeli.
Palmieri, C. (a cura di) (2012). Crisi sociale e disagio educativo. Spunti di ricerca pedagogica. Milano: FrancoAngeli.
Pasolini, P. P. (2003). Lettere luterane. Il progresso come falso progresso (1976). Torino: Einaudi.
Petrillo, A. (2018). La periferia nuova. Disuguaglianza, spazi, città. Milano: FrancoAngeli.
Ravazzini, M., Saraceno, B. (a cura di) (2012). Souq 2012. Le sfide della felicità urbana. Milano: Il Saggiatore.
Revelli, M. (2010), Poveri, noi. Torino: Einaudi.
Santerini, M. (2019). Pedagogia socio-culturale. Milano: Mondadori.
Schiavi, G. (2018). Le due città. In AA.VV. (a cura di) Osservatorio Milano 2018. Comune di Milano-Assolombarda (pp. 13-18). Retrieved October 8, 2020 from https://www.osservatoriomilanoscoreboard.it/sites/default/files/2018-06/Osservatorio-Milano-2018-ITA.pdf.
Sennett, R. (1999). L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale. Milano: Feltrinelli.
Sennett, R. (2004). Rispetto. La dignità umana in un mondo di diseguali. Bologna: il Mulino.
Sgritta, G. B. (2011). Nuovi poveri, vecchie povertà. La Rivista delle Politiche Sociali, 2.
Siza, R. (2018). Manuale di progettazione sociale. Milano: FrancoAngeli.
Tramma S. (2005). Educazione e modernità. La pedagogia e i dilemmi della contemporaneità. Roma: Carocci.
Tramma, S. (2009). Che cos’è l’educazione informale. Roma: Carocci.
Tramma, S. (2015). Pedagogia della contemporaneità. Educare al tempo della crisi. Roma: Carocci.
Tramma, S. (2019). L’educazione sociale. Bari-Roma: Laterza.
West, L. (2016). Distress in the city. Racism, fundamentalism and a democratic education. London: UCL Institute of Education Press.
Nel presente contributo si fa riferimento alla ricerca pedagogica condotta da Matilde Pozzo, di cui si presenteranno alcuni risultati nel paragrafo 2. “La vulnerabilità sociale negli occhi di chi la sperimenta”.↩︎
Nel presente contributo si fa riferimento alla ricerca pedagogica condotta da Marialisa Rizzo, di cui si presenteranno alcuni risultati nel paragrafo 3. “Cittadinanza e servizi socio-educativi davanti alle nuove povertà”.↩︎
In questo paragrafo si presentano alcuni dei risultati della ricerca condotta da Matilde Pozzo nell’ambito del Dottorato in Scienze della Formazione e della Comunicazione (XXXII ciclo) svolto presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. La ricerca, dal titolo “Nella zona grigia delle nuove povertà. Una ricerca pedagogica sulle storie di formazione nei processi di impoverimento”, ha avuto come tutor il Prof. Sergio Tramma ed è stata dedicata all’esplorazione e allo studio delle implicazioni educative dei processi di impoverimento, attraverso la raccolta e l’analisi, con metodi biografici (Merril & West, 2012), di 15 storie di vita e di formazione di uomini e donne coinvolti da recenti processi di impoverimento, raccolte negli anni 2017/2019 nel quartiere Giambellino di Milano. La cornice teorica della pedagogia sociale (Sarracino, Striano, 2001; Catarci, 2013; Tramma, 2018) ha indirizzato l’esplorazione intorno alle dimensioni educative, formali e informali, che contribuiscono a definire lo scivolamento in situazioni di fragilità e/o a prevenirlo e attutirlo. https://boa.unimib.it/handle/10281/262889.↩︎
Il servizio è il Ristorante solidale Ruben della Fondazione Ernesto Pellegrini.↩︎
Le espressioni e le considerazioni delle persone coinvolte nella ricerca e, come già ricordato, utenti del Ristorante solidale Ruben, sono riportate nel presente paragrafo.↩︎
Il riferimento va alla ricerca svolta da Marialisa Rizzo nell’ambito del progetto “I bisogni e le domande formative espresse da soggetti coinvolti a vario titolo nelle ‘nuove povertà’”, supervisionato dal Prof. Sergio Tramma e svolto in collaborazione con la Fondazione Ernesto Pellegrini (ente gestore del ristorante solidale Ruben, sito nel quartiere Giambellino di Milano). Utilizzando il vertice analitico della pedagogia sociale (Sarracino, Striano, 2001; Catarci, 2013; Tramma, 2018), la ricerca si è mossa verso l’esplorazione dei territori in cui si sviluppano storie di impoverimento, facendo propri approcci quali il costruttivismo sociale (Mortari, Ghirotto, 2019) e quello biografico (Olagnero, Saraceno, 1993). All’interno di un metodo etnopedagogico (Dovigo, 2002; Burgio, 2007; 2008), ha previsto la costruzione di etnografie territoriali (Bove in Mortari, Ghirotto, 2019, pp. 101-142), dedicate all’aggiornamento delle mappe pedagogiche (Tramma, 2018, pp. 89-111) che, a loro volta, hanno consentito una migliore esplorazione delle peculiarità che connotano alcuni quartieri milanesi interessati da vulnerabilità di tipo socio-economiche. Si sono inoltre somministrate interviste semi-strutturate in profondità (Kanizsa in Mantovani, 1998; Kanizsa, [1993] 2010; Milani, Pegoraro, 2011) a 9 testimoni privilegiati, responsabili sul territorio di Milano della progettazione di interventi socio-educativi sul tema della povertà, e a 10 testimoni semplici, che vivono e/o lavorano nel quartiere Giambellino di Milano, scelti sulla base del loro particolare contatto con gli abitanti del quartiere, con le loro storie di impoverimento e i correlati bisogni.↩︎
Anche in questo paragrafo, come per il precedente, si riportano voci e considerazioni delle persone coinvolte nella ricerca condotta e, in particolare, dei piccoli commercianti del quartiere Giambellino di Milano e di quanti, a diverso titolo, lavorano al suo interno con ruoli di tipo educativo e sociale.↩︎