Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.24 n.58 (2020)
ISSN 1825-8670

Gianni Rodari pedagogista

Marco DallariUniversità degli Studi di Trento (Italy)

Published: 2020-12-21

Per il centenario della nascita di Gianni Rodari (Omegna, 23 ottobre 1920) erano stati programmati parecchi convegni e iniziative poi saltate causa coronavirus. A parziale risarcimento, e nella convinzione che una riflessione sul valore pedagogico del pensiero e della produzione rodariana sia coerente con lo spirito di Encyclopaideia, mi è sembrato opportuno dedicargli un editoriale.

Come è noto Gianni Rodari aveva “rubato” a Novalis l’idea di una Fantastica come scienza. La sua Grammatica della fantasia avrebbe dovuto essere il primo volume di un progetto pedagogico-editoriale che la morte prematura non gli ha permesso di realizzare e che andava nella direzione del sogno del poeta tedesco. Con la Grammatica Rodari inaugura un nuovo approccio all’idea stessa di conoscenza e di istruzione, basate su una concezione epistemologica che dà spazio alla costruzione di un pensiero critico, personale, divergente, e comprende non solo la dimensione fredda del “cognitivo” ma anche quella, calda e colorata dell’affettività e dell’universo emozionale. All’interno di questa concezione acquista un particolare rilievo la rivalutazione dell’errore, occasione per accorgersi che il mondo può essere sempre guardato da un altro punto di vista, e del gioco, inteso non come attività ricreativa ma come spirito che può e deve animare la costruzione delle identità e delle visioni del mondo. Un’idea di gioco, quella di Rodari, che ha la funzione di favorire una corretta relazione con cose, persone, mondo, confermando a chi la pratica che la realtà può essere modificata e interpretata diversamente da come altri lo hanno fatto. Il pensiero di Rodari sembra in singolare sintonia con quello di Eugen Fink, discepolo di Edmund Husserl, che porta alle estreme conseguenze il concetto di intenzionalità formulato dal suo maestro. Fink parla del gioco come un fenomeno al contempo psichico e sociale, naturale e culturale, capace di porsi come una vera e propria ontologia e di rivelarsi come un “simbolo del mondo” (Fink 1957)1. Secondo Fink, infatti, l'esistenza funziona come il gioco nella sua dimensione più autentica e originaria: occorre accettarne le regole o inventarne altre contrattando e negoziando con gli altri giocatori, senza barare. Per Fink, infatti, «l’uomo è essenzialmente un mortale, un lavoratore, un lottatore, un amante – e un giocatore» (Fink, p. 13)2.

Risulta vano, per Fink, cercare un orizzonte di senso al gioco-vita di cui siamo attori al di fuori di esso, al di fuori della dimensione esistenziale, concreta e contingente, perché ogni appello metafisico risulterebbe fuorviante rispetto al senso che possiamo dare al nostro essere-nel-mondo con lo spirito del gioco. Ma in questa concezione, che potrebbe apparire venata di un relativismo radicale, si sottolinea invece la laica e realistica importanza del contratto sociale, della necessità di accordarsi sulle regole del gioco-vita ed essere ad esse fedeli. È davvero sorprendente l’analogia fra il pensiero rodariano e quello di Fink, e d’altra parte l’influenza del pensiero fenomenologico nell’apparato ideale e poetico di Rodari è confermata da lui stesso nella dichiarazione del suo debito eidetico nei confronti di Husserl e Sartre posto in appendice alla Grammatica.

Queste considerazioni sullo spazio che nella concezione pedagogica di Rodari assumono fantasia, errore e gioco si calano esplicitamente nella dimensione che, nell’accezione più corretta e originaria del termine, possiamo definire politica. Le avanguardie artistiche e poetiche del novecento, i loro manifesti e le opere che ne testimoniano identità e idealità, nascevano da un contesto ideale di contropotere e per lo più guardavano esplicitamente “a sinistra”. Rodari, marxista appartenente alla categoria dei cosiddetti “riformisti” e portatore di sentimenti antiviolenti e pacifisti, individua come obiettivo primario e necessario al capovolgimento valoriale e istituzionale la rivoluzione del pensiero, dello sguardo e del desiderio, auspica il superamento delle prospettive ideali ed estetiche conformiste proposte e imposte dalle classi dirigenti come presupposto alla presa di coscienza del bisogno e del desiderio del cambiamento dell’assetto culturale, sociale, politico.

Alla morte di Ada Marchesini Gobetti, nel 1968, la direzione della rivista Il giornale dei genitori, prestigiosa rivista e voce della pedagogia progressista italiana, è affidata a Gianni Rodari, e molti suoi interventi sottolineano l’importanza da lui assegnata alla conquista di conoscenze e competenze simboliche di evidente ispirazione gramsciana ma anche l’attenzione allo spirito delle avanguardie cui guardavano Del Buono, Vittorini e Eco. La convergenza con il pensiero gramsciano appare evidente fin da quando, nel 1948, recensisce per la rivista letteraria Adamo il primo volume dei Quaderni dal carcere pubblicati da Einaudi, ma Rodari condivide anche l’ideale estetico e politico espresso da André Breton nel Manifesto del Surrealismo del 1924: la rivoluzione si può fare soltanto a partire dalla conquista dell’emancipazione del linguaggio, dello sguardo e del pensiero, dalla liberazione dagli stereotipi, dalla conquista della capacità di immaginare che il mondo, le cose, la vita, possano essere altro dalla loro rappresentazione convenzionale trasformandole e sovvertendole attraverso il pensiero analogico, il congegno metaforico, la trasgressione simbolica. Rodari è convinto che l’atto creativo comporti sempre una trasgressione, poiché contraddice il “già dato”, e dunque trasgredire non significhi disobbedire alle regole, ma piuttosto osare esperienze di autonomia, sperimentare la capacità di autodeterminazione e dunque assumere la responsabilità dei propri pensieri e delle proprie azioni.

Questo è lo spirito delle filastrocche e dei nonsense di Gianni Rodari e le allusioni al valore delle differenze affiorante nei suoi racconti, non a caso considerati con diffidenza e ostilità dal potere democristiano, dalla scuola e dalla chiesa che lo accusavano di essere “ideologico” e sovversivo, insomma, un “cattivo maestro”.

D’altra parte che l’intento di emancipazione culturale e politica fosse esplicito nella poetica e nell’ideale pedagogico rodariano risulta più che evidente nella frase con la quale si chiude l’antefatto della Grammatica della fantasia:

Io spero che il libretto possa essere ugualmente utile a chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola. “Tutti gli usi della parola a tutti” mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo (Rodari, 1997, p.14).

L’idea che l’educazione debba essere indottrinamento cognitivo e moralistico e non possa essere ispirata a quel che Freud ha definito “principio di piacere” non era solo prerogativa dell’ala più conservatrice e bigotta della cultura italica ai tempi del giovane Rodari, ma sconfinava anche nelle file della sinistra. Ricordiamo, a questo proposito, una polemica, al contempo divertente e avvilente, fra Gianni Rodari e Nilde Iotti. Nel 1951 venne discussa alla camera una legge, concepita fra le file della Democrazia Cristiana, finalizzata a “moralizzare” (leggi censurare) la stampa per ragazzi, prevedendo addirittura il sequestro preventivo di pubblicazioni prive dei requisiti morali indicati dalla legge stessa. Nilde Iotti contestò in parlamento la legittimità e l’efficacia di questa legge, ma al tempo stesso non perse l’occasione di pronunciare una requisitoria contro i fumetti accusati

…di distogliere dalla lettura, di narrare “a preferenza ed esclusivamente, anzi, storie orripilanti” perché “è il modo stesso del racconto che impone questo […] È logico che il fumetto sia stato lanciato da Hearst3, imperialista cinico e fascista” (Argilli, 1981, p.30)4.

Rodari non può tacere. È un comunista che dirige Il Pioniere, un settimanale per ragazzi (edito dal PCI) che ospita fumetti. Su “Rinascita”, allora diretta da Togliatti, dichiara di condividere la diffidenza critica della Iotti per certi fumetti, ma aggiunge che estendere questo giudizio al fumetto come genere esclude implicitamente la possibilità di fare fumetti diversi da quelli americani, con forme e contenuti, spirito e intendimenti differenti, e scrive:

“Su questo punto mi pare che la Iotti non abbia tenuto conto della realtà di oggi, qui, in Italia, e perciò abbia fatto dell’accademia” (Argilli, 1981, p. 31)5.

In tutta l’attività e la produzione di Rodari affiora la convinzione che educare i bambini in un certo modo, renderli autonomi, creativi, far fare fin da piccoli esperienze di socialità, di cooperazione, ma anche di piacere di stare al mondo, di bellezza, di gioia, può creare cittadini capaci di pretendere che le caratteristiche che hanno imparato ad apprezzare e praticare nella scuola, diventino quelle di tutta la società. Questo era il forte e lodevole spessore politico dell’impegno rodariano.

Peccato che, anche se la diffidenza e il sospetto nei confronti di Rodari scrittore sono superati, lo spirito pedagogico e politico che anima i suoi scritti sia molto, molto lontano.


  1. Cfr. Fink E. (1957). Il significato del gioco come mondo, in appendice a Oasi del gioco, cit., 43-78.↩︎

  2. Fink E. (1969). Oasi del gioco, a cura di A. Calligaris, Milano, Raffaello Cortina editore, [nuova traduzione e edizione italiana dei testi già tradotti: Fink E. (1957), Oasi della gioia, idee per una ontologia del gioco, Salerno, Dieci diciassettesimi editore, 1987; Fink E., Il gioco come simbolo del mondo, Torino, Hopefulmonster, 1994.↩︎

  3. La Hearst Corporation, fondata dall’editore e giornalista William Randolph Hearst, è stata la più importante distributrice di comics, e dominatrice del mercato dei fumetti d’America.↩︎

  4. Argilli M. (1981). Quando Rodari era il diavolo in: Leggere Rodari, supplemento di Educazione oggi, Ufficio scuola dell’Amministrazione provinciale di Pavia, gennaio 1981.↩︎

  5. Argilli M. (1981). Op. cit.↩︎