Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.25 n.59 (2021)
ISSN 1825-8670

Ripartire dalla scuola

Daniele BruzzoneUniversità Cattolica del Sacro Cuore (Italy)
ORCID https://orcid.org/0000-0002-2497-0277

Pierpaolo TrianiUniversità Cattolica del Sacro Cuore (Italy)

Marco DallariUniversità di Trento (Italy)

Enrico Bottero

Roberto FarnéUniversità di Bologna (Italy)

Massimiliano TarozziUniversità di Bologna (Italy)

Pubblicato: 2021-03-31

Tutto quel che la società ha compiuto per se stessa è posto,
mediante l’istruzione, a disposizione dei suoi membri futuri.

J. Dewey, Scuola e società

Nella stagione drammatica e incerta dell’emergenza sanitaria, la scuola è diventata oggetto di dibattito pubblico e, finalmente, è tornata al centro dell’attenzione anche dei ragazzi che, dopo mesi di didattica a distanza (o di didattica assistita dalle tecnologie digitali, secondo una versione meno avversa dell’acronimo ormai popolare) hanno reclamato il diritto di disporre di una scuola sicura e in presenza. Se questa rinnovata sensibilità per ciò che riguarda la scuola riesce a superare le prese di posizione ideologiche e la strumentalizzazione politica e a mettere a fuoco gli effettivi problemi che la affliggono, può essere un’occasione di ripensamento straordinaria. L’inattesa crisi pandemica e il lockdown che vi ha fatto seguito, infatti, hanno funzionato da “cartina tornasole” per una serie problemi già esistenti, mettendo in evidenza un disagio, se non una vera e propria crisi della scuola, già largamente presente nel vissuto di chi la abita quotidianamente. Quali nodi sono venuti al pettine? Quali questioni radicali interpellano oggi la scuola? È forse possibile risolverle ripartendo dai “fondamentali”? Perché, ben oltre e ben prima delle sue eventuali declinazioni operative, è la stessa idea di scuola che esige di essere rimessa a fuoco: la sua fisionomia essenziale, la sua missione propria e, di conseguenza, la sua organizzazione.

Sulla scia di Piero Bertolini, per il quale lo scopo principale della pedagogia fenomenologica era “quello di cogliere, se esiste, la cosa stessa dell’educazione, o il fenomeno dell’educazione come realtà originaria dell’uomo”,1 intendiamo riandare alla scuola stessa, rintracciandone le “direzioni di senso originarie” e imprescindibili. Certo la scuola non è una “realtà originaria”, nel senso proprio del termine, in quanto non appartiene alla natura umana, ma è un’istituzione sociale; e tuttavia, proprio in quanto istituzione concepita in rapporto a un elemento strutturale della condizione umana (l’educabilità), si può asserire che essa abbia una consistenza fenomenologica propria, che va ri-conosciuta, se non si intende s-naturarla. In altri termini: esiste un “residuo fenomenologico” (per usare, con qualche licenza, la categoria husserliana) oltre il quale la scuola è irriducibile?

Questo Editoriale vuol essere una sorta di “documento di lavoro”, in cui sono abbozzati i principi fondamentali da cui ci sembra necessario ripartire, nonché alcune idee riguardo alla scuola, al suo significato e alle possibili proposte di innovazione e miglioramento che si potrebbero discutere e precisare ulteriormente. Non si tratta di un “manifesto”, evidentemente, ma di una traccia per stimolare il confronto e la riflessione su ciò che è proprio e costitutivo della scuola. Siamo convinti infatti che soltanto un ritorno alla sua intrinseca ragion d’essere possa permettere alla scuola di affrontare le sfide attuali senza tradire se stessa o smarrire la propria identità.

1 Alcuni nodi critici

Stando ai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli studenti di oggi vivono il loro rapporto con la scuola nel segno dell’ansia e di altri sentimenti negativi. In base ad alcuni sondaggi, la scuola sembra essere afflitta – nella percezione dei ragazzi ma non di rado anche degli insegnanti – da un disagio diffuso e da uno strisciante sospetto di insensatezza. Eppure, se c’è uno scopo che l’istruzione dovrebbe avere, è precisamente quello di accompagnare ogni essere umano a costruire un’esistenza dotata di senso e di dare una direzionalità allo sviluppo individuale e collettivo. Forse questa è la domanda cruciale: ha ancora senso, oggi, la scuola? A quali cause si deve imputare la sua perdita di significato per molti dei giovani che la frequentano? A quali condizioni potrebbe invece diventare un’esperienza esistenzialmente significativa?

Buona parte delle problematiche e perfino delle conflittualità che investono la scuola, soprattutto nel rapporto con le famiglie e il contesto sociale e produttivo, sembrano legate alla sua graduale deistituzionalizzazione: la scuola è stata lentamente ma inesorabilmente convertita in un “servizio” alle dipendenze degli utenti diretti (i minori e le loro famiglie) e degli altri stakeholders (il mondo del lavoro innanzi tutti). La scuola sembra aver smarrito il suo vero fondamento nella collettività e si concepisce perlopiù al servizio delle richieste individuali avanzate dalle famiglie o da singole componenti sociali (ad esempio, le rappresentanze sindacali degli insegnanti). Con ciò si dimentica che essa rappresenta anzitutto un luogo simbolico in cui si generano e rigenerano continuamente i presupposti conoscitivi, relazionali e valoriali della convivenza democratica.

Il modello tecnocratico negli ultimi anni sposato dalla scuola (emblematicamente rappresentato dal sistema di assessment OCSE-Pisa e replicato in tutto il mondo attraverso test standardizzati a livello nazionale) presenta evidenti criticità che necessitano di essere affrontate e corrette: l’accentuazione pressoché esclusiva della dimensione cognitiva dell’apprendimento, a scapito di quella emozionale e sociale; l’insistenza sull’obbligo di risultato, che condiziona non soltanto la percezione degli studenti e delle loro famiglie ma anche l’agire didattico dei docenti, svuotandolo di senso; l’inadeguatezza della valutazione sommativa standardizzata (atta semmai a monitorare il funzionamento del sistema, e non le performance dei singoli studenti) e l’esigenza di una valutazione di tipo formativo che riesca a cogliere le differenze individuali e i rispettivi percorsi di crescita.

L’esperienza della scuola mediata dalle tecnologie, accanto ad alcune buone pratiche non sempre generalizzabili, ha enfatizzato la percezione del digital divide e delle disuguaglianze economiche e culturali che ancora affliggono il nostro paese, attraversando i territori e le famiglie. Una scuola davvero democratica e inclusiva non può essere una scuola che suppone che gli studenti siano tutti uguali, senza tener conto delle condizioni che avvantaggiano alcuni e penalizzano altri. Mancano ancora una copertura di rete equamente diffusa sul territorio, strumenti tecnologici per tutti e una adeguata formazione degli insegnanti al loro utilizzo didattico, nonché una piattaforma pubblica per la didattica atta a supportare l’intero sistema scolastico nazionale. Ma, soprattutto, la scuola a distanza ha evidenziato paradossalmente il valore primario della presenza e della qualità della relazione educativa, non surrogabile dai dispositivi tecnologici che pure, in rapporto a determinati scopi, possono utilmente integrarla.

2 Alcune questioni da cui ripartire

I principi fondanti di un’istituzione

La scuola è di tutti e di ciascuno. Pertanto, deve poter tenere in equilibrio l’attenzione al singolo e la cura del bene comune. Essendo orientata ab imis da queste priorità, la scuola va considerata un’istituzione dotata di finalità proprie. Il suo funzionamento è ordinato ad alcuni obiettivi irrinunciabili, che non debbono dipendere dal libero gioco della domanda e dell’offerta. Ciò comporta una relativa autonomia della scuola rispetto alle pur legittime aspettative e pressioni del contesto socio-politico o del sistema economico-produttivo. Il principio dell’autonomia amministrativa, didattica e organizzativa della scuola (L. 59/1997) è di fatto rimasto incompiuto. È stato interpretato, spesso, più in senso liberista e consumeristico, che non come un’autentica assunzione di responsabilità in ordine al bene comune. L’autonomia va forse ripensata non tanto nel senso di un’autonomia dei singoli istituti ma di una autonomia del sistema pedagogico.

La finalità educativa propria della scuola pubblica, iscritta nella Costituzione della Repubblica Italiana, non può che essere la custodia e la promozione dei valori di democrazia, laicità e pluralismo: in questo senso la scuola deve aiutare a distinguere le scelte individuali (pur insegnando la tolleranza e il rispetto per ogni opzione personale) da ciò che è vero e valido per tutti. Nel quadro dell’inclusione democratica, inoltre, la scuola ha il preciso compito di contribuire alla riduzione delle disuguaglianze sociali e culturali (ai sensi dell’art. 3 della Costituzione), promuovendo pari diritti e opportunità, e alla costruzione di uno spazio comune di cittadinanza.

Da questo punto di vista, la scuola ha l’obbligo dei mezzi e non dei risultati: la sua funzione è, infatti, quella di fornire a tutti e a ciascuno gli strumenti per apprendere ed emanciparsi. Essa non è chiamata a rendere conto direttamente dei risultati di apprendimento, ma degli strumenti che mette in atto per sostenere i processi di sviluppo e acculturazione e per combattere la dispersione e l’insuccesso scolastico. Ciò suppone, tra l’altro, una profonda revisione del dispositivo valutativo (sia a livello di sistema che dei singoli soggetti), il cui compito educativo non è quello di classificare e selezionare, bensì di sostenere e orientare nel percorso di formazione.

Per lavorare a questi obiettivi, ogni singolo istituto dovrebbe disporre di una regia pedagogica (che non necessariamente coincida con la figura del Dirigente, già oberata da incombenze di carattere organizzativo e amministrativo) atta a cogliere e gestire le complesse dinamiche interne ed esterne della scuola come parte di un sistema formativo integrato.

Inoltre, poiché l’educazione e l’istruzione delle giovani generazioni non è compito esclusivo della scuola, essa deve poter sviluppare sinergie con le famiglie e il contesto territoriale, nell’ottica della società educante, contrastando sia la tentazione della chiusura e dell’autoreferenzialità, sia il meccanismo di delega e il sovraccarico di funzioni (di istruzione, di socializzazione, di normalizzazione, di controllo, ecc.) che ne ostacolano, di fatto, l’efficacia.

Idee e proposte sull’insegnare e l’apprendere

La scuola è il luogo della progressiva introduzione al mondo delle nuove generazioni. Essa si assume il compito di accompagnarle in quella inesauribile ricerca di senso che rappresenta la più autentica risorsa motivazionale e la principale leva dell’apprendimento lungo l’intero arco della vita. Ma per non smarrire questo orientamento al senso, la scuola deve mettere al centro il soggetto e la sua intenzionalità. L’esperienza scolastica acquisisce significato soltanto entro un rapporto “vivo” con se stessi, il mondo e gli altri: nella misura in cui i saperi e i contesti di apprendimento, anziché avvicinare, allontanano da questa possibilità, diventano “insensati”.

Se il soggetto e il suo processo di soggettivazione sono l’asse ideale della scuola, occorre superare l’idea dell’insegnamento come attività meramente trasmissiva e l’illusione della valutazione come metrica oggettiva e standardizzata, nella direzione di una didattica euristica e problematizzante atta a stimolare la capacità critica e riflessiva. Soltanto l’autonomia di pensiero, infatti, può consentire l’emancipazione da qualsivoglia tentativo di dogmatismo, manipolazione e omologazione.

Particolare attenzione, inoltre, andrebbe riservata alla dimensione emotivo-affettiva, quale fattore indispensabile nella motivazione all’apprendimento ed elemento costitutivo della formazione del carattere e della maturità personale, e alla centralità del corpo come mediatore tra l’io e il mondo.

Al fine di prevenire e correggere la distorsione provocata dalla compartimentazione delle conoscenze, è necessario che la scuola educhi a formulare ipotesi e connettere i saperi: per conseguire questo obiettivo, l’impianto ancora fortemente incentrato sulle discipline potrebbe essere utilmente rivisto tramite una valorizzazione della didattica interdisciplinare, per problemi e per progetti.

Poiché la scuola ha per obiettivo lo sviluppo di tali capacità, l’istruzione non può tradursi semplicemente nella trasmissione di contenuti, ma deve potersi concretizzare nell’acquisizione di competenze, intese come capacità di contestualizzazione e trasferimento dei saperi. A tal fine si potrebbero trasformare le valutazioni sommative annuali in cicli di apprendimento pluriennali, più idonei a consentire a tutti gli allievi (o al maggior numero possibile) il raggiungimento di obiettivi formativi complessi. Ciò permetterebbe di realizzare un’autentica pedagogia differenziata, coerente peraltro con le Indicazioni nazionali per il curricolo, che prevedono il raggiungimento di obiettivi di apprendimento comuni al termine della classe terza e quinta della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado.

Per rispettare la pluralità delle intelligenze e gli stili di apprendimento individuali, la scuola dovrebbe adottare diverse strategie didattiche, secondo il principio del pluralismo metodologico, avendo cura di alternare momenti di esplorazione e scoperta a momenti di formalizzazione strutturante. Curricoli e spazi di apprendimento più flessibili potrebbero facilitare l’implementazione di attività diverse (di carattere individuale o di gruppo) con livelli differenti di coinvolgimento attivo e cooperazione tra studenti.

E poiché la scuola non è, per definizione, il luogo di un apprendimento solitario, bensì il teatro di un’azione comunitaria, alle derive neoliberiste di una scuola individualistica e competitiva occorre contrapporre la didattica cooperativa del ricercare, del pensare e del costruire insieme, vera e propria anima dell’educazione alla cittadinanza democratica. Particolare attenzione va riservata alla relazione interpersonale, tra alunni e insegnanti e tra gli alunni stessi, in quanto motore generativo della personalità e della cultura. Essa infatti costituisce una delle “direzioni intenzionali originarie” dell’esperienza educativa e qualifica l’identità stessa di insegnanti e studenti in quanto soggetti in relazione reciproca.

Quanto detto fin qui comporta un ripensamento del ruolo professionale dei docenti, della loro qualificazione iniziale e della loro formazione continua (obbligatoria e gratuita). L’innovazione e la qualità del sistema possono incrementare soltanto se si realizza un investimento formativo continuo e unitario, nel quale l’Università non può non giocare un ruolo centrale. Sarebbe utile, a questo scopo, ricostituire un sistema pubblico di formazione in servizio, per sostenere le scuole sia sul piano organizzativo che didattico (ad esempio, utilizzando insegnanti esperti come formatori) e, probabilmente, introdurre una valutazione periodica di tutti i docenti, al fine di garantire e incrementare la qualità della didattica.

L’obiettivo di queste azioni dovrebbe tendere a decostruire la marcata e pressoché esclusiva identificazione della funzione docente con l’insegnamento di una disciplina (soprattutto nella scuola secondaria) e a favorire il passaggio dalla cultura burocratica e “adempistica”, che si è affermata negli ultimi anni, ad un atteggiamento più progettuale e creativo, che valorizzi le risorse dei docenti e le loro sinergie. Semplificazione delle procedure e più spazi di condivisione e riflessività non possono che migliorare il benessere personale e professionale dei docenti e l’efficacia della loro azione educativa e didattica.


La direzione di Encyclopaideia ringrazia i valutatori che hanno assicurato un efficiente e qualificato processo di peer review nell’anno 2020:

Giuseppe Alessandri, Monica Amadini, Giuseppe Annacontini, Andrea Bobbio, Natascia Bobbo, Malte Brinkmann, Livia Cadei, Letizia Caronia, Elena Colombetti, Antonia Cunti, Donata Fabbri, Roberto Farnè, Valerio Ferro Allodola, Patrizia Garista, Tonino Griffero, Roberto Gris, Mariangela Giusti, Marco Ius, Francesca Oggionni, Silvia Kanizsa, Antonella Lotti, Pierluigi Malavasi, Michele Monticelli, Marisa Musaio, Elisabetta Musi, Cristina Palmieri, Silvio Premoli, Tone Saevi, Marina Santi, Massimiliano Stramaglia, Massimiliano Tarozzi, Pierpaolo Triani, Maria Vinciguerra.


  1. P. Bertolini (1988). L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata. Firenze: La Nuova Italia, p. 147.↩︎