Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.25 n.61 (2021)
ISSN 1825-8670

Adolescenza migrante. Le sfide all’accoglienza e all’inclusione di giovani “in transito”

Marta SalinaroUniversità di Bologna (Italy) https://www.unibo.it/sitoweb/marta.salinaro2/

Research fellow at the University of Bologna,  Department of Educational Sciences “Giovanni Maria Bertin” and Adjunct professor for the Bachelor degree in “Expert in social and cultural education”. Her research interests are aimed in particular at the study of intercultural phenomena and the different forms of social inclusion in complex societies, through a pedagogical approach. She carries out her research in the field of migration studies, on the reception and integration system of asylum seekers and refugees, on the role and pedagogical skills of caseworkers and on the training aspects related to this field of investigation.

Ricevuto: 2021-03-05 – Accettato: 2021-09-30 – Pubblicato: 2021-12-20

Migrant youth. Challenges to the reception and inclusion of young people ‘in transit’

Abstract

This paper considers the condition of single adolescent migrants who arrive in Italy to explore the pedagogical tools that are useful to foster their growth in the new context and to trace the obstacles encountered in this process. It also examines the actions aimed at promoting the “Best interest of the child” principle, particularly in supporting the delicate transition from adolescence to adulthood, through the advancement of educational development, sense of belonging, and active participation in the host society.

L’articolo analizza alcuni aspetti che caratterizzano la condizione degli adolescenti migranti che arrivano soli in Italia esplorando i dispositivi pedagogici utili a favorire la loro crescita nel nuovo contesto di vita e rintracciando gli ostacoli incontrati in questo processo. Oggetto di riflessione saranno inoltre le azioni volte a promuovere il principio del “superiore interesse del minore”, in particolare a sostegno del delicato passaggio dall'adolescenza all'età adulta, orientate a facilitare la dimensione formativa, il senso di appartenenza e la partecipazione attiva alla società di accoglienza.

Keywords: Unaccompanied foreign minors; Adolescence; Social inclusion; Migration.

1 Introduzione

Gli adolescenti migranti su cui si concentra questo articolo sono i ragazzi e le ragazze di cittadinanza straniera che arrivano nel territorio italiano minorenni e che sono sprovvisti di assistenza e rappresentanza da parte degli adulti legalmente responsabili, come pronunciato dall’art. 2, D.lgs. n. 142/2015 e art. 2, L. n. 47/2017 e comunemente definiti con l’acronimo MSNA (Minori Stranieri Non Accompagnati).

Tale fenomeno non rappresenta una realtà nuova considerando che già a partire dagli anni Novanta del Novecento, con le migrazioni dall’Albania e dal Marocco e, a seguire, dai paesi dell’est Europa, si osservano i primi flussi migratori nel territorio italiano.

Tuttavia, a seguito dell’Emergenza Nord Africa (2011-2013) e delle molteplici emergenze umanitarie presenti oggi in differenti aree geografiche, la necessità di migrare di numerose persone ha rappresentato un cambiamento decisivo sul piano geopolitico europeo e, nello specifico, nella riformulazione di un sistema di asilo comune a tutti i paesi membri, con disposizioni che hanno fortemente condizionato gli assetti politici, sociali, culturali del nostro tempo.

Per ciò che concerne i minori non accompagnati, la condizione di solitudine sociale nel territorio di approdo – come evidenziato dagli studi sul tema (tra gli altri Silva & Campani, 2004; Biagioli, 2016; 2018; ISMU, 2019) – li rende una delle categorie più vulnerabili sul piano dei diritti, maggiormente a rischio di sfruttamento e coinvolgimento in attività illegali e li espone, talvolta, a varie forme di discriminazione e violenze fisiche e verbali nei differenti contesti pubblici.

Molti giovani, specialmente quelli in arrivo dall’est Europa e dal continente africano, nonostante siano ancora minorenni, giungono in Italia con un preciso mandato familiare di migrazione, attraverso cui i genitori ripongono in loro una speranza di riscatto e di sostentamento della famiglia nel paese di origine. Altri, invece, affrontano mesi o anni di viaggio per fuggire da guerre civili e torture e arrivano in Italia in condizioni fisiche e psicologiche precarie (Aragona et al., 2014). Altri ancora sono ragazzi di strada, ragazze vittime di tratta, spesso di origine nigeriana e vincolate da pratiche rituali juju.1

Va sottolineato che l’istruzione rimane un fattore determinante di attrazione per i giovani che decidono di intraprendere un progetto migratorio (Pavesi et al., 2020; UNICEF & REACH, 2017). Come rilevato dai dati raccolti dall’UNICEF in una ricerca effettuata nei centri di accoglienza in Sicilia, quasi la metà dei minori intervistati (44%) riporta di avere scelto l’Italia come paese in cui stabilirsi e avere l’opportunità di proseguire il proprio percorso scolastico (2017).

Analizzare quindi gli aspetti che caratterizzano tale fenomeno, come anche le esperienze e i bisogni specifici dei giovani migranti oggi, si rivela un’azione fondamentale per agire in modo riflessivo, consapevole, nel rispetto dei loro diritti e verso la tutela del loro superiore interesse superando gli ostacoli al loro processo di inclusione scolastica, professionale e di vita nel contesto di accoglienza.

2 Uno sguardo ai giovani migranti oggi in Italia

Generalmente, l’approfondimento condotto su questo fenomeno è basato su studi e ricerche nazionali e internazionali, report e dossier statistici, che focalizzano l’attenzione sui dati quantitativi e sulle aree di provenienza, sull’età, il genere, la distribuzione nel territorio di arrivo e con la finalità di monitorare il flusso migratorio e comprenderne le dinamiche. 

Seppure risulti complicato analizzare la dimensione quantitativa del fenomeno, a causa del continuo movimento sul territorio nazionale e internazionale di questi giovani, sappiamo che a oggi, nel contesto italiano, secondo i dati forniti dal report mensile di monitoraggio ministeriale aggiornato al 31 Agosto 2020, i minori soli sono circa 5.540, in prevalenza di genere maschile (95,8%), provenienti maggiormente da Albania, Bangladesh, Egitto, Pakistan, Tunisia, Costa d’Avorio e che circa l’88% ha tra i 16 e i 17 anni. Per quanto riguarda le regioni di accoglienza, la Sicilia è il territorio che ospita il maggior numero di minori, seguita da Lombardia, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna.

Certamente questi dati sono uno strumento utile da cui partire per una accurata analisi, ma che deve essere necessariamente accompagnata da una riflessione multidisciplinare considerando in prima istanza anche aspetti, talvolta trascurati, relativi alla loro specifica condizione di adolescenti e migranti.

È possibile rilevare con chiarezza come tali numeri e percentuali cambino nel tempo, come anche i luoghi di provenienza e le cause che li portano a migrare che – in modo strutturale – caratterizzano il fenomeno migratorio, e che molta influenza sui dati è anche il risultato di accordi internazionali, di leggi, della chiusura dei porti e all’imposizione di confini.

I mutamenti riportati sono facilmente riscontrabili comparando i dati relativi ai due anni precedenti, che mettono in luce come oggi si registri un decremento di circa il 60% dei minori presenti sul territorio e un’incidenza percentuale in aumento dei minori diciassettenni (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, 2020). È opportuno precisare come tali cambiamenti non dipendano solo da una variazione in valori assoluti dei minori che giungono in Italia, ma a una generale diminuzione degli sbarchi. Infatti, se si considera la percentuale dei minori in arrivo sul totale delle persone giunte via mare, si rileva ad oggi un flusso costante di giovani in arrivo nel territorio italiano (Pavesi et al., 2020). Di fatto, gli aspetti che meno conosciamo, sono quelli che riguardano chi perde la vita durante il viaggio, lungo le frontiere, in mare, o di chi scompare dopo l’approdo.

In linea generale, ciò che accomuna il percorso di questi ragazzi e queste ragazze è l’essere innanzitutto giovani in transito. Solitamente gli studi sul fenomeno fanno riferimento con questo termine ai luoghi di transito. Quelli relativi ai paesi da cui sono partiti, quelli in cui fanno tappa o nei quali si fermeranno come parte del loro progetto migratorio, come ai luoghi dell’accoglienza, alle scuole e alle comunità. Ma sono anche attraversamenti nell’età: nella separazione e rinuncia di istanze infantili per intraprendere il percorso adulto. Sono cambiamenti nell’iter giuridico: il passaggio alla maggiore età, che definirà (o meno) il loro status nella nuova società. Sono mutamenti sul piano evolutivo, caratterizzato dal percorso di crescita verso l’autonomia che è parte di questa specifica fase della vita.

Il processo di attraversamento di questi giovani richiede una particolare attenzione agli aspetti emotivi, affettivi, relazionali da parte di chi accompagna e sostiene i minori soli – siano essi tutori legali o volontari, educatori, servizi, comunità. Tali elementi sono indispensabili per la costituzione ed il rafforzamento della loro individualità, della loro identità e dello sviluppo di un senso di responsabilità personale verso se stessi e l’ambiente sociale in cui vivono (Erikson, 1982; Hall & Mellino, 2006; Barone, 2009). Inoltre, mettono in luce anche la rilevanza del bisogno di mantenere vivo un dialogo tra quelle che sono le radici del passato che i giovani migranti portano con sé e la prospettiva di una nuova appartenenza e una nuova progettualità nell’attuale contesto di vita (Bouche-Florin et al., 2007).

Gli studi in ambito psicologico e pedagogico (Casoni, 2008; Sandomenico, 2010; Mancaniello, 2018; Vinciguerra, 2019) confermano come l’adolescenza rappresenti una fase della vita sempre più protratta nel tempo nelle nostre società occidentali, in cui il bisogno di socializzazione e il supporto del gruppo dei pari siano la base su cui affidarsi per esplorare nuovi orizzonti, senza sentirsi troppo soli, disorientati, minacciati da un futuro così incerto e a volte nemmeno immaginabile.

Gli ostacoli che si presentano per questi minori soli riguardano principalmente la carenza di opportunità e occasioni di socializzazione con la comunità locale, e in particolare con i minori italiani, che i ragazzi stessi ritengono necessarie ai fini della propria inclusione, oltre che del proprio benessere (UNICEF & CNR, 2017; 2018; Grigt, 2017; Pavesi et al., 2020).

Il confronto con soggetti appartenenti alla comunità ospitante sovente si basa su rappresentazioni nelle quali l’adolescente straniero si percepisce negativamente. Questa auto percezione può costituire nel ragazzo una sfida, affrontata attraverso la ricerca di riscatto sociale e di strategie utili a creare delle contro-narrazioni per superare tali letture stigmatizzanti. Altre volte, invece, può determinare un maggiore senso di insicurezza e chiusura verso una nuova progettualità e opportunità relazionali. In aggiunta, molti minori – specie se provenienti dai paesi dell’Africa sub-sahariana – hanno riferito di sentirsi talvolta insicuri nelle comunità locali a causa di episodi di intolleranza e razzismo accaduti a loro o ad altri minori stranieri loro amici (AGIA & UNHCR, 2018).

Per gli adolescenti stranieri, quindi, che presentano come i loro pari italiani bisogni specifici di questa fase della vita, si aggiungono bisogni specifici dati dalla loro condizione di minori migranti. Essi, come riportano alcuni referenti delle comunità del territorio bolognese da me intervistati,2 hanno motivi e necessità che li portano ad essere più determinati dei coetanei italiani, ma talvolta anche fragili e spaesati su ciò che li attende nel nuovo ambiente di vita. Presentano solitamente l’esigenza di sviluppare un grado di autonomia e responsabilità maggiore dei coetanei nativi italiani, ma con minore tempo a disposizione, una rete sociale da costruire, un bagaglio pesante da portare con loro.

Inoltre, nei paesi di origine, generalmente il costrutto culturale di “adolescenza” porta con sé altri significati situati (Ariès, 1968; Honwana & De Boeck, 2005) e istanze che corrispondono a fasi evolutive e pratiche sociali differenti da quelle condivise nelle società occidentali. In molti contesti, ad esempio, il passaggio dall’infanzia all’età adulta è immediato o a tappe forzate rispetto all’idea di transizione progressiva da un’età all’altra. Come osservato dal “Manuale Operativo per la presa in carico psicosociale dei minori stranieri non accompagnati” redatto da Unicef e Médecins du Monde (2018):

Ricondurre questa diversità, però, a una semplice differenza fra culture sarebbe riduttivo: è necessario, infatti, cogliere l’importanza dei fattori politici, sociali ed economici che producono povertà, diseguaglianza e guerre e che plasmano l’esperienza dell’adolescenza. Difatti, se per la maggior parte degli adolescenti occidentali è assolutamente normale astenersi dal lavorare, frequentare la scuola ed essere impegnati in numerose attività ricreative, in altre parti del mondo le cose vanno ben diversamente (2018:15).

È quindi attraverso una maggiore attenzione agli effetti derivanti dai fattori politici, economici e da quelli psicosociali che caratterizzano l’adolescenza come peculiare fase di attraversamento, di trasformazioni oggettive e soggettive, che si rivela l’importanza di sostare maggiormente nella comprensione della realtà vissuta, delle esperienze e delle sollecitazioni di cui sono portatori questi adolescenti soli, a cui dedicare uno sguardo attento, sinergico, multifocale. La messa in discussione di pratiche omologanti e la ricerca di strategie maggiormente rispondenti alle loro istanze rappresenta quindi una sfida complessa per i soggetti responsabili della loro formazione e inclusione, nella società di accoglienza e nei contesti educativi, formali, informali e non formali, in cui questi giovani si trovano ad affrontare inedite sfide esistenziali.

Il superiore interesse del minore, sancito con la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1989) e richiamato in più ambiti da norme nazionali e locali rischia, a volte, di essere perseguito con particolare ambiguità o retorica e pertanto non adeguatamente interpretato.

Per quanto riguarda i minori stranieri, la farraginosità in ambito normativo si traduce in alcuni casi in un relativismo culturale che presenta dei limiti, come quello attinente all’applicabilità di norme previste per minori italiani senza considerare che, come precedentemente argomentato, l’esperienza della migrazione richiederebbe risposte focalizzate a eliminare la condizione di marginalità in cui sempre più spesso questi giovani rischiano di trovarsi (Segatto et al., 2018). Tale lacuna è traducibile nei fenomeni di dispersione e allontanamenti volontari: i dati relativi al 2018 raccolti da Save the Children riportano che i minori non accompagnati irreperibili sono più di cinque mila. Segno evidente di inadeguatezze e lacune nel perseguimento dei migliori interessi dei giovani migranti, segnale che ci interroga e richiede di garantire i diritti di questi adolescenti attraverso differenti strategie di azione.

Alla luce di ciò, è importante considerare come le categorie di minore e adulto rappresentino spesso vincoli tecnicistici, dicotomie e costrutti che limitano lo sguardo rivolto al giovane minore o al giovane adulto come soggetto unico portatore di bisogni, di aspettative e diritti legati al qui ed ora, in un continuum esistenziale che viene talvolta eluso dalle normative e dalla società. Un segnale di tali mancanze e dello scarto che si manifesta tra gli enunciati politici e le azioni concrete è dato dalle lunghe attese, dagli intoppi burocratici, dai vincoli legali che, come restituito dalla maggior parte delle storie di questi ragazzi e queste ragazze, interrompono la possibilità di risignificarne il futuro (Favaro & Napoli, 2004; Rigon & Mengoli, 2013; Salinaro, 2020).

Un ulteriore esempio di tali opposizioni è dato dalle disposizioni legislative frutto dei Decreti Sicurezza (Legge del 1° dicembre 2018 n. 132) che mirano a tutelare l’interesse del minore non accompagnato, fintanto che è minore, ma, allo stesso tempo, negano il proseguimento del suo percorso. Infatti, dai 18 anni e sei mesi, se non in possesso di requisiti specifici, scompare il superiore interesse dei minori e appare il destino che è prescritto ai migranti adulti, confinati ai margini della società e spesso senza nessun riconoscimento legale e sociale nel nostro territorio, condizioni che di fatto cancellano gli sforzi di un percorso di progettualità intrapreso con grande fatica da chi accoglie – servizi, enti, operatori – ma soprattutto da chi è accolto.

3 Quali impedimenti all’inclusione scolastica?

Come rilevato dalle indagini precedentemente riportate (UNICEF & REACH, 2017; UNICEF & Médecins du Monde, 2018), la ricerca di opportunità formative rappresenta una delle principali motivazioni che spingono i minori a intraprendere un progetto migratorio. La formazione, specialmente in ambito scolastico, riveste quindi un ruolo determinante nel processo di inclusione – per i diversi aspetti linguistici, sociali, relazionali – e funzionale ad apprendere competenze utili ai fini occupazionali.

Solo in tempi recenti alcuni studi (Biagioli et al, 2016; Grigt, 2017; Augelli et al., 2018; Pavesi et al., 2020) hanno approfondito l’accesso all’istruzione e le azioni atte a favorire l’integrazione scolastica dei minori non accompagnati, evidenziando come – oltre a non esserci un dato nazionale che presenti una fotografia completa del tipo di istituto frequentato da questi ragazzi – la maggior parte di loro risulti iscritto ai corsi attivati dai CPIA (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti) e contemporaneamente ai corsi di formazione di breve durata del Sistema regionale di Istruzione e formazione professionale. La mancanza di una raccolta sistematica di dati a livello nazionale relativa all’inserimento scolastico dei minori stranieri non accompagnati rappresenta, oggi, un sostanziale impedimento verso uno sguardo complessivo e un intervento finalizzato al comprendere e operare verso il superamento di tali criticità (Santagati et al., 2019).

Tra coloro che hanno i requisiti per iscriversi ad una scuola secondaria superiore, l’ostacolo più grande che viene rilevato nel mancato accesso alle istituzioni scolastiche dei minori migranti, è dato dalla cessazione del sistema di protezione al compimento della maggiore età e che quindi non risulta compatibile con il completamento di un corso di tre o cinque anni. L’impossibilità di frequentare gli stessi percorsi scolastici dei pari italiani (a causa di incompatibilità temporali, mancanza di risorse, farraginosità burocratiche) aumenta il rischio di fare vivere una esperienza di ghettizzazione a questi adolescenti limitando le occasioni per una reale convivenza con i coetanei italiani, come anche riducendo i momenti di confronto e partecipazione attiva, ad esempio negli spazi sociali (Grigt, 2017; Save the Children, 2018; Santagati et al., 2019).

La presenza di criticità relative all’inclusione scolastica richiede un intenso lavoro da parte degli attori che operano quotidianamente per la tutela dei giovani soli, dei servizi predisposti alla loro accoglienza e inclusione e delle équipe territoriali, per garantire ai minori migranti il riconoscimento dei propri diritti e per fare fronte a ostacoli istituzionali e imprevisti legali e politici. Nel territorio bolognese, attraverso l’importante collaborazione con i Centri di formazione professionale, il terzo settore e l’attivazione dei progetti finanziati dal Fondo Asilo Migrazione e Integrazione (FAMI) – come il FAMI Samb a il recente FAMI Roots3– si opera con le realtà locali per sostenere percorsi di inclusione e progettualità individuale, attraverso l’identificazione dei bisogni specifici, ma anche delle risorse e delle potenzialità del minore, con l’intento di avviare interventi il più possibile corrispondenti ai loro interessi e aspirazioni.

Questo processo richiede, non da meno, un impegno da parte dei ragazzi e delle ragazze che si trovano a svolgere contemporaneamente percorsi di apprendimento della lingua, corsi di preparazione alla licenza media, corsi professionalizzanti e tirocini formativi, per garantirsi, nel minore tempo possibile, un’opportunità di inserimento sociale e lavorativo nel paese di accoglienza. Molto spesso, la rincorsa a tali obiettivi è un percorso accelerato verso l’autonomia, che pone i ragazzi e le ragazze nella necessità di affrontare un carico che necessita di grande motivazione, fiducia nell’altro, impegno, costanza, tutti elementi che faticano a concretizzarsi se accompagnati da un sistema che, a livello nazionale, mostra incongruenze e richiede troppi margini di discrezionalità nel lavoro quotidiano da parte degli operatori e degli organismi coinvolti.

In questo scenario, non mancano le collaborazioni e le iniziative che su tutto il territorio italiano investono risorse, competenze e professionalità finalizzate a sperimentare una nuova cultura dell’accoglienza per i minori migranti nel loro passaggio dall’infanzia all’età adulta. È il caso dell’iniziativa condotta sul territorio italiano “Never alone. Per un domani possibile”, inserita nel programma europeo EPIM4 (European Programme for Integration and Migration) che, a fronte di una importante collaborazione tra numerose fondazioni e enti locali, promuove progetti innovativi e pratiche finalizzate all’accompagnamento e all’autonomia dei giovani migranti e la loro messa in rete a livello nazionale ed europeo. Tra le principali finalità dei progetti finanziati si rintracciano azioni volte a connettere maggiormente i servizi dedicati all’accoglienza dei minori con la società civile, al fine di agevolare i percorsi di inserimento lavorativo e sociale e sostenendo la necessità di incentivare processi bidirezionali di integrazione.

4 Sfide pedagogiche e pratiche in divenire

Alla luce delle considerazioni svolte, si riscontra come il tema dell’inclusione dei minori stranieri soli solleciti più interrogativi. Quali reali opportunità di integrazione si presentano per l’adolescente migrante? Quale spazio di transito verso l’età adulta (e quindi di tutela nell’attraversamento nell’età, nei luoghi, nel percorso evolutivo)? Quale spazio di sosta (nella tappa adolescenziale, riconoscendo il tempo necessario ad ogni singola individualità di raggiungere l’autonomia e realizzare il proprio percorso)? Quale spazio di accoglienza (di effettivo inserimento e partecipazione nella società)?

Nonostante si intraveda nella diffusione di progetti nazionali e internazionali un concreto segnale di azione e trasformazione, lavorare per cercare di dare risposte pedagogicamente fondate a tali interrogativi significa anche, ad esempio, rendere l’approccio dei CPIA e dei corsi di lingua maggiormente adatti alle esigenze formative degli studenti adolescenti. Tramite l’introduzione di una progettualità educativa capace di valorizzare gli aspetti relazionali e un’adeguata cura del setting, si permetterebbe così di non circoscrivere l’intervento, come spesso accade, solamente agli aspetti legati all’apprendimento della lingua e alla trasmissione di contenuti disciplinari (Bertolini, 1988; Pitzalis, 2019). È importante sottolineare nuovamente come il contesto scolastico e formativo rappresenti il canale privilegiato per avviare il processo di inclusione e partecipazione attiva dei minori accolti (AGIA & UNHCR, 2019).

Inoltre, si riscontra la necessità di rendere efficace un percorso di trasformazione delle istituzioni scolastiche che risponda ai cambiamenti della società e alle sfide odierne, rivolgendosi a tutti gli studenti, attraverso proposte, azioni e strategie (come una maggiore presenza di mediatori linguistici e culturali nelle scuole, prevedere una formazione specifica per gli insegnanti, oltre a figure professionali dedicate all’accoglienza di nuovi arrivati) che abbiano un impatto positivo sul vissuto scolastico del minore, sulla sua istruzione, la sua motivazione e il suo percorso di crescita sociale e personale.

Per fare questo risulta essenziale ridefinire un senso di appartenenza alla comunità che accoglie, il sense of belonging (Maslow, 1968; Baumeister & Leary, 1995; Sampson & Gifford, 2010; Allen, 2020) ampiamente trattato dagli studi in ambito psicologico e sociale: avere cura dei contesti che gli adolescenti migranti vivono, sul piano dei tempi e degli spazi di condivisone, favorendo nuovi legami sociali, garantendo a tutti le stesse possibilità di scelta. Di fatto, la mancanza di un senso di appartenenza a un contesto può facilmente innescare dinamiche di passività e scarsa responsabilità. In altre parole, per tendere all’obiettivo esistenziale individuato nella progettualità e nel protagonismo di ogni soggetto risulta indispensabile in primis incoraggiare quel sentimento di appartenenza ad un luogo, ad una comunità, mediante la costruzione di reti sociali che favoriscano maggiore stabilità e quel sostegno necessario per superare i momenti difficoltà. Quando c’è un impedimento per questi adolescenti ad accedere concretamente agli ambienti e alle risorse di una società avviene di fatto una negazione del riconoscimento della loro adolescenza. La loro identità non trova spazio e strumenti per svilupparsi e viene a scontrarsi e a interrogarsi con il contesto. Le fasi di attraversamento, come quella adolescenziale, devono essere funzionali a sedimentazioni, alla costruzione di una base sicura (Bowlby, 1989), all’accesso ad opportunità esistenziali. Frequentemente la stigmatizzazione che subiscono i ragazzi e le ragazze non ha effetti immediati, o meglio, li ha, come precedentemente descritto, nella loro rappresentazione di soggetti marginali, ma presenta effetti soprattutto sulla loro progettualità di vita: la società e le istituzioni che li hanno in tutela crescono giovani adulti che non si sentono di appartenere al luogo di accoglienza.

Adottare un approccio intersezionale (Crenshaw, 1989; Mattsson, 2014) tra le differenze e la pluralità delle relazioni e delle identità sociali permetterebbe di decostruire alcune categorie e dare una lettura critica e rinnovata a dinamiche quotidiane ormai non più discernibili – se non soggette ad analisi e riflessioni – che costituiscono le forme di discriminazione e di esclusione ancora oggi.

Inoltre, si potrebbe operare, sul piano delle rappresentazioni, all’insorgere di sentimenti di estraneità e aggressività, di rifiuto e noncuranza, con azioni orientate alla comprensione di una cultura dell’adolescenza, soffermandoci sugli elementi di problematicità che in ambito pedagogico, formativo e psicosociale, caratterizzano questo importante momento di trasformazione. Tali scopi, per essere perseguiti, richiedono in prima istanza al mondo adulto di svelare le retoriche che fanno da sfondo all’universo giovanile e agli attori sociali di guardare ai giovani migranti con altri sguardi, mettendosi in ascolto di quei bisogni e di quelle aspirazioni spesso silenti o compresi solo se attentamente osservati. Allo stesso modo, appare prioritario lavorare sul riconoscimento dei propri quadri di riferimento, decostruendo gli impliciti e le stereotipizzazioni che rischiano, ancora una volta, di intrappolare l’azione educativa e formativa in pratiche assistenziali e non finalizzate a favorire incontri culturali.

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  1. Come riportato da un approfondimento di EASO (European Asylum Support Office) del 2015 relativo alla tratta di donne ai fini sessuali: “Il voodoo, che nella regione in esame viene chiamato juju, è una religione tradizionale dell’Africa occidentale, dove viene praticato da secoli. Chi segue questa religione crede che la terra e tutti gli aspetti dell’esistenza umana siano governati da spiriti o divinità, che possono proteggere le persone oppure punirle. Il juju è profondamente radicato nella società dello Stato di Edo e molti nigeriani, di ogni ceto sociale e grado di istruzione, credono in questa forma di culto. […] I giuramenti rituali (chiamati juju dalle donne nigeriane) sono entrati nell’uso della tratta di esseri umani nigeriana come strumento di coercizione utilizzato per controllare le vittime. […] Un giuramento juju opera come un controllo psicologico perché la paura delle conseguenze derivanti dal venir meno al giuramento, ossia la punizione degli dei, è estremamente forte. Lo scopo del giuramento è impedire che le vittime rivelino l’identità dei trafficanti o i dettagli del rituale juju e indurle a pagare il loro debito nel modo stabilito e senza creare problemi. Da parte loro, i trafficanti si assumono l’impegno di portare la vittima a destinazione” (2015, p. 29).↩︎

  2. Con l’intento di avviare un’indagine esplorativa e mappare le azioni finalizzate all’inclusione dei MSNA nel territorio bolognese, sono state effettuate dall’autrice interviste semi-strutturate a coordinatori e educatori di comunità di accoglienza per MSNA, a un referente dell’area formazione per ASP città di Bologna e a un referente per gli inserimenti lavorativi e la formazione professionale per il progetto FAMI Roots.↩︎

  3. Il progetto FAMI Samb – Seconda Accoglienza Minori Bologna – durante il periodo tra il 2017 e il 2019 aveva lo scopo di potenziare la capacità ricettiva del sistema di seconda accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, mentre il FAMI Roots, tuttora in essere, ha l’obiettivo di rafforzare i servizi rivolti ai MSNA accolti nelle strutture di seconda accoglienza della città Metropolitana di Bologna.↩︎

  4. L’European Programme for Integration and Migration (EPIM) è un'iniziativa di 25 fondazioni private con l'obiettivo di incentivare il ruolo della società civile nella costruzione di comunità inclusive e nello sviluppo di risposte umane e sostenibili alla migrazione, sulla base dell'impegno dell'Europa per i diritti umani universali e la giustizia sociale (https://www.epim.info/).↩︎