Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.26 n.62 (2022)
ISSN 1825-8670

Attualità di un’idea, venticinque anni dopo

Daniele BruzzoneUniversità Cattolica del Sacro Cuore (Italy)

Pubblicato: 2022-05-02

Encyclopaideia compie 25 anni. Il primo numero della rivista venne pubblicato nel 1997 dall’editrice torinese Il Segnalibro. Essa nasceva come espressione di un gruppo di ricercatori che, ispirandosi all’approccio fenomenologico, intendevano rifondare le categorie del discorso pedagogico, con l’intento di orientare e innovare profondamente le pratiche educative nella scuola e nei servizi.

In occasione del 25° anniversario di Encyclopaideia, ho pensato di riproporre in parte e commentare brevemente alcune pagine di Piero Bertolini, nelle quali il fondatore e primo direttore della rivista (e della collana omonima, pubblicata per molti anni da La Nuova Italia) ne ricorda i primi passi, ne rievoca lo spirito che l’animava fin dagli inizi e ne illustra i successivi sviluppi, indicando altresì direzioni di senso per il futuro ancora ampiamente valide e significative.

Correva l’anno 2001. Encyclopaideia è diventata, nel frattempo, una rivista accademica riconosciuta dalla comunità scientifica a livello nazionale e internazionale. Ma i tratti originari che qui vengono riproposti ne rappresentano l’identità costitutiva che ci sembra importante conservare e ravvivare, a maggior ragione in un tempo in cui la crescente complessità dell’esistenza ci chiede di custodire e incrementare l’esercizio del pensiero e del dialogo, al di là delle appartenenze culturali e ideologiche, degli steccati disciplinari e delle frontiere geografiche. Ne va, infatti, non soltanto del senso o del non senso dell’esperienza educativa e formativa, ma di quella vita intersoggettiva che accomuna gli esseri umani rendendoli tali e, in fondo, del destino della nostra stessa democrazia.

La decisione di dare vita ad una nuova rivista – che ha poi preso il nome, ormai tradizionale per noi, di «Encyclopaideia» – è maturata nel corso degli anni in cui si sono succedute numerose riunioni del gruppo nel suo insieme. In tali riunioni, infatti, non ci siamo solo impegnati a discutere le proposte che i singoli facevano in merito alla possibilità di realizzare un volume per la collana e, successivamente, per sottoporre il prodotto ad una critica spesso serrata; ma ci siamo trovati anche a confrontarci su alcune tematiche che, tutti insieme o sollecitati da qualcuno del gruppo in particolare, ci apparivano particolarmente importanti per la loro attualità o per la loro rilevanza all’interno delle nostre stesse posizioni. Siamo andati, così, via via costituendo un vero e proprio sapere pedagogico che non sempre poteva trovare spazio nei volumi della collana, sia perché gli specifici argomenti trattati non davano luogo a una trattazione così ampia, sia perché, all’interno della collana di cui ho detto, non avevamo la possibilità di pubblicare più di due volumi all’anno. Non solo, ma attraverso quegli incontri e quegli scambi di informazioni (e di impressioni legate al nostro impegno professionale, vorrei dire quotidiano) ci siamo sempre più attestati su due significative convinzioni.

In primo luogo, che disporre e condividere, sia pure in modo aperto e problematico il paradigma fenomenologico può rappresentare una importante possibilità di risposta alle esigenze più o meno consapevoli che in particolare i giovani e coloro che si occupano di educazione mostrano di avere. Esigenze che sono alla base di quelle situazioni o di quei vissuti di crisi che risultano correlati alla difficoltà o addirittura alla impossibilità di dare senso e valore alle proprie esperienze quotidiane e, più in generale, alle attuali più diffuse modalità di essere-nel-mondo. Da un lato, infatti, abbiamo avuto l’impressione che molti giovani, nell’avvicinarsi al pensare fenomenologico (e ai suoi sviluppi in direzione soprattutto ermeneutico ed esistenziale) si sentano in qualche modo rinfrancati rispetto alla possibilità di reagire positivamente ai vari tentativi di espropriazione (delle loro possibilità di essere attivi nei confronti del loro futuro e del futuro dell’umanità) messe in atto da una società e da una cultura che sono sempre più caratterizzate da un esclusivo interesse per il presente. Non solo, ma abbiamo avuto l’impressione che essi percepiscono sia pure in modo spesso ancora confuso la forza, intesa tanto in chiave mentale (delle idee) quanto in chiave operativa (dei comportamenti), espressa da un pensare fenomenologico che riesce a coniugare tensione spirituale e scelte pratiche non più soltanto occasionali e quindi insensate. Da un altro lato, e parallelamente, abbiamo avuto l’impressione che non pochi professionisti dell’educazione – insegnanti, operatori pedagogici (o educatori professionali) e formatori – frustrati da richieste sociali sempre più interessate e di basso livello nonché da un vissuto di impotenza che, sappiamo bene, contraddice una delle caratteristiche per così dire costitutive di ogni autentico processo educativo – che consiste nella possibilità di guardare al futuro (degli educandi, in primo luogo) con un fondamentale seppure non ingenuo ottimismo – siano disposti a considerare le proposte e le prospettive emergenti dalla fenomenologia e in specifico dalla pedagogia fenomenologica una realistica opportunità per “riprendere in mano”, ovvero per ridare senso alla propria tradizionale e tuttora irrinunciabile funzione.

Tutto ciò, anziché tradursi in uno sterile vissuto di auto-gratificazione, ci ha sempre più condotti a una progressiva consapevolezza delle notevoli responsabilità che ci toccano proprio per il fatto di avere a disposizione uno strumento esistenziale (non solo intellettuale, cioè) che, naturalmente a talune condizioni, può rappresentare non già una sorta di toccasana ma, certo, un aiuto per chi sente l’esigenza di uscire da una crisi sempre più stressante.

In secondo luogo, ci siamo convinti della necessità di non cadere in una qualsiasi forma di auto-centramento che, di fatto, significa o conduce ad un pericoloso isolamento che è destinato ad immiserire anche le più valide idee e le più coraggiose esperienze. Ci siamo cioè convinti che rappresenta una prospettiva addirittura irrinunciabile il confronto con altri pedagogisti – naturalmente con chi di essi si mostra ugualmente interessato a reagire il più consapevolmente possibile alle situazioni negative cui ho appena fatto cenno – e, per certi versi ancora di più, con alcuni rappresentanti delle altre scienze umane – naturalmente con chi di loro mostra un’attenzione ed un interesse particolare per i problemi formativi – nonché con colleghi, non solo pedagogisti, operanti in altri Paesi (e quindi in contesti scientifici e culturali diversi dai nostri). È attraverso un tale confronto, infatti, che è possibile chiarire, approfondire e sviluppare meglio, rispetto a come lo si potrebbe fare rimanendo all’interno di un gruppo o di una comunità comunque ristretta, le idee e le proposte che si ritiene di essere in grado di prospettare. Non solo, ma ci siamo ugualmente convinti che sia importante stimolare gli altri a (in alcuni casi a consentire loro di) entrare in rapporto con noi e con le nostre proposte, dal momento che qualsiasi confronto se condotto con serietà e con spirito di apertura non deve essere ritenuto valido solo per uno dei protagonisti. Uscire dall’isolamento non vuol dire soltanto prendere atto di ciò che gli altri dicono e propongono, ma vuol dire anche far conoscere all’esterno ciò che noi stessi diciamo e facciamo.

Ebbene, è stato proprio partendo da queste due convinzioni che abbiamo deciso di affrontare l’inevitabile avventura di dare vita ad una nuova rivista.1

Colpisce, anzitutto, il modo in cui Piero Bertolini concepiva la “scoperta” pedagogica della fenomenologia: non come un’impresa puramente teoretica e disinteressata, bensì come una vocazione a ricongiungere la scienza e l’esistenza, come un’opportunità effettiva di ritrovare una coerenza tra il pensare e l’agire (ancora oggi così rara da apparire talvolta perfino impossibile), come un invito a prendere posizione rispetto alla realtà circostante, ritrovando le ragioni per differenziarsi dal mainstream – non di rado vigente anche nei contesti accademici – e per opporsi alle derive correnti e per affermare l’autenticità delle idee e delle scelte che ne conseguono. La fenomenologia, dunque, ci permette di “riprendere in mano” con maggiore consapevolezza non soltanto il delicato compito di educare, ma anche – ed ancor prima – il difficile mestiere di essere umani senza abdicare a ciò che ci rende tali: la coscienza e la responsabilità.

Bertolini parla di una “crisi” – in particolare di una crisi del futuro (e forse si tratta della stessa, ormai cronicizzata, nella quale ci muoviamo talvolta inconsciamente come pesci nell’acqua) – per dire che la pedagogia fenomenologica rappresenta una risposta. La fenomenologia, infatti, non è che uno strumento, un metodo, una disciplina o una sorta di progressiva “ascesi” dello spirito, attraverso cui sperimentare, praticare e acquisire in modo sempre più stabile e profondo la capacità di stare tra le cose con un atteggiamento di fiducia e recettività e, così, stabilire un contatto più vivo e genuino con il mondo e con se stessi. Questa intuizione del valore della fenomenologia in relazione al sentimento di incertezza e disorientamento, diffuso tanto tra i giovani quanto tra gli adulti che dovrebbero guidarli, è ancora estremamente attuale e trova corrispondenza tuttora nel fatto che in molti (studenti, insegnanti, educatori e formatori, professionisti della salute e della cura, ecc.) riscontrano nelle parole della fenomenologia – e della pedagogia fenomenologica – un antidoto alla sfiducia e un veicolo per la ricerca di un senso altrimenti perduto tra le secche dell’oggettivismo e del tecnicismo, che ancora ammalano i contesti in cui viviamo e lavoriamo quotidianamente.

Ma le parole di Piero Bertolini ci rammentano, soprattutto, che l’idea di dar vita alla rivista scaturiva da un gruppo di persone capaci di pensare insieme. Essa non va dunque concepita come un mero archivio di studi e ricerche, ma come un luogo di incontro, di scambio e di confronto che dice, al di là di ogni tentazione di autoreferenzialità, la responsabilità dell’intellettuale di fronte alla società e al tempo in cui vive. Si tratta allora di garantire che, alla base della rivista continui ad esistere una comunità di persone desiderose di ascoltarsi, di coindividere al suo interno e con altri dubbi e intuizioni, di riflettere insieme e di interrogare incessantemente l’esistenza. Encyclopaideia è nata, venticinque anni or sono, esattamente sotto questi auspici. Nonostante l’evoluzione che inevitabilmente ha subito nel tempo, conserva ancora intatto questo spirito delle origini. Ed è nostro compito assicurare che esso continui, anche in futuro, a caratterizzarne l’identità.


Encyclopaideia ringrazia i revisori che nell’anno 2021 hanno collaborato con la rivista, assicurando con la loro professionalità un processo di peer review rigoroso ed efficiente:

Michele Aglieri, Francesca Antonacci, Fulvia Antonelli, Antonella Arioli, Pier Marco Aroldi, Pierangelo Barone, Gian Luca Battilocchi, Elisabetta Biffi, Andrea Bobbio, Natascia Bobbo, Malte Brinkmann, Livia Cadei, Alessandra Carenzio, Marco Catarci, Giuseppe Crea, Marco Dallari, Katia Daniele, Luana Di Profio, Valerio Ferro Allodola, Luca Ghirotto, Mariangela Giusti, Anna Grazia Lopez, Antonella Lotti, Elena Madrussan, Giovanna Malusà, Vittore Mariani, Marcella Milana, Katia Montalbetti, Elisabetta Musi, Gaetano Oliva, Luisa Pandolfi, Monica Parricchi, Alessandro Porcarelli, Piergiorgio Reggio, Alessandro Tolomelli, Pierpaolo Triani, Davide Zoletto. 


  1. P. Bertolini, Pedagogia fenomenologica. Genesi, sviluppo, orizzonti, La Nuova Italia, Firenze 2001, pp. 60-62.↩︎