I libri su Paulo Freire continuano a essere pubblicati in abbondanza. Spesso è molto difficile separare il grano dalla pula, tanto per usare una metafora agricola. Il libro eccellente e suggestivo su Freire di Walter Kohan (Paulo Freire. Más que nunca. Una biografìa filosófica, Clacso, Buenos Aires, 2019), ha un aspetto distintivo in tutti i suoi vari capitoli. Più di altri lavori su Freire, questo – curato in inglese da Jones Irwin, docente irlandese presso la Dublin City University, e da Letterio Todaro, docente italiano presso l’Università degli Studi di Catania – ha il grande merito di mettere a fuoco le lotte, i movimenti e le figure carismatiche che hanno contribuito allo sviluppo del firmamento culturale, e anche pedagogico, italiano. Tutti gli autori di questo lavoro, tranne Irwin, sono italiani. Si tratta, quindi, di un libro sui contributi italiani alla pedagogia politica, più che semplicemente l’ennesimo libro su Freire. Freire, che continua a generare molto interesse, diventa una figura ideale per contrastare alcune idee di pedagogia, viste nei loro contesti più ampi, che emergono dal Bel Paese. Sono accesi da tempo i riflettori su questo territorio, che ha dato un grande contributo al pensiero e alle pratiche educative, molto apprezzato nel panorama pedagogico internazionale e nel mondo anglofono.
Fra i grandi pensatori italiani dell’educazione figurano Tommaso d’Aquino e Gian Battista Vico, Giovanni Bosco, Giovanni Gentile, Benedetto Croce, Antonio Gramsci, Ada Gobetti, Maria Montessori, Don Zeno Saltini, Don Lorenzo Milani, Pier Paolo Pasolini, Loris Malaguzzi, Gianni Rodari, Mario Lodi, Alberto Manzi, Danilo Dolci, Adriana Cavarero, Luisa Muraro, Anna Maria Piussi, Chiara Zamboni, il femminismo delle differenze, ecc. L’elenco è lungo e per nulla esaustivo.
Tra i progetti ci sono i Consigli di Fabbrica (l’Ordine Nuovo di Gramsci, Terracini e Togliatti e il biennio rosso), la Comunità Educante (Don Zeno Saltini nel Grossetano), la scuola “I care” di Barbiana (Don Milani), l’esperimento 150 Ore di educazione della classe operaia, i Centri di Orientamento Sociale (Aldo Capitini), gli esperimenti di educazione dell’infanzia in Emilia Romagna (Loris Malaguzzi), il progetto televisivo Non è mai troppo tardi (Alberto Manzi), l’educazione per comunità autodirette di autonomia proletaria e altri. E, naturalmente, c’è il processo di apprendimento all’interno dei movimenti sociali, soprattutto per quanto riguarda il movimento del 1968.
Questo libro tratta di alcune figure e movimenti in connessione con le idee politiche di Paulo Freire. Interessante il confronto, nel capitolo conclusivo, con l’autonomista Franco Berardi. Il capitolo fa riferimento costante al suo lavoro, capace di coinvolgere intellettuali affermati accanto ai lavoratori. Si tratta di un segno distintivo della politica autonomista che riecheggia, a un certo punto, negli scritti di Gramsci sui circoli educativi dei lavoratori a Torino e altrove, il Club di Vita Morale e gli sforzi suoi e di Amadeo Bordiga per fondare una Scuola dei Confinati a Ustica, per non parlare, più recentemente, dell’alternativa, auspicata da Jacques Rancière, alla scuola convenzionale.
Ci sono state correnti incrociate tra Freire e alcuni di questi sviluppi? Certamente, le idee provenienti dall’Italia, come quelle formulate da Gramsci, hanno avuto un grande impatto sulla sinistra latino-americana, in particolare sulla Nuova Sinistra, piuttosto che, ad esempio, sul Partito Comunista Brasiliano. Non trascuriamo le sortite di Freire in Italia durante l’ultima fase del suo esilio trascorso a Ginevra, dove lavorò per il Consiglio Ecumenico delle Chiese. Sono certo del fatto che sia stato a Partinico vicino a Palermo per incontrare Danilo Dolci, e anche che sia stato informato di Don Milani e della Scuola di Barbiana, oltre che del tanto lodato esperimento delle 150 Ore. Ho saputo tutto questo da certi miei contatti in Italia. Nonostante tutto ciò e la sua famosa dichiarazione – in una pubblicazione dell’Institute of Education dell’Università di Londra nel 1995 – di aver “conosciuto” Gramsci ancor prima di leggerlo, stranamente Freire non fa alcun riferimento diretto a Gramsci nella sua opera più nota, la Pedagogia degli Oppressi. Nel 1968, Marcela Gajardo, in Cile, gli aveva messo a disposizione la traduzione dell’antologia degli scritti di Gramsci, Letteratura e Vita Nazionale. Forse Freire è stato attento e prudente a non citare autori che avrebbe voluto conoscere in modo più approfondito.
Il libro di Irwin e Todaro fa riferimento a molte delle figure, movimenti e progetti menzionati, sebbene alcuni siano purtroppo trascurati. Inoltre mette in primo piano lavori tradotti in italiano ma non in inglese. Un capitolo tratta del libro assai rivelatore Essa Escola Chamada Vida (Una scuola chiamata vita, nella versione italiana), un libro che Freire scrisse con uno dei principali intellettuali brasiliani, Carlos Alberto Libanio Christo (Frei Betto), e che comprende una serie di interviste in cui è coinvolto anche il giornalista Ricardo Kotscho. Ho letto questo libro negli anni Novanta, nella traduzione italiana pubblicata dall’Editoria Missionaria Italiana (EMI) di Bologna. Questo lavoro è analizzato in dettaglio da Elena Marescotti nel volume a cura di Irwin e Todaro. È un volume, quello di Frei Betto e Paulo Freire, che affronta temi come la prigionia e il tipo di rituali intrapresi da Betto per aiutarlo a preservare la sua sanità mentale. Betto fu imprigionato due volte dal regime militare brasiliano. Una traduzione in inglese di questo importante contributo di Freire e Betto è attesa da tempo. Il volume curato da Irwin e Todaro ha il merito dunque di portare questo contributo dei due massimi esponenti dell’educazione popolare brasiliana all’attenzione di un pubblico anglofono.
Un altro libro disponibile in lingua italiana, ma non in inglese, è quello di Paulo Freire, Moacir Gadotti e Sergio Guimaraes, Pedagogia, dialogo e conflitto, curato per l’edizione italiana da Bartolomeo Bellanova e Fausto Telleri (SEI, 1995).
Il merito di Irwin e Todaro è anche quello di aver portato al pubblico di lettori di lingua inglese una gamma più ampia di educatori, intellettuali e movimenti. Come accade spesso, questi movimenti sono contraddistinti dalla differenza e non sono mai monolitici. La discussione sull’autonomismo lo dimostra ampiamente. Perfino la pedagogia critica o l’educazione critica è lacerata da spaccature interne, così come il movimento freireano è diviso a metà. Lo stesso vale per gli eredi e gli studiosi di Don Milani. Peccato. Inutile dire che a Don Milani e alla Scuola di Barbiana viene dato ampio e dovuto risalto. La loro ben nota (almeno in Italia e Spagna) Lettera a una Professoressa, che presenta sorprendenti somiglianze con l’opera di Pierre Bourdieu, radicata in una profonda conoscenza delle critiche francesi alle istituzioni borghesi, ha avuto, come si sa, un grande impatto sul movimento del Sessantotto in Italia. È ben noto che la Lettera ne costituiva praticamente un manifesto. Secondo Pier Paolo Pasolini, scrittore, poeta e regista friulano, essa non era soltanto una critica al sistema scolastico pubblico italiano, ma andava oltre: si trattava di una critica alla società italiana in generale.
Eppure, anche il movimento del ’68, in particolare il movimento della contestazione studentesca, aveva le sue contraddizioni di fondo. A proposito degli scontri tra gli studenti e la polizia di Valle Giulia a Roma, davanti alla Facoltà di Architettura della Sapienza, Pasolini sostiene, in modo poetico, che sono gli studenti ad avere i volti tipici dei figli di papà (cioè i “Pierini” borghesi, per dirlo alla maniera della Scuola di Barbiana). La polizia apparteneva alla classe operaia: erano i “Gianni” (figli di contadini e operai) che compaiono nella Lettera.
In Francia, Paese al quale il libro di Irwin e Todaro fa riferimento a proposito del ’68, la stessa sfiducia nei confronti degli studenti della classe media e della loro rivolta è stata manifestata da soggetti politici come il Partito Comunista Francese. Una volta che il movimento per il cambiamento ha coinvolto gli operai delle fabbriche Renault, la percezione generale cambiò. Più recentemente lo stesso è accaduto in Cile, dove gli studenti hanno protestato contro la commercializzazione dell’istruzione pubblica, un processo che risale al colpo di stato molto sanguinoso, di stampo fascista e neoliberista (allora si parlava di monetarismo), di Augusto Pinochet. Le proteste più recenti degli studenti hanno ottenuto il sostegno di organizzazioni della classe operaia come il CUT (il principale sindacato del Paese). Il lavoro di Freire, come sottolineato nel libro, deve essere visto nella cornice dei movimenti del ’68. La Pedagogia do Oprimido (Pedagogia degli Oppressi) è stata scritta in portoghese da Freire in Cile nel 1968 e poi venne pubblicata per la prima volta in inglese (Pedagogy of the Oppressed) nel 1970.
Rilevanti per il contesto italiano sono anche le due correnti convergenti, nell’opera di Freire: quelle del Marxismo e del Cattolicesimo, che erano allora in conflitto tra loro ma anche in fase di riavvicinamento, in Italia, soprattutto tra i cattolici di sinistra generalmente designati con il termine “cattcom” o cattocomunisti. Pasolini ha mostrato queste tensioni nel suo pensiero e nel suo lavoro: forse l’opera più rappresentativa sarebbe il film “low budget” Il Vangelo secondo Matteo. Le tendenze cristiano-marxiste, attraverso la Teologia della Liberazione, in Freire e in America Latina, e i loro parallelismi con il Partito Comunista Italiano, con molti dei suoi sostenitori e anche, aggiungerei, con i cattolici di sinistra, sono ampiamente trattati nel volume curato da Irwin e Todaro.
Un personaggio a cui viene dato risalto è poi Augusto Boal, drammaturgo brasiliano ispirato a Freire, suo compagno di esilio durante o golpe del 1964. Il suo impatto sul teatro di comunità è affrontato in due interviste. Una è con Ilaria Olimpico, che ha vissuto all’estero, soprattutto nel mondo arabo, e che sottolinea i limiti del pensiero eurocentrico. Ella sviluppa di Boal in particolare il concetto del corpo. Ritengo che questo elemento si applichi anche a Freire, stando ai suoi scritti nell’originale brasiliano-portoghese e come dimostrato da Antonia Darder nel piccolo libro che gli ha dedicato nella serie curata dal compianto Greg Dimitriadis per la casa editrice Routledge. Boal compare anche nell’intervista con Roberto Mazzini del Teatro Giolly, probabilmente il più grande esponente italiano del Teatro degli Oppressi e dell’approccio teatrale boaliano. A ciò si aggiunge un’altra intervista, nello stesso libro, al mio amico e coautore, Paolo Vittoria, prolifico scrittore su Freire, Napoli e l’America Latina. Fortemente legato alla conferenza internazionale sull’educazione critica, ispirata a Freire, egli ha organizzato l’incontro del 2019 a Napoli e mi ha fatto conoscere, agli inizi della nostra collaborazione, altri aspetti della pedagogia popolare italiana, la presenza dei “maestri di strada” e progetti come la Casa dello Scugnizzo di Mario Borrelli a Napoli.
Oltre alle descrizioni dei progetti, il volume a cura di Irwin e Todaro contiene anche analisi profonde ed erudite di alcune questioni, come quella ricorrente, trattata da Jones Irwin, che riguarda la collocazione di Freire nel giusto paradigma: modernista o postmoderno? A mio avviso, Freire fornisce una visione d’insieme del cambiamento sociale caratterizzato dall’unità nella diversità o, più precisamente direi, dall’armonia nella biodiversità (preferisco questa frase a quella precedente usata da Freire). Essa costituisce ancora, a mio avviso, una grande idea, non toccata da quella che Freire (2018) chiama “l’ideologia della morte ideologica” (Teachers as Cultural Workers. Letters to those who dare teach, Westview Press, p. 26, versione inglese di Professora Sim, Tia Nao – Professoressa sì, zia no). Personalmente ritengo che questo lo collochi nella categoria habermasiana di coloro che vedono la modernità come un progetto incompiuto.
La tessitura del libro a cura di Irwin e Todaro è quindi ricca e variegata. Forse un po’ rovinata da qualche traduzione scadente dall’italiano all’inglese, anche se il significato non è mai oscuro. Si tratta, insomma, di un contributo molto significativo alla pedagogia critica, alla filosofia e alla sociologia dell’educazione e all’educazione comparata sul piano internazionale.