Siamo ancora capaci di “competenza emotiva”? Le emozioni occupano oggi un crescente spazio nella vita privata e nella sfera pubblica: incombenti, dominanti e dilaganti, paiono arrogarsi il diritto di sancire la legittimità di molte esperienze e condannare invece – senza possibilità d’appello – ciò che non coincida con un immediato benessere e appagamento dell’individuo. In tal senso, l’ambito “emotivo” e “afferente alle emozioni” esercita un impatto che non può essere né eluso né trascurato. Eppure si assiste anche a un analfabetismo emotivo: all’incapacità di definire cosa sia lo spazio delle emozioni e quali livelli lo strutturino; alle omissioni o agli errori che si commettono nell’addentrarsi nel cuore umano e discernere le leggi del suo sviluppo e i dinamismi attuativi del suo manifestarsi. «Il cuore umano» – così leggiamo sulla quarta di copertina di questo volume – «rappresenta per molti versi un enigma indecifrabile»: un enigma cui certo non ha giovato «la contrapposizione tra ragione e passione», insomma il «pensiero antinomico» e il «paradigma disgiuntivo» per troppo tempo invalsi nella tradizione occidentale.
La vita emotiva di Daniele Bruzzone rappresenta anzitutto un lavoro di riunificazione dell’uomo a partire dalla chiarificazione delle molte forme di ciò che oggi si chiama (impropriamente) “emozione/i”, e in senso filosofico-fenomenologico andrebbe piuttosto ridefinito in termini di sentire: «l’esperienza del “venire assaliti” da un’emozione è diversa da quella del percepirsi “immersi” in una tonalità emotiva, così come sentirsi “guidati” da un sentimento non equivale all’essere “trascinati” da una passione». Il vasto regno del “sentire” (che meriterebbe parole diverse per ogni suo ambito e livello) si situa all’intersezione tra “passività” e “attività”, tra “affezioni” e “inclinazioni”, tra le emozioni intese anche nel loro aspetto di attivazione fisiologica e gli atti intenzionali che si rivelano in permanente relazione di significato al mondo e sono via privilegiata al regno dei valori: «Essere affetti da qualcosa» non è infatti tanto l’esserne colpiti in modo superficiale, periferico, bensì, più profondamente, «sentirne il peso, la rilevanza, il valore: e, come è noto, ciò che assume per noi peso, rilevanza e valore diventa motore di desiderio, di volontà e di azione».
È pertanto tutta un’opera di ridefinizione del paesaggio del cuore – si vorrebbe dire una sua rettificata cartografia, a vantaggio sia del già esperto che intenda avvalersene, sia dei non esperti che in quei territori chiedano di addentrarsi per la prima volta – quella compiuta da Daniele Bruzzone nelle dense pagine di questo testo, in cui egli procede avvalendosi della «passione per le differenze», cara alla prassi fenomenologica, ma applicando tale metodo, che distingue e discerne, sempre in dialogo con altri autori: Husserl, Scheler, Stein, Merleau-Ponty; Heidegger e Zambrano; Jaspers e Binswanger; De Monticelli, Costa, Cusinato, Borgna…, i grandi “classici” della storia della filosofia e della psicopatologia, con accostamenti più personali che intrecciano storie e nomi diversi e delle loro differenze si avvalgono per affrontare questo tema complesso, che non una sola disciplina può arrogarsi il privilegio di definire.
Daniele Bruzzone, Ordinario di Pedagogia generale e sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttore del Centro Studi CARE presso la Sede di Piacenza, membro del direttivo internazionale del Viktor Frankl Institut di Vienna, parla infatti di vita emotiva avvalendosi della riflessione filosofica più propriamente detta; della psicologia, alle cui differenti teorie delle emozioni il volume riserva alcune pagine; della psichiatria e della psicopatologia, là ove le definizioni che si vorrebbero “universali e necessarie” della filosofia sono messe in tensione da modalità di esistenza-al-limite, ma non per questo di minor rilievo; e infine della pedagogia, nella quale tutto l’uomo è messo al centro e il sapere si definisce più che mai nella forma di una prassi che prenda per mano e accompagni nel divenire della vita.
Le emozioni non si trovano, sostiene Bruzzone, anzitutto dentro di noi: non le si vive (né esse si generano) in una postura intimistica e autoreferenziale: esse stanno nel tra; sono inter, non intra. Esse ci danno un mondo e ci danno gli altri, configurandosi – nella loro espressione fenomenologica più alta – come forme dell’intenzionalità e quindi della relazione: «L’assunzione idiografica e ingenua in chiave psicologistica della vita emotiva ci ha persuasi che emozioni e sentimenti alberghino dentro di noi e siano fondamentalmente intimi e privati. Questa distorsione ci ha resi meno consapevoli del fatto che essi stanno sempre tra noi e il mondo, di cui forniscono […] una valutazione assiologica». Tale valutazione concerne le essenziali differenze del giusto e dell’ingiusto, dell’amare (preferire /anteporre) e dell’odiare (nel senso diremmo evangelico del rifiutare o post-porre); impegna la volontà; si dà nella persona (aspetto soggettivo, in prima persona) eppure riguarda anzitutto un ordo amoris oggettivo (aspetto non relativizzabile, in terza persona).
Lungi dal pretendere di piegare e talvolta riplasmare il mondo in base a come lo sento io (fosse anche solo in pochi istanti di felice estasi o profondo turbamento), la vita emotiva insegna allora – con un vero e proprio ribaltamento – come è il mondo, qual è l’appello di una realtà che sempre ci precede e interpella: è la lezione della fenomenologia, questo «metodo a servizio della filosofia» che scommette su un apparire che non sia apparenza, su un manifestarsi che sia invece rivelarsi.
Dal testo di Daniele Bruzzone non possono allora mancare almeno due ulteriori aspetti.
Il primo concerne la dimensione si vorrebbe dire “politica” delle emozioni: «L’introversione narcisistica dell’Io sancisce [infatti] la crisi del bene comune, sacrificandolo a vantaggio esclusivo dell’autorealizzazione e dell’affermazione di sé» (cit. Elena Pulcini, nel testo): lo «sfaldamento della reciprocità […] indebolisce il tessuto sociale». All’opposto, un’attitudine empatica – questo sentire con l’altro anche quando sia impossibile sentire come lui – dischiude spazi di concordia e dunque di giustizia.
Il secondo aspetto – ampiamente articolato nel testo, in un vero e proprio crescendo – parla della cura della vita emotiva e delle qualità di mente e cuore che ciascuno ha da sviluppare per potersi affiancare agli altri e aiutarli: serve crescere, per far crescere. La vita emotiva, del resto, è un testo pensato anche – e forse soprattutto – per chi lavora con altri e ha dunque da lavorare su di sé. Lungi dal potersi limitare a parlare di una “funzione psichica” tra le tante, ne va della persona intera e in certo senso di ciò che per questa persona può essere e diventare mondo, dunque scelta, progetto, azione. Alla scuola delle emozioni – su questo il libro è chiarissimo – si fa «tirocinio della volontà».
Almeno un’ultima annotazione – di metodo, più che di contenuto – si rende infine necessaria per La vita emotiva, con la sua articolazione in Prologo, cinque capitoli (La vita emotiva come problema pedagogico; Le ragioni dei sentimenti: oltre il pensiero dicotomico; L’occhio del cuore e l’apparire del mondo; Siamo sempre “dentro” un’emozione; Aver cura della vita emotiva), Epilogo: la delicatezza piena di accoglienza al tutto della vita e dell’esistere di ciascuno – e l’attenzione mai giudicante alle fragilità – non possono prescindere da quella fermezza che dice cose vere e al vero deve guidare. Il retto sentire è infatti tale se «adeguato all’ordine delle cose», e «ai nostri sentimenti più profondi corrispondono i nostri valori più alti»: non è un caso che oggi, in un’epoca di analfabetismo emotivo, sia il senso stesso della vita a mancare e le scelte decisive a essere rimandate, disattese, sospese. La vita emotiva – un libro che potrebbe apparire di estetica, se delle emozioni ci si limitasse a cogliere i livelli-base, di maggior immediatezza – diventa così un libro insieme etico, pedagogico e ontologico: educare il cuore della persona non significa prospettarle emozioni facili che le risparmino la fatica della libertà e il rischio della scelta: bensì abilitarla ad essere nel mondo e ad agire nel mondo secondo coscienza. Con e per gli altri.