Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.27 n.65 (2023)
ISSN 1825-8670

Prospettive di genere nella vittimizzazione tra ragazze. La prima ricerca nazionale mixed method sul bullismo femminile in adolescenza

Antonia De VitaUniversità degli Studi di Verona (Italy)

Professoressa Associata di Pedagogia generale e sociale all’Università di Verona, dirige il Centro di Educazione Formazione e Differenza Sessuale del Dipartimento di Scienze Umane ed è co-fondatrice del Laboratorio TiLT/Territori in Libera transizione sui temi della transizione ecosociale e del Master “Saperi in transizione: Strumenti e pratiche per la transizione ecologica e globale”. Co-dirige la ricerca nazionale “Il bullismo femminile a scuola. Un’indagine intersezionale mixed-method”.

Giuseppe BurgioUniversità degli Studi di Enna “Kore” (Italy)

Professore Associato di Pedagogia all’Università di Enna “Kore”, Graduated SYLFF Fellow della “Tokyo Foundation for Policy Research” e Direttore del “CIRQUE-Centro Interuniversitario di Ricerca Queer”, vincitore del Premio Nazionale SIPED nel 2014 e nel 2022, codirige la ricerca nazionale “Il bullismo femminile a scuola. Un’indagine intersezionale mixed-method”.

Ricevuto: 2022-09-30 – Versione revisionata: 2022-12-15 – Accettato: 2023-01-23 – Pubblicato: 2023-04-13

Female bullying among adolescents in Italy: A national mixed-method research

Abstract

The subject of bullying has received widespread academic attention, going back to pioneering studies in the 1970s. However, work in this area has tended to take a gender-neutral/male perspective that does not distinguish between male and female bullying. While retaining a dialogue with generalist literature on the subject, this article seeks to highlight the theoretical and political-social relevance of gender-specific and intersectional approaches when exploring the question of bullying between adolescent girls. Based on the study Il bullismo femminile a scuola. Un’indagine intersezionale mixed-method (Female bullying at school, an intersectional, mixed-method study) – conducted in medium-sized and large cities in northern, central and southern Italy – it proposes a theoretical-analytical framework in which to consider the phenomenon of female bullying in Italian schools.

Il bullismo è un fenomeno largamente indagato a partire dagli studi pionieristici già avviati negli anni Settanta. Tuttavia, queste indagini hanno impiegato una prospettiva neutro-maschile che non distingue tra il bullismo maschile e quello femminile. Il presente articolo, seppur in dialogo con la letteratura generalista sul tema, ambisce a mettere in luce la pertinenza teorica e politico-sociale dell’impiego di prospettive di genere e intersezionali nell’interpretare il bullismo tra ragazze adolescenti. Sulla base della ricerca nazionale Il bullismo femminile a scuola. Un’indagine intersezionale mixed-method, condotta tra città di medie e grandi dimensioni del Nord, del Centro e del Sud Italia, il presente contributo offre un quadro teorico-analitico sulla realtà del bullismo femminile a scuola nel nostro Paese.

Keywords: Female Bullying; Gender Pedagogy; Gender Scripts; School Victimisation; Aggression Between Girls.

L’articolo è frutto del lavoro congiunto degli autori. Sono tuttavia attribuibili a Giuseppe Burgio: Introduzione, par. 1 e metà del par. 3; ad Antonia De Vita: par. 2 e metà del par. 3.

Gli studi sul bullismo, nati negli anni Settanta del secolo scorso, sono oggi molto numerosi e la consapevolezza di che cosa sia il bullismo è ormai socialmente diffusa (Menesini & Nocentini, 2015; Scierri & Batini, 2021). La letteratura scientifica in materia indica – per definire il bullismo – l’esistenza di forme di aggressione, prevaricazione e violenza, ripetute nel tempo da parte di uno o più coetanei su un compagno incapace di difendersi. Secondo Olweus, il bullismo è “una violenza fisica, verbale o psicologica ripetuta, che si protrae nel tempo, con uno squilibrio tra vittima e carnefice” (Olweus, 1998, p. 12), il bullo sceglie di solito la sua vittima tra quanti appaiono fisicamente e psicologicamente più deboli, e la perseguita con continuità, con pesanti conseguenze psicologiche, emotive e relazionali. Sharp e Smith, ancora, definiscono il bullismo come “un tipo di azione che mira deliberatamente a fare del male o danneggiare; spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi e persino per anni ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime. Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori c’è un abuso di potere e un desiderio di intimidire e dominare” (Sharp & Smith, 1995, p. 11). Mutuato dal termine inglese – ormai internazionalmente adottato – bullying (che in realtà significa “fare delle prepotenze”), il bullismo si dispiega “all’interno di realtà di gruppo, quali la scuola o i punti di aggregazione infantili e adolescenziali” (Occhini, 2014, p. 210). Il fenomeno viene descritto come complesso, multisfaccettato e mutevole ma sempre caratterizzato dall’asimmetria di potere, dalla sua persistenza e da una precisa intenzionalità (Olweus, 1994; 1998; Menesini, 2000). Gli attori interpretano due ruoli distinti: quello della vittima, che subisce la prevaricazione in condizioni di impotenza e fragilità, e quello del bullo, che agisce sull’altro attraverso il dominio. Secondo Volturo (2011, p. 82), il bullo e la vittima, che possono anche essere i catalizzatori degli atti di bullismo, sono però sempre circondati da altre figure. Il bullismo insomma non coinvolge solo l’autore e la vittima, ma crea una complessa dinamica relazionale.

Va subito chiarito che queste azioni non devono essere confuse con atti aggressivi attribuibili a “particolari forme di alterazione del comportamento che rientrano a pieno titolo nelle forme classificabili di alterazione della condotta e/o come patologie vere e proprie […] [perché queste ultime non presentano] i criteri distintivi dell’atto di bullismo: la ripetitività e la persistenza temporale” (Occhini, 2014, pp. 211-217). Formella e Ricci (2011), ancora, mettono in guardia dall’errore che si può commettere confondendo il bullismo con i disturbi di tipo psicopatologico dell’età evolutiva o con la normale e sana conflittualità tra coetanei, poiché presenta caratteristiche di intenzionalità che lo rendono differente dalle manifestazioni patologiche. Questa consapevolezza ci allontana dalle interpretazioni che si concentrano sul mondo psicologico interiore del bullo, dirigendoci verso una descrizione del bullismo come strumento che viene utilizzato nei processi relazionali di inclusione ed esclusione.

Recenti studi dimostrano quanto nel nostro Paese il fenomeno del bullismo tocchi una porzione di studenti che varia tra il 5 e il 25% (Menesini & Salmivalli, 2017). L’età incide sulle diverse manifestazioni di sopraffazione mostrando come ad esempio con l’avanzare dell’adolescenza si passi più frequentemente a forme di aggressione indiretta e relazionale (Rivers & Smith, 1994). Un recente studio condotto nella Regione Umbria nel 2020 ha rilevato che il 14,7% degli studenti delle classi III e il 5,8% delle classi V della secondaria di II grado si dichiara esplicitamente vittima di bullismo, evidenziando una forte differenza tra percentuale di vittime femminili (13,7%) e maschili (3,0%) (Scierri & Batini, 2021). In precedenza, l’ISTAT (2015) ha pubblicato un report che mostra dati ancor più allarmanti dove addirittura oltre il 50% del campione di 11-17enni intervistati dichiarava di aver subito negli ultimi 12 mesi almeno una volta “qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze”. E se il campo indagato dall’ISTAT è certo più vasto di quello relativo al bullismo, esso dà però l’idea di un clima scolastico tutt’altro che irenico.

Vittime del bullismo possono essere diverse categorie di bambini e ragazzi: stranieri, disabili, omosessuali, insomma quelli stigmatizzati dal gruppo dominante e, tra questi, naturalmente le ragazze, vittime della misoginia sociale. La difficoltà di individuare motivazioni chiare e univoche dell’aggressione è legata al fatto che questo fenomeno nasce da molti fattori (individuali, sociali, familiari e scolastici), la cui interazione funge da innesco per il bullismo, il quale può avere esiti anche gravissimi. Basti ricordare che i massacri scolastici negli Stati Uniti – a partire da Columbine – sono spesso il drammatico risultato di preesistenti episodi di bullismo (Gentry & Pickel, 2014, p. 1039). Inoltre, il bullismo tende a perpetuarsi nel tempo: il ruolo di chi subisce e quello di chi fa il bullo spesso rimangono costanti anche dopo la fine della scuola, alimentando in seguito il mobbing sul posto di lavoro e vari comportamenti antisociali, autodistruttivi o illegali (Fonzi, 1997, p. VIII).

Verbale, fisico, diretto, indiretto, relazionale. Sono tanti gli aggettivi usati per specificare il concetto di bullismo. Diretto è il tipo di aggressione che è pubblica e chiaramente tesa a far male: può essere verbale (come un insulto) o fisica (come un pugno). A queste, per lo più, ci riferiamo implicitamente parlando di bullismo. Indiretto è invece un tipo di comportamento nel quale il bullo cerca di infliggere sofferenza in modo da non esserne identificato come autore e, quindi, da non dover temere di esserne accusato. Un modo per raggiungere questo scopo è usare gli altri come veicolo per infliggere sofferenza in modo anonimo (Björkqvist, Lagerspetz & Kaukiainen, 1992, p. 118). Il bullismo relazionale (Crick & Grotpeter, 1995), infine, è definito come un comportamento teso a rovinare le relazioni sociali della vittima, escludendola dal gruppo e isolandola (Fox et al., 2014, p. 360).

Parlando di bullismo non ci si può poi esimere dal trattare anche il suo parente prossimo: il cyberbullismo. Attraverso la diffusione di messaggi e video, il cyberbullo (o i cyberbulli) molesta, umilia e degrada la vittima prescelta in vari modi: invio di messaggi d’odio (flaming), molestie ripetute (harassment), stalking online, diffamazione, falsa impersonificazione dell’identità virtuale della vittima, divulgazione pubblica di informazioni personali, intime o imbarazzanti del bersaglio (outing), tradimento affettivo (trickery), ostracismo, riprese con il cellulare e pubblicazione di scene di aggressione (cyberbashing), ecc.

La distanza fisica facilita l’attacco e l’anonimato fornito dalle tecnologie digitali rende il cyberbullismo più facile e sicuro per i bulli rispetto a quello in presenza. La sua insidiosità è dovuta al fatto che esso non è limitato all’ambiente e all’orario scolastico (Robson & Witenberg, 2013, p. 212), e, lasciando tracce sul web che non possono essere cancellate, continua a perseguitare gli stessi individui anche se cambiano scuola o quartiere. Nel cyberbullismo, spesso condotto in gruppo attraverso i social network, la responsabilità appare poi generalizzata, piuttosto che individuale, e i meccanismi inibitori dell’aggressione sono quindi più deboli rispetto al bullismo onlife. Potrebbe anche entrare in gioco una percezione falsata della realtà: i ragazzi – abituati alla virtualità aggressiva di alcuni videogiochi – sembrano vivere il cyberbullismo semplicemente come “divertimento”, percependolo come meno “serio” o “reale” del bullismo in presenza (Robson & Witenberg, 2013, p. 225; Betts et al., 2017). Il bullismo digitale – tuttavia – risulta essere una mera evoluzione di quello in presenza, risultato di una profonda trasformazione sociale: il crescente fenomeno della nascita di relazioni amicali online che si affiancano a quelle tradizionali. La distinzione tra bullismo onlife e bullismo online è però stata posta da noi adulti che, non essendo nativi digitali, mal comprendiamo il vissuto delle/degli adolescenti, i quali, senza soluzione di continuità, attraversano continuamente i confini tra i due ambiti, intersecandoli. Per adolescenti che sono costantemente connesse/i e che utilizzano forme digitali di interazione anche in situazioni sociali in cui tutte le parti sono fisicamente presenti, il valore di questa distinzione teorica è, forse, da relativizzare. Anche il cyberbullismo deve allora essere interpretato nel contesto delle dinamiche di gruppo che abbiamo descritto sopra come necessarie per comprendere il bullismo tradizionale.

Riguardo al tema del (cyber)bullismo, di solito la letteratura si concentra – infine – sui contributi teorici ed empirici provenienti dal Nord Europa o dal Nord America. La ragione di questo orientamento è duplice: da un lato, è in questi contesti che i contributi accademici sono stati maggiormente sviluppati (a cominciare dagli studi pioneristici di Olweus, 1994; Sharp & Smith, 1995; Smith, 2004; Rigby, 2007); dall’altro, l’inglese rimane la lingua predominante nel mondo accademico. Accettando, quindi, le critiche formulate dalle epistemologie del Sud (De Sousa Santos, 2011), il presente articolo prende in considerazione anche fonti di ricerca di Paesi che si collocano fuori dal logos eurocentrico, in cui si parla – in particolare – lo spagnolo e il portoghese. Questa scelta è avvalorata anche dalla matrice linguistica latina, che avvicina l’Italia a Paesi con cui condividiamo anche un’impronta storica e religiosa (Santos, 2013; Gusmano, 2018).

1 Le caratteristiche del bullismo

Un primo importante elemento che caratterizza il bullismo è che si tratta di un fenomeno sociale, in un triplice senso: 1) si svolge in un teatro sociale, in un contesto pubblico; 2) spesso si dispiega in gruppo (Emler & Reicher, 2000, pp. 12-3); e 3) nasce e si sviluppa all’interno delle relazioni sociali tra i pari (Novara & Regoliosi, 2007).

Durante infanzia e adolescenza, la definizione della propria collocazione nella società è uno dei compiti di sviluppo fondamentali e ognuna/o trae dalla rete relazionale gli strumenti per definire la propria posizione nella gerarchia sociale e negoziare la propria reputazione (Emler & Reicher, 2000, p. 18). Il gruppo dei pari è il contesto a cui ci si rivolge per individuare i modelli cui fare riferimento, sulla base della condivisione di un vasto orizzonte valoriale, che comprende le condotte morali, amicali, sentimentali… A ciò si aggiunge poi con l’adolescenza una particolare connotazione che nasce dalle trasformazioni associate dalla pubertà (Batini, 2011; Darbo, Buccoliero & Costantini, 2002), dove la corporeità sessuata e la sua espressione pubblica sembrano essere una delle principali preoccupazioni di ragazze e ragazzi. Infatti, è anche per ottenere il riconoscimento e l’approvazione da parte del gruppo che l’adolescente usa il corpo come mezzo per esprimere ambizioni e vocazioni personali – attraverso l’abbigliamento, la postura, l’uso di gioielli, piercing, tatuaggi (o la scelta di non usarli) – e allo stesso tempo come criterio discriminante per determinare chi fa parte del gruppo e chi no, cosa è considerabile parte di “noi” e ciò che è irrimediabilmente “altro”. Il corpo e la sua messa in scena in relazioni di vittimizzazione – attraverso l’uso della violenza verbale e fisica – sta quindi al centro delle dinamiche di cui parliamo. Il bullismo in adolescenza ha quindi dinamiche peculiari che lo differenziano da quello ambientato nella socialità infantile. E la caratterizzazione “gruppale” dell’adolescenza non può non essere coinvolta nelle dinamiche bullistiche.

La connotazione relazionale del bullismo è confermata anche dal fatto che i bulli tendono a prendere di mira vittime della stessa età e della stessa classe, cioè coetanei con cui trascorrono molto tempo insieme, piuttosto che estranei incontrati casualmente. Denominata “ostilità orizzontale” si verifica quando i membri dello stesso gruppo di pari – che godono per questo di un privilegio reputazionale che prima non avevano e che sentono di poter perdere – non sono attivamente solidali con la vittima. Attraverso questa inazione, il gruppo dei pari (anche se non coinvolto come bullo o vittima) perpetua di fatto l’oppressione, diventandone complice (SooHoo, 2009).

È inoltre importante il fatto che il bullismo avvenga a scuola e non in altri contesti. La scuola non è infatti solo il teatro dell’interazione dei ragazzi, ma anche un luogo centrale di produzione di tale interazione. Le dinamiche di gruppo e i fenomeni di costruzione della reputazione tra pari devono quindi essere esaminati alla luce di questo contesto specifico, che è oggi l’unico ambito della nostra società in cui i ragazzi possono trovarsi per molte ore al giorno in mezzo a centinaia di coetanei. All’interno della socialità tra pari, quel fenomeno (certamente complesso e articolato) che è il bullismo sembra avere uno scopo ben definito: contribuire a stabilire delle gerarchie. Questo meccanismo può essere descritto come un gioco a somma zero, per cui – per garantire il proprio diritto al riconoscimento e al rispetto – è necessario privare altri dello stesso diritto. Ciò contribuisce a spiegare il fatto – a prima vista incomprensibile – che non meno dell’85% dei casi di vittimizzazione avviene in presenza di coetanei (Menesini, 2000, p. 42). In altre parole, i bulli (che trarrebbero vantaggio dal nascondere le loro azioni, evitando così possibili sanzioni disciplinari) hanno bisogno di un pubblico, in modo che la sofferenza che causano si trasformi in un aumento del proprio prestigio. Insomma, il contesto dei pari sembra necessario alle dinamiche del bullismo e gli “altri” (quelli che non possiamo chiamare perpetratori o vittime) sembrano essere coinvolti nella quasi totalità degli episodi: come partecipanti attivi, come osservatori o come mediatori (Espelage, Holt & Henkel, 2003, p. 217).

Data questa strutturazione sociale, non sorprende che il bullismo abbia un forte carattere normativo: “le vittime dei comportamenti bullistici sono frequentemente coloro che si differenziano dai loro pari. Se essere ‘normali’ significa essere capaci di giocare a calcio o a un altro gioco particolare, allora quelli che non sanno o che non vogliono giocare diventano potenziali vittime di comportamenti bullistici” (Sharp & Smith, 1995, p. 145). Al di là dell’esempio “minimo” del non saper giocare a calcio, qualsiasi deviazione dalla norma costituisce un fattore di rischio potenziale, che aumenta al crescere del grado di “diversità” percepita: per fare solo qualche esempio, i ragazzi con disabilità hanno una probabilità 2-3 volte maggiore dei compagni di essere vittimizzati (AERA, 2013, p. 15; Menesini, 2003, p. 13); ricorda poi di aver subito atti di bullismo a scuola l’82% degli adulti balbuzienti (Smith & Monks, 2002, p. 29); e il bullismo risulta colpire più duramente le minoranze razziali (AERA, 2013, p. 18) o gli studenti omo-bisessuali o non conformi al genere ascritto alla nascita (Burgio 2012; 2014; 2019; 2021). Far parte di gruppi svantaggiati, minoritari, stigmatizzati o “diversi” – per qualsiasi motivo – rende, cioè, gli studenti potenzialmente più vulnerabili (Attawell, 2012, p. 13). Il bullismo tende così a riprodurre quelle gerarchie che, nella più vasta società, sfavoriscono alcuni soggetti avvantaggiando altri. Esso insomma, mentre crea gerarchie tra coetanei, costruisce i principi normativi che giustificano tale gerarchizzazione.

Il bullismo tende così a riprodurre quelle gerarchie che, nella più vasta società, sfavoriscono alcuni soggetti avvantaggiando altri. Al contempo, mentre crea gerarchie tra coetanei, rafforza nella società quei principi normativi che giustificano tale gerarchizzazione. Da questo punto di vista si può interpretare la differenziazione di genere che si mostra chiaramente in tutt’Europa: la percentuale di ragazzi coinvolti nel bullismo è infatti più alta delle ragazze nella maggior parte dei paesi ma, se i ragazzi riportano di vittimizzare più delle ragazze, queste ultime vengono vittimizzate più di quanto succede ai ragazzi (Downes & Cefai, 2016, pp. 6, 85). Gli studi hanno mostrato poi come – tanto gli adulti quanto i bambini – percepiscano in modo diverso le aggressioni, a seconda che siano perpetrate da maschi o da femmine: quelle maschili sono percepite come più violente e la vittimizzazione delle ragazze è considerata più negativamente di quella dei maschi (Fox et al., 2014, pp. 359-360), secondo una versione stereotipata delle differenze di genere. Tuttavia, la concezione sociale che i ragazzi siano più aggressivi delle ragazze porta inconsciamente molte/i a relativizzare, a considerare normale, strutturale, l’aggressione maschile e a considerare con stupore la gravità del bullismo femminile di tipo diretto: l’attacco tra due ragazze appare, così, meno “naturale” di quello tra due maschi (Fox et al., 2014, p. 366).

2 Il bullismo femminile

Nel contesto di un’attenzione ormai costante al tema del bullismo, da qualche anno i media si occupano molto anche dell’aggressività delle ragazze. Tuttavia, a fronte di una crescente preoccupazione sociale, la produzione scientifica su questo tema è ancora scarsa, sia nel panorama internazionale sia – in modo particolarmente evidente – nel nostro Paese. A differenza di quanto avviene solitamente nelle pubblicazioni sul bullismo in generale, questo contributo si concentra sul bullismo femminile non differenziando il fenomeno in base all’ambito di dispiegamento (scolastico, extrascolastico, carcerario, ecc.), agli ambienti sociali o i contesti etnoculturali di provenienza, o alla condizione personale (di tipo psicologico, relazionale, ecc.), adottando una precisa lente analitica basata sulla pedagogia di genere.

Le evidenze scientifiche disponibili (Duncan, 2012; Mavin, Grandy & Williams, 2014) mostrano infatti come anche il bullismo femminile sia essenzialmente un fenomeno intra-genere. L’ipotesi teorica che ha ispirato queste pagine interpreta questo tipo di bullismo (e cyberbullismo) come un’arena in cui diversi modelli di “femminilità” sono messi a confronto nelle relazioni tra ragazze, al punto che potremmo considerare questo confronto con le norme di genere come uno dei fondamentali fattori scatenanti il bullismo femminile. Viene quindi adottata una prospettiva di genere, che è sembrata quella potenzialmente più utile nell’analisi di un tipo di bullismo che è definito e caratterizzato proprio dal genere della persona che lo agisce: adolescenti femmine cisgender. Questa prospettiva può permettere di evitare due rischi epistemologici complementari. Il primo è che il bullismo venga studiato, come avvenuto troppo spesso in passato, con approcci universalistici che – al riparo di una finta neutralità – privilegino di fatto l’analisi di quello maschile (Downes & Cefai, 2016, p. 40). L’altro è che il bullismo al femminile venga studiato come una forma “debole”, “sbiadita” di quello maschile, sulla base del fatto che il concentrarsi dell’analisi scientifica sulle forme più violente ed esplicite di bullismo possa invisibilizzare quello agito dalle ragazze, considerato meno problematico di quello dei ragazzi. Adottando una lente di genere, si fornisce invece un’ipotesi interpretativa del (cyber)bullismo femminile come arena in cui si confrontano/scontrano modelli differenti di “femminilità”, quasi una messa in scena della normatività sociale relativa al genere. La violenza bullistica infatti non è solo diretta contro la vittima, ma ha anche una finalità “educativa” nei confronti delle/degli astanti (che abbiamo visto sempre necessari/e). Il bullismo femminile codifica cioè precisi rapporti di potere all’interno del gruppo delle ragazze e, al contempo, ha una funzione “educativa”: insegna, attraverso la violenza e l’esclusione, le norme che regolano l’appartenenza al gruppo, fondate su un criterio rigido di femminilità “corretta”. Il fatto che le varie forme di bullismo perpetrate dalle ragazze siano inconsapevolmente dirette a generare un contesto relazionale condizionato da un concetto specifico di cosa significhi essere donna (che sia il più vicino possibile all’ideale della bulla e che quindi la rassicuri sulla sua “normalità”) le colloca nel dominio della pedagogia. Il bullismo costituisce insomma – è la nostra posizione – una pedagogia nera finalizzata a controllare non solo il comportamento ma l’essere stesso delle altre.

Rispetto al bullismo maschile, quello femminile è però un tema ancora poco analizzato dalla ricerca scientifica, per diversi motivi. La vittimizzazione tra ragazze è difficile da individuare; di frequente non viene identificata né dalle/dagli insegnanti né dalle famiglie, poiché è un fenomeno particolarmente complesso, composto da molteplici elementi (De Vita, 2018; 2021; De Vita & Vittori, 2021; 2022), frutto di interazioni articolate, trasversali e a più dimensioni: analitiche, sociali, interpersonali e intrapersonali. La letteratura scientifica ha però individuato alcune caratteristiche precise, evidenziando come il bullismo delle ragazze abbia una dinamica diversa da quello dei ragazzi.

In tutti i Paesi, sembra che i bulli siano prevalentemente maschi (Marini & Mameli, 1999, p. 40 e segg.) e che usino il bullismo contro entrambi i sessi, mentre le ragazze si rivolgono principalmente contro le altre femmine (Nigris, 2002, p. 94). I ragazzi tendono a ricorrere a forme dirette di bullismo, soprattutto alla violenza fisica (Sharp & Smith, 1995, p. 14), sono generalmente più aggressivi delle ragazze, usano intenzionalmente la forza per infliggere dolore (Baldry, 1997, p. 152; 2001, p. 209) e scelgono metodi tesi a causare il maggior danno possibile (Smith & Monks, 2002, p. 21). Ciò appare coerente con lo stereotipo maschile della forza e della virilità, dal momento che i modelli vincolati alla maschilità spesso giustificano l’uso della violenza, a differenza di quanto accade per i modelli femminili, che in genere rifiutano l’associazione con ogni forma di violenza.

Andando più nello specifico: se i maschi hanno molte più probabilità delle ragazze di perpetrare aggressioni dirette, sia fisiche sia verbali (Viljoen, O’Neill & Sidhu, 2005, pp. 523-524), il divario di genere a vantaggio dei maschi è per le aggressioni fisiche più evidente che per quelle verbali (Robson & Witenberg, 2013, p. 226). Le ragazze usano in maniera sensibilmente minore dei maschi il furto e gli abusi verbali e fisici di natura sessuale (Viljoen, O’Neill & Sidhu, 2005, p. 531). Tuttavia, se poniamo il nostro focus sul bullismo relazionale, le ragazze mostrano un grado di coinvolgimento più alto dei ragazzi (Robson & Witenberg, 2013, p. 216). Il bullismo femminile appare cioè per lo più di tipo indiretto/relazionale. I comportamenti che lo definiscono includono: spettegolare sulla vittima quando non è presente, rendere note le sue confidenze, usare soprannomi in riferimento alla vittima (che così non può dimostrare di essere l’oggetto del pettegolezzo), escluderla dalle attività di gruppo, inviarle messaggi anonimi, voltarle le spalle quando si avvicina, lanciarle sguardi malevoli, cambiare bruscamente argomento in sua presenza in modo che non possa partecipare, usare insulti o soprannomi per umiliarla in pubblico, cercare di “rubarle” amici o fidanzati, rimproverarla duramente per difetti percepiti, ecc. (Catanzaro, 2011, p. 87). Le occasioni dell’aggressione possono essere diverse: dalla competizione relativa all’avvenenza fisica a quella per i voti scolastici, dalla frustrazione che si trasforma in rabbia deviata verso la vittima alla gelosia (o invidia) sentimentale, dal desiderio di leadership nel gruppo al bisogno di popolarità, ecc.

La dimensione dell’invidia, della gelosia e della competizione, sono tra i moventi più significativi che spingono le ragazze a bullizzare le proprie simili. In uno studio dedicato a indagare la competizione tra ragazze e le dinamiche di manipolazione relative alla “reputazione” (Reynolds, Baumeister & Maner, 2018), emergono le strategie adottate per screditare le ragazze considerate concorrenti dal punto di vista sentimentale rispetto ai ragazzi del gruppo. Si tratta di strategie invisibili, sottili, spesso subdole, frutto di processi manipolativi nelle relazioni interpersonali. Diffondere maldicenze tese a screditare la rivale in amore o distruggere con dicerie la sua popolarità (e quindi le sue chance sentimentali) rappresentano le principali azioni manipolatorie delle bulle che, con la competizione e con l’aggressione verso un’altra ragazza, tentano di distruggerne l’autostima e la popolarità. Attaccando le relazioni sociali delle rivali attraverso la diffusione di informazioni selezionate ad arte per danneggiare la reputazione, si indeboliscono quelle ragazze con le quali le bulle sono in competizione. La ricerca citata fa emergere quanto poco sappiamo circa queste dinamiche e i meccanismi specifici della competizione intra-genere femminile sebbene ampiamente rilevate nell’esperienza comune. Forse una secolare condizione di vittimizzzazione femminile orienta o spinge le donne a uscire dalla condizione di “vittime” mediante la sopraffazione di una propria simile anziché con la solidarietà e con una comune, positiva costruzione di alternative.

Schematizzando, potremmo dire che le ragioni dei conflitti tra le ragazze riguardano più aree considerate prioritarie all’interno del gruppo delle pari:

  • la difesa del prestigio personale, cioè della posizione nella gerarchia del gruppo, anche attraverso la squalificazione sociale (legata cioè alle condizioni socioeconomiche), fisica (legata agli standard estetici) o morale (legata alla sfera sessuale) delle avversarie;

  • l’attirare l’attenzione dei ragazzi, cui in adolescenza è attribuito un valore centrale, legato alla posizione occupata dalle ragazze eterosessuali nella scala della popolarità;

  • la rivalità o l’invidia, che riflettono le relazioni competitive e gerarchiche osservate tra le adolescenti;

  • il riparare al tradimento della fiducia, dato che l’amicizia è un riferimento etico essenziale in questa fase della vita (Mejía-Hernández & Weiss, 2011; Gusmano, 2018).

Nessuna di queste cause finali sembra però necessaria o sufficiente, poiché tali occasioni non producono la prepotenza che, sviluppandosi nelle dinamiche sociali e a partire da bisogni relazionali complessi, troverebbe comunque un altro pretesto per manifestarsi.

La “specializzazione” indiretta/relazionale che la letteratura descrive per il bullismo femminile può avere diverse cause. In primo luogo, nelle nostre società gli adulti insegnano alle ragazze a essere dolci e premurose, il che può costringerle a esprimere la loro aggressività in modi ambigui e meno evidenti. Nel bullismo indiretto/relazionale, poi, devono essere coinvolte altre persone che formano la micro-società di riferimento, per cui è necessaria una conoscenza approfondita delle reti di relazioni interpersonali esistenti, nonché una sottile capacità di manipolazione (Catanzaro, 2011, p. 91) e lo sviluppo anticipato delle ragazze le dota di competenze sociali e comunicative migliori dei ragazzi. Le bulle, poi, non presentano in genere quei problemi comportamentali che si associano a molti ragazzi aggressivi: sono relazionalmente competenti, capiscono a fondo le dinamiche sociali e usano strumentalmente l’aggressività per aumentare il proprio status tra i coetanei (Catanzaro, 2011, p. 84). Le ragazze che si dedicano al bullismo relazionale sono infatti benvolute dai loro coetanei, mentre nel caso di aggressione fisica, vengono evitate maggiormente rispetto ai maschi (Fox et al., 2014, p. 361).

Ancora un punto che va ricordato è che – come abbiamo anticipato – il bullismo femminile è principalmente un fenomeno intra-genere, nel quale le ragazze attaccano altre ragazze. Le adolescenti hanno maggiori probabilità di essere vittime di bullismo relazionale da parte di un’altra ragazza (Schlieper, 2012, p. 31) e la ricerca dimostra che il bullismo è una forma di aggressione attiva (piuttosto che reattiva), cioè guidata verso un obiettivo, attraverso la pianificazione (Ireland, Archer & Power, 2007, p. 222). È quindi ancora all’interno della socialità delle ragazze e delle complesse relazioni che la attraversano che le molestie relazionali devono essere interpretate, dato che svolgono contemporaneamente la duplice funzione di 1) mostrare e rafforzare i legami tra i membri del gruppo e 2) porsi a distanza rispetto agli altri (Brock et al., 2014, p. 528). Le ragazze “diverse” sono infatti – come abbiamo visto – più esposte alla vittimizzazione, per motivi quali il colore della pelle, le caratteristiche cognitive, le caratteristiche del corpo, i vestiti che indossano, la classe sociale di appartenenza… In altre parole, anche il bullismo femminile funziona per stabilire, mantenere e perpetuare le gerarchie all’interno del gruppo, definendo chi è “in” e chi “out” (Catanzaro, 2011, pp. 88-89). Potremmo allora dire che il bullismo femminile è definito dalla normatività di genere in quanto esprime regole sociali comuni (sanzionandone le violazioni) in relazione a un’ideologia della “normalità” in cui un modello, inesistente nella realtà ma prescrittivo (la femminilità corretta) diventa descrittivo di ciò che è socialmente accettabile. In altre parole, intendiamo proporre l’ipotesi euristica che le molestie relazionali tra ragazze siano interne alle dinamiche di rivalità intra-femminile, rispetto alle quali gli attacchi alla reputazione sociale di una ragazza sarebbero funzionali e intenzionali (Artz, 2005).

L’aggressione indiretta/relazionale ha effetti traumatici di perdita di autostima che colpiscono più le ragazze che i ragazzi che ne sono vittime (Catanzaro, 2011, p. 85). Tuttavia, il bullismo relazionale, inteso come una forma di gerarchizzazione tra ragazze sulla base del modello ideale di femminilità identificato come corretto dal gruppo, non consente necessariamente una stabilità dei ruoli. Sono quindi perfettamente concepibili una competizione dinamica e una struttura gerarchica fluida, in cui chi assume il ruolo dominante in un periodo può essere costretto al ruolo di vittima in un altro, attraverso alleanze mutevoli, scismi e riconciliazioni, nel panorama di una pluralità di gruppi che si scontrano all’interno della compagine relazionale. Il cambiamento di ruolo (da vittima a bulla e viceversa) potrebbe anche riflettere una pluralità di modelli di genere in competizione, prodotti da una società in profonda trasformazione e in relazione al percorso di crescita delle ragazze, con la conseguente mutazione dei loro modelli di riferimento.

La tradizionale caratterizzazione indiretta/relazionale del bullismo femminile è però stata criticata da alcuni studi. Sulla base dei dati forniti dalla ricerca, un’ipotesi convincente è che tale bullismo non possa essere caratterizzato come femminile (anche se il bullismo femminile è spesso descritto come tale). Questa ipotesi è supportata ad esempio dalla ricerca di Card et al. (2008), una meta-analisi che ha preso in considerazione le ricerche precedenti. Nel loro articolo si dice che, nonostante l’aspettativa teorica che le ragazze si impegnino maggiormente nell’aggressione indiretta/relazionale rispetto ai ragazzi, la letteratura che documenta tali differenze di genere è incoerente e ci si chiede quindi perché l’idea errata che le ragazze siano maggiormente coinvolte nel bullismo indiretto rispetto ai ragazzi continui a essere prevalente. Se consideriamo infatti i contesti di ricerca non occidentali, sembra che l’affermazione secondo cui il bullismo femminile sia meno violento di quello maschile rifletta le concezioni etnocentriche della nostra ricerca accademica: esplorando altri riferimenti scientifici, si scopre che i contesti sociali più violenti mostrano minori differenze quantitative nelle aggressioni fisiche commesse da ragazzi o ragazze, dato che la violenza è uno strumento che viene utilizzato soprattutto quando se ne vedono i benefici in termini di prestigio e popolarità. Si potrebbe quindi pensare che in contesti in cui la violenza legittimata assume forme più sottili, anche le molestie femminili assumano forme più sottili (Gusmano, 2018). L’aggressione indiretta /relazionale può essere invece vista come una forma di bullismo in cui ragazzi e ragazze si impegnano in egual misura (a differenza dell’aggressione diretta) e si afferma quindi “che il modello generale nell’uso di aggressione indiretta sia di somiglianze piuttosto che di differenze tra maschi e femmine. Questa conclusione solleva interrogativi sul perché l’errata percezione che le ragazze siano più indirettamente aggressive dei ragazzi sia così pervasiva. […] Più in generale, le nostre conclusioni sulle somiglianze di genere nelle aggressioni indirette supporta le ragioni/l’argomento che studiare l’aggressione in entrambi i generi, invece che focalizzarsi esclusivamente sui ragazzi, sia un importante sforzo” (Card et al., 2008, p. 1204, trad. nostra). Alcuni studi sostengono poi che neppure la categoria di bullismo renda giustizia alla specificità della vittimizzazione scolastica vissuta dalle ragazze, che costituirebbe invece una più specifica forma di vittimizzazione di genere (Meyer, 2008; Bortolami, 2018).

La specificità del bullismo femminile non risiederebbe infatti tanto nella forma che esso assume, ma nella particolare posizione della bulla rispetto alle norme di genere, con cui deve fare i conti, risultando però sempre perdente, in un modo o nell’altro (Bortolami, 2018). La violenza tra ragazze può allora riflettere alcune pratiche di vittimizzazione presenti nella società e adottate anche dai soggetti femminili.

La prima pratica, e probabilmente la più esemplare, è infatti quella del cosiddetto whore stigma, l’insulto sessista che consiste nella stigmatizzazione del comportamento sessuale libero di una ragazza (considerato deviante), spesso praticato anche da ragazze giovani e giovanissime (oltre che, ovviamente, da ragazzi e uomini di ogni età). Insultare altre ragazze in modo sessista per ottenere l’approvazione maschile, che immancabilmente ne deriva, serve anche per rafforzare l’appartenenza al gruppo dei/delle pari, posizionandosi in un ruolo di prestigio. Lo slut-shaming può cioè essere visto come un atto che esprime la distanza tra chi agisce la vessazione e la vittima, all’interno di una rappresentazione sessista interiorizzata del genere femminile (Bortolami, 2018). Mentre un ragazzo dice dell’altro e dell’altra da una posizione – se non reale, almeno potenziale – di egemonia sociale (quella del maschio, eterosessuale, bianco, sano…), la ragazza che bullizza non può che percepire la sua vicinanza all’altra bullizzata: se la vittima è o viene percepita come brutta, è la personificazione stessa del rischio, sempre reale per un’adolescente, di non essere apprezzata dagli altri dal punto di vista estetico; se l’altra è intelligente e capace, non segue il copione che l’eteronormatività le impone (devi essere brava a scuola, ma non devi farti notare); se fa sesso è una “puttana” e se non lo fa è una “gattamorta”. Da qui una tassonomia complessa, che però non è strutturata sulla base di criteri coerenti: da un lato, il femminile è l’inferiore, per cui essere pienamente “femmine” significa essere pienamente sottomesse, sfruttabili, rinunciare all’autorità, ecc.; dall’altro, non essere pienamente “femmine”, cioè non presentare tratti adeguatamente femminili (qualunque cosa significhi nel contesto di riferimento), condanna a occupare posizioni ancora più subalterne (Schippers, 2007). Ovviamente, i modelli di femminilità, e le tassonomie che essi implicano, possono declinarsi nei modi più diversi, anche a seconda delle culture, e delle classi sociali.

Il successo nell’accedere a una posizione di “femminilità egemonica” (Schippers, 2007) sembra insomma giocarsi per una ragazza non tanto sull’adesione a un singolo, preciso modello, quanto sulla capacità di prendere le distanze dal soggetto considerato deviante da tale modello (sia essa la puttana, la lesbica, la “figa-di-legno”): più efficaci sono le sue strategie di distanziamento, più riconoscimento può sperare di ottenere. Tale strutturazione socioculturale ha degli effetti sull’autostima delle ragazze: gli stereotipi di bellezza costituiscono ad esempio una forte pressione sociale sulle ragazze, che vengono spesso vittimizzate – da uomini e donne – proprio in relazione all’aspetto fisico. Inoltre, l’autostima delle ragazze sembra dipendere dal riconoscimento della rete sociale, mentre quella dei ragazzi è più orientata al raggiungimento dei propri obiettivi, anche nella competizione e nello sport (Bandeira & Hutz, 2010). Infine, dati quantitativi raccolti in Brasile mostrano che i ragazzi si sentono tre volte più sicuri di sé, belli e magri rispetto alle ragazze, che si sentono meno socievoli e due volte più brutte dei ragazzi. I modelli presentati ancora oggi alle bambine e alle ragazze non solo oscillano tra i tradizionali stereotipi (la fata, la strega, etc.), ma oggettivizzano il corpo femminile e svalutano le donne che, di fatto, non possono che scegliere ancora tra la figura della prostituta e quella della moglie (De Vita, 2018).

Un pattern importante nei comportamenti delle bulle riguarda infatti proprio la corporeità: il territorio più fecondo sul quale le relazioni di dominio esercitate dalle ragazze insistono. Una storia millenaria ha educato e formato le donne a costruire la propria identità sulla bellezza e sull’esercizio dell’attrattività fisica verso l’altro sesso, generando così una rivalità strutturale tra donne. Il bullismo femminile, nel colpire le proprie simili, perpetua questo modello centrato sull’egemonia del maschile, mina l’autostima delle ragazze che sono vittime e, in generale, distrugge le relazioni tra simili. Esprimere una cattiveria sotto forma di sottile insulto sul corpo è un modo per la bulla per spiccare nel gruppo delle pari, a patto che si instaurino vere e proprie relazioni di dominio sulle persone più fragili, meno forti dal punto di vista sociale, o comunque, più vulnerabili. È un modo come un altro quindi per continuare ad affermare un modello di femminilità a complemento del maschile, una femminilità che resta etero-costruita, tesa a mantenere inalterati gli equilibri tra adolescenti e relegare le ragazze nuovamente subalterne ai loro coetanei. Così per le adolescenti bulle e bullizzate la loro condizione di corpi in cambiamento si riduce ad anticamera di ciò che le aspetta nella vita da adulte, come se quell’età incerta altro non fosse che un tirocinio formativo, un’iniziazione alle relazioni escludenti, discriminatorie e prevaricatorie della società contemporanea strutturalmente concepita proprio sulle disuguaglianze sociali, economiche e culturali. E tutto questo mosso da una continua relazione dialettica tra la forza e la fragilità delle attrici e degli attori coinvolti in queste relazioni.

Grazie al lavoro teorico femminista degli ultimi cinquant’anni, siamo molto più consapevoli di quanto la cultura patriarcale abbia “educato-addestrato” le donne sin dall’infanzia ad identificarsi come soggetto debole, vulnerabile, le cui virtù sono quelle della dolcezza, della passività, della remissività, senza spazi per esprimere costruttivamente rabbia, conflitto, aggressività: quel repertorio di pulsioni negative disponibile per gli uomini sin dalla più tenera età. L’estromissione di queste parti nella costruzione dei ruoli sociali per le donne ha reso più difficile e complesso l’esercizio del “negativo” nell’esperienza femminile (Diotima, 2005), l’altro lato del femminile, il suo lato oscuro. Il bullismo femminile è un ottimo esempio proprio di esercizio della “parte oscura delle relazioni tra donne” (De Vita, 2018), l’altro lato della solidarietà tra donne, della complicità, della sorellanza, dell’intensità emotiva che tra ragazze, soprattutto in adolescenza, si mette in gioco (Garandeau & Cillessen, 2006).

Come ben indagato dalla critica femminista (Rich, 1979) esiste una grammatica e un lessico delle relazioni tra donne che va da relazioni di complicità e alleanza a relazioni di violenza e distruttività. La grammatica e la semantica del “mondo comune delle donne” (Rich, 1979), presenta un lato creativo, luminoso e uno distruttivo, pieno di ombre. Il mondo comune delle donne è un intreccio complesso e articolato in cui troviamo mescolate solidarietà e sorellanza, competizione e distruttività, una contiguità ambivalente tra essere amiche ed essere nemiche. Il bullismo femminile fa deflagrare proprio questo tratto delle relazioni femminili, mostrando il difficile cammino che le ragazze hanno da percorrere per individuarsi come donne, nella tensione che comporta l’attraversamento di questa zona d’ombra delle relazioni femminili non prevista e regolata dal ruolo socialmente assegnato alle donne. La parziale invisibilità del bullismo femminile, così come del lesbismo o, più in generale, di tutto quel che riguarda le donne, ha proprio a che fare con gli “spazi della relazione come spazi privilegiati dalle donne”. Spazi pensati per restare residuali, ai margini, invisibili come il femminile stesso. Sappiamo infatti che, pur prevedendo anch’esso un pubblico, il bullismo attuato dalle ragazze si svolge in luoghi più nascosti o intimi come i gabinetti, gli spogliatoi, i corridoi poco frequentati, oltre che attraverso i cellulari. A questa minore visibilità, ci dicono i dati dell’Istat del 2019, corrisponde tuttavia una vittimizzazione più alta per le ragazze (9,9 %) rispetto a quella subita dai ragazzi (8,5 %). Possiamo comprendere meglio quali sono le ragioni storiche che hanno determinato “la specializzazione femminile” nell’aggressione relazionale (Occhini, 2010). Per secoli le donne si sono esercitare a esercitare potere, controllo e manipolazione nella sfera ristretta della casa e delle relazioni intime, delimitandola quindi come “un territorio delle donne” (De Vita, 2020).

3 La prima ricerca mixed-method in Italia

Gli studi pubblicati in Italia lamentano la quasi completa mancanza di ricerche empiriche e/o sperimentali che possano definire le dimensioni quantitative e qualitative del bullismo tra ragazze. La ricerca nazionale “Il bullismo femminile a scuola. Un’indagine intersezionale mixed-method” – coordinata dagli autori di questo saggio – cerca, almeno parzialmente, di colmare questa lacuna. L’indagine, attraverso un approccio che impieghi coerentemente metodologie qualitative e quantitative, intende giungere a una più profonda comprensione del bullismo femminile in una prospettiva di genere e intersezionale misurando l’incidenza del bullismo femminile in termini di frequenza nel Paese implementando la raccolta dati in alcune città del nord, del centro e del sud d’Italia, di grandi (Genova, Milano e Palermo) e di medie dimensioni (Verona, Arezzo, Perugia e Foggia) e coinvolgendo una popolazione scolastica il più possibile diversificata.

L’emergenza pandemica ha imposto la parziale riprogettazione del disegno di ricerca e ha indirizzato l’interesse del gruppo di ricerca verso metodologie di ricerca innovative per portare a termine la raccolta dati online e con modalità partecipative “Student’s Voice.” Il disegno di ricerca è stato approvato dal Comitato Etico dell’Università di Verona. La ricerca vede il coinvolgimento di unità di ricerca multidisciplinari di sei università italiane: Università di Verona (A. De Vita, F. Vittori, P. Dusi, M. G. Landuzzi, L. Ghirotto), Università di Enna “Kore” (G. Burgio, S. R. Emmanuele, S. Peroni, A. Di Lisi), Università di Perugia (F. Batini, I. D. M. Scierri), Università di Genova (A. Traverso, M. G. Gibellini), Università di Foggia (A. G. Lopez, R. Caso, A. Altamura, A. Disalvo), Università di Milano-Bicocca (S. Magaraggia, M. G. Gambardella, B. Fiore, A. Dordoni).

Lo studio ha tre obiettivi principali:

  1. una più profonda conoscenza del bullismo femminile attraverso la presa in considerazione – in una prospettiva di genere e intersezionale – delle dinamiche relazionali, delle rappresentazioni e dei comportamenti;

  2. una misurazione – in termini di frequenza e di intensità del fenomeno – dell’incidenza del bullismo, coinvolgendo ragazze/i di età compresa tra i 14 e i 16 anni;

  3. la costruzione di dispositivi di contrasto e prevenzione nelle scuole coinvolte e avvio di una campagna di sensibilizzazione attraverso i social media co-progettata con le adolescenti e le comunità scolastiche coinvolte nelle prime due fasi della ricerca in qualità di co-ricercatrici.

Il disegno di ricerca è suddiviso in tre fasi.

La prima fase (partita a ottobre 2020 e ora in corso di elaborazione dei dati) è consistita in un’indagine qualitativa basata su Focus Group, che inizialmente dovevano svolgersi in presenza. Data la contingenza causata dal COVID-19, è stato adottato lo strumento dei Web-Based Focus Group (Daniels et al., 2019), realizzati attraverso le piattaforme di meeting online (Zoom e Google Meet). La modifica di procedura è stata sottoposta a valutazione ed è stata approvata dal Comitato Etico dell’Università di Verona, Dipartimento di Scienze Umane.

I Web-Based Focus Group sono stati aperti da una video/photo elicitation (Copes et al., 2018), ovvero dalla richiesta alle partecipanti di presentare – in apertura d’intervista – contenuti digitali (foto, video e conversazioni online) da loro scelti per rappresentare il bullismo femminile, al fine di investigare i “copioni di genere” (Burgio, 2018) che vi erano messi in scena. Il gruppo di ricerca ha previsto inoltre di garantire alle partecipanti un digital safe space dove condividere esperienze dirette o indirette di bullismo femminile, attraverso quello che viene definito un digital diary (Ahlin & Li, 2019). La durata di ciascun Focus Group è stata di circa 2 ore. La partecipazione da parte delle studentesse è stata su base volontaria, previa presentazione della ricerca da parte delle/degli insegnanti e firma da parte dei genitori/tutori legali del modulo di consenso alla partecipazione alla ricerca. La traccia dei Focus Group ha previsto tre sezioni principali: Rappresentazioni del fenomeno: lo sguardo delle ragazze sul bullismo; I “copioni” di genere; Il “palcoscenico” del bullismo femminile. I Focus Group realizzati sono stati audio-registrati e trascritti con l’ausilio del software LiGRE, per quanto riguarda la trascrizione dei file audio e la codifica delle interviste stesse. Una volta codificati tutti i materiali testuali, grazie all’ausilio del software per l’analisi qualitativa NVivo 10 (e superiori), è stato impostato il trattamento dei dati e definite le categorie interpretative, utili a definire il fenomeno studiato. Ogni gruppo di ricerca locale ha analizzato la trascrizione di due focus group del gruppo di ricerca di un’altra città e, in riunioni online, è stata impostata la griglia interpretativa comune che servirà all’analisi che ciascun gruppo di ricerca condurrà sulla totalità dei Focus Group realizzati. In tutto, ne sono stati realizzati 10 a Palermo, 10 a Verona, 7 tra Perugia e Arezzo, 9 a Foggia, 6 a Genova, 8 a Milano per un totale di 50 focus group con una partecipazione media di circa 6 ragazze del biennio per un totale di 300.

La seconda fase della ricerca ha utilizzato uno strumento di ricerca quantitativa, ovvero la somministrazione online di un questionario alle studentesse e agli studenti del primo e del secondo anno di scuola secondaria di II grado. Il questionario scelto, “Indagine sul bullismo”, è già validato su scala internazionale (Swearer & Cary, 2003; Swearer et al.,2008). Rispetto a esso abbiamo stabilito come livello di confidenza il 95% e un intervallo di confidenza del 3% dell’intera popolazione scolastica per ciascuna città considerata. Il questionario (consistente in un modulo online costruito attraverso la piattaforma di Google Form) è stato somministrato (da aprile 2021 a dicembre 2021) direttamente dalle piattaforme che le scuole utilizzavano per la DaD. Lo strumento d’indagine, suddiviso in quattro sezioni, interroga le e gli studenti sulle loro esperienze con il bullismo e sui propri atteggiamenti nei confronti del fenomeno durante i 12 mesi precedenti la somministrazione. Contestualmente, è stato riadattato e sottoposto un secondo strumento di rilevazione, validato per lo studio del clima scolastico (Kosciw & Diaz, 2006). Per quanto riguarda i dati raccolti, l’analisi quantitativa verrà eseguita utilizzando il software IBM SPSS v.26.0 (e superiori). Le statistiche descrittive saranno ottenute con lo stesso SPSS. La matrice dei dati raccolti verrà analizzata in prima istanza a livello generale delle banche dati collezionate in ciascun contesto di studio per avere una fotografia generale della dimensione (stimata) del fenomeno nel nostro Paese. Dopodiché, ogni unità di ricerca locale provvederà a elaborare un’analisi più approfondita per incrociare gli elementi emersi dai Focus Group, con quanto rilevato dal questionario online. Globalmente, sono state raccolte 2481 risposte su una popolazione di riferimento corrispondente a 37.727 alunne/i di età compresa fra i 14-16 anni delle città di Verona, Arezzo, Perugia, Foggia e Palermo frequentanti il 1° e il 2° anno della scuola secondaria di secondo grado.

La terza fase (attualmente avviata solo dall’unità di Verona) impiega un approccio di tipo partecipativo e di ricerca-formazione finalizzato all’elaborazione di un modello educativo di contrasto al bullismo femminile, co-progettato con le comunità scolastiche (in particolare con le studentesse e con le/gli insegnanti già coinvolti nella Fase 1 (Focus Group). Essa si fonda su due azioni di ricerca:

Azione 1. co-progettare azioni di contrasto (peer-to-peer) con le studentesse e con le/gli insegnanti per migliorare il benessere a scuola. Questa azione di ricerca si articola al suo interno con due distinti percorsi di formazione-azione: a) con gruppi di ragazze (15-20 studenti max) e b) con gruppi di insegnanti (15-20 insegnanti max). Con entrambi i gruppi abbiamo impiegato due metodologie: 1. le 16 Attitudini: un metodo per la trasformazione positiva delle relazioni a partire dalla presa di coscienza del loro funzionamento; 2. il Teatro dell’Oppresso (Teatro Forum), orientato a individuare situazioni di oppressione superabili attraverso un’azione sociale che si riscrive e si mette in scena.

L’obiettivo generale di questa azione è migliorare il benessere scolastico in particolar modo delle studentesse e degli studenti e delle/gli insegnanti, accrescendo l’agency e la capacità di fronteggiare le criticità.

Azione 2: Co-progettare contenuti per i Toolkit e per la campagna social antibullismo. Questa azione di ricerca si articola al suo interno con due distinti percorsi di formazione-azione:

  1. co-progettare contenuti per realizzare due Toolkit con l’obiettivo di restituire alle comunità scolastiche che hanno partecipato al progetto i risultati di quanto elaborato nel percorso di co-progettazione di azioni di contrasto al bullismo (azione 1);

  2. co-progettare una campagna social antibullismo che incida sulla rappresentazione sociale del fenomeno e sull’auto-percezione delle bullizzate, delle bulle e del pubblico. L’obiettivo di questa azione è quella di contribuire alla modifica delle rappresentazioni del problema del bullismo femminile (e, indirettamente, maschile) attraverso una campagna di comunicazione ad hoc che si basi su contenuti individuati dalle studentesse che a vario titolo conoscono direttamente il problema.

Questa terza fase è stata avviata con il seminario “Il bullismo femminile a scuola. Co-progettare con le studentesse azioni di contrasto”, tenutosi il 3 giugno 2021 presso l’Università di Verona, che ha coinvolto cinque scuole della città di Verona partner del progetto e le altre cinque unità di ricerca delle Università di Enna “Kore”, Foggia, Perugia, Genova, Milano-Bicocca.

La terza fase si concentra sulla co-progettazione di azioni di contrasto con le studentesse e con le/gli insegnanti. Nell’intero progetto questa fase è la più originale sia dal punto di vista del disegno della ricerca sia dal punto di vista dell’utilità sociale.

Abbondano le iniziative informative e le azioni di contrasto al bullismo attivate in molte scuole italiane, tuttavia questi interventi sono spesso scarsamente efficaci poiché, in un certo senso, calate dall’alto. Infatti, la prospettiva nella quale vengono immaginate è sovente centrata sull’intervento da parte di figure adulte (genitori, insegnanti, dirigenti scolastici, psicologa/o scolastica) che mettono in atto azioni di contrasto. Nel nostro progetto l’intento è quello di entrare a scuola accompagnati dalle adolescenti e dalle/gli insegnanti negli spazi delle relazioni violente e con la comunità scolastiche per capire dove si aprono margini di intervento tra pari, per agire in situazione nel contesto in cui il bullismo tra ragazze si manifesta, lì dove le cose accadono, capacitando all’azione e all’intervento in particolare chi fa da pubblico della coppia bulla/bullizzata.

Riferimenti bibliografici

AERA – American Educational Research Association (eds.) (2013). Prevention of Bullying in Schools, Colleges, and Universities: Research Report and Recommendations. Washington, DC: American Educational Research Association.

Ahlin, T., & Li, F. (2019). From field sites to field events: Creating the field with information and communication technologies (ICTs). Medicine Anthropology Theory, 6(2), 1-24.

Artz, S. (2005). The development of aggressive behaviors among girls: Measurement issues, social functions, and differential trajectories. In D. J. Pepler, K. C. Madsen, C. Webster & Levene K. S. (eds.), The Development and Treatment of Girlhood Aggression (Chap. 6). Mahwah, NJ: Lawrence Erlbaum Associates.

Attawell, K. (ed). (2012). Education Sector Responses to Homophobic Bullying. Paris: Unesco.

Baldry, A. C. (1997). Bullismo a scuola e mediazione fra pari. In G. Pisapia & D. Antonucci (eds.), La sfida della mediazione. Padova: Cedam.

Baldry, A. C. (2001). Conflitti e bullismo a scuola. La mediazione scolastica come possibilità di risposta. In F. Scaparro (ed.), Il coraggio di mediare. Contesti, teorie e pratiche di risoluzioni alternative delle controversie. Milano: Guerini e Associati.

Bandeira, C. D. M., & Hutz, C. S. (2010). As implicações do bullying na auto-estima de adolescentes. Psicologia Escolar e Educacional, 14, 131-138.

Batini, F. (2011). Comprendere la differenza. Verso una pedagogia dell’identità sessuale. Roma: Armando.

Betts, L. R., Spenser, K. A., & Gardner, S. E. (2017). Adolescents’ involvement in cyber bullying and perceptions of school: The importance of perceived peer acceptance for female adolescents. Sex Roles: A Journal of Research, 77(7-8), 471-481.

Björkqvist, K., Lagerspetz K. M. J., & Kaukiainen, A. (1992). Do girls manipulate and boys fight? Developmental trends in regard to direct and indirect aggression. Aggressive Behavior, 18, 117-127.

Bortolami, V. (2018). Per una lettura antisessista del bullismo femminile. In G. Burgio (ed.), Comprendere il bullismo femminile. Milano: FrancoAngeli.

Brock, C. H., Oikonomidoy, E. M., Wulfing, K., Pennington, J. L., & Obenchain, K. M. (2014). “Mean girls” go to college: Exploring female-female relational bullying in an undergraduate Literacy methods course. Peace and Conflict: Journal of Peace Psychology, 20(4), 516-535.

Burgio, G. (2012). Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità. Milano-Udine: Mimesis.

Burgio, G. (2014). Genere, violenza e desideri in adolescenza. In B. Gusmano, & T. Mangarella (eds.), Di che genere sei? Prevenire il bullismo sessista e omotransfobico (pp. 11-28). Molfetta (Ba): La Meridiana.

Burgio, G. (2019). L’eteronormatività come orizzonte. Bullismo omofobico e maschilità in adolescenza. In F. Dello Preite (ed.), Femminicidio, violenza di genere e globalizzazione (pp. 55-68). Lecce: Pensa Multimedia.

Burgio, G. (2021). Attraverso il bullismo omofobico. Copioni di genere nell’adolescenza maschile. In F. Batini, & I. D. M. Scierri (eds.), In/sicurezza fra i banchi. Bullismo, omofobia e discriminazioni a scuola (pp. 133-150). Milano: FrancoAngeli.

Burgio, G. (ed.) (2018). Comprendere il bullismo femminile. Genere, dinamiche relazionali, rappresentazioni. Milano: FrancoAngeli.

Card, N. A., Stucky, B. D., Sawalani, G. M., & Little, T. D. (2008). Direct and indirect aggression during childhood and adolescence: A meta-analytic review of gender differences, intercorrelations, and relations to maladjustment. Child Development, 79(5), 1185-1229.

Catanzaro, M. F. (2011). Indirect aggression, bullying and female teen victimization: A literature review. Pastoral Care in Education, 29(2), 83-101.

Copes, H., Tchoula, W., Brookman, F., & Ragland, J. (2018). Photo-elicitation interviews with vulnerable populations: Practical and ethical considerations. Deviant Behavior, 39(4), 475-494.

Crick, N. R., & Grotpeter, J. K. (1995). Relational aggression, gender, and social psychological adjustament. Child Development, 66, 710-722.

Darbo, M., Buccoliero, E. & Costantini, A. (2002). Piccoli bulli crescono: le scuole superiori. In M. L. Genta (ed.), Il bullismo. Bambini aggressivi a scuola (pp. 115-122). Roma: Carocci.

Daniels, N., Gillen, P., Casson, K., & Wilson, I. (2019). STEER: Factors to consider when designing online focus groups using audiovisual technology in health research. International Journal of Qualitative Methods, 18, 1-11.

De Sousa Santos, B. (2011). Epistemologías del sur. Utopía y praxis latinoamericana, 16(54), 17-39.

De Vita, A., (2018). La parte oscura delle relazioni tra donne. Ipotesi teoriche per indagare il bullismo tra ragazze. In G. Burgio (ed.), Comprendere il bullismo femminile. Genere, dinamiche relazionali, rappresentazioni (pp. 88-103). Milano: Franco Angeli.

De Vita, A., (2020). Bullismo femminile a scuola e omofobia in una prospettiva intersezionale. In F. Batini, & I. D. M. Scierri (eds.), In/sicurezza fra i banchi. Bullismo, omofobia e discriminazioni a scuola (pp. 151-170). Milano: FrancoAngeli.

De Vita, A. (2021). Il bullismo femminile: alcuni pattern emergenti. In S. Polenghi, F. Cereda e P. Zini (eds), Atti del Convegno Nazionale Siped, La responsabilità della pedagogia nelle trasformazioni dei rapporti sociali sociali (pp. 549-556). Lecce: Pensa Multimedia.

De Vita, A., & Vittori, F. (2021). Bullismo femminile e costruzione dell’identità di genere. In A. De Vita (Ed.), Fragilità contemporanee. Fenomenologie della violenza e della vulnerabilità (pp. 139-161). Roma: Mimesis Edizioni.

De Vita, A., & Vittori, F. (2022). Corpi ribelli: bullizzate e bulle nella transizione identitaria adolescenziale. Metis. Mondi educativi. Temi, indagini, suggestioni, 12(2), 117-132.

Diotima (2005). La magica forza del negativo. Napoli: Liguori.

Downes, P., & Cefai, C. (2016). How to Prevent and Tackle Bullying and School Violence: Evidence and Practices for Strategies for Inclusive and Safe Schools. Luxembourg: Publications Office of the European Union.

Duncan, N. (2012). Sexual bullying: Gender conflict and pupil culture in secondary schools. London: Routledge.

Emler, N., & Reicher, S. (2000). Adolescenti e devianza. La gestione collettiva della reputazione. Bologna: il Mulino.

Espelage, D. L., Holt, M. K. & Henkel, R. R. (2003). Examination of peer-group contextual effects on aggression during early adolescence. Child Development, 74(1), 205-220.

Fonzi, A. (1997). Il bullismo in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia. Ricerche e prospettive d’intervento. Firenze: Giunti.

Fonzi, A., & Fonzi, C. (2012). Abbasso i bulli. Come guarire prepotenti e vittime. Milano: Ponte alle Grazie.

Formella, Z., & Ricci, A. (2011). Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola. Milano: FrancoAngeli.

Fox, C. L., Jones, S. E., Stiff, C. E., & Sayers, J. (2014). Does the gender of the bully/victim dyad and the type of bullying influence children’s responses to a bullying incident?. Aggressive Behavior, 40, 359-368.

Garandeau, C. F., & Cillessen, A. H. N. (2006). From indirect aggression to invisible aggression: A conceptual view on bullying and peer group manipulation. Aggression and Violent Behavior, 11(6), 612-625.

Gentry, R. H., & Pickel, K. L. (2014). Male and female observers’ evaluations of a bullying case as a function of degree of harm, type of bullying, and academic level. Journal of Aggression, Maltreatment & Trauma, 23(10), 1038-1056.

Gusmano, B. (2018). Il bullismo di niñas e meninas, muchachas e garotas. I contributi teorici in spagnolo e portoghese. In G. Burgio (ed.), Comprendere il bullismo femminile. Genere, dinamiche relazionali, rappresentazioni (pp. 72-87). Milano: Franco Angeli.

Ireland, J. L., Archer, J., & Power, C. L. (2007), Characteristics of male and female prisoners involved in bullying behavior. Aggressive Behavior, 33, 220-229.

ISTAT (2015). Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi. Retrieved from https://www.istat.it/it/files/2015/12/Bullismo.pdf

Kosciw, J. G., & Diaz, E. M. (2006). The 2005 National School Climate Survey: The experiences of lesbian, gay, bisexual and transgender youth in our nation’s schools. New York: GLSEN.

Marini, F., & Mameli, C. (1999). Il bullismo nelle scuole. Roma: Carocci.

Mavin, S., Grandy, G., & Williams, J. (2014). Experiences of women elite leaders doing gender: Intragender micro-violence between women. British Journal of Management, 25(3), 439-455.

Mejía-Hernández, J. M., & Weiss, E. (2011). Violence among girls in Secondary School. Revista mexicana de investigación educativa, 16(49), 545-570.

Menesini, E. (2000). Bullismo, che fare? Prevenzione e strategie d’intervento nella scuola. Firenze: Giunti.

Menesini, E. (2003). Il bullismo a scuola: natura e caratteristiche del fenomeno. In E. Menesini (ed.), Bullismo: le azioni efficaci della scuola. Percorsi italiani alla prevenzione e all’intervento. Trento: Erickson.

Menesini, E., & Nocentini, A. (2015). Il bullismo a scuola: come prevenirlo, come intervenire. Firenze: Giunti.

Menesini, E., & Salmivalli, C. (2017). Bullying in schools: the state of knowledge and effective interventions. Psychology, Health & Medicine, 22(sup1), 240-253.

Meyer, E. J. (2008). Gendered harassment in secondary schools: Understanding teachers’ (non) interventions, Gender and Education, 20(6), 555-570.

Nigris, E. (2002). I conflitti a scuola. La mediazione pedagogico-didattica. Milano: Bruno Mondadori.

Novara, D., & Regoliosi, L. (2007). I bulli non sanno litigare. L’intervento sui conflitti e lo sviluppo di comunità. Roma: Carocci.

Occhini, L. (2014). Bullismo a scuola: conoscere il fenomeno per prepararsi ad intervenire. Educational Reflective Pratices, 1, 210-223.

Olweus, D. (1994). Bullying at School. In L. R. Huesmann (ed.) Aggressive Behavior. The Plenum Series in Social/Clinical Psychology. Boston, MA: Springer.

Olweus, D. (1998). Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono. Firenze: Giunti.

Rich, A. (1979). On Lies, Secrets, and Silence. New York: Norton & Company.

Reynolds, T., Baumeister, R. F., & Maner, J. K. (2018) Competitive reputation manipulation: Women strategically transmit social information about romantic rivals. Journal of Experimental Social Psychology, 78, 195-209.

Rigby, K. (2007). Bullying in schools: And what to do about it. Victoria (Australia): ACER Press.

Rivers, I., & Smith, P. K. (1994). Types of bullying behaviour and their correlates. Aggressive behavior, 20(5), 359-368.

Robson, C., & Witenberg, R. T. (2013). The influence of moral disengagement, morally based self-esteem, age, and gender on traditional bullying and cyberbullying. Journal of School Violence, 12, 211-231.

Scierri, I., & Batini, F. (eds.) (2021). In/sicurezza fra i banchi: Bullismo, omofobia e discriminazioni a scuola: dati, riflessioni, percorsi a partire da una ricerca nelle scuole secondarie umbre. Milano: Franco Angeli.

Schippers, M. (2007). Recovering the feminine other: masculinity, femininity, and gender hegemony. Theory and Society, 36, 85–102.

Schlieper, K. (2012). Experiencing Bullying between Genders: A Quantitative Study done at UNH. Perspectives, 4(1), 4.

Smith, P. K. (2004). Bullying: recent developments. Child and adolescent mental health, 9(3), 98-103.

Sharp, S., & Smith, P. K. (1995). Bulli e prepotenti nella scuola. Prevenzione e tecniche educative. Trento: Erickson.

Smith, P. K., & Monks, C. (2002). Le relazioni tra bambini coinvolti nei problemi del bullismo a scuola. In M. L. Genta (ed.), Il bullismo. Bambini aggressivi a scuola. Roma: Carocci.

SooHoo, S. (2009). Examining the invisibility of girl-to-girl bullying in the schools: A call to action. International Electronic. Journal for Leadership in Learning, 13(6).

Swearer, S. M., & Cary, P. T. (2003). Perceptions and attitudes toward bullying in middle school youth: A developmental examination across the bully/victim continuum. Journal of Applied School Psychology, 19, 63-79.

Swearer, S. M., Turner, R. K., Givens, J. E., & Pollack, W. S. (2008). “You’re so gay!”: Do different forms of bullying matter for adolescent males?. School Psychology Review, 37, 160-173.

Viljoen, J. L., O’Neill, M. L. & Sidhu, A. (2005). Bullying behaviors in female and male adolescent offenders: Prevalence, types, and association with psychosocial adjustment. Aggressive Behavior, 31, 521-536.

Volturo, S. (2011). Bullismo. Definizioni, ricerche e strategie d’intervento. Autonomie locali e servizi sociali. Quadrimestrale di studi e ricerche sul welfare, 1, 81-94.