Da un po’ di tempo, in ambito pedagogico e soprattutto scolastico, stanno tornando di moda le parole chiave. Quei termini, cioè, che dovrebbero qualificare idealmente e orientare eticamente un’azione, un percorso, un progetto, ma molte volte sono usate soltanto come slogan, etichette ideologiche, spesso utilizzate senza porsi il problema di chiarirne e approfondirne il significato. All’interno dello schieramento ideologico che si qualifica come progressista o “di sinistra”, una delle parole chiave più sproloquiate e inflazionate è “inclusione”, che etimologicamente significa “chiudere dentro” (in-claudĕre), per cui una “scuola inclusiva”, a rigore, dovrebbe avere come modello il Panopticon di Foucault. Malgrado questa evidenza il termine, per qualche imperscrutabile ragione, è stato e viene usato come sinonimo di “accoglienza” o “integrazione”.
Per converso la comunità che rimane in adorazione dell’ideologia del mercato e adotta l’Azienda come modello ontologico, solitamente identificata con la “destra” anche se annovera nei suoi ranghi un bel po’ di esponenti della sedicente sinistra, adotta come una delle sue più qualificanti parole chiave il “merito”. Sull’ambiguità e polisemia del termine sono stati tali e tanti i commenti e le considerazioni critiche, dopo il suo sciagurato inserimento nella denominazione del Ministero che dovrebbe occuparsi delle istituzioni educative, che non vale la pena di gettare altra benzina sul fuoco, salvo ricordare solamente che, soprattutto nel contesto educativo, chi si propone di premiare il merito rischia di avvantaggiare chi è nato avvantaggiato, nonché di deprimere ed emarginare chi è semplicemente di carattere timido, riservato, o carente delle doti (?) dell’aggressività e della competitività.
Da pedagogista di lungo corso, una parola che mi piacerebbe sentire risuonare, e che invece latita, è immaginario. Un progetto educativo ispirato alla convinzione di avere il compito di costruire identità libere e dotate di un pensiero critico e creativo, capace di confrontarsi con la complessità e la mutevolezza del reale, non può a mio giudizio accontentarsi delle conoscenze e delle competenze relative a una rappresentazione del mondo fondata sui luoghi comuni, sul buon senso pseudo-razionalista e sul pensiero convergente. Al contrario, sono convinto che gli servano gli inciampi, le contraddizioni, gli spaesamenti, le ambivalenze e i traumi estetici attinenti alla sfera dell’immaginazione e dell’esplorazione dei mondi che solo attraverso essa possano essere visitati. Un orizzonte educativo che non contempli e coltivi queste opportunità cresce inevitabilmente individui ottusamente conformisti o soggetti ostinatamente ribelli, ingenui Peter Pan, sovente depressi, bloccati alle soglie di un sé inaccessibile, narcisisticamente intrappolati nell’opposizione all’autorità e alla scuola, senza qualità né desideri se non distruttivi e auto-distruttivi.
La parola immaginario viene utilizzata per la prima volta da Melanie Klein per indicare la precoce attività fantastica dei bambini. Per Klein nella mente dei bambini abitano “fantasmi” riguardanti gli oggetti a cui sono collegate le tensioni pulsionali. L’oggetto (in ragione dell’animismo tipico del pensiero infantile) è buono o cattivo rispettivamente quando le fantasie a esso collegate sono vissute come gratificanti, oppure distruttive. Crescendo, bambine e bambini strutturano il “principio di realtà” e ridimensionano queste fantasticherie mediando fra l’esigenza di non rinunciare a talune risorse fantasmatiche e l’universo delle convinzioni e delle rappresentazioni compatibili con la cultura del gruppo d’appartenenza. Sarebbe infatti ingenuo pretendere, come fa qualche esponente di un pensiero vetero-positivista, che in nome di un “realismo razionalista” si atrofizzi il lavoro di edificazione dell’immaginario interpretato in una accezione negativa, come movimento di diversione e fuga dalla realtà.
Piero Bertolini, pedagogista, fenomenologo e fondatore di questa rivista, sostiene il valore di un’immaginazione costruttiva e creativa per la quale ciò che conta è la capacità di scoprire nuovi rapporti tra i dati dell’esperienza. Capacità che a suo avviso
caratterizza l’attività degli artisti e degli scienziati; ma è importante per ogni essere umano in quanto è solo per mezzo di essa che si possono concepire grandi ideali e che si può impostare la propria vita nella direzione di un continuo auto superamento. Per questa ragione essa ha una notevole importanza dal punto di vista formativo, fino a dover essere considerata come un vero e proprio obiettivo educativo (Bertolini, 1989, p. 244).
Gaston Bachelard parla dell’immaginario come proiezione mitica dell’interiorità e lo definisce logos dell’immaginazione, differente da quello concettuale perché utilizza immagini e simboli selezionati da sogni, miti, narrazioni e produzioni poetiche (Bachelard, 1974). L'immaginario così concepito – e questa è una distinzione fondamentale – si distingue dall'immaginazione perché non è una facoltà, ma il mondo abitato dai suoi prodotti. È dunque evidente che i materiali che popolano l’immaginario possono essere pochi, modesti, superstiziosi e stereotipati, oppure complessi, fantasiosi ed esteticamente stimolanti, ma questo dipende soltanto dalle opportunità e dalle esperienze educative e culturali che riguardano la storia e l’esperienza culturale di ciascuno.
Per Sartre “il nulla immaginario, pur restando nulla, può produrre effetti reali” (Sartre, 2005, p. 74), e Slavoj Žižek va oltre questa convinzione, affermando che gli elementi della triade reale-immaginario-simbolico sono intrecciati nel senso più radicale e possono essere distinti solo da un punto di vista metodologico. Žižek, come già Sartre, pur essendo filosofo, non ha timore di confrontarsi con un pensiero extrafilosofico, con l’universo letterario, con l’arte e con il cinema. Essendo fra l’altro interprete e co-autore di due film, dimostra con indiscutibile legittimità che l’immersione nell’immaginario si può conseguire solo attraversandone il territorio espressivo in tutta la sua potenziale estensione, e non a caso dichiara qualsiasi codice e terreno simbolico “luogo di enunciazione” (Žižek, 2016).
Per i cultori della letteratura per l’infanzia l’immaginario è dimensione privilegiata e interdipendente con l’universo delle narrazioni e delle illustrazioni. Secondo Antonio Faeti l’accoglimento e la cura dell’universo immaginario asseconda la raccomandazione di Giovanni Pascoli relativa alla Poetica del fanciullino, che a suo avviso non è solo la dichiarazione estetico-filosofica per cui è conosciuto, ma anche un testo profondamente pedagogico, poiché libera l’infanzia dal pregiudizio di adultità incompleta nel quale in passato era stata collocata e le restituisce non solo un’identità propria, ben riconoscibile e rispettabile, ma la indica addirittura come dimensione a cui anche l’adulto può tendere, orizzonte poetico e cognitivo da preservare.
Se c’è, infatti, un programma di vita che aderisce davvero alle trame incontrollabili di una società complessa come la nostra, è quello che si fonda su un’interiore disponibilità ad ascoltare molte voci, per poter essere, di volta in volta, cauti e ragionevoli (o anche rassegnati) come gli anziani, ma anche attenti alle novità, alle rapidissime evoluzioni di un immaginario collettivo al quale il fanciullino pascoliano sembra già guardare, come se fosse un nostro contemporaneo (Faeti, 2018, p. 208).
Alberto Castoldi è autore di un volume illuminante e provocatorio: In carenza di senso. Logiche dell'immaginario.
Secondo Castoldi la concezione stessa di immaginario costituisce una risposta alla crisi delle certezze della modernità, e dà importanza a quelle esperienze che, pur non prescindendo dalla razionalità, non sono in essa integralmente riassorbibili, come tutto ciò che appartiene alla sfera del desiderio e della pulsionalità. Secondo Castoldi l’immaginario ci mette in grado di dare forma a un “fai da te” intellettuale che coniuga letteratura, arti visive e antropologia.
Castoldi ricorda che il poeta Paul Valery afferma che l’essenza propria della letteratura è nel destino di dissolversi e di essere irrimediabilmente distrutta; resta però, generato da essa, l’immaginario, che Valery definisce “significante fluttuante”.
Potremmo dire, pertanto, che l’immaginario è da sempre il tentativo da parte dell’uomo, tramite i più diversi procedimenti narrativi (e quindi anche segnici, pittorici, musicali, eccetera) di abitare in un mondo inteso come indefinita possibilità di senso, di prendere coscienza di sé e di comunicare con altri, proprio grazie al potere universalizzante della narrazione, che dà forma all’informe (Castoldi, 2012, p. 8).
Albert Camus, nel suo L’uomo in rivolta, alla rivolta “metafisica” (che concerne l’elaborazione eidetica) e alla rivoluzione “storica” (riguardante la lotta fisica e guerreggiata) affianca e contrappone la rivolta dell'arte. I valori della cultura mediterranea sono, per Camus, alla base di questa rivolta perché tale pensare è “misurato” e ha come obiettivo una giustizia “relativa” che rimane aperta, problematica, ed evita massimalismi ed estremismi (Camus, 2002). L’estremismo da cui in quegli anni invitava i suoi lettori a difendersi era quello rappresentato dal totalitarismo sovietico, tanto che l'opera sancì, nel 1953, la rottura di Albert Camus con Jean Paul Sartre, del quale criticava l'atteggiamento filosovietico condiviso da molti esponenti dell’avanguardia intellettuale dell’epoca. La rivolta di Camus, già esplorata ne Il mito di Sisifo, riguarda ciò che Jung definisce processo di individuazione: è intima, personale, sospesa fra esigenza di equilibrio e azione creatrice, unica possibilità data all’essere umano di trovare una risposta all'indifferente violenza di un mondo dominato dall’assurdo, dal non-senso e dalla sommaria banalità del pregiudizio. Oggi lo sguardo ribelle di Camus, che non ha certo perso vigore e attualità, può costruttivamente essere rivolto al totalitarismo liberista all’interno del quale domina una concezione strumentale e produttivistica di sapere e conoscenza.
Una pedagogia dell’immaginazione potrebbe fornire a questa istanza di ribellione un contributo significativo. Sarebbe bello che il progetto educativo di una comunità autenticamente democratica, aperta al cambiamento e capace di accogliere e governare la complessità, riconoscesse la prioritaria necessità di offrire agli educandi strumenti culturali e intellettuali utili all’edificazione di aree del pensiero e progetti di vita individuale e collettiva all’insegna del giudizio critico, della creatività, della bellezza, della tensione verso quel “continuo auto superamento” di cui parla Bertolini.
Sarebbe bello, insomma, avere un Ministero dell’Istruzione, della Ricerca e della Promozione dell’Immaginario.
Riferimenti bibliografici
Bachelard, G. (1974). Il diritto di sognare. Bari: Dedalo.
Bertolini, P. (1989). Dizionario di pedagogia e scienze dell’educazione. Bologna: Zanichelli.
Camus, A. (2002). L’uomo in rivolta. Milano: Bompiani.
Castoldi, A (2012). In assenza di senso. Logiche dell’immaginario. Milano: Bruno Mondadori.
Faeti, A. (2018). I tesori nelle isole non trovate. Fiabe, immaginario, avventura nella letteratura per l'infanzia. A cura di Emma Beseghi. Parma: Spaggiari junior.
Sartre, J.-P. (2005). L’immaginazione. Milano: Bompiani.
Žižek, S. (2016). Che cos’è l’immaginario. Milano: Il Saggiatore.