1 Introduzione
La situazione emergenziale determinata dal Covid-19 ha improvvisamente costretto la scuola ad adottare una didattica a distanza (d’ora in poi DAD) in un nuovo ambiente di apprendimento supportato dalla tecnologia (Cottini, 2020), mettendo in mostra, come in una cartina tornasole, l’inadeguatezza di procedure e approcci didattici (Bruzzone et al., 2021). Infatti l’adozione diffusa di tecnologie digitali, già richieste nel Piano Nazionale della scuola digitale (MIUR, 2015), ha scardinato solo in parte una didattica che continua ad essere orientata sui contenuti piuttosto che sugli studenti. Tuttavia, in un’ottica evidence based, da tempo si sottolinea che le tecnologie da sole non possono realmente migliorare la qualità della scuola (Hattie, 2009) e come siano determinanti l’azione e la guida del docente, capace di valorizzare feed-back costruttivi e strategie adeguate in un modello educativo collaborativo e riflessivo (Calvani & Vivanet, 2014).
Ma non solo. L’esplodere inaspettato della pandemia ha richiesto con urgenza ad ogni educatore di attivare percorsi formativi per sostenere processi relazionali inclusivi e promuovere resilienza nei bambini, provati dal diffondersi di continue notizie di paura ed incertezza generate dall’emergenza sanitaria in corso e privati dalla possibilità di andare a scuola (Romanazzi, 2021).
Durante le diverse fasi della pandemia tutti gli aspetti della quotidianità sono diventati incerti, precari, inaffidabili, spesso capovolti, generando un vissuto assimilabile a un disastro collettivo. Nel primo lockdown, la chiusura delle scuole1 e le misure di distanziamento adottate hanno interrotto routine e supporto sociale dei bambini, con un impatto spesso traumatico. Numerose ricerche (AIP, 2021; ISS, 2020) rilevano come questa popolazione abbia sperimentato tassi elevati di ansia, irritabilità e disturbi del sonno, e come sarebbe stato necessario attivare interventi di protezione dell’infanzia per limitare danni socio-ecologici (UNICEF, 2019), dalla paura e perdita di fiducia all’aumento dei rischi di abusi, violenza e disagio psicologico.
Anche le fasi pandemiche successive alla prima, con la sospensione a intermittenza delle attività didattiche in presenza a seconda del colore assegnato2 alle regioni del Paese o con le quarantene nei singoli Istituti scolastici, hanno significativamente limitato la normale routine educativa, di scoperta e confronto tra pari, con conseguenze rilevate da presidi territoriali e ospedalieri di accoglienza e cura dei minori, che continuano a registrare numerosi segnali d’allarme nella giovane popolazione (ISS, 2022). Non ultimo, echi di guerre e migrazioni interrogano intensamente il mondo educativo su quali processi attivare in ottica generativa – tra pedagogia interculturale, pedagogia dell’emergenza e della relazione di aiuto – per aiutare i bambini a gestire situazioni di stress e/o di forte trauma, mentre nello spazio epimediale aleggia lo spettro di una guerra nucleare più volte preannunciata (Turco, 2022).
Assumendo uno sguardo trasformativo, diventa pertanto prioritario esaminare quali fattori possano ridurre il rischio di un disagio psicologico e attivare processi di resilienza (Peirone, 2020), intesa come capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi stressanti e/o traumatici, riorganizzando positivamente la propria vita dinnanzi alle difficoltà (Montano & Borzì, 2019).
2 Oltre l’emergenza, verso una progettualità educativa
Da oltre trent’anni la ricerca si occupa di resilienza nei bambini (circa 2.320.000 risultati appaiono in 0,04 sec in Google Scholar con la query “Resilience children”), focalizzandosi in una prima fase di studio sull’individuo; poi adottando un approccio evolutivo-sistemico; e da ultimo occupandosi anche di possibili fattori protettivi e di intervento (Camuffo & Costantino, 2010).
In particolare, alcuni autori (Ungar & Theron, 2020) sottolineano come la resilienza non sia relata solo alle risorse disponibili negli ambienti socio-culturali, ma anche a pensieri individuali, sentimenti e comportamenti, connessi sia ad una valutazione soggettiva dell’esperienza (quanto ci si sente danneggiati, messi alla prova, minacciati) sia ad un’interpretazione soggettiva di quanto sta succedendo (Montano & Borzì, 2019). Come afferma da tempo Anne Masten, la resilienza non dipenderebbe da qualità rare o speciali, ma dal ritrovare la “magia quotidiana dell’ordinario” (2001, p. 235), per “continuare il proprio percorso di vita nonostante le avversità” (Rutter, 2013, p. 482).
Altri autori considerano la resilienza come un processo multidimensionale ed identificano alcuni fattori protettivi, tra cui “strette relazioni con adulti e coetanei competenti e premurosi, scuole e comunità efficaci, opportunità di successo e fiducia in se stessi” (Dvorsky, Breaux, & Becker, 2021, p. 1829). Questi sistemi cardine possono offrire “capacità di autoregolazione, apprendimento, risoluzione dei problemi, motivazione ad adattarsi, perseveranza e speranza” (ibidem), con un effetto sinergico di protezione se attivati in rete (Zhou, 2020).
Assumendo un’ottica evolutiva, nella letteratura esistente il costrutto di resilienza applicato al contesto educativo si focalizza in sintesi su sei tematiche rilevanti (Cefai et al., 2014): (a) permette ai bambini non solo di gestire le sfide, ma di sviluppare un pensiero positivo e sentimenti di speranza, felicità e umorismo; (b) promuove una salute mentale, focalizzata sulle risorse presenti, anziché sugli elementi di debolezza; (c) sviluppa l’autodeterminazione, affinando capacità di problem solving, empowerment e autonomia, con un senso di autoefficacia e di autostima; (d) sviluppa abilità comunicative interpersonali, di espressione autentica dei propri bisogni, ascolto empatico e mediazione assertiva dei conflitti; (e) permette di stabilire e mantenere relazioni positive, sviluppando abilità sociali e prosociali utili per creare una fitta rete di relazioni tra pari, con comportamenti etici e responsabili; ed infine (f) trasforma sfide in opportunità di crescita, sviluppando coraggio nelle avversità, tenacia di fronte al fallimento, e gestione delle emozioni negative o di rifiuto.
Ciò che sembra importante rilevare da una prospettiva pedagogica è che “la resilienza […] non riguarda la guarigione, il semplice superamento di un evento traumatico, ma la capacità degli individui di trasformare quell’evento in un’opportunità di crescita” (Zannini, 2018, p. 11). Con questo sguardo, un processo resiliente richiama fortemente una dimensione di progettualità educativa, che si declina nel mettere in pratica strategie che permettano di ricostruire un orizzonte di senso nel bambino, che vive nel qui e ora (Bertolini & Caronia, 1993), ponendo al centro la sua soggettiva esperienza nella reciprocità delle relazioni vissute. E all’interno di questa progettualità (nel lungo periodo) assume un ruolo determinante il farsi tutor della resilienza, come ricorda Patrizia Garista (2018) nel libro “Come canne di bambù”, all’interno di una relazione educativa e di cura che offra al bambino la “possibilità di sperimentare altro da ciò che le premesse farebbero pensare” (Malaguti, 2005, p. 177). Non sarebbero, quindi, una serie di tecniche e strategie predeterminate in una ricca cassetta di attrezzi a determinare l’efficacia di un’educazione alla resilienza, quanto la co-costruzione di un percorso con figure educative capaci di diventare un punto di riferimento, come emerge anche dalla revisione sistematica di Newman (2002) sulle pratiche evidence based per l’infanzia e l’adolescenza. Ed è proprio all’interno di questa “bolla affettiva” che nel bambino può avvenire la costruzione di senso e dell’identità narrativa, in quanto
il racconto della ferita subita è il processo attraverso cui l’evento stressante o traumatico viene ricollocato in un orizzonte di senso e risignificato nella prospettiva di un’evoluzione positiva in cui sia possibile sperare e agire per realizzare i propri progetti (Garista, 2018, p. 98).
Come cicatrici preziose dell’arte giapponese del Kintsugi, anche le storie nella pratica educativa possono così riparare e la narrazione stessa declinata nei suoi diversi linguaggi anche espressivi – dalla fiaba o filastrocca al racconto autobiografico e persino umoristico fino allo storytelling o ancora al teatro – diventa una strategia di resilienza, rappresentando un “dispositivo liberante ed emancipativo” (Garista, 2018, p. 99).
3 Strategie di intervento educativo in tempi di pandemia
In questo particolare periodo storico di fragilità, quale ruolo può quindi essere assunto da docenti ed educatori? Numerose ricerche in ambito psicologico (CNOP, 2021) e piattaforme di orientamento sanitario e pedagogico definiscono imprescindibili priorità educative per salvaguardare il benessere psico-fisico dei minori nel “fare scuola” in tempi di Covid-19.
Esperti del National Child Traumatic Stress Network (2020) suggeriscono di coltivare un senso di sicurezza, sentimenti di connessione e di speranza, stabilendo routine, mantenendo una comunicazione chiara, mettendo al centro la relazione e facilitando un senso di connessione (empatica) tra tutti. Lo stesso Istituto Superiore di Sanità (ISS, 2020) raccomanda di predisporre attività per incentivare resilienza e benessere, sostenendo il senso di autoefficacia con esperienze in cui i bambini possano rivestire un ruolo attivo; e valorizzare forme di apprendimento in cui il gruppo possa emergere come luogo privilegiato per “attività volte all’ascolto e all’osservazione, al riconoscimento e alla gestione delle emozioni, alla cooperazione e al riconoscimento e sviluppo delle risorse personali” (ibid., p. 17). Non da ultimo, l’International Research Center on Global Citizenship Education (2021), in un’ottica di giustizia sociale, rammenta il valore di pratiche pedagogiche attive per promuovere contesti educativi di cura, comunicazione, relazione ed inclusione ed esorta gli insegnanti a scegliere con intenzionalità quali siano i progetti irrinunciabili per assicurarsi che nessuno venga lasciato indietro, coltivando le relazioni fra tutti gli studenti e con ciascuno, seguendo le orme della pedagogia emancipativa di Freire e Don Milani.
L’attuale emergenza socio-sanitaria, trasformatasi anche in emergenza pedagogica (Tolomelli, 2020), richiederebbe così ai docenti di rimodulare le proposte didattiche per aiutare gli alunni a rielaborare i propri vissuti, esprimere pensieri ed emozioni e riflettere sulle proprie capacità, stabilendo – attraverso la narrazione – un dialogo autentico con sé e gli altri (Fantozzi, 2020; Parrott, Armstrong, Watt, Fabes, & Timlin, 2021). Per chi ha saputo cogliere questa sfida, il mondo digitale “da strumento di comunicazione solo didattica è diventato anche un ambiente di relazione e narrazione del sé” (Pinnelli, Fiorucci, & De Stradis, 2021, p. 41), capace di aiutare gli studenti ad attribuire un senso alle diverse esperienze, in sintonia con quanto affermato già dalle Indicazioni Nazionali del MIUR (2012), assecondando un bisogno naturale di raccontare e raccontarsi (Cavarero, 1997).
4 Una ricerca in una classe di una scuola primaria del Trentino
Queste considerazioni teoriche sono lo sfondo del presente contributo, che riporta alcuni esiti di uno studio che ha seguito una classe quarta di una scuola primaria durante il primo lockdown, con l’intento di dar voce ai bambini (Grion & Dettori, 2015) esplorando i loro vissuti attraverso le narrazioni autobiografiche confluite in un giornalino digitale di classe ed inserite in un percorso di didattica cooperativa mediato dalle tecnologie.
Specificità metodologica del lavoro è la mia collocazione interna al contesto osservato come docente-ricercatrice. Nel ruolo di docente ho vissuto quotidianamente una relazione educativa con la classe coinvolta, con l’intento prioritario di promuovere innanzitutto un percorso formativo e trasformativo di senso per i bambini. Nel ruolo di ricercatrice queste esperienze educative sono diventate poi oggetto di indagine qualitativa all’interno di un contesto scolastico naturale in cui io stessa ero un elemento familiare (Mazzoni, 2016). Questo doppio ruolo mi ha concesso la (preziosa) opportunità di cogliere la densità delle relazioni (intersoggettive) tra gli attori coinvolti nel percorso e di comprendere meglio il vissuto e il senso dell’esperienza (educativa) dei bambini in uno specifico contesto, assumendo uno sguardo fenomenologico di ricerca per loro (Ghirotto, 2016).
Dopo aver descritto il contesto formativo, mi soffermerò sull’approccio metodologico adottato nello studio, presentando poi le categorie emergenti dall’analisi, in cui ho adottato le procedure tipiche della Grounded Theory (Charmaz, 2014), discutendole in un’ottica di pedagogia della resilienza.
4.1 Contesto formativo
La metodologia didattica prevalentemente adottata nell’a.s. 2019-2020 dagli 8 docenti del team era caratterizzata da numerose attività in apprendimento collaborativo,3 confluenti in un progetto interdisciplinare di Educazione alla cittadinanza attiva denominato “Cittadini (attivi) si diventa”.4
Con la chiusura di tutte scuole per l’emergenza pandemica, il lavoro cooperativo caratterizzante l’attività didattica è proseguito in DAD: tramite Google Meet si sono organizzati incontri con piccoli gruppi di bambini (4-5 componenti) coordinati da un docente diverso in ogni giorno della settimana. I piccoli gruppi avevano una durata mensile, come di routine, ed erano contraddistinti da un logo concordato a distanza. Il supporto delle rappresentanti di classe è stato fondamentale per attivare questa nuova modalità organizzativa in collaborazione con i genitori.
Ogni venerdì mattina un Meet con l’intera classe sostituiva il Circle time a cui i bambini erano abituati, per una condivisione di esperienze e vissuti emotivi. Consegne e compiti erano assegnati utilizzando piattaforme di e-learning.5
Con l’intento di costruire un percorso riflessivo condiviso tra scuola e famiglia che potesse sostenere i bambini nell’affrontare questo particolare periodo di fragilità (marzo – giugno 2020), il progetto iniziale di Educazione alla cittadinanza attiva è stato integrato progressivamente con specifiche attività di narrazione autobiografica anche a distanza:
diario della gratitudine,6 per tenere traccia di vissuti in modo gioioso, annotando in un libretto (costruito) esperienze positive della giornata;
filastrocche e poesie, ispirate alla filastrocca di Piumini (2020) sul Coronavirus, per trasformare in poesia emozioni e paure;
lettere o e-mail ai compagni e alla maestra, per mantenere contatti amichevoli;
testi autobiografici per esprimere desideri e progettare il futuro;
storytelling di lavoretti e ricette, da condividere tra pari in un’apposita cartella creata in Drive;
semplici testi argomentativi, per commentare quanto elaborato dai pari.
Le proposte didattiche sono state dapprima presentate dagli insegnanti nei Meet; poi elaborate da ciascun bambino individualmente, in coppia o in piccolo gruppo, con la collaborazione (richiesta) dei genitori; e infine condivise con i pari nei piccoli gruppi di lavoro online e durante i Meet affettivi del venerdì.
Le famiglie sono state un indispensabile supporto per aiutare i bambini non solo nell’utilizzo delle piattaforme digitali durante l’attività didattica a distanza, ma anche nell’elaborazione dei loro testi, spesso costruiti insieme alle figure genitoriali e diventati occasione di riflessione con loro. Il percorso formativo è poi confluito nella realizzazione – attraverso Google Sites – di un giornalino digitale, pubblicato sul sito della scuola. Ciascun bambino ha scelto liberamente quali testi inserire nel giornalino, tra quelli prodotti nel corso della pandemia.
4.2 Metodo
4.2.1 Partecipanti
Il percorso ha coinvolto 21 alunni (10 maschi e 11 femmine) di 9-10 anni con livelli eterogenei di apprendimento, tra cui 2 bambini certificati ai sensi della L. 104 e 1 bambino con Disturbi Specifici di Apprendimento.
Un precedente studio esplorativo (Luzzi, 2020) contestualizzato in questa classe nel primo quadrimestre 2019-2020 tratteggia gli alunni come un gruppo classe dinamico, con relazioni generalmente positive e di amicizia tra tutti: i bambini giocano volentieri tra loro e sono disponibili ad aiutarsi nei momenti di difficoltà. Il citato studio (ibidem) evidenzia l’efficacia dell’approccio cooperativo adottato, che ha favorito un progressivo coinvolgimento e la partecipazione di tutti i bambini durante il Circle time proposto ogni settimana:
Gli alunni, condotti gradualmente verso un dialogo con i compagni, dimostrano di vivere il momento in cui espongono le proprie idee con “un senso di benessere personale, […] caratterizzato da sicurezza, felicità e tranquillità” (ibid., p. 89).
Pertanto, quando la classe durante il secondo quadrimestre ha dovuto affrontare il primo lockdown, esisteva già la consuetudine di lavorare in piccoli gruppi e di condividere esperienze ascoltandosi tutti insieme. L’utilizzo della tecnologia, invece, occupava un ruolo secondario nell’attività didattica e gli alunni accedevano all’aula informatica della scuola saltuariamente.
4.2.2 Domande di ricerca
Se precedenti ricerche documentano il valore della narrazione autobiografica come strumento di resilienza (Garista, 2018; Vaccarelli, 2016) e di una didattica cooperativa per costruire relazioni inclusive (Cottini, 2017; Fantozzi, 2020; Malusà et al., 2017), rimangono ancora domande aperte sul possibile impatto di queste metodologie integrate nella DAD già dalla scuola primaria.
In particolare, l’ipotesi di fondo del presente contributo è che anche a distanza attività di narrazione autobiografica mediate da una didattica cooperativa possano favorire nei bambini la condivisione dei loro vissuti innescando, all’interno di una relazione educativa con gli insegnanti e una stretta collaborazione con le famiglie (Dusi & Addi-Raccah, 2022), capacità riflessive, rigenerative ed un supporto tra pari necessari per affrontare situazioni di isolamento sociale, alimentando un senso di appartenenza e di resilienza.
Ma cosa raccontano i bambini? Queste le domande di ricerca:
Quali vissuti emotivi dei bambini emergono dall’analisi tematica di un giornalino (digitale) di classe durante il lockdown?
Quali sono le principali strategie che i bambini raccontano?
Si possono intravedere elementi di resilienza?
4.3 Dati raccolti e processo analitico
Si sono considerati:
materiali autobiografici prodotti dai bambini7 durante il percorso e confluiti in un giornalino scolastico digitale: 99 immagini (fotografie di esperienze vissute e disegni) e 85 testi di diverse tipologie, distinte nelle sezioni e sottosezioni visibili nella Tab. 1;
memo del percorso (Tarozzi, 2008).
Sezioni del giornalino | Sottosezioni | Tipologie testuali | Fonti | ||
---|---|---|---|---|---|
N testi | N parole | N immagini | |||
Home page | Redazione C’è posta per te |
Lettera | 9 | ||
Caro diario… | Io resto a casa e intanto… Diario della gratitudine Un sorriso di cuore Un’email alla maestra |
Diario | 23 | 3.203 | 7 |
Con una filastrocca | Riflettere e sognare Coronavirus Eppure è primavera Ricordi di scuola |
Filastrocca | 17 | 1.452 | 1 |
Scuola a distanza | Una scuola diversa Videolezioni per ritrovarsi in cerchio Piccoli gruppi di lavoro |
Testo autobiografico | 13 | 2.346 | 7 |
La prima cosa che vorrei… | Testo autobiografico Diario |
14 | 1.739 | 5 | |
Artisti e cuochi per incanto | Andrà tutto bene Primavera Grandi Chef Giardinaggio e lavoretti Buona Pasqua! |
Storytelling | 79 | ||
Commento alle filastrocche | Testo argomentativo | 9 | 1.032 | ||
Totale fonti | 85 | 9.772 | 99 |
Si sono trasformati i contenuti dei disegni e delle immagini in testo. Tutti i testi sono stati anonimizzati, nel rispetto del diritto alla riservatezza dei bambini coinvolti. Nell’analisi tematica delle narrazioni scritte (Zannini & Gambacorti-Passerini, 2016) si sono assunte le procedure tipiche della Grounded Theory di approccio costruttivista (Charmaz, 2014) con il supporto di NVivo12, con una codifica dapprima aperta, per cogliere unità di significato e codici ricorrenti; poi focalizzata, con un maggiore livello di astrazione, con la costruzione di categorie e proprietà con etichette simili; ed infine teorica, per evidenziare induttivamente i temi emergenti, ricercando connessioni di senso tra le proprietà emerse (Fig. 1). Memo e note di campo hanno consentito una maggiore aderenza ai vissuti nel processo di codifica, per cercare di “arrivare al ‘significato’ che sta davanti a noi – a volte in superficie, ma altre volte nelle profondità delle storie su cui facciamo la nostra ricerca” (Churchill, 2019, p. 18).
4.4 Categorie emergenti8
La codifica di testi e dei disegni ha permesso di costruire tre categorie,9 che evidenziano vissuti emotivi contrastanti, spesso compresenti negli stessi bambini:
Soffrire la pandemia (123)
Sperimentare una scuola diversa (37)
Adottare strategie (280)
Le Figure 2, 3, 4a e 4b riportano le proprietà di ogni categoria individuata, con le relative etichette (in corsivo quelle in vivo, ovvero con le parole dei partecipanti) e alcune unità di testo significative tratte dai testi raccolti.
4.4.1 Soffrire la pandemia
La mia casa,
la mia prigione
Nonostante il numero ridotto di frequenze (123), questa categoria esprime la densità della sofferenza sperimentata. I bambini riportano diversi gradi di disagio (Fig. 2): dalla preferenza di una “scuola vera”, in presenza, alla mancanza e nostalgia degli amici, del contatto fisico tra pari, degli abbracci (“Ci abbracciavamo così forte da far togliere il respiro”). Qualcuno riesce a dar voce ad un vissuto di chiusura anche emotiva, con l’impossibilità della reciprocità del contatto fisico, come si può leggere nella filastrocca di Elisa10: “Quello che sento è il petto rinchiuso e l’abbraccio deluso”.
E ancora: “Essere in classe insieme è tutta un’altra cosa!” oppure “La scuola ha gli studenti e gli insegnanti, e a casa non ci sono mica loro!”, scrive Marco, ricordando quanto afferma Farnè (2020) sull’insostituibilità della “presenza quotidiana dell’insegnante e dei suoi alunni, nella fisicità dello spazio e del tempo reali in cui si dipana la drammaturgia didattica della trasmissione culturale […come] ‘residuo’ che non possiamo eliminare, che identifica ciò per cui la scuola è la scuola”(ibid., p. III).
Sentirsi costretti e limitati a casa “come un animale in gabbia” porta spesso ad un forte malessere, che diventa anche paura (“può essere mortale”), con la sensazione di vivere in un tempo congelato, denso di prescrizioni (“sempre mantenendo le distanze”), in cui “nulla di speciale accade” ma ogni emozione diventa amplificata o sfocia nel pianto, in qualche caso condiviso durate i Meet con compagni ed insegnanti, come annotato nei memo di ricerca.
Ma non solo. Per i bambini più fragili esiste un’altra proprietà, qui invisibile perché costituita da testi mancanti (o strappati): rischiare di sprofondare, con telefonate rifiutate, connessioni interrotte o interminabili, uso eccessivo di videogiochi o abuso di cibo. Solo un attento intervento degli educatori di riferimento ha evitato conseguenze più gravi.
E queste ferite emotive rimarcano ulteriormente la mancanza (“Mi manca tutto quello che prima era normale”) e il vissuto traumatico connesso con la pandemia, coerente con la definizione stessa di trauma inteso come “un’esperienza opprimente, soverchiante, in grado di alterare la vita dell’individuo, uno spartiacque che separa nettamente il prima dal dopo” (Montano & Borzì, 2019, p. 11), interrompendo relazioni e progetti e determinando un senso di minaccia sulla propria vita e su quella della famiglia, in una sospensione del tempo, come ampiamente documentato in numerose ricerche (ChildFund Alliance, 2021).
4.4.2 Sperimentare una scuola diversa
Sia noi che le nostre maestre ci siamo dovuti abituare ad una scuola diversa…
Questa categoria non descrive tanto le diverse attività didattiche a distanza proposte dai docenti, quanto vorrebbe cogliere – attraverso le voci dei bambini – i loro vissuti emozionali connessi con l’utilizzo delle tecnologie. Pur nei limiti di una scuola diversa (Fig. 3), gli appuntamenti rituali nei Meet consentono di continuare a tessere relazioni tra compagni ed insegnanti, condividendo esperienze anche in piccoli gruppi (virtuali), e scandiscono necessarie routine quotidiane (“Le giornate passano più veloci”), coinvolgendo (quasi sempre) tutti, come si può leggere in questi testi:
L’idea di fare videoconferenze è molto bella perché ci si può vedere. Quando mi collego per partecipare alla videoconferenza sono sempre emozionata perché rivedo i miei compagni e le maestre e mi sembra quasi di essere in classe con loro. A volte vorrei collegarmi appena mi sveglio per raccontare qualcosa che ho fatto il giorno prima e per sentire le voci e le risate [Lucia, 9 anni].
[…] Venerdì si fa una videochiamata tutti insieme, per vedere come stanno i compagni e per parlare e cantare. Infatti alla prima videochiamata insieme, mi hanno fatto gli auguri e mi hanno cantato: “Tanti auguri, Paolo!” [Paolo, 9 anni].
I bambini riescono progressivamente ad apprendere con l’utilizzo delle tecnologie e a sviluppare nuove autonomie (“Ogni volta dopo la lezione restiamo collegate un altro po’ per chiacchierare e fare i compiti assieme”).
La scuola diventa così un ponte relazionale che permette di continuare almeno in parte a intrecciare relazioni, condividere emozioni, superare momenti difficili insieme, elementi che anticipano quelli espressi nella categoria descritta di seguito e riferita alle diverse strategie adottate, mediate in parte dalla scuola.
4.4.3 Adottare strategie
Quando tutto sarà finito,
toccheremo il cielo con un dito!
Numerose frequenze (280) descrivono le strategie (Fig. 4a e 4b) utilizzate per affrontare l’ansia, il senso di solitudine e di costrizione di questa fase pandemica, densa di prescrizioni. Emergono stratagemmi per affrontare il presente (“Se hai bisogno di fare una cosa che non è importante è meglio che la rimandi a quando non ci sarà più questa malattia”) e si generano progressivamente routine inedite (“Ogni giorno tranne sabato e domenica vado al lavoro della mia mamma”), con l’assunzione di nuovi impegni (“Ho lavato la mia bicicletta, con acqua e sapone… ora è tutta pulita!!”).
I bambini, guidati dai docenti a prestare attenzione a questa inaspettata quotidianità e a ricercarne il lato positivo, ne raccontano la densità, quella magia nascosta e ordinaria già descritta da Masten (2001) fatta di piccole cose (“Sono grato di avere sempre in tavola del buonissimo cibo!”), nuovi sapori (“un infuso di vaniglia e lampone addolcito con del miele”), antichi giochi (“Ho scoperto un gioco dell’infanzia: il monopattino”) ed esperienze domestiche (“La nonna mi ha insegnato ad attaccare i bottoni”).
Talvolta sperimentano anche un senso creativo ed estetico del bello e l’effetto rigenerativo della natura (“In quel posto magico cerco le energie per cominciare una nuova giornata”). Descrivono un tempo del fare e dell’inventare, negli spazi ristretti di casa, per reagire, muoversi e trovare (possibili) soluzioni e strategie (anche tecnologiche). Si sfogano se necessario in un diario – silenzioso amico di carta – o direttamente contro questo Virus – descritto come birichino, pazzo, dannoso, spesso pericoloso o persino mortale. Il tema della morte non viene negato, come quello del sentirsi in pericolo o dell’aver paura.
In tal modo – attraverso la vicinanza sentita di caregiver significativi – i bambini coltivano emozioni positive, condividono riflessioni (“Questa esperienza quando sarà finita ci insegnerà tanto”), raccontano i propri desideri e guardano al futuro, atteso (“intanto posso solo immaginare”), ma già progettato, abitato da promesse risate, feste e abbracci con gli amici della classe, percepiti come parte di sé, come una seconda famiglia.
Come una perla preziosa nata da un granello di sabbia entrato nell’ostrica, accanto a emozioni di forte malessere e mancanza si generano così sentimenti di speranza, empatia, meraviglia, stupore, umorismo e fiducia (“Sono fiduciosa che presto sarà realtà”). Diventano narrazioni condivise che riattribuiscono un senso all’esperienza (dolorosa) vissuta, parole che curano o – meglio – “parole che salvano” (Bruzzone, 2023).
4.5 Farsi tutori di resilienza
Nelle strategie descritte attraverso i testi dei bambini, possiamo trovare in modo ricorrente alcuni termini, ovvero genitori, mamma, papà, scuola, maestr*, compagn*, amic*, come evidenziato nella Fig. 5. Vale a dire che solo all’interno di una fitta rete di relazioni sociali, con adulti significativi (figure genitoriali e insegnanti) e pari di riferimento, alcune dimensioni trasversali sembrano emergere con maggiore densità e consapevolezza: affrontare il presente, intrecciare relazioni, condividere emozioni, curare il benessere e progettare il futuro.
Lo studio di caso proposto restituisce perciò un’immagine di scuola che vorrebbe prestare attenzione al dialogo e alla condivisione tra pari per ricostruire un orizzonte di senso nel bambino (Bertolini & Caronia, 1993) attraverso la presenza attenta di adulti di riferimento, tutori di resilienza, in grado di attivare e sostenere un percorso di sviluppo (Garista, 2018), come confermato in numerose ricerche (ChildFund Alliance, 2021).
5 Verso un’educazione alla resilienza
L’esiguo campione considerato non permette generalizzazioni, ma si ritiene possa offrire alcune direzioni di senso condivisibili con una più ampia comunità scolastica, per promuovere nella scuola – oltre una pedagogia dell’emergenza – un’educazione alla resilienza (Olivieri & Cardinali, 2021).
L’approccio cooperativo, già sperimentato in presenza, fornisce uno sfondo pedagogico di supporto per una didattica attiva anche a distanza, indicando come sia possibile fin dalla scuola primaria guidare i bambini verso un utilizzo collaborativo delle tecnologie in ambienti di apprendimento per loro significativi, sviluppando – nel contempo – anche un senso di autoefficacia rispetto i successi raggiunti, nell’ambito di una relazione educativa tra bambini ed insegnanti (Garista, 2018).
Si possono individuare diverse strategie messe in atto dai bambini per sopperire all’isolamento e alla distanza dai pari, mediate dal percorso promosso dai docenti e dalla presenza attenta dei genitori (Fig. 5), che hanno svolto un ruolo cruciale nel costruire resilienza e mitigare le conseguenze negative della pandemia (Biffi, 2022). Gli esiti mostrano la costruzione di un intenso senso di appartenenza (“sentire la classe una seconda famiglia”) e l’elaborazione di strategie adattive positive condivise nel gruppo, efficaci per convivere con il malessere e l’incertezza del periodo pandemico, per coltivare un senso di speranza e di progettazione per il futuro e per sperimentare (con gioia) la magia dell’ordinario (Masten, 2001) nelle attività (ancora possibili) di tutti i giorni.
Tuttavia, in presenza di particolari fragilità educative o di caregiver esausti, i risultati evidenziano la necessità di attivare un attento supporto (anche psicologico), con una stretta sinergia scuola-famiglia-servizi del territorio (Romanazzi, 2021) per superare l’emergenza ed educare alla resilienza.
In generale, si può comunque affermare che la proposta formativa abbia permesso ai bambini di trovare nel giornalino uno spazio (fisico) di riconoscimento dei vissuti personali (Malusà, 2021), per ricomporre frammenti anche dolorosi della propria esperienza, con una riattribuzione di senso e significato (Vaccarelli, 2016). Come emerge in ricerche precedenti (Isidori & Vaccarelli, 2013), il dar parola al malessere sofferto ha consentito ai bambini di esprimere le proprie emozioni, condividerle con i pari e le figure educative di riferimento e diventarne maggiormente consapevoli, trasformando iniziali paure in occasioni di apprendimento e di crescita personale (Montano & Borzì, 2019), permettendo così una “riorganizzazione positiva delle esperienze” (Garista, 2018, p. 109) con la mediazione educativa di insegnanti e genitori.
Resta da chiedersi quanto queste dimensioni siano generalmente presenti in modo intenzionale nella “normale” routine scolastica per rendere la scuola, oltre l’emergenza, un luogo di maggior ascolto e benessere, in quanto un percorso di educazione alla resilienza può occuparsi non solo di cose tristi, ma – a ben riflettere – soprattutto di felicità (Vaccarelli, 2016).
Riferimenti bibliografici
AIP (2021). Ricerche su aspetti psicologici COVID-19. Retrieved February 6, 2023 from https://www.aipass.org/ricerche-su-aspetti-psicologici-covid-19.
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Il Presidente del Consiglio firma un Dcpm (08.03.2020) con cui sospende ogni attività, i servizi educativi per l’infanzia e le scuole di ogni ordine e grado, annunciando il divieto di assembramenti e l’obbligo di mantenere un distanziamento sociale. Con il lockdown il mondo si ferma.↩︎
Per gestire gli scenari differenziati della pandemia durante lo stato d’emergenza, il governo assegna alle regioni italiane un colore variabile in base all’incidenza settimanale dei contagi, dal rosso (in cui sono attivate tutte le misure restrittive) al bianco (senza restrizioni), come sinteticamente descritto nel Servizio Studi della Camera dei Deputati della XVIII legislatura (2022).↩︎
Come già sperimentato in studi precedenti (Malusà, 2014), il progetto comprendeva attività in piccoli gruppi cooperativi eterogenei con ruoli e compiti a rotazione (Johnson, Johnson, & Holubec, 1994); strutture cooperative finalizzate alla conoscenza e al confronto tra pari; Circle time settimanali, per contestualizzare le proprie esperienze ed emozioni e condividerle con i pari (Gordon, 2013); giochi cooperativi (Platts, 1996) di conoscenza, azione, creatività, comunicazione non verbale per costruire un clima inclusivo e di fiducia reciproca (Malusà, 2023); esperienze di Mindfulness (Chopra, 2019), per sintonizzarsi sul respiro e sperimentare visualizzazioni creative per migliorare il proprio benessere.↩︎
Il progetto è stato approvato dal Dirigente scolastico e condiviso negli incontri collegiali con i genitori. A fine anno è stato richiesto un consenso firmato, depositato nella Segreteria della scuola. É stato considerato nella ricerca solo il materiale che ha ottenuto tutte le liberatorie necessarie.↩︎
Ci si riferisce a Google Meet, per collaborare in modalità sincrona attraverso videolezioni in piccolo o grande gruppo; Google Drive e Google Classroom, per condividere materiali e ricevere feed-back dai compagni e dagli insegnanti, in modalità asincrona.↩︎
Ecco la consegna data ai bambini: “[…] Trovate almeno una cosa bella da raccontare, di cui essere grati. […] potete raccontare quello che vedete dalla finestra, un nuovo gioco inventato, un piatto cucinato con una persona cara… Insomma, qualcosa di piccolo, semplice, ma bello che potete sperimentare in questi giorni”.↩︎
I bambini hanno composto i testi sul quaderno, fotografandoli e poi caricandoli in GDrive o Classroom inizialmente con il supporto dei genitori, poi in autonomia, trascrivendoli (in molti casi) con programmi di videoscrittura.↩︎
Alcuni risultati preliminari sono stati presentati in occasione delle Giornate Nazionali di Psicologia Positiva (Malusà, 2021).↩︎
Tra parentesi, il numero di frequenze.↩︎
Qui e in seguito i nomi indicati sono di fantasia.↩︎