Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.27 n.66 (2023), 33–47
ISSN 1825-8670

Fare ricerca fenomenologica in ambito ematologico: l’esperienza e i vantaggi secondo la prospettiva dei ricercatori

Mirta RocchiHospice “Casa Madonna dell’Uliveto”, Albinea, Reggio Emilia (Italy)

Infermiera dirigente, Responsabile dell’Hospice Casa Madonna dell’Uliveto, Albinea (RE), docente di Infermieristica in Cure Palliative presso il Corso di Laurea triennale di Infermieristica dell’Università di Modena e Reggio Emilia, sede di Reggio Emilia.

Luca GhirottoAzienda USL-IRCCS di Reggio Emilia (Italy)
ORCID https://orcid.org/0000-0001-7632-1271

Dottore di ricerca in Scienze della Cognizione e dell’Educazione presso l’Università di Trento, è metodologo qualitativo e ricercatore sanitario. È responsabile dell’Unità di Ricerca Qualitativa dell’Azienda USL-IRCCS di Reggio Emilia.

Cristina PedroniAzienda USL-IRCCS di Reggio Emilia (Italy)
ORCID https://orcid.org/0000-0001-9065-3635

In staff della Direzione delle Professioni Sanitarie dell’Azienda USL-IRCCS di Reggio Emilia, è Direttore della Didattica Professionalizzante presso Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche dell’Università di Modena e Reggio Emilia. È dottoranda di ricerca presso l’Università degli Studi Roma Tor Vergata.

Pubblicato: 2023-08-30

Doing Phenomenological Research in Hematology: The Experience and Benefits According to Researchers’ Perspective

Abstract

Doing phenomenological research entails a complex process that is only minimally published in scientific journals. What is often missing reflects how being in research calls into question the researchers themselves. Anyone who has conducted qualitative empirical research knows that personal engagement does not come at no cost; there are multiple pedagogical and professional practice gains. This article’s aim is to share the phenomenology behind phenomenology: the reflection and personal experience of doing/being in phenomenological research and the personal narrative of what this experience has meant concerning the authors’ own context: health care and nursing. Taking advantage of a conducted research exploring the lived experience of family caregivers of hematological patients assisted at home, we propose considerations about the perceived epistemic and cognitive gains, the formative and personal/professional sequels of having been reflective participants of phenomenologically oriented research.

Fare ricerca fenomenologica comporta un processo complesso che solo in minima parte viene pubblicato nelle riviste scientifiche. Ciò che spesso manca è il modo in cui la ricerca chiama in causa i ricercatori stessi. Chiunque abbia condotto una ricerca empirica qualitativa sa che l’impegno personale non è a costo zero; i vantaggi pedagogici e di pratica professionale sono molteplici. L’obiettivo di questo articolo è condividere, quindi, la fenomenologia che sta dietro alla fenomenologia: la riflessione e l’esperienza personale di fare/essere nella ricerca fenomenologica e la narrazione personale di ciò che questa esperienza ha significato nel contesto degli autori: l’assistenza sanitaria e infermieristica. Prendendo spunto da una ricerca condotta riguardante l’esperienza vissuta dei caregiver familiari di pazienti ematologici assistiti a domicilio, proponiamo considerazioni sui guadagni epistemici e cognitivi percepiti, sulle conseguenze formative personali/professionali dell’essere stati partecipanti riflessivi di una ricerca orientata fenomenologicamente.

Keywords: Phenomenological research; Reflexivity; Epoché; Care; Hematology.

Riconoscimenti

Questo studio è stato parzialmente supportato dal Ministero della Salute – Programma Annuale Ricerca Corrente 2024.

1 Introduzione

Condurre ricerca empirica qualitativa, in particolare di natura fenomenologica, è un processo complesso che viene pubblicato nelle riviste scientifiche solo in misura limitata. Ciò che spesso manca, perché non trova spazio (e forse legittimità) nella scrittura scientifica, è una riflessione sull’impatto che la ricerca stessa ha sulle persone coinvolte come ricercatori. Chiunque abbia condotto ricerche empiriche qualitative sa che l’impegno personale richiesto non è privo di costi, ma comporta numerosi benefici in termini di crescita pedagogica e professionale.

Il presente articolo ha lo scopo di condividere la fenomenologia dietro la fenomenologia stessa, ovvero la riflessione, lo studio e l’esperienza personale nel condurre e partecipare a una ricerca empirica (fenomenologica), nonché la narrazione del significato di tale esperienza, con particolare riferimento al contesto di cura e assistenza sanitaria delle autrici. Dopo una panoramica sulla ricerca qualitativa e il suo contributo alle scienze della salute, viene presentata una ricerca empirica effettivamente condotta nell’ambito dell’assistenza domiciliare ai pazienti ematologici. L’obiettivo della ricerca era esplorare l’esperienza vissuta dai caregiver familiari che erano stati coinvolti nello studio dopo la morte dei loro cari. Riflettiamo su questa ricerca e narreremo gli aspetti spesso trascurati nelle considerazioni metodologiche: l’impegno personale delle ricercatrici, la costruzione dei dati e il significato pratico di condurre interviste, la sospensione del giudizio e l’analisi dei dati, nonché la faticosa scrittura (e riscrittura) dei risultati. Rispetto al processo “vissuto” che abbiamo narrato, presenteremo alcune considerazioni sui benefici epistemici e cognitivi percepiti, nonché sulle implicazioni formative e personali/professionali di essere partecipanti riflessivi in una ricerca orientata fenomenologicamente.

2 La ricerca qualitativa e il suo apporto alle scienze della salute

La ricerca qualitativa è una metodologia e un insieme di metodi che definiscono specifiche tecniche di raccolta e analisi dei dati. Questi metodi si differenziano dai metodi quantitativi non solo perché non implicano necessariamente processi di quantificazione, ma soprattutto a causa della filosofia sottostante, che mira a utilizzare procedure euristiche per accedere alla complessità dei fenomeni del mondo reale, in particolare quelli classificabili come esperienze, al fine di costruirne il significato (Mortari & Zannini, 2017).

La ricerca qualitativa contribuisce alle scienze della salute, intese come l’insieme di discipline che si occupano di “cura” dell’essere umano nei suoi aspetti generali di funzionamento corporeo, mentale e sociale (Callahan, 1973; “WHO Constitution”, 2023), focalizzandosi sulle esperienze, i vissuti e i processi psicosociali, nonché sui valori dei pazienti e degli operatori sanitari. Tale modalità diventa una possibilità concreta per sviluppare approcci centrati sulla persona nell’ambito della cura e dell’assistenza, promuovendo conoscenze e consapevolezze che tengano conto dell’umanità di tutti gli individui coinvolti, che siano malati, familiari o operatori sanitari, all’interno dei diversi contesti sociosanitari (Holloway & Galvin, 2016; Todres, Galvin, & Holloway, 2009). Quando si intende la cura nel suo senso più ampio di “prendersi cura” della persona, dei suoi bisogni, delle sue sofferenze, ma anche delle sue risorse e dei suoi desideri, al fine di migliorare la sua qualità di vita, diventa evidente che la produzione di conoscenza non può limitarsi alla dimensione biologica della cura, ma deve necessariamente occuparsi dell’esistenza delle persone nella sua complessità irriducibile. Ed è proprio questa complessità che la ricerca qualitativa cerca di studiare, utilizzando strumenti di indagine sufficientemente descrittivi (per non perdere la ricchezza e la complessità delle situazioni) e rigorosi (per consentire una verifica esterna e intersoggettiva dei dati raccolti e delle relative interpretazioni).

3 La fenomenologia come metodo di ricerca empirica

Tra i metodi di ricerca empirica qualitativa, la fenomenologia è considerata il metodo più “filosofico” (Mortari, 2019; Richards & Morse, 2012), poiché ha le sue radici nella fenomenologia di Husserl e nei suoi molteplici sviluppi (Beck, 1994; Giorgi, 2000; Polit & Beck, 2004). La fenomenologia è un approccio di ricerca finalizzato a esplorare, descrivere e comprendere le esperienze di vita delle persone (chiamate anche esperienze vissute). Le ricerche fenomenologiche non riguardano opinioni o punti di vista, ma danno la parola alle “cose stesse” e al lavoro che ruota attorno ad esse. I vissuti sono da intendersi come elementi pregnanti che definiscono l’esperienza umana e non meri pareri (δόξα).

Ogni esperienza è un fenomeno e i dati da considerare comprendono tutte le esperienze mentali, come quelle spirituali, estetiche, etiche ed affettive. Nella fenomenologia, possiamo individuare due presupposti fondamentali: i) il primato della percezione nella conoscenza del mondo e ii) l’esistenza comprensibile solo nel contesto della relazione tra la persona e il proprio ambiente, l’essere-nel-mondo appunto, al di fuori del quale il comportamento umano non ha significato (Mortari & Zannini, 2017; Richards & Morse, 2012).

Il principio generale dell’epistemologia fenomenologica parte dal presupposto che ogni fenomeno abbia la sua essenza e che il compito fondamentale dell’atto conoscitivo sia quello di immergersi nella realtà al fine di cogliere tale essenza, che costituisce il nucleo essenziale senza il quale il fenomeno stesso non sarebbe quello che è (Mortari, 2019). Questo concetto rappresenta una questione centrale nel metodo scientifico proprio di tale approccio. L’essenza di un fenomeno si riferisce a quelle proprietà fondamentali che costituiscono una forma universale necessaria di quel fenomeno, indipendentemente dalle circostanze in cui si manifesta.

Per raggiungere una tale comprensione, la coscienza svolge un ruolo fondamentale. La coscienza è intesa come la sfera di tutti i vissuti, rappresentando il territorio di indagine e, allo stesso tempo, il mezzo attraverso il quale il soggetto interagisce con il mondo interno ed esterno. L’esercizio dell’attenzione interna da parte della coscienza permette di diventare consapevoli del flusso di pensieri che ruota attorno a un determinato fenomeno. Husserl chiama la mente del fenomenologo “io desto”, che attua il principio metodico del “fermati e pensa”, grazie al quale i prodotti del pensiero, cioè i vissuti, diventano oggetti intenzionali (Husserl, 2002).

La fenomenologia, pertanto, rappresenta un modo di fare scienza e una filosofia della ricerca che cerca di chiarire le modalità attraverso cui gli esseri umani acquisiscono conoscenza, offrendo tecniche per la raccolta e l’analisi dei dati che richiedono un’educazione e una postura specifiche del ricercatore nei confronti del mondo esterno.

4 Investire sul sé in ricerca

La letteratura dedicata al ruolo delle ricercatrici e dei ricercatori nella ricerca fenomenologica è scarsa, nonostante tutti i testi sottolineino quanto sia spesso la persona che svolge la ricerca a essere l’unico “strumento”, tanto da suggerire le competenze necessarie da possedere (Creswell & Creswell Báez, 2020).

Nella ricerca fenomenologica, è fondamentale studiare intensamente e allo stesso tempo “tenersi da parte” con umiltà, mettendo in discussione se stessi e possedendo una forte capacità relazionale, al fine di creare un ambiente di verità in cui il fenomeno possa rivelarsi nelle sue caratteristiche peculiari. L’obiettivo diventa quasi un’ossessione: far luce sul fenomeno oggetto di studio. Questa mentalità è piuttosto difficile da adottare, poiché è in netto contrasto con la logica dominante, caratterizzata da individualismo e protagonismo esagerati, ma è indispensabile per condurre uno studio fenomenologico di qualità.

Un concetto centrale è quello di prestare attenzione, un atto cognitivo che caratterizza specificamente l’epistemologia fenomenologica, in cui lo sguardo è rivolto apertamente e costantemente verso un fenomeno al fine di coglierlo mentre si svolge (Mortari, 2019). Si tratta di una postura mentale ricettiva, in attesa del modo e del momento in cui il fenomeno si manifesta, ciò che Mortari definisce “una passività massimamente recettiva” della mente. Complementare al prestare attenzione è l’atto della riflessione, inteso come il risultato della capacità della mente di mantenere i propri vissuti nel campo visivo, in modo da renderli afferrabili e analizzabili, diventando oggetto di pensiero. La riflessione si caratterizza quindi per l’attivazione dello sguardo interno e la sospensione del rapporto con il mondo esterno (Mortari, 2017).

È evidente che una delle principali criticità del metodo fenomenologico, comune a tutti i metodi qualitativi, è il rischio di fraintendimenti derivanti dalla soggettività del ricercatore. Nella ricerca qualitativa in generale e nella ricerca fenomenologica in particolare, oltre a una maggiore riflessione individuale sul proprio operato, il continuo confronto tra i ricercatori e il coinvolgimento di soggetti esterni al lavoro, come forma di controllo e supporto rispetto a ciò che emerge, rappresenta una delle strategie considerate più appropriate. Il sé nella ricerca possiede caratteristiche che consentono anche il lavoro di gruppo, poiché è attraverso il gruppo che la soggettività si trasforma in intersoggettività e si corrobora l’evidenza fenomenologica.

5 Il campo di esperienza: una ricerca fenomenologica con i caregiver famigliari

L’esperienza di ricerca in uno studio fenomenologico in ambito di salute ha riguardato la comprensione del vissuto del caregiver famigliare di malato ematologico assistito a casa (Capodanno et al., 2020).

5.1 Problematiche rispetto al contesto

I malati affetti da neoplasie ematologiche sono particolarmente complessi e fragili a causa dei sintomi, degli effetti collaterali delle terapie, del decorso tipicamente poco lineare, anche nella fase del fine vita della malattia. La necessità di cure e assistenza erogate da personale altamente specializzato, dotato delle sufficienti competenza ed esperienza, sia in ambito ematologico sia domiciliare, probabilmente è una delle principali cause di una scarsa diffusione di servizi di assistenza domiciliare per tale tipologia di malati, con l’inevitabile conseguenza di percorsi di cura quasi esclusivamente ospedalieri, anche nel fine vita che, tra le altre cose, spesso ha una durata di diversi mesi. Ciò presenta molti aspetti negativi, sia per un utilizzo improprio dei servizi sanitari, sia per il disagio di tutti i soggetti coinvolti, legati anche a ricoveri in reparti diversi dall’ematologia, dove viene perso il rapporto con i curanti di sempre.

Però, emerge dalla letteratura una netta preferenza della casa come luogo di cura finale da parte dei famigliari, in contrasto con un vissuto caratterizzato da impreparazione e percezione di scarso supporto, se non addirittura di induzione al ricovero ospedaliero da parte dei curanti stessi (Woodman, Baillie, & Sivell, 2016). Coerente con tale vissuto è la rilevazione di una carenza significativa di servizi che educhino i caregiver famigliari nell’acquisizione di competenze pratiche di cura e assistenza (Bee, Barnes, & Luker, 2009).

Ciononostante, da quanto sperimentato nella provincia di Reggio Emilia, in riferimento al Servizio di Assistenza Domiciliare per Malati Ematologici, attivo dal 2012, la percezione dei professionisti è di un’esperienza molto positiva, sperimentata anche dai pazienti e dai loro famigliari, in termini di soddisfazione, relazioni coi curanti e qualità di vita, mantenendo un buon livello assistenziale, grazie anche alla forte collaborazione degli stessi assistiti e dei loro famigliari. È evidente che i caregiver giocano un ruolo chiave per i pazienti ma anche per i curanti, che necessitano del loro supporto per poter realizzare una buona cura. Ecco allora che occorre comprenderne meglio i bisogni e l’esperienza, se si vuole incentivare lo sviluppo di un’assistenza domiciliare di qualità.

Abbiamo contestualmente notato in letteratura una mancanza: non vi sono ricerche che riportino l’esperienza del caregiver che assiste un malato ematologico fino alla morte, in ambito italiano. Parimenti, ci siamo anche convinti che approfondire tali aspetti sia un obiettivo difficilmente definibile tramite dati quantitativi, che offrirebbero comunque una visione solo parziale, di un quadro con tante e diverse sfaccettature da studiare, per di più senza questionari ad hoc validati disponibili. La ricerca qualitativa era per noi di gran lunga la più idonea, anche per la possibilità di definire contenuti costruiti grazie alla voce di quelle persone che l’esperienza l’hanno vissuta sulla propria pelle.

5.2 Implicazioni sperate

Oltre al livello euristico, le attese che ci hanno mosso a condurre uno studio fenomenologico riguardavano:

  • rilevare il punto di vista dei caregiver famigliari, rispetto a quanto da loro sperimentato, in termini di difficoltà ed elementi di forza, nell’assistere il proprio caro a casa, col supporto del servizio domiciliare.

  • Sottolineare la centralità del loro ruolo nella realizzabilità dei percorsi di assistenza domiciliare in genere, e di quelli indirizzati al malato ematologico grave in particolare. Eravamo convinti che nessuna azione atta all’implementazione e al miglioramento di tali percorsi potesse essere condotta senza una maggiore conoscenza e comprensione di quanto da loro esperito.

  • Suggerire a clinici e amministratori modalità organizzative, assistenziali e relazionali nella presa in cura dei malati ematologici gravi e delle loro famiglie.

5.3 Domanda e metodi

La domanda di ricerca dello studio era la seguente: “Qual è il vissuto del caregiver che assiste a domicilio un paziente ematologico fino all’exitus, col supporto del Servizio di Assistenza Domiciliare?”

Sono stati quindi coinvolti i famigliari dei pazienti ematologici assistiti a domicilio, defunti da almeno due mesi, scelti dall’elenco dei pazienti presi in carico dal Servizio di Ematologia Domiciliare dell’Azienda USL-IRCCS di Reggio Emilia e disponibili a partecipare allo studio e a essere intervistati tramite audio-registrazione.

Fondamentale per l’affidabilità della ricerca è stato individuare persone che avessero caratteristiche definite e circoscritte, individuabili nella domanda di ricerca e definiti informatori-chiave, poiché esperti del fenomeno indagato. Per tale motivo, abbiamo seguito un campionamento cosiddetto finalizzato o purposive.

I partecipanti sono stati indicati dalla Responsabile della Ricerca, utilizzando i criteri di inclusione ed esclusione, a partire dall’elenco dei pazienti presi in carico dal Servizio di Ematologia Domiciliare. Un membro dell’equipe, nel contatto successivo alla morte del paziente (cosiddetto di supporto al lutto), ha chiesto una disponibilità generica a partecipare a un’intervista che avrebbe avuto come oggetto la loro esperienza di caregiver al domicilio, anticipando il contatto telefonico che sarebbe avvenuto in breve tempo da parte di un ricercatore.

In seguito, dopo aver ottenuto i riferimenti necessari dei partecipanti, il ricercatore responsabile dell’intervista ha contattato telefonicamente i partecipanti per discutere approfonditamente dello studio, degli obiettivi e delle modalità di raccolta delle informazioni.

In caso di consenso, è stato programmato un incontro faccia a faccia presso un luogo preferito dal partecipante. Durante il periodo tra giugno 2016 e settembre 2018, sono stati contattati sedici caregiver. Due di loro hanno rifiutato la partecipazione poiché non si sentivano ancora pronti a condividere la propria storia a causa della loro condizione emotiva. Quattordici caregiver hanno accettato l’invito e tre di essi hanno richiesto di essere accompagnati da un familiare, anch’esso caregiver. Di conseguenza, il campione finale è stato composto da diciassette partecipanti, di cui 5 mogli e 2 mariti, 6 figlie e 4 figli. In termini di età, 6 partecipanti avevano un’età compresa tra i 61 e i 70 anni, 3 tra i 51 e i 60 anni, 5 tra i 41 e i 50 anni, 2 tra i 31 e i 40 anni e 1 aveva oltre 70 anni.

I dati sono stati raccolti attraverso quattordici interviste semi-strutturate con domande aperte, con una durata media di 46 minuti (con un range di durata compreso tra i 23 e i 70 minuti). Il gruppo di ricerca era composto da 8 professionisti, tra cui un metodologo, mentre le interviste sono state condotte da 2 ricercatori. La trascrizione completa delle interviste è stata effettuata da vari membri del gruppo, mentre l’analisi dei dati è stata condotta, nel corso di circa 4 mesi, da 2 ricercatrici. Queste ultime hanno svolto ogni fase dell’analisi inizialmente individualmente e successivamente attraverso un confronto sistematico. Durante il processo, sono state effettuate periodiche supervisioni da parte del metodologo e di una professionista esterna. Il lavoro è stato completato a novembre 2019.

6 Che cosa ci ha richiesto di fare, la ricerca fenomenologica?

6.1 Fabbricare i dati

La coerenza metodologica, cruciale per garantire la validità di uno studio e la conoscenza che ne deriva, richiede che il metodo scelto per condurre la ricerca includa modalità specifiche di produzione e raccolta dei dati. Nel contesto dei fenomeni sociali, è importante ricordare che i dati non sono semplicemente raccolti, ma costruiti. Il termine “raccolti” può erroneamente far credere che i dati siano preesistenti allo studio e pronti per essere rilevati. Nel caso della ricerca qualitativa, che si confronta con fenomeni complessi strettamente legati alla soggettività delle persone, alle rappresentazioni e ai resoconti degli eventi, il ricercatore è coinvolto in un processo collaborativo di co-costruzione dei dati che richiede una negoziazione importante tra i ricercatori stessi e i partecipanti allo studio. I dati qualitativi non sono fissi e immutabili poiché non replicano in modo esatto l’oggetto di studio. Essi rappresentano il risultato dinamico di un processo di selezione, che a sua volta deriva dalla focalizzazione su alcuni elementi a discapito di altri, da parte del ricercatore. Non si tratta di un errore (bias), ma di un approccio corretto che segue il disegno e la domanda di ricerca, richiedendo un impegno cognitivo intenso e attento sia verso i partecipanti che verso i dettagli della situazione indagata per produrre dati di “qualità” (Richards & Morse, 2012).

Un aspetto fondamentale è la capacità dei ricercatori di mantenere la “giusta distanza”, in un equilibrio delicato tra l’essere parte della scena e l’esserne separati, evitando sia un atteggiamento passivo che un eccesso di invadenza e intraprendenza, per favorire una corretta collaborazione dei partecipanti e prevenire complicazioni indesiderate.

Inizialmente, è stato utile adottare un approccio di focalizzazione ampia sul fenomeno oggetto di studio, poiché nessuno poteva sapere con certezza a priori quali informazioni sarebbero state rilevanti e quali no. Solo in un secondo momento, attraverso la riflessione e il confronto intersoggettivo, è stato possibile effettuare una selezione più appropriata (Richards & Morse, 2012).

Poiché la fenomenologia è una scienza descrittiva che cerca di apprendere ciò che è importante riguardo all’oggetto di indagine da coloro che ne hanno esperienza diretta, il metodo suggerisce di raccogliere i dati attraverso descrizioni dell’esperienza vissuta. L’intervista rappresenta lo strumento più idoneo a tal fine.

Nel presente studio, è stata utilizzata un’intervista semi-strutturata con domande aperte, focalizzata su ambiti di esperienza. Questa strategia implica un processo informale e interattivo che comprende una domanda iniziale e una serie di ampi temi di indagine, proposti agli intervistati attraverso domande aperte, senza un ordine prestabilito e lasciando spazio a eventuali approfondimenti. Il ricercatore aveva preparato in anticipo una serie di domande finalizzate a suscitare un’ampia gamma di esperienze da parte del soggetto; di conseguenza, queste domande potevano essere modificate o addirittura non utilizzate a seconda dello sviluppo del racconto del partecipante.

Durante le interviste, è stato di fondamentale importanza creare un clima basato sull’ascolto senza giudizio e sulla reciproca fiducia (Coggi & Ricchiardi, 2005). Di conseguenza, abbiamo iniziato le interviste con un momento di socializzazione, come suggerito da Moustakas (1994), al fine di favorire un’atmosfera rilassata. Successivamente, l’intervistatore ha chiesto a ciascun partecipante di concentrarsi sull’esperienza e di raccontare tutto ciò che riteneva rilevante.

Per svolgere al meglio questo processo, abbiamo riconosciuto l’importanza di una specifica abilità - che si basa su una buona capacità di interazione, la quale a sua volta richiede un’adeguata dose di sensibilità e interesse -: l’ascolto attivo. Questo tipo di ascolto mira a sostenere, anziché interrompere, il racconto del partecipante, selezionando attentamente i momenti in cui chiedere chiarimenti e approfondimenti, preferibilmente verso la fine dell’intervista.

6.2 Sospendere il giudizio e generare i risultati

Abbiamo compreso l’importanza della preparazione del ricercatore sia in termini di conoscenza del contenuto della ricerca sia del metodo utilizzato (Richards & Morse, 2012). Nel contesto del metodo fenomenologico, è fondamentale il processo di epochè o “bracketing” (mettere tra parentesi la conoscenza pregressa sia a livello personale - credenze, opinioni - sia a livello professionale - tecniche, strategie assistenziali, relazionali e di metodo) affinché il/la ricercatore/rice possa entrare in contatto con il fenomeno e descriverlo come percepito dall’intervistato/a esperto/a nel campo (Richards & Morse, 2012). Pertanto, è necessario prepararsi attraverso lo studio individuale e la formazione sul campo, con il supporto e la guida di un metodologo esperto.

Durante il completamento delle interviste, fu già necessario procedere alla trascrizione delle stesse al fine di generare i risultati attraverso l’analisi o la codifica dei dati.

Esistono diversi modi per codificare i dati, tutti miranti a trasformare dati non strutturati in un’ipotesi di descrizione del fenomeno in studio. L’obiettivo finale era quello di identificare temi ampi e generali, intesi come un filo conduttore che attraversa i dati senza tradirli (Richards & Morse, 2012). Nell’analisi fenomenologica, il processo consiste fondamentalmente nella lettura, riflessione, scrittura e riscrittura che consente al ricercatore di trasformare le esperienze vissute nell’espressione testuale della loro essenza (Richards & Morse, 2012). Un’indicazione che ha guidato l’intero processo di analisi dei dati è stata quella di rimanere aperti all’identificazione delle invarianti del fenomeno, a partire dalla domanda di ricerca, focalizzandosi su ciò che i dati rivelano sull’esperienza soggettiva indagata. Per fare ciò, è stato fondamentale evitare preconcetti, precomprensioni o preconoscenze sul fenomeno analizzato, eseguendo l’epochè, sia attraverso un processo di auto-riflessione individuale che attraverso l’analisi critica delle riflessioni condivise tra i codificatori (Richards & Morse, 2012).

Ai ricercatori è stato chiesto di mantenere un equilibrio tra l’attenzione al particolare esaminato e il contesto generale di senso, riconoscendo che il tutto è sempre diverso dalla somma delle parti. Pertanto, si preferisce utilizzare il termine “esplicitare” anziché “analizzare”, poiché l’obiettivo è proprio l’esplicitazione del significato dei dati.

Abbiamo seguito alcuni passaggi (Giorgi & Giorgi, 2003) per consentirci questa esplicitazione:

  1. Una fedele trascrizione delle interviste, accompagnata dalle note raccolte durante le stesse, che ci hanno fornito importanti indicazioni sul non verbale, completando e specificando il significato del racconto.

  2. Il familiarizzarsi con il materiale, ascoltando e leggendo più volte ogni singola intervista, per identificare gli elementi più significativi descritti da tutte/i le/i partecipanti, procedendo poi con l’individuazione delle unità di testo significative.

  3. La definizione/traduzione delle unità di testo tramite etichette sintetiche.

  4. Successivamente, con la comparazione di tutte le unità di significato e le relative etichette, si è effettuato un raggruppamento in temi per analogia, identificando il carattere unico di ognuno, sempre tramite il confronto tra gli stessi (nella ricerca dell’essenza concreta del fenomeno) (Mortari, 2019).

  5. Alcuni dei significati esplicitati sono stati ulteriormente organizzati in sotto-temi, temi e temi principali, a seconda anche della complessità e articolazione del fenomeno descritto.

Il punto d’arrivo dell’analisi fenomenologica è stato il tentativo di determinare quei temi significativi che costituivano la struttura generale di senso del fenomeno. Questi sono stati così scritti (Capodanno et al., 2020):

  • sentirsi in connessione con il paziente;

  • vivere il percorso con fatica;

  • percepire l’assistenza domiciliare come un’opportunità;

  • sentire il sostegno dei professionisti;

  • sviluppare un senso di autoefficacia.

Per arrivare a queste sintesi, i passaggi sono stati condotti, prima individualmente da almeno due ricercatrici/ori, e poi nel confronto reciproco, con la supervisione e il supporto del gruppo di ricerca allargato con particolare riferimento a un metodologo e a un soggetto esperto più esterno, in un percorso iterativo e ricorsivo che ci ha obbligati a rivedere i dati e l’analisi più volte.

6.3 Scrivere qualitativamente

Uno degli aspetti distintivi della scrittura qualitativa è la quantità di materiale prodotto durante la ricerca e che richiede una sistematizzazione adeguata. Si accumulano numerosi appunti e note che registrano le riflessioni, gli interrogativi e i dubbi che emergono mano a mano che si sviluppa la conoscenza derivante dal lavoro di ricerca. Inoltre, nella scrittura, assume rilievo il tema della coerenza metodologica e dell’adeguato utilizzo delle strategie atte a mitigare l’arbitrarietà dell’interpretazione soggettiva. Infatti, l’equivalente qualitativo della significatività statistica negli studi quantitativi, che serve a dimostrare la validità e la solidità dei risultati, risiede nell’esplicitazione del percorso seguito, mostrando come si è giunti a tali conclusioni al fine di motivarle e giustificarle in modo appropriato. Purtroppo, la scrittura scientifica, con le limitazioni imposte dai requisiti editoriali e dagli standard stilistici, non riesce a rendere conto appieno del percorso intrapreso come effettivamente e fenomenologicamente svolto.

Abbiamo dovuto affrontare l’ampia mole di materiali scritti, ma anche una certa confusione e disordine apparente. Per gestirli adeguatamente, abbiamo prodotto diverse bozze lungo tutto il percorso, cercando di ottenere una descrizione chiara e completa del fenomeno oggetto dello studio. Ciò ha richiesto un notevole sforzo anche per individuare le parole più adeguate per rivelare la nuova conoscenza, con una costante attenzione a non tradire i dati originali forniti dai partecipanti. È importante disporre di indicatori che segnalino la correttezza del percorso e l’avvicinarsi all’obiettivo. Per noi, tali indicatori comprendevano il sentirsi soddisfatti dei dati elaborati, percepire che i risultati avessero un senso e fossero in linea con una risposta coerente alla domanda di ricerca, nonché essere pronti per la comunicazione, il tutto accompagnato dalla sensazione di uno studio “coeso”, nonostante la disposizione caotica dei materiali iniziali.

Se si desidera aggiungere qualche indicatore più oggettivo, è possibile fare riferimento alla produzione di nuova conoscenza nel testo, contestualizzata e integrata all’interno del corpus di conoscenze esistenti, al fine di completarne il significato. Abbiamo faticato a mantenere l’equilibrio tra traduzione e tradimento, ovvero la buona dinamica tra la parte empirica della documentazione e quella argomentativa/elaborativa che conduce ai risultati. Ciò si è riflettuto in un testo in cui si alternava costantemente la voce dei partecipanti, i dati, con quella degli autori, le interpretazioni, le argomentazioni e i risultati, il tutto in un compromesso tra la descrizione del percorso metodologico seguito e i risultati che sono necessariamente e strettamente intrecciati con tale percorso. Facciamo riferimento alla costante necessità di adattare le procedure di raccolta e analisi dei dati all’oggetto di ricerca che emerge gradualmente nel processo di co-costruzione e rivelazione della conoscenza emergente (Cardano, 2011).

7 Guadagni

7.1 Guadagni epistemici

Siamo giunti alla consapevolezza che la ricerca fenomenologica richieda non solo o principalmente un’azione pratica, ma piuttosto un modo di essere e di porsi che implica un’immersione completa nell’esperienza altrui per comprendere appieno il fenomeno oggetto di studio e, contemporaneamente, una distanza adeguata per poterlo astrarre attraverso un intenso lavoro di riflessione, confronto ed elaborazione. Questa prospettiva richiede una grande curiosità, unita a una sensibilità e un’umiltà significative per cogliere e accogliere nuovi elementi di conoscenza, nonché una notevole capacità di interazione con il gruppo di ricerca, il contesto e i partecipanti, in un processo di co-costruzione lungo e intenso. È un lavoro di squadra interdisciplinare in cui il contributo individuale deve essere costantemente messo in dialogo con quello degli altri, a servizio della conoscenza finale.

L’ascolto, la disponibilità ad accogliere le opinioni degli altri, che richiede competenza nelle relazioni interpersonali, l’attesa dei tempi di tutti e la fiducia in un percorso che porta a un “prodotto” complesso e articolato che emerge gradualmente e inaspettatamente, generano un grande entusiasmo dopo un lavoro e un impegno considerevoli.

In campo sanitario, questa prospettiva ci ha aiutato a comprendere le esperienze dei cittadini riguardo alle complesse dinamiche di salute e malattia, cercando di coglierne i significati attribuiti alle esperienze e ai comportamenti. Gli studi qualitativi, basandosi sul punto di vista in prima persona dei partecipanti, che siano utenti o operatori sanitari, generano dati preziosi per informare la presa di decisioni cliniche e assistenziali, fornendo importanti indicazioni sulle modalità migliori di comportamento e interazione da adottare in determinate circostanze, a partire dalla comprensione delle logiche che le sottendono.

Tutto ciò ha richiesto un cambiamento di prospettiva da parte dei ricercatori rispetto a quanto contemplato dalla ricerca quantitativa, che si basa sul paradigma positivistico (Lincoln & Guba, 1985) con la sua concezione atomistica della realtà, alla base del modello biomedico. Questo modello ha sicuramente contribuito in modo significativo al progresso scientifico e tecnologico, offrendo nuove e straordinarie possibilità di cura per malattie gravi, ma sta sempre più riconoscendo i suoi limiti. Il modello biomedico semplifica un processo estremamente complesso riducendolo a relazioni di causa-effetto che sembrano determinarlo, con una focalizzazione su una dimensione specifica e definibile dell’oggetto di studio, ovvero le componenti biologiche, misurabili e quantificabili, della patologia. Questo approccio ha portato a una conoscenza approfondita ma frammentata dei fenomeni, concentrandosi solo sulle componenti misurabili e tralasciando i legami tra le parti, che sono invece cruciali per dare significato al fenomeno nella sua completezza e favorire una migliore comprensione. Poiché trattiamo con persone e non solo con corpi o parti di essi, un approccio che non contempla la possibilità di una visione ampia e completa rischia di contribuire alla disumanizzazione spesso associata alla medicina odierna (Moja & Vegni, 2000).

Senza negare l’importanza della ricerca quantitativa e del modello biomedico, diventa necessario aprire la strada a paradigmi sistemici che consentano di ampliare l’orizzonte e includere, anziché escludere, la ricchezza dell’essere umano e dell’esperienza umana. Questi paradigmi sono in grado di comprendere “le relazioni che strutturano il fenomeno indagato” e di esplorare l’esperienza in profondità (Mortari, 2007). Non si tratta di contrapporre due approcci, ma di renderli complementari: entrambi sono indispensabili per lo studio, la conoscenza e il miglioramento della salute delle persone. Ogni approccio ha basi filosofiche, metodi e strategie diverse per catturare aspetti molteplici della realtà oggetto di studio, con la necessità di una pluralità di prospettive. Pertanto, è necessario associare alla ricerca di tipo quantitativo, che è alla base della Medicina Basata sulle Evidenze (Sackett, Rosenberg, Gray, Haynes, & Richardson, 1996), la ricerca di tipo qualitativo, che consente di studiare le logiche della cura (Mortari & Saiani, 2013), ovvero tutti gli elementi che compongono la cura e che sono complementari all’applicazione delle evidenze quantitative.

Queste consapevolezze sono il risultato di un coinvolgimento diretto nella ricerca fenomenologica. Attraverso questa esperienza, abbiamo rafforzato l’idea dell’importanza per ogni professionista impegnato principalmente nella pratica clinica di acquisire competenze nella ricerca. Il contributo offerto dalla prospettiva fornita da tale apprendimento, unico e integrativo rispetto alla prospettiva più specifica del ricercatore, risulta fondamentale per un progetto accurato e per la creazione di un prodotto che sia in sintonia con la realtà sanitaria e, di conseguenza, utile per essa. Abbiamo compreso che grazie alla ricerca fenomenologica, come operatori sanitari, abbiamo ottenuto un punto di osservazione privilegiato e unico, da cui sono emerse intuizioni di comprensione che ci hanno permesso di superare i confini dell’ambito strettamente clinico. È come se fossero emersi in modo quasi spontaneo riferimenti di ampio respiro, che si indirizzano verso una visione del fenomeno e delle sue implicazioni anche in ambito politico, amministrativo e gestionale.

7.2 Risvolti identitari e pedagogici

Le conoscenze e le consapevolezze acquisite dai professionisti/ricercatori dalla conduzione e dalla partecipazione sono il frutto di un processo di auto-formazione che implica anche una trasformazione identitaria.

Nel caso della ricerca fenomenologica, il processo di autoformazione richiama il concetto di formazione attraverso l’esperienza. Secondo Pineau (1983), l’auto-formazione è strettamente connessa e non distinguibile né dall’etero- né dall’eco-formazione. Questi tre aspetti si intrecciano nel soggetto che è capace di darsi forma e prendere forma, dove il formarsi è un’attività ontologicamente più significativa dell’educarsi (Pineau, 1978). L’autoformazione si manifesta quando il soggetto si dà forma durante i momenti di formazione, nel confronto con gli altri (etero-formazione) e attraverso le esperienze nel lavoro e nella quotidianità (eco-formazione). Questo concetto implica che la formazione avvenga sempre in un contesto sociale di co-formazione. L’esperienza, l’autoformazione, l’eco-formazione e lo sviluppo dell’identità del soggetto, intesa come identità professionale, sono strettamente interconnessi (Courtois, 1995). Il professionista-ricercatore coinvolto nel processo matura, modifica e sviluppa la propria identità personale e professionale attraverso l’elaborazione autonoma dei saperi, delle conoscenze e dell’esperienza.

Nel contesto dello sviluppo e della conduzione di un protocollo di ricerca qualitativa, e in particolare fenomenologica, i tre poli della formazione coesistono e si influenzano reciprocamente all’interno di processi riflessivi individuali e collettivi, sebbene l’aspetto auto-formativo prevalga. All’interno di tali processi, l’auto-formazione rappresenta un punto centrale per la costruzione del sé professionale, il quale avrà diverse implicazioni nella gestione della professionalità del soggetto in futuro, in tutti gli ambiti in cui è coinvolto, che siano clinici, di ricerca o di formazione stessa.

Possiamo affermare che l’autoformazione del professionista sanitario è strettamente legata alle abilità che si apprendono facendo ricerca qualitativa, poiché entrambe implicano un processo di apprendimento e trasformazione personale e professionale.

La ricerca qualitativa richiede al professionista sanitario di sviluppare una serie di competenze specifiche che vanno al di là delle conoscenze tecniche e scientifiche tradizionalmente acquisite. Attraverso la ricerca qualitativa, il professionista impara a cogliere e comprendere la complessità delle esperienze umane, a dare valore alle prospettive individuali e a esplorare le dinamiche sociali e contestuali che influenzano la salute e la malattia (Ghirotto, De Panfilis, & Di Leo, 2020).

Parimenti, l’autoformazione implica l’esplorazione e la riflessione sulle proprie convinzioni, valori e atteggiamenti, nonché l’apertura a nuove prospettive e modelli concettuali. Attraverso l’autoformazione, il professionista sviluppa la capacità di auto-osservazione critica e di analisi dei propri pregiudizi e delle influenze culturali e sociali che possono influenzare il suo lavoro.

Inoltre, la ricerca qualitativa richiede al professionista sanitario di sviluppare abilità di comunicazione empatica e di ascolto attivo. L’interazione con i partecipanti alla ricerca richiede sensibilità, rispetto e capacità di creare un ambiente di fiducia, in cui le persone si sentano a loro agio nel condividere le loro esperienze e punti di vista. L’abilità di porre domande aperte, di approfondire i significati attribuiti dagli individui alle loro esperienze e di cogliere i dettagli e le sfumature delle narrazioni sono fondamentali per la ricerca qualitativa e contribuiscono anche alla pratica clinica del professionista (Ghirotto, De Panfilis, & Di Leo, 2020).

L’autoformazione del professionista sanitario si intreccia con le abilità che si apprendono facendo ricerca qualitativa. Questo tipo di ricerca offre una prospettiva unica per esplorare le esperienze umane, sviluppare una comprensione approfondita dei fenomeni sanitari e migliorare la pratica professionale. L’autoformazione attraverso la ricerca qualitativa permette al professionista di acquisire competenze di riflessione critica, comunicazione empatica e ascolto attivo, che sono fondamentali per fornire una cura centrata sulla persona e per affrontare in modo efficace le sfide complesse del contesto sanitario.

7.3 Implicazioni raggiunte

In precedenza, abbiamo dichiarato che le attese che ci hanno mosso a condurre lo studio erano di rilevare il punto di vista dei caregiver famigliari ma anche di suggerire a clinici e amministratori modalità organizzative, assistenziali e relazionali nella presa in cura dei malati ematologici gravi e delle loro famiglie.

Grazie a questa ricerca fenomenologica, gli aspetti innovativi di questo studio possono essere riassunti in tre punti:

  • È stato dipinto un servizio che, nella comprensione del vissuto dei caregiver, dimostra di soddisfare gli aspetti etici di fornire al paziente, e al suo sistema, un accompagnamento dignitoso nel fine vita.

  • L’efficienza del servizio e i benefici dipendono direttamente dal benessere dei caregiver.

  • Una relazione collaborativa con gli operatori sanitari può migliorare il senso di realizzazione di tutte le parti coinvolte, riducendo la frustrazione della famiglia derivante dalla sensazione di “non aver fatto del proprio meglio”.

Analizzando l’esperienza di condurre la ricerca fenomenologica nell’ambito ematologico, è emerso come questa esperienza abbia rafforzato scelte di cura e consapevolezze (McGrath & Holewa, 2007). L’analisi dei dati ha evidenziato l’importanza cruciale, per un adeguato servizio di cure domiciliari ematologiche, di accompagnare i curati, i curanti e i caregiver nel percorso verso la morte del paziente e di affrontare apertamente il tema della morte e del processo di morire.

I caregiver familiari devono essere considerati non solo come parte integrante della rete di cura del paziente, ma anche come persone che necessitano di essere supportate. Questo implica riconoscere il loro ruolo significativo, rispettare le loro opinioni e preoccuparsi del loro benessere, che spesso è strettamente legato a quello del paziente. Inoltre, il sostegno ai caregiver familiari comprende anche l’affronto del lutto. In questo contesto, i professionisti sanitari dovrebbero dimostrarsi disponibili a rispondere a qualsiasi domanda o dubbio che i caregiver possano avere (Alam, Hannon, & Zimmermann, 2020).

Allo stesso modo, durante le interviste condotte con i familiari dei pazienti ematologici assistiti a domicilio dopo la morte del paziente, si è evidenziato come la rielaborazione e l’accettazione della morte e del processo di morire fossero aspetti inevitabili per le ricercatrici stesse. Questo sottolinea come il coinvolgimento in un processo di ricerca impatti anche sulla sfera personale delle ricercatrici, richiedendo loro di affrontare e dare significato alla morte e al processo di lutto.

La ricerca fenomenologica nell’ambito ematologico ha contribuito a rafforzare scelte di cura e consapevolezze, evidenziando l’importanza di accompagnare i caregiver familiari durante il percorso di cura e di affrontare apertamente il tema della morte e del processo di morire. Inoltre, l’esperienza stessa della ricerca ha richiesto alle ricercatrici di confrontarsi con la rielaborazione e l’accettazione della morte e del morire. Questo sottolinea come la ricerca non solo arricchisca il sapere scientifico, ma impatti anche sulla sfera personale e sullo sviluppo dei ricercatori, migliorando i servizi quando le ricercatrici sono al contempo curanti.

Infatti, il saper stare con la morte da parte dei professionisti sanitari è fondamentale per migliorare i servizi di ematologia domiciliare in diversi modi.

Innanzitutto, il processo di accompagnamento verso la morte del paziente permette ai professionisti sanitari di creare un ambiente di cura empatico, compassionevole e rispettoso. La capacità di comprendere e affrontare la morte come parte integrante del percorso di cura consente ai professionisti di instaurare una relazione di fiducia e di sostegno con i pazienti e i loro caregiver familiari. Questo può contribuire a ridurre l’ansia e la paura legate alla morte e a favorire un’esperienza di cura più umana e centrata sul paziente.

Inoltre, l’apertura dei professionisti sanitari al tema della morte e del morire permette loro di affrontare in modo adeguato le esigenze dei caregiver familiari. I caregiver affrontano una serie di sfide emotive e pratiche durante il processo di assistenza e dopo la morte del paziente. La disponibilità dei professionisti a fornire sostegno emotivo, informazioni e risposte alle domande in sospeso può alleviare il carico emotivo e facilitare il processo di lutto dei caregiver.

Oltre a ciò, il riconoscimento del ruolo e del benessere dei caregiver familiari come parte integrante della rete di cura consente di promuovere una collaborazione efficace e una presa in carico globale del paziente. Prendersi cura dei caregiver significa considerarli come partner attivi nel percorso di cura e coinvolgerli nelle decisioni e nelle strategie di gestione del paziente. Questo può favorire un migliore coordinamento e continuità delle cure, migliorando la qualità complessiva dell’assistenza ematologica domiciliare.

Infine, il saper stare con la morte e l’elaborazione personale che i professionisti sanitari affrontano durante la ricerca fenomenologica può contribuire allo sviluppo della loro identità professionale. L’esperienza di confrontarsi con la morte e il lutto può portare a una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni, valori e scopi nel contesto della pratica sanitaria. Questo può favorire un senso di significato e di impegno nel lavoro, promuovendo una cura di qualità e una maggiore soddisfazione professionale.

In sintesi, il saper stare con la morte da parte dei professionisti sanitari migliora i servizi di ematologia domiciliare attraverso l’instaurazione di una relazione di cura empatica e rispettosa, il sostegno ai caregiver familiari, la promozione di una collaborazione efficace e la crescita personale e professionale dei professionisti stessi. Questi elementi contribuiscono a una migliore qualità dell’assistenza e a un’esperienza di cura più umana e centrata sul paziente e sulla sua rete di supporto.

8 Riflessioni conclusive

Nel contesto della ricerca qualitativa, è evidente che i ricercatori devono sviluppare specifiche competenze al fine di massimizzare l’ascolto dei nuovi dati e formulare nuove ipotesi, gestire le dinamiche interne al processo di ricerca e le interazioni sociali per la raccolta dei dati, nonché riflettere sul proprio modo di operare (Mortari, 2019; Sasso, Bagnasco, & Ghirotto, 2015).

Quando si coinvolge un professionista sanitario in una ricerca fenomenologica, si ottiene un notevole e molteplice contributo formativo. Le competenze richieste per l’assistenza sanitaria sono fortemente affini a quelle richieste nella ricerca qualitativa. Inoltre, la partecipazione alla ricerca consente ai professionisti di approfondire, descrivere e chiarire fenomeni importanti per la pratica, la formazione e l’organizzazione, basandosi sulle esperienze di vita delle persone coinvolte, come pazienti, familiari e operatori sanitari, riconosciute come fonti preziose di nuove conoscenze. L’approccio fenomenologico dà voce ai protagonisti della cura, consentendo loro di trovare nuove comprensioni utili sia per elaborare parti importanti della loro vita personale e professionale, sia per gli altri soggetti interessati. Si può parlare del “potere trasformativo” dell’approccio qualitativo verso tutti i soggetti coinvolti, poiché essi non possono mai essere considerati informatori passivi, a causa dei processi riflessivi innescati da questa forma di ricerca (Mortari & Zannini, 2017).

Tuttavia, è importante sottolineare che l’impegno richiesto in questo tipo di ricerca è notevole, sia a livello cognitivo sia emotivo, oltre a richiedere un considerevole investimento di tempo e risorse. Tuttavia, i benefici sono significativi: tutti coloro che partecipano al percorso acquisiscono competenza epistemica e la conoscenza che emerge è di elevata qualità, poiché è frutto di una co-costruzione dinamica di molteplici prospettive. Questo arricchimento è particolarmente importante considerando che la cura affronta contenuti complessi, mai completamente compresi o definiti, ma sempre in evoluzione e generatori di nuove direzioni di ricerca per supportare i percorsi di cura che interagiscono continuamente con l’esperienza vissuta dei pazienti e degli operatori sanitari. Pertanto, sperimentare questo approccio obbliga a confrontarsi con la vita e l’umanità delle persone, a partire da sé stessi. Una volta studiato un fenomeno con tale modalità, il modo di affrontarlo e comprendere cambia profondamente grazie a una maggiore e più globale comprensione che si sviluppa. Inoltre, un professionista che acquisisce maggior consapevolezza, compresa la consapevolezza dei propri atteggiamenti e comportamenti, diventa un individuo che si prende cura di sé e che è potenzialmente più capace di apprendimento dall’esperienza, una competenza sempre più essenziale in un mondo in continua evoluzione e trasformazione (Mortari & Zannini, 2017).

Inoltre, le implicazioni per il lavoro di squadra, sempre più strategico in contesti complessi come la cura delle persone affette da malattie cronico-degenerative, sono di notevole importanza. Non solo si ha l’opportunità di sperimentare e praticare le abilità di confronto tra diverse prospettive per raggiungere un accordo su quanto elaborato e compreso, ma si può anche sviluppare la capacità di esplicitare ciò che si sperimenta e percepisce nel lavoro, migliorando così la gestione dei conflitti. Imparare a prestare attenzione e descrivere ciò che accade aiuta a dare un nome agli eventi e ai comportamenti, facilitando un confronto più libero da pregiudizi ed eccesso di emotività.

Infine, la fase di elaborazione dei risultati può essere fonte di grande soddisfazione, poiché offre l’opportunità di fare inferenze tra la conoscenza emergente e l’esperienza pratica quotidiana nella clinica. Questo permette di sistemare la conoscenza in un quadro teorico coerente, che a sua volta può generare nuove idee per ulteriori ricerche (Mortari & Zannini, 2017).

In sintesi, coinvolgere professionisti sanitari in una ricerca fenomenologica porta a un notevole arricchimento formativo e contribuisce allo sviluppo di una conoscenza di elevata qualità. L’approccio qualitativo favorisce la comprensione globale dei fenomeni di cura e promuove una maggiore consapevolezza e apprendimento dall’esperienza per i professionisti. Inoltre, ha ricadute positive sul lavoro di squadra e facilita la gestione dei conflitti. La fase di elaborazione dei risultati permette di integrare la conoscenza emergente con l’esperienza pratica, aprendo nuove prospettive di ricerca.

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