1 Introduzione
Nell’ordinamento italiano è noto come il contrasto patrimoniale che prevede l’ablazione di beni abbia assunto un ruolo centrale nel più complessivo novero delle misure di prevenzione e lotta al crimine organizzato. All’interno della pur frammentaria e disarmonica evoluzione del quadro normativo di riferimento, come strutturatosi a partire dalla “Rognoni-La Torre” (Legge 64/1982), rivestono importanza cruciale le previsioni della legge n. 109/1996, che, prescrivendo il riutilizzo a fini istituzionali e sociali dei beni sottratti alle mafie, ridefiniscono la ratio degli interventi. Si passa da un campo esclusivamente repressivo di contrasto alle organizzazioni criminali, ad una più complessiva azione di ripristino e promozione attiva della legalità, da realizzare sia da un punto di vista simbolico, sia come nuove possibilità di sviluppo (Letizi, 2014). Questo avviene, soprattutto, in territori fortemente segnati e condizionati dalla presenza mafiosa, intesa quest’ultima anche come freno alle possibilità di crescita sociale ed economica (Fofi, 2011). Il riutilizzo dei beni confiscati nelle politiche realizzate dai governi nazionale e regionali ha assunto, così, un significato estensivo, contemplando la possibilità di finalità economiche per gli attori sociali individuati dalla normativa (Sanfelice, 2014; Giannone, 2014). In questa prospettiva, il riutilizzo dei beni confiscati assume anche una straordinaria valenza di carattere educativo, come già dimostrano dai diversi progetti che, a partire dall’intenso lavoro realizzato in questi anni da “Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” di Don Luigi Ciotti, portano ogni anno, migliaia e migliaia di studenti a conoscere, in tutta Italia, le esperienze legate ai beni sottratti alla criminalità organizzata. La scuola si interfaccia con questo universo già da tempo, coinvolgendo anche organizzazioni del Terzo settore protagoniste della gestione di questo patrimonio (Nicolosi, 2009). Nel presente lavoro si sostiene la possibilità che tale relazione possa diventare strutturale, sia per quanto concerne diversi ambiti disciplinari mediante processi di narrazione, sia per i Percorsi di competenze trasversali e orientamento (PCTO), definendo possibilità di intervento da realizzarsi in un’ottica di service learning e learning by doing, metodologie che già si sono dimostrate feconde per la crescita culturale e civile dei ragazzi.
2 I beni confiscati vanno a scuola, la scuola va sui beni confiscati
A partire dai principi, dalle previsioni normative e dalle esperienze cui abbiamo precedentemente accennato, il riutilizzo dei beni confiscati può essere assunto come campo del sapere sul quale progettare e strutturare delle Unità Didattiche di Apprendimento (UDA) in diversi ambiti disciplinari (Castoldi, 2017). Come già sottolineato, infatti, si tratta di una tematica trasversale, che interessa più settori e che, consequenzialmente, introduce e richiede conoscenze e competenze che concernono diverse discipline (giuridiche, politiche, sociali, economiche, storiche, agricole ecc.). Questa peculiarità ne fa un campo di specifico interesse per l’universo scolastico, laddove, nelle diverse tipologie di istituti, indirizzi scolastici e nelle varie discipline possono essere strutturate UDA che, partendo dal riutilizzo di questo patrimonio, sviluppino argomentazioni di precipuo interesse scolastico (Nigris et al., 2019). Di seguito si prova a definire una prima schematizzazione degli ambiti disciplinari interessati.
Il primo ambito disciplinare interessato, evidentemente, è quello connesso all’insegnamento trasversale di Educazione civica. Come si sa, la Legge 20 agosto 2019, n. 92, ha posto l’obbligo di individuare, all’interno del monte ore annuale complessivo, un orario, non inferiore alle 33 ore per ciascun anno di corso, dedicato a una disciplina che viene correlata alle previsioni costituzionali del nostro Paese. Il razionale sta nel fatto che la conoscenza dell’Educazione Civica è presupposto fondamentale per riconoscere diritti, doveri e comportamenti che abbiano la finalità di incentivare la partecipazione dei cittadini alla vita del Paese (Linee guida per l’educazione civica, Decreto Ministeriale n. 35 del 22 giugno 2020). L’insegnamento di Educazione civica ruota quindi intorno a tre temi:
Stato di diritto;
Sostenibilità e tutela ambientale;
Digitalizzazione.
La strutturazione di una o più UDA di educazione civica connesse al riutilizzo dei beni confiscati, risponde sicuramente ai primi due nuclei concettuali, ma anche al terzo, laddove, a costruzione di una georeferenziazione telematica dei beni confiscati (indicazione che discende direttamente dalle previsioni normative di specie) risponde alle esigenze di trasparenza, accessibilità dei dati e partecipazione civica, tematiche proprie della cittadinanza digitale (Limone, 2012). Altro ambito disciplinare direttamente connesso alla tematica del riutilizzo dei beni confiscati è evidentemente quello dell’insegnamento di Diritto. A partire dalle previsioni legate al sequestro, alla confisca e al riutilizzo del patrimonio sottratto ai clan, possono infatti essere strutturate UDA legate:
alla legislazione antimafia e in particolare alla legislazione nazionale e regionale sui beni confiscati;
a specifiche normative inerenti alle attività di riutilizzo (in particolare quelle legate alla cura e all’integrazione sociosanitaria dei soggetti svantaggiati);
al Terzo settore;
all’Agricoltura sociale.
Un ulteriore particolare ambito disciplinare interessato può essere quello dell’Economia politica e aziendale: il riutilizzo dei beni confiscati, infatti, è connesso a teorie e prassi che concernono l’economia sociale, le azioni di sviluppo locale, i principi della cooperazione sociale e dell’auto-imprenditorialità (Giorio, 2015).
La macrotematica dei beni confiscati, ancora, può essere lo spunto per strutturare UDA di Storia dedicate alla Questione meridionale dall’Unità ad oggi e alle sue connessioni con la presenza delle organizzazioni criminali per come si sono evolute, si sono strutturate e sono state contrastate.
Per quanto concerne l’insegnamento di Scienze umane e sociali, poi, i beni confiscati possono essere parte di UDA dedicate alle interpretazioni delle mafie in ambito sociologico, o all’esame delle politiche per le disabilità e l’integrazione sociosanitaria (Perretta, 2011; 2013).
E certamente, in particolare in alcuni istituti tecnici, il riutilizzo dei terreni confiscati e le esperienze di produzione agro-alimentare che pure si sono sviluppate possono essere riportate negli insegnamenti di Scienze della terra, Scienze degli alimenti, Laboratori enogastronomici e di accoglienza turistica ecc. Questo elenco, dunque, pur nella sua sommarietà e mancata esaustività, già mostra una pluralità di ambiti disciplinari in cui il tema dei beni confiscati può rappresentare un importante strumento educativo, restituendo agli studenti un possibile piano di realtà e di effettività dei diversi insegnamenti. Il denominatore comune di ognuna e ciascuna di queste potenziali UDA è sicuramente rappresentato dal processo narrativo che rappresenta oggi una metodologia didattica profondamente educativa e indispensabile nei processi di trasferimento dei saperi (Patera, 2022).
3 La narrazione come metodologia didattica per condividere le esperienze di riutilizzo dei beni confiscati
Danilo Dolci (1974), nel suo Poema Umano sosteneva che “ciascuno cresce solo se sognato”. La narrazione delle storie che attraversano i beni confiscati in un contesto scolastico può rappresentare un valido strumento per educare i giovani al rispetto delle regole e della legalità. Sappiamo, attraverso autori come Bruner (2000; 2002; 2005), che il “pensiero narrativo” rappresenta un peculiare dispositivo cognitivo che ci consente di leggere esperienze ed azioni come fatti contestualmente determinati e organizzati secondo una particolare consequenzialità, per riconoscerne il valore intenzionale alla luce del significato che possono assumere in rapporto ad uno specifico contesto sociale e culturale (Striano, 2006, p. 45). Secondo Priore & Lo Presti (2019), grazie alla narrazione “siamo in grado di assumere una collocazione all’interno del mondo in cui viviamo, di rivestire uno o più ruoli all’interno della storia della nostra vita e all’interno di altre infinite storie che ci coinvolgono, di volta in volta in qualità di personaggi, autori, narratori o semplici spettatori, ma che, in ogni caso, ci consentono di stabilire la nostra posizione all’interno di un’unica complessa configurazione culturale” (Priore & Lo Presti, 2019, p. 25). La narrazione apre uno spazio che è sempre intersoggettivo, relazionale, esposto allo sguardo e al racconto dell’altro (Cavarero, 2022). La narrazione assume, così, valore di strumento pedagogico, formativo e di ricerca: chiama infatti in causa le dimensioni apprenditivo/cognitive, affettivo/relazionali, emozionali e motivazionali, consente di analizzare, ri-elaborare e comprendere le diverse esperienze, all’interno di una restituzione di senso che, tra l’altro, definisce un continuum tra le esperienze passate e quelle future, permette di palesare aspettative, motivazioni, emozioni degli attori implicati nelle esperienze, e delle intenzioni, degli obiettivi, degli scopi, degli orientamenti sottesi alle azioni (Striano, 2006, p. 49).
Le esperienze di riutilizzo dei beni confiscati, nella dimensione di investimento sul bene relazionale, si collocano pienamente all’interno della prospettiva narrativa fin qui descritta. La restituzione delle esperienze di riutilizzo attraverso la narrazione delle storie, delle biografie delle donne e degli uomini che le attraversano o cui comunque quelle esperienze sono legate, determina la costruzione di una relazione che si fonda sul principio dell’intenzionalità, che ci porta al riconoscimento dell’Altro da sé con il quale si instaura un rapporto dinamico di reciprocità, condivisione, confronto (Felaco, 2018). In tal modo, nel corso di decine di incontri svoltisi negli ultimi quindici anni nelle scuole di tutto il Paese, i soci lavoratori delle cooperative del Consorzio “Nuova Cooperazione Organizzata – NCO” (impegnate nella gestione di beni confiscati in Campania) hanno testimoniato, con i loro vissuti attraversati da esperienze di marginalità, sofferenza, esclusione, la possibilità di definire percorsi di riscatto sociale e lavorativo (Esposito, 2017). Le relazioni umane, in questi casi, non sono semplici interazioni tra individui: si tratta piuttosto di un processo complesso di co-esistenza in cui l’Altro gioca un ruolo centrale, portandoci a considerare una diversa prospettiva che è parte integrante della nostra esistenza nel mondo.
All’interno di una relazione di prossimità (quindi di reciproco riconoscimento del/con l’Altro che necessita della messa in discussione, della sospensione – epochè – del pre-giudizio e quindi dell’attività giudicante), trovano luogo e tempo di espressione anche le esperienze emotive. Un processo di disvelamento che può diventare propedeutico ad una più complessiva azione educativa volta a restituire ai ragazzi la possibilità di rapportarsi in modo consapevole e costruttivo con il proprio e l’altrui universo emotivo, fornendo loro anche gli strumenti per non lasciarsi piegare ai costrutti utilitaristici e spesso nichilistici di una “epoca di passioni tristi”. D’altro canto, la relazione educativa, come spazio-tempo in cui trovano armonia le dimensioni del pensare e del sentire, restituisce la possibilità di non aver paura ed affrontare le ferite, le paure, gli affanni, le fragilità. E anzi, come sostenuto da Eugenio Borgna (2014), si potrebbe addirittura pensare che proprio il riconoscimento della fragilità, in un agire fenomenologicamente orientato, possa diventare il presupposto di autenticità della relazione. Superando le retoriche contemporanee che definiscono la fragilità quale condizione di debolezza e immaturità, oggi la fragilità è considerata parte dell’essere umano nelle diverse situazioni della vita legate all’età, al passare del tempo, alla malattia. La fragilità così intesa restituisce la possibilità della reciprocità, della comprensione e consente di percepire le emozioni, gli stati d’animo e l’esserci dell’Altro. Partendo da questi presupposti, ricostruire una relazione educativa, nella sua complessità e multidimensionalità, anche e soprattutto attraverso un atto creativo continuo, appare la prima necessità a cui ogni docente è quotidianamente chiamato a rispondere (Cardinali & Craia, 2017).
4 Il monitoraggio civico dei beni confiscati tra Service Learning e Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO)
L’azione educativa del monitoraggio civico dei beni confiscati trasferiti al patrimonio del Comune nel quale opera la scuola, risponde certamente a tutte le caratteristiche proprie del Service Learning e dei Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO), realtà oramai consolidate nell’ambito scolastico, di seguito dettagliate. In particolare, il Service Learning è un approccio educativo che combina servizio alla comunità e apprendimento esperienziale per promuovere lo sviluppo di competenze sociali, civiche e di orientamento. Questo approccio è particolarmente rilevante per gli adolescenti in percorsi educativi, come i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO), in quanto offre l’opportunità di acquisire competenze chiave per il loro futuro.
4.1 Il Service Learning
Nato alla fine degli anni Sessanta nel Nord America, il Service learning, le cui radici sono generalmente riconosciute nel pensiero di John Dewey (2014) e Paulo Freire (2014), e il cui corpus teorico ed esperienziale si è arricchito di molteplici contributi ricevuti su scala internazionale, si è diffuso in Italia soprattutto a partire dal 2016. Sinteticamente, possiamo affermare con Furco (2002, p. 25) che “il Service-Learning cerca di coinvolgere gli studenti in un percorso a metà strada tra servizio alla comunità e apprendimento accademico”, evidenziando quindi la necessità di distinguerlo dalle attività di volontariato e/o di stage, e riconducendolo, invece, al curricolo di studi (Mortari, 2017; Sims, 2010). Quindi, come descritto dal Ministero, il Service Learning deve essere considerato una “proposta pedagogica che unisce il Service con il Learning, identificabile quest’ultimo come lo sviluppo di competenze socio-disciplinari che consentono agli allievi di sviluppare le proprie conoscenze e competenze attraverso un servizio solidale alla comunità” (Rosati, 2019). Si tratta di un approccio pedagogico che coniuga i processi di insegnamento/apprendimento e le azioni concrete, con lo scopo sia di dare risposta a bisogni della collettività che di permettere agli studenti di imparare concretizzando il loro sapere in azioni pratiche (Felten & Clayton, 2011). Grazie al Service Learning, lo studente ha la possibilità di esprimere e riconoscere le proprie attitudini, potenziando l’orientamento formativo (Fiorin, 2016). Attraverso il Service Learning gli studenti possono muoversi all’interno del loro normale curricolo, mettendo il sapere al servizio della comunità, sviluppando competenze e facendo crescere il senso di identità e di appartenenza ad un territorio (Fiorin, 2017). Realizzando una piena fusione tra “apprendimento” e “servizio”, quindi, il Service Learning permette allo studente di sviluppare le proprie abilità e competenze di cittadinanza non in termini trasmissivi ma attivi, collaborando con istituzioni e associazioni locali, confrontandosi con le problematiche della realtà circostante, introducendo analisi e strategie d’azione volte a contribuire alla loro risoluzione. Gli apprendimenti che derivano dall’adozione del Service Learning sono sempre situati, esperienziali e pratici, calati nelle situazioni di vita reale e nelle dinamiche sociali della cultura di appartenenza. La caratteristica principale del Service Learning è rafforzare la direzione formativa dei diversi insegnamenti oltre che valorizzare tutte le esperienza che lo studente vive nella scuola. A ragion di questo, il Service Learning si serve di metodologie didattiche innovative che hanno effetti positivi sulla qualità dell’apprendimento, oltre che impattare positivamente in termini di educazione alla cittadinanza attiva (De Nola, 2018).
Evidentemente, il Service Learning agisce anche sul ruolo della scuola, rafforzando la sua mission di soggetto attivo e partecipe alla vita della comunità, facendone un riferimento per i processi di empowerment comunitario, volti allo sviluppo delle capacità dei cittadini di incidere sulle trasformazioni sociali (Dallago, 2006; Bruce, 2013).
Negli anni, però, questa previsione è rimasta sostanzialmente inevasa, e solo nel corso dell’ultimo biennio si sta provvedendo ad adottare iniziative in questo senso. Tra queste, riveste particolare rilevanza l’iniziativa prevista dal Piano Strategico per i Beni Confiscati della Regione Campania, azione volta a promuovere e finanziare progetti di Scuole Secondarie di secondo grado e Università per il monitoraggio civico del riutilizzo di beni confiscati. Ad oggi, secondo quanto si è potuto evincere dai vari momenti di presentazione dei risultati dei diversi progetti di monitoraggio e dagli atti prodotti dagli enti interessati, i riscontri sono stati estremamente positivi, come si evince dall’estratto di un report inoltrato da uno dei soggetti scolastici interessati:
Il percorso ha permesso di incrementare la fiducia nelle istituzioni pubbliche ed accresciuto la capacità di agire da cittadini responsabili e di partecipare pienamente alla vita civica e sociale. Gli studenti, con modalità di team working, hanno sviluppato competenze nel monitoraggio civico ed acquisito una consapevole conoscenza degli effetti negativi della criminalità organizzata di tipo mafioso, delle iniziative messe in atto dallo Stato per recuperare i patrimoni da queste illecitamente accumulati e delle modalità di utilizzo sociale dei beni alle stesse confiscati. I gruppi di lavoro, inoltre, hanno analizzato e individuato i bisogni sociali locali da affrontare, collegati all’uso dei beni confiscati alle mafie, e i possibili ostacoli all’attuazione. I partecipanti hanno pianificato e realizzato, con l’utilizzo di modalità tecnologiche, prodotti multimediali ed acquisito abilità nell’esposizione dei temi trattati.
Nonostante non esistano ancora studi in grado di offrirne una valutazione critica, la bontà dell’azione sembra essere corroborata dalla recente scelta dell’Ente Regionale di presentarla nel corso del Secondo Forum espositivo sui Beni Confiscati tenutosi a Napoli il 21 e 22 aprile 2023. Ancora, è stato inserito un monitoraggio civico tra le iniziative da finanziare con i fondi della nuova programmazione europea 2021/2017 destinati al riutilizzo del patrimonio sottratto ai clan della Campania. In estrema sintesi, il lavoro dei ragazzi ha restituito al decisore pubblico (comunale e regionale) importanti informazioni circa l’andamento delle progettualità in corso sui beni confiscati oggetto di monitoraggio. Sono stati realizzati articoli, report, filmati, in un caso anche un blog informativo sul tema dei patrimoni sottratti ai clan, comprensivo di una georeferenziazione dei beni oggetto di estenderla e replicarla. I ragazzi hanno acquisito competenze in un processo di apprendimento attivo e restituito un servizio utile all’intera comunità, innestando un processo di empowerment di cui potranno giovarsi anche gli altri enti pubblici coinvolti (McKay, 2010). Un ultimo elemento che pure ci pare importante sottolineare è la possibilità di questi progetti di essere sostenuti da fondi che le scuole possono investire sia per la formazione dei discenti e degli stessi docenti, sia per l’acquisto di beni materiali e attrezzature che restano nel loro patrimonio, sia, soprattutto, per diventare un punto di riferimento ancora più importante per l’intera comunità e per le istituzioni locali, territoriali e nazionali.
4.2 Percorsi di competenze trasversali e orientamento (PCTO)
Oltre alle esperienze di Service Learning sopra descritte, il tema dei beni confiscati alla mafia può trovare terreno fertile anche rispetto alle iniziative dei Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, strumento oggi molto utilizzato nelle scuole per cercare di disegnare una prospettiva per gli studenti, relativamente recente che ha visto, nel corso degli anni, diverse modifiche legislative (Bertuletti & Massagli, 2019). L’evoluzione della normativa inerente alla possibilità di strutturare esperienze formative con soggetti ospitanti extra-scolastici per gli studenti delle secondarie superiori, ci restituisce un lungo iter che, per indicarne solo i capisaldi, inizia con la previsione dei “tirocini formativi” contenuta nel Decreto Ministeriale 142/1998, si trasforma nei percorsi di “Alternanza Scuola-Lavoro” introdotti dall’art. 4 della “Legge Moratti” (Legge 28 marzo 2003 n. 53), regolamentati con Dlgs 77/2015 e sistematizzati con la cd. “Buona Scuola” (Legge 13 luglio 2015, n. 107). L’Alternanza Scuola-Lavoro è stata quindi traslata semanticamente e organizzativamente nei “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” (PCTO) introdotti dall’art. 1, comma 785 della Legge di Bilancio 2019 e regolamentati con le linee guida adottate con decreto 774 del 4 settembre 2019. A partire dall’anno scolastico 2018/2019, i PCTO hanno subito delle modifiche consistenti in un incremento del monte orario nel rispetto degli anni di riferimento e della specialità della scuola.
Come chiarito nelle Linee guida del 2019, i PCTO sono immaginati per raccogliere le sfide poste dall’evoluzione degli orientamenti europei in materia di competenze e orientamento, laddove
In chiave europea gli obiettivi, o meglio i risultati di apprendimento, si collegano, quindi, al mondo reale attraverso attività orientate all’azione, per mezzo di esperienze maturate durante il corso degli studi, acquisite attraverso progetti orientati al fare e a compiti di realtà (Decreto Ministeriale n. 774 del 2019, p. 3).
Un panorama d’intervento all’interno del quale acquistano particolare rilievo le soft skills:
[…] ovvero le competenze trasversali e trasferibili attraverso la dimensione operativa del fare: capacità di interagire e lavorare con gli altri, capacità di risoluzione di problemi, creatività, pensiero critico, consapevolezza, resilienza e capacità di individuare le forme di orientamento e sostegno disponibili per affrontare la complessità e l’incertezza dei cambiamenti, preparandosi alla natura mutante delle economie moderne e delle società complesse (Decreto Ministeriale n. 774 del 2019, p. 3).
Nel documento ministeriale si sottolinea, quindi, come le competenze trasversali
si caratterizzano per l’alto grado di trasferibilità in compiti e ambienti diversi e il livello con cui lo studente le possiede influenza e caratterizza la qualità del suo atteggiamento e l’efficacia delle strategie che è in grado di mettere in atto, a partire dalle relazioni che instaura, fino ad arrivare ai feed-back che riesce ad ottenere e alla loro utilizzazione per riorganizzare la sua azione e capacità orientativa in diversi ambiti (Decreto Ministeriale n. 774 del 2019, p. 10).
Per quanto concerne l’Orientamento, poi, può essere definito quale “processo continuo che mette in grado i cittadini di ogni età, nell’arco della vita, di identificare le proprie capacità, le proprie competenze e i propri interessi, prendere decisioni in materia di istruzione, formazione e occupazione nonché gestire i loro percorsi personali di vita nelle attività di istruzione e formazione, nel mondo professionale e in qualsiasi altro ambiente in cui è possibile acquisire e/o sfruttare tali capacità e competenze” (Consiglio dell’Unione Europea e dei rappresentati dei Governi degli Stati membri, 2018). I PCTO rappresentano, quindi, l’occasione di acquisire abilità e competenze spendibili anche nel mondo del lavoro (Canevaro et al., 2014; Guerini, 2022). Chiaramente, per gli alunni con disabilità sarà necessario considerare la tipologia di deficit, la condizione psicofisica e quanto più complessivamente indicato nel Piano Educativo Individualizzato (PEI) (Amoia, 2021). È altresì importante che gli studenti con fragilità e bisogni educativi speciali (BES), attraverso l’utilizzo dei PCTO, abbiano accesso a una rete di supporti il più ampia possibile e che i loro percorsi di formazione e orientamento siano progettati con una visione centrata sulla dimensione dell’essere adulto e sul loro progetto di vita. La strutturazione dei PCTO viene definita all’interno dei PEI, come indicato alla lettera e) comma 2, art. 7 del Dlgs 66/2017, laddove si prescrive che il PEI “definisce gli strumenti per l’effettivo svolgimento dei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, assicurando la partecipazione dei soggetti coinvolti nel progetto di inclusione”. Le Linee guida sulle Modalità di assegnazione delle misure di sostegno e modello di PEI, allegate al Decreto interministeriale n. 182 del 29 Dicembre 2020, dopo aver individuato la sezione del PEI dedicata ai Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, indicano gli obiettivi condivisibili ed estendibili anche al PCTO per studenti e studentesse con disabilità. Nel caso di specie, devono essere perseguiti i perseguiti i obiettivi:
Accrescere le chances del ragazzo di ottenere un lavoro adeguato; Collegare gli interessi, i desideri, le motivazioni, le competenze, le capacità, le attitudini e le abilità del ragazzo con i requisiti prescritti dalla professione, dal mondo del lavoro, dall’ambiente lavorativo e dalle aziende; Accrescere l’autonomia, la motivazione, l’autopercezione e la sicurezza del ragazzo; Creare una situazione vincente per il ragazzo e i suoi colleghi (Piani Individuali di transizione, p. 23).
Nei PCTO, secondo i riferimenti sopra descritti, sono realizzabili tre diverse tipologie di percorsi:
aziendale: in genere considerata la più idonea al perseguimento degli obiettivi di crescita alla base dell’esperienza del PCTO;
scolastico: realizza un ambiente di lavoro che, dal punto di vista organizzativo e per le attività svolte, è il più vicino possibile a quello aziendale, creando una discontinuità tra queste esperienze e le abituali attività scolastiche;
progetto di istruzione domiciliare.
Nella progettazione del percorso di PCTO si devono individuare:
le competenze da raggiungere per progetto formativo;
caratteristiche del contesto;
le attività previste;
le modalità/fasi di svolgimento delle attività;
le collaborazioni territoriali per la prosecuzione del percorso di studi.
I soggetti istituzionalmente coinvolti nei percorsi di PCTO sono il tutor interno e quello esterno, oltre ovviamente agli studenti. Il tutor interno (nominato dal Dirigente scolastico e che può coincidere con il docente di sostegno o con l’assistente educatore) assume un ruolo strategico in questi percorsi, anche per le forme di collaborazione che dovrà strutturare con il tutor esterno (aziendale) indicato dalla struttura ospitante al fine di restituire un quadro informativo completo delle caratteristiche psicofisiche e relazionali dello studente (Zadra, 2020).
Fatte queste premesse, si può sicuramente sostenere come siano diversi i settori che, a partire dalle esperienze concrete di riutilizzo dei beni confiscati, potrebbero attivare percorsi di PCTO. Innanzitutto, quelli della ristorazione, della produzione agroalimentare (coltivazione, trasformazione, commercializzazione), dell’agricoltura sociale, della produzione di beni e servizi, dell’assistenza sociosanitaria, del turismo sociale ed esperienziale. Ancora, il settore dell’accoglienza e ospitalità, della formazione e educazione, dell’organizzazione di eventi, convegni e congressi, della comunicazione (innanzitutto quella sociale), della organizzazione di fiere ed eventi, della produzione di energie rinnovabili, della sostenibilità ambientale, della costruzione, gestione e organizzazione di impresa del Terzo settore ecc.
Un PCTO realizzato all’interno di un’esperienza di riutilizzo di
economia sociale potrebbe essere capace di fornire specifiche competenze
nel campo dell’autoimprenditorialità e dell’imprenditorialità
cooperativistica, in merito alle possibilità di uno sviluppo
sostenibile e inclusivo, attento alle tematiche ambientali, sociali,
della legalità e della sicurezza sui luoghi di lavoro (Sannella, 2021).
Ancora, nelle esperienze di riutilizzo in cui si definiscono attività
produttive, servizi, percorsi di accoglienza e/o lavorativi, con una
specifica attenzione alle persone che vengono da percorsi di fragilità
e/o disabilità, si evidenziano attitudini e competenze che possono
risultare determinanti per la progettazione e realizzazione di
un’esperienza positiva (Tapia, 2006).
Inoltre, laddove sia utilizzata la metodologia dei Progetti terapeutici individualizzati sostenuti dai Budget di salute (PTRI/BDS), sarebbe ipotizzabile (e auspicabile) attraverso il coinvolgimento degli altri soggetti istituzionali e sociali interessati (enti locali, ambiti territoriali, asl, eventuali altri Enti del terzo settore) che si possa arrivare alla definizione di un vero e proprio progetto di vita (Righetti, 2013, 2014). Il progetto potrebbe finalizzare il percorso di acquisizione delle competenze e orientamento iniziato con il PCTO all’attivazione di una borsa lavoro presso lo stesso ente ospitante il PCTO (Starace, 2011).
Proviamo a calare quanto rappresentato in un’esperienza di riutilizzo concreta. Nella realtà di Maiano di Sessa Aurunca, area a vocazione agricola della Campania, sui terreni una volta appartenuti ad un clan della camorra locale, è nata la Cooperativa sociale “Al di là dei sogni”, una fattoria didattica regolarmente iscritta all’albo regionale, che ha sviluppato diverse tipologie di attività. La coltivazione di quattro ettari di terreno si realizza attraverso teorie e pratiche dell’agricoltura biologica e sociale.
Sul bene è stato realizzato il primo impianto di trasformazione biologica di prodotti agroalimentari che lavora sia per la produzione autonoma di confetture, sughi e conserve, che per conto terzi. Da diverso tempo la sua destinazione d’uso è quella propria di un agriturismo per pranzi, cene, cerimonie ed eventi, con la disponibilità di stanze per l’eventuale pernottamento.
La cooperativa “Al di là dei sogni”, che è parte del Consorzio NCO cui si è accennato in precedenza, lavora in rete con altre realtà protagoniste di esperienze di agricoltura ed economia sociale (dalla cooperativa “Fuori di zucca” che coltiva i terreni dell’ex manicomio civile di Aversa alla cooperativa “Lazzarelle” che gestisce una torrefazione di caffè nel carcere femminile di Pozzuoli, dalla cooperativa “La Strada” che coltiva terreni confiscati a Teano per realizzare percorsi di integrazione socio-lavorativa di persone con sofferenza psichica, alla cooperativa “Esperanto” che coltiva terreni confiscati a Castel Volturno promuovendo l’integrazione delle comunità migranti, ecc.). L’organizzazione aziendale è improntata al rispetto dei tempi e delle esigenze dei lavoratori, valorizzandone talenti e possibilità nei diversi settori di intervento. D’altro canto, molti dei soci lavoratori della cooperativa e delle persone con borsa lavoro vengono da percorsi di disabilità e/o fragilità (prevalentemente salute mentale, tossicodipendenza, immigrazione) e sono affiancati dagli altri soci con modalità mutualistiche e non competitive. È prevista una strutturazione aziendale di tipo orizzontale e non verticale che prevede momenti di confronto e rimodulazione delle attività di sostegno e accompagnamento personale e di gruppo. Hanno trovato così la possibilità di ricostruire la propria vita persone che in altri contesti sarebbero state allontanate o espulse a causa della loro sofferenza psichica, di trascorsi di dipendenza, di una situazione di svantaggio dovuta alla condizione migratoria. Erasmo, Gaetano, Asare, Michele, Anna, Antonietta, Bruno, Mimì e tutte le persone che hanno ritrovato in quel bene un loro posto nel mondo, hanno concretizzato la possibilità di costruire una utopia della realtà nella quale sono restituiti diritto di cittadinanza, dignità, capacitazioni individuali e sociali. Ed è proprio questa specificità a rendere di “Al di là dei sogni” e le altre realtà che sui beni confiscati hanno assunto questa prospettiva luoghi elettivi di un’azione educativa che qui ritrova e manifesta l’orizzonte relazionale cui abbiamo accennato in precedenza.
Sia come fattoria didattica, sia come bene confiscato, il luogo è oggetto non solo di numerose visite di scolaresche, di gruppi di scout, associazioni e altre realtà sociali, ma è considerato come realtà ideale per i PCTO, anche per gli studenti con disabilità. Particolarmente positive si sono dimostrate le esperienze che negli anni hanno coinvolto diversi istituti scolastici, come l’Istituto Superiore “Agostino Nifo” di Sessa Aurunca e il Liceo Statale Publio Virgilio Marone di Avellino, con i ragazzi che hanno potuto acquisire competenze lavorative e di cittadinanza che concretizzano i principi della legalità e dell’inclusione in un percorso formativo che, per molti, è diventato esperienza di vita.
Nonostante i percorsi di persone con disabilità debbano essere definiti a partire dalla soggettività interessata, si possono evidenziare, nel caso di specie, alcuni elementi che resterebbero comunque significativi, a partire dall’individuazione di alcuni facilitatori e barriere (Pavone et al., 2022). Tra i facilitatori si possono individuare:
la multisettorialità dell’azienda che permette di individuare diversi settori in cui strutturare il PCTO, seguendo le attitudini del ragazzo;
la strutturazione del bene come ambiente realmente inclusivo e multiculturale, che può facilitare la crescita delle abilità sociali;
la presenza di figure professionali operanti nel campo della disabilità neurosensoriale, fisica e psichica che può aiutare a definire ed eventualmente modificare l’evoluzione dei percorsi ed affrontare eventuali criticità;
l’età media non elevata dello staff della cooperativa (tra cui anche ragazzi in servizio civile) e la presenza di giovani che normalmente frequentano il bene per diverse attività, che può aiutare lo sviluppo delle capacità comunicative;
la strutturazione del bene come luogo protetto in cui lavorano persone con diverse abilità, condivisa anche da visitatori e clienti, che permette di avere un ambiente lavorativo che non è basato sulla competitività produttiva, ma sulla cooperazione nel rispetto dei diversi tempi e possibilità di sbagliare di chi opera.
Possono già essere individuati anche eventuali barriere di cui tener conto, e innanzitutto:
la vastità ed eterogeneità degli spazi del bene che potrebbe risultare una barriera almeno finché non si sviluppino capacità autonome di orientamento nello spazio e nel tempo in relazione alle funzioni da svolgere;
l’apertura al pubblico, comprese scolaresche di ogni ordine e grado che raggiungono questi beni per attività didattiche e di campi scuola, comporta una quotidiana eterogeneità delle presenze che potrebbe rappresentare un fattore di stress di cui tenere debitamente conto;
la pluralità di stimoli derivanti dalla diversificazione delle attività della cooperativa, la maggior parte delle quali si svolgono in modo contestuale, che potrebbe diventare un fattore di stress.
In estrema sintesi, il PCTO realizzato nella realtà dei beni confiscati potrà quindi mirare a migliorare le diverse competenze imprenditoriali, di cittadinanza, di consapevolezza ed espressione culturale. Si fa riferimento, innanzitutto, alla capacità di esercitare il pensiero strategico atto a risolvere i problemi, tradurre le idee in azioni, migliorare la riflessione critica e costruttiva, lavorare da soli e/o in gruppo (Marcone, 2020). Avrà anche l’obiettivo di comunicare con gli altri, gestire situazioni di incertezza, e motivare gli altri e valorizzare le loro idee e perseguirle con tenacia (Mannese, 2021).
5 Conclusioni
Il mondo della scuola può confrontarsi con questo universo entrando materialmente, con docenti e discenti, nei beni confiscati, e lasciando entrare questa tematica nella propria programmazione didattica ed educativa. La scuola può essere tra i protagonisti delle esperienze di riutilizzo dei beni confiscati, assumendo la responsabilità di migliorarle attraverso azioni di monitoraggio. Il complessivo impegno educativo tende ad utilizzare la narrazione di queste esperienze come occasione per portare i propri studenti verso luoghi che abbracciano tutte le diverse tematiche relative al riutilizzo dei patrimoni sottratti ai clan. La legalità, come abbiamo provato a descrivere, cerca di creare modelli di economia sostenibile e inclusiva. Tenta di valorizzare le differenze offrendo possibilità concrete di restituzione alla contrattualità sociale delle persone che vengono dalle diverse aree dello svantaggio.
Nella descrizione dei PCTO che interessano l’ambito dei beni confiscati, si è messo in rilievo il protagonismo che, negli stessi, potrebbe essere restituito agli studenti, la possibilità di agire a partire dai loro talenti e interessi, rafforzandoli e arricchendoli con nuovi stimoli, saperi ed esperienze, la definizione di un modello educativo che pone gli studenti a diretto confronto con la realtà che li circonda, con la quale sono chiamati a interagire e che sono chiamati a migliorare, agendo come attori sociali per il bene della collettività. Nell’intreccio che porta i beni confiscati nell’universo scolastico, la scuola si fa comunità educante che attraversa ed è attraversata da queste esperienze, nello sforzo di perseguire gli obiettivi di legalità, giustizia sociale e sostenibilità economica e ambientale. Il processo educativo si struttura come un “fare Democrazia” che riconosce le persone con disabilità, innanzitutto gli studenti, come risorsa di un processo volto a valorizzare le differenze, creando le condizioni di una reale inclusione, ma anche identificando ed evitando i rischi di un suo possibile appiattimento sull’omologazione. Le esperienze di riutilizzo dei beni confiscati che investono sul bene relazionale, da un lato, possono rappresentare un esempio delle possibilità concrete di creare comunità accoglienti e solidali, in questo assumendo il ruolo di strumento per la formazione culturale di tutti gli studenti su questo tema, dall’altro lato, possono essere per gli studenti con disabilità, sia nei percorsi educativi che in quelli per le competenze trasversali e l’orientamento, un’occasione per rafforzare e acquisire abilità sociali, relazionali e professionali. Risulta fondamentale, ai fini educativi, sottrarre al crimine organizzato il fascino determinato da certe narrazioni, mostrarne gli effetti nefasti per i propri territori, mettere in luce modelli socio-culturali che sfidano le logiche della violenza, della sopraffazione, del profitto, dell’esclusione. Inoltre, il riutilizzo di un bene confiscato dimostra ai ragazzi la possibilità di rovesciare una realtà, come quella criminale, che troppe volte, soprattutto in certi contesti sociali, si ritiene quasi invincibile ed inespugnabile. Il riutilizzo dei beni confiscati alla mafia nell’ottica del service learning e dell’empowerment dei cittadini può favorire un coinvolgimento più ampio della comunità nella gestione di tali beni e promuovere una maggiore partecipazione e responsabilità sociale. Ciò contribuisce a combattere la criminalità organizzata, a promuovere il benessere sociale e a formare cittadini consapevoli e impegnati nella costruzione di una società più giusta e solidale. In questo senso, recuperando gli insegnamenti di Don Peppe Diana, possiamo definire l’esperienza degli studenti nei beni confiscati, come l’attualizzazione di un principio di legalità che insegna ad essere segno di contraddizione verso tutto quanto si contrappone alla sua piena realizzazione:
L’esigenza primaria è stata per noi una grande e sofferta riflessione: essere segno di contraddizione. In questa realtà c’è bisogno che qualcuno inizi a essere segno di rottura, di contraddizione, e quindi una forma di denuncia […] Allora ecco il ruolo della legalità: educare a essere segno di contraddizione (Diana, 1992).
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