Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.27 n.1S (2023)
ISSN 1825-8670

Oltre la retorica della partecipazione: i giovani e le nuove forme dell’agire politico

Elisabetta BiffiUniversità degli Studi di Milano-Bicocca (Italy)
ORCID https://orcid.org/0000-0002-1920-2185

Professor of General and social pedagogy, “Riccardo Massa” Department of Human Sciences for Education, University of Milano-Bicocca (Italy).

Pubblicato: 2023-05-30

Beyond the Rhetoric of Participation: Youth and New Forms of Political Acting

Abstract

The importance of youth participation is underlined by international policies, which widely stress youth’s fundamental role in developing more just and sustainable societies. At the same time, disaffection from the more traditional democratic processes is registered by young people, who instead seem to be looking for forms of expression of a different nature. This paper aims to question the forms of participation of young people, offering to consider them as resources for the broader society within the perspective of public pedagogy (Biesta, 2012), suggesting that the institutions let themselves be informed by what is happening.

La partecipazione delle giovani generazioni è, oggi, al centro delle politiche internazionali, che diffusamente sottolineano il ruolo fondamentale delle nuove generazioni per lo sviluppo di società più giuste e sostenibili. Al tempo stesso, però, da più parti vengono descritti processi di apparente disaffezione dai processi democratici più tradizionali da parte dei più giovani, i quali sembrano alla ricerca di forme di partecipazione alternative. La riflessione qui proposta è volta ad interrogare le forme di partecipazione dei giovani, proponendo di considerarle come risorsa per la formazione diffusa della società, nella prospettiva di una pedagogia pubblica (Biesta, 2012), suggerendo alle istituzioni di lasciarsi interrogare da quanto sta avvenendo.

Keywords: Youth; Participation; Citizenship education; Politics; Gert Biesta.

1 Introduzione

Nelle prime pagine di Educazione e politica (Bertolini, 2006), Piero Bertolini sosteneva che una delle ragioni che motivavano (e tuttora motivano) la necessità di una riflessione sulla relazione fra educazione e politica si innesta nella scommessa originaria da cui la politica è sempre partita, vale a dire “saper coniugare le due prospettive fondamentali per l’esistenza dell’uomo, individuo o comunità che sia, che sono la libertà e la giustizia o, se si preferisce, l’interesse e quindi l’attenzione per il singolo e per la comunità” (Ivi, p. 14). Le modalità tramite le quali quel saper coniugare prende forma definiscono e delineano, di fatto, l’orizzonte all’interno del quale singolo e comunità stabiliscono i rispettivi profili in reciproca definizione.

È, inoltre, nella natura intersoggettiva dell’educazione, che rimanda alla necessità dell’incontro con l’altro da sé come condizione irrinunciabile per la formazione del soggetto, che si ritrova la dimensione politica del vivere insieme come “irrinunciabile per una soggettività che sia pienamente consapevole delle proprie caratteristiche e soprattutto delle proprie responsabilità esistenziali” (Ivi, p. 105).

Nel solco di questa prospettiva, il presente contributo intende guardare alla partecipazione delle nuove generazioni alla vita pubblica – nella cornice di un orientamento democratico – quale crocevia che rivela la tensione dialettica fra educazione e politica nelle dinamiche fra singolo e comunità, fino a svelare le fragilità delle stesse strutture democratiche.

Occuparsi di partecipazione dei giovani significa, però, dover prima di tutto disambiguare cosa si intenda per partecipazione e per giovani. Non si tratta di un problema da poco: il primo punto – cosa si intende per partecipazione – implica la determinazione del paradigma dal quale si andranno ad osservare i processi partecipativi e i loro significati; il secondo punto – cosa si intende per giovani – implica la definizione degli attori del presente discorso.

Con il termine partecipazione si identifica un costrutto che è per sua natura multidimensionale (Crowley & Moxon, 2017) verso il quale diverse discipline hanno tentato di portare chiarezza sviluppando modelli teorici utili ad illuminarlo (solo per citarne alcuni fra quelli cui si è fatto ricorso per la presente riflessione: Andersson, 2017; Hart, 1992; Lardner, 2011; Lundy, 2007; Percy-Smith & Thomas, 2010).

Per giovani (e nuove generazioni) gli orientamenti internazionali che verranno qui presi in considerazione intendono soggetti di età è compresa fra i 10 e i 24 anni1 o, altrove, fra i 15 e i 29 anni.2 Tale definizione, chiaramente, apre ad un livello di complessità che si andrà approfondendo a breve, se si considera che la prima parte della gioventù, così identificata, si posiziona ancora al di sotto della maggiore età (tendenzialmente 18 anni), rientrando sotto l’ombrello della categoria – sociale e politica – dei minorenni.

Se ci si accosta ad osservare le principali policies internazionali, la pervasività con la quale le espressioni giovani, nuove generazioni e future generazioni vengono utilizzate per raccontare, e giustificare, le principali agende istituzionali a livello internazionale testimonia quanto la partecipazione dei giovani sia vista come strettamente connessa allo sviluppo delle società contemporanee (Bianchi & Biffi, 2022). Basti pensare al ruolo ad essa attribuito all’interno della UN Resolution Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2015 (UN General Assembly, 2015),3 che ne suggerisce l’importanza strategica per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, così come rimarcato anche nella Youth 2030: the United Nations Youth Strategy, lanciata nel settembre 2018, con la volontà di fornire un framework di riferimento per guidare le Nazioni Unite nel lavoro con e per i giovani su tre pilastri – pace, diritti umani e sviluppo sostenibile – con il coordinamento di un preposto UN Secretary-General's Envoy on Youth.4

Se si posa lo sguardo anche solo sulle policies più recenti del sistema europeo, coerentemente con la UN Youth Strategy, nella European Union Youth Strategy 2019-2027 (2018) si ritrova fra i suoi 11 obiettivi quello di sostenere la partecipazione dei giovani alla vita democratica, nonché di garantire loro la possibilità di contribuire alla definizione delle politiche a livello nazionale ed europeo.5

Il Report della Commissione Europea in merito alla EU Youth Strategy 2019-20206 ha mostrato una fotografia complessa in merito allo stato di salute della partecipazione dei giovani, a seguito della quale la Commissione ha deciso di nominare il 2022 “Anno Europeo dei Giovani”,7 con una specifica strategia volta a perseguire obiettivi cardine fra i quali supportare i giovani affinché sia loro garantita la possibilità di acquisire quelle conoscenze e competenze utili a divenire cittadini attivi e impegnati.8

La partecipazione compare, così, come obiettivo e mezzo per raggiungerlo al tempo stesso. D’altro canto, la stessa UN Convention on the Rights of the Child (UNCRC)9 già siglava nel 1989 la partecipazione come un pilastro: non un diritto specifico (sebbene spesso la si riconduca all’art. 12) bensì la precondizione per l’esercizio di ogni altro diritto. Di fatto, la pratica di garanzia e di attuazione della stessa democrazia.

Non è possibile in queste pagine approfondire compiutamente le ragioni che sono sottese a tale interesse strategico. Si intende, piuttosto, proporre alcune piste di approfondimento che possono contribuire all’esplorazione della dimensione politica dell’educazione e alla dimensione formativa dell’agire politico. Se si ritorna, infatti, alle policies sopra citate, è possibile notare come la partecipazione compaia soprattutto con riferimento alla possibilità stessa da parte dei giovani di essere parte attiva nei processi decisionali, così come nella stesura e valutazione delle stesse policies in senso diffuso (sociale, culturale, economico, politico) soprattutto quando loro destinate. Tali documenti invitano, dunque, a costruire spazi di dialogo e di governance condivisi all’interno delle istituzioni, con meccanismi di consultazione e rappresentanza che possano consentire ai giovani di essere attori e decisori.

A fianco dell’investimento delle principali istituzioni in termini di promozione della partecipazione sembra, però, registrarsi nel corso degli ultimi decenni un costante calo dei livelli di impegno politico quanto riguarda i giovani (Sloam, 2016; Spannring, Ogris & Gaiser, 2008), quasi indicando una tendenza significativa tra le democrazie europee contemporanee. Nella primavera del 2021 la Commissione Europea ha lanciato sullo Youth Portal un’indagine per raccogliere il punto di vista dei giovani sul tema Space and participation for all,10 dal quale è risultato che più dei due terzi dei rispondenti sentiva di avere poca o nessuna influenza nei processi decisionali che riguardano le politiche pubbliche, chiedendo a grande voce forme più efficaci di coinvolgimento e formazione democratica. Simile rilievi sono stato riportati anche nel report Our Europe, Rights, Our Future (Eurochild, 2021)11 dove bambine/i e ragazze/i consultati hanno sottolineato la necessità di costruire le condizioni per poter avere concretamente agency all’interno dei processi e sistemi decisionali. Stessa considerazione emerge anche in diversi studi (a titolo esemplificativo: Norris, 2023; Eurochild, 2021; Cornwall, 2008; Farthing, 2010) che da tempo rilevano uno scarto fra le esortazioni a costruire strategie e sistemi di coinvolgimento dei giovani nei processi decisionali a livello istituzionale e legislativo – come esortato più volte dalla UN Committee on the Rights of the child (2004) – e il loro reale effettivo coinvolgimento.

Pare che ci si trovi di fronte ad un paradosso (Willems, Heinen & Meyers, 2012) che vede le istituzioni investire e i giovani non riconoscere l’efficacia di tali investimenti, registrando una sorta di lontananza dei giovani dalle forme tradizionali di partecipazione politica per ritrovarli, però, ingaggiati in forme alternative di partecipazione alla vita civile e pubblica (Crowley & Moxon, 2017). Di fianco, infatti, alla disaffezione dalle forme tradizionali di partecipazione democratica – prima fra tutte il voto elettorale – si va assistendo a una nuova ondata di impegno politico giovanile12 movimenti di attivismo giovanile, proteste, manifestazioni, volontariato e impegno online.13

Per comprendere, però, i significati connessi a questa lettura, è fondamentale chiarire dove e come tale partecipazione venga rilevata: in un certo senso, tutto dipende dalle modalità tramite le quali essa si definisce per misurare l’engagement politico – democratico – dei giovani. Si tratta, allora, di capire se davvero la partecipazione così come la si sta considerando all’interno di tali processi di rilevazione sia un orizzonte in grado di saturare le diverse manifestazioni dell’agire politico.

2 Gli spazi della partecipazione

All’interno di un sistema democratico, gli spazi di esercizio partecipativo sono sempre previsti: i diversi livelli di rappresentanza, i meccanismi di voto, i processi consultivi e di dibattimento.

Tuttavia, la scelta di considerare partecipazione soltanto quella fenomenologia connessa ai meccanismi di gestione della democrazia è una visione che si autolimita: tali meccanismi sono, infatti, le procedure strutturate che costituiscono un certo ritmo del processo democratico e, di fatto, non riescono che a vedere se stessi, restando incapaci di rilevare ciò che non emerge dalle procedure stesse. Come credere che il tempo sia l’ingranaggio dell’orologio che lo scandisce.

Se si osservano in tale direzione, effettivamente, la partecipazione dei giovani può apparire deludente. Torna alla mente il lavoro presentato da Barry Percy-Smith, Councils, consultations and community: rethinking the spaces for children and young people’s participation (Percy-Smith, 2010), ove l’autore argomentava una critica ai principali modelli di partecipazione formalmente strutturati, che di fatto rischiano di perdere di vista la centratura sui giovani stessi, per aprire invece ad un ripensamento dello stesso concetto di partecipazione in modo da restituirlo al radicamento negli ambienti reali di vita dei soggetti. Sosteneva, infatti, Percy-Smith: “One of the major problems with participation has been its widespread preoccupation with involvement in decision-making rather than a wider spectrum of activities which characterize how young people engage with and make sense of their worlds and through which one could argue their wellbeing, identity and citizenship status is realized” (Percy-Smith, 2010, p. 110).

La linea argomentativa di Percy-Smith è di estremo interesse per la presente riflessione, perché, in un certo senso, smaschera la retorica della partecipazione restituendo la dinamica di potere implicita negli stessi meccanismi di rappresentanza e consultazione che riguardano i minorenni ed i giovani: “I argue that too much emphasis is placed on representative models of democracy whereby participation involves at best a competition between groups (Williams et al. 2010) to communicate their views to ‘the authorities’ who are assumed to sort things out” (Ivi, p. 115). I meccanismi di consultazione che vengono promossi a livello istituzionale, volti a dare voce ai giovani, rischiano infatti di produrre un processo contrario all’empowerment di questi ultimi, poiché implicitamente riaffermano che, appunto, i giovani non rientrano nel gruppo dei decisori politici, bensì sono da essi soltanto consultati. Le forme di rappresentanza e di consulta rischiano, insomma, di divenire spazi che mimano i processi democratici svuotati, però, di ciò che è fondamentale nella democrazia stessa, vale a dire del potere decisionale che è presente in ogni suo atto politico, compreso il voto.

Servono, dunque, spazi di partecipazione differenti per pensare e agire la partecipazione, che siano in grado di scardinare questo meccanismo di sottrazione di potere decisionale. Ma, paradossalmente, le istituzioni – comprese quelle educative – faticano ad attivare spazi di simile ingaggio, rinforzando invece modelli di educazione alla partecipazione che sono schiacciati sulle logiche del ‘raccogliere la voce’ dei giovani invece che del dare loro potere d’azione. Serve, allora, uno sforzo creativo per immaginare nuovi spazi di partecipazione: “Because changes does not just happen through formal decision making channels we need to widen concepts of participation beyond conventional (political) decision making arena” (Ivi, p. 118). Si deve, insomma, andare oltre la retorica stessa della partecipazione e ritornare all’agire politico.

Per affrontare tale questione è di estrema utilità la riflessione sviluppata da Gert Biesta nel suo Becoming public: public pedagogy, citizenship and the public sphere (Biesta, 2012).

In tale riflessione l’autore recupera la suddivisione proposta da Hannah Arendt in Vita Activa fra il lavoro, l’operare e, appunto, l’agire. L’agire significa, per la filosofa, prendere l’iniziativa, iniziare qualcosa di nuovo, portare qualcosa di nuovo nel mondo, rendere manifesta l’unicità del soggetto nel suo agire che si fa disvelamento. Non è, pertanto, possibile agire in isolamento: “to be isolated is to be deprived of the capacity to act” (Arendt, 1958, p. 188). La polis, di conseguenza, è lo spazio in cui il soggetto appare all’altro e l’altro appare al soggetto. La distinzione fra pubblico e privato è una questione fondativa: vi sono cose che per esistere devono essere nascoste ed altre che devono essere mostrate pubblicamente (Ibidem).

La riflessione della Arendt offre a Biesta la possibilità di tracciare il profilo della sua teoria su di una public pedagogy: “Instead of seeing public pedagogy as a pedagogy for the public or of the public, there is therefore a different interpretation possible, one where public pedagogy appears as an an enactment of a concern for ‘publicness’ or ‘publicity’, that is a concern for the public quality of human togetherness and thus for the possibility of actors and events to become public” (Biesta, 2012, p. 693). E, in questo senso, “Becoming public is not about a physical relocation from the home to the street or from the oikos to the polis, but about the achievement of a form of human togetherness in which, to put it in the language of Hannah Arendt, action is possible and freedom can appear” (Ibidem).

L’agire politico ha, insomma, bisogno di uno spazio pubblico: se si riprende la riflessione di Biesta, lo spazio pubblico è politico perché è la possibilità di appresentare la pluralità dell’essere umano, di essere in quanto soggetto fra gli altri soggetti, la possibilità di mantenere la dimensione collettiva come presente senza che essa venga trasformata nella somma delle responsabilità individuali.

Fra l’altro, lo spazio è proprio la dimensione sulla quale nel corso degli ultimi anni, anche a causa dell’emergenza pandemica, si è giocata una forte ambivalenza fra le istanze di protezione e di emancipazione dei giovani, che hanno visto le nuove generazioni dall’essere i soggetti vulnerabili, fragili, ad essere quelli che potevano subire le maggiori restrizioni durante la pandemia (Biffi, 2022). In questa direzione, la riflessione su partecipazione dei giovani e spazio pubblico può e deve recuperare contributi importanti che arrivano anche dagli studi in seno alla tradizione della geografia dei bambini (Malatesta, 2015), che nel corso degli ultimi decenni ha osservato significati e pratiche di accesso e utilizzo dello spazio pubblico da parte dei bambini (Holloway & Valentine, 2004). Da troppe parti continuano a perseverarsi politiche di controllo che delineano cosa non si possa fare negli spazi pubblici, adducendone ragioni di sicurezza per lo più, e vietando le attività ludiche, la possibilità di mangiare, di giocare, di raggrupparsi nello spazio pubblico. Ma spazio pubblico non è solo il dove del manifestarsi dei fenomeni: è, invece, luogo come frutto di processi di significazione delle pratiche che ivi vengono agite.14

Ben prima e poi ancora dopo la pandemia, sono sempre stati proprio gli spazi pubblici ad essere oggetto di chiusura e limitazione, e quando lo spazio pubblico inizia ad essere controllato o sottratto, definito dall’esterno senza che possa definirsi attraverso il modo con il quale viene liberamente agito, viene meno la libertà come condizione di possibilità di integrazione fra la dimensione individuale e collettiva dalla quale si è partiti all’inizio di queste pagine.

3 Oltre la retorica: il ruolo della protesta

Se, come si è sopra detto lo spazio pubblico è il rivelatore della partecipazione democratica per eccellenza, l’invito di Percy-Smith alla ricerca di nuovi spazi di partecipazione dei giovani suggerisce di guardare altrove, uscire dalle istituzioni formali e andare oltre. Interessante, allora, è provare a cercare l’agire politico dei giovani negli spazi pubblici. Un caso emblematico lo offrono le piazze.

Da sempre la piazza è il luogo di espressione, di manifestazione intesa come presenza – e messa in evidenza – delle istanze individuali tramutate in collettive. Caso interessante per la presente trattazione è quello della protesta. Se si volesse provare ad utilizzare una definizione semplice, si potrebbe dire che la protesta è un’azione costruita da persone che, stando insieme in spazi pubblici, esprimono il loro dissenso.

Senza potersi addentrare in un approfondimento storico del concetto di protesta, e limitandosi agli sviluppi degli ultimi dieci anni, le diverse forme di protesta che hanno occupato le piazze da parte delle giovani generazioni (proprio sui temi che sono oggetto di riflessione delle Agende e delle politiche che li riguardano) sono forme di manifestazione della partecipazione politica dei giovani. Anzi: è proprio la manifestazione che trasforma in agire politico la loro voce (Pickard, 2019).

Come sancito dalla UNCRC, anche ai minorenni è riconosciuto il diritto alla protesta. Lo è sulla scia dei due diritti umani tutelati dal diritto internazionale: la libertà di espressione (il diritto di esprimersi liberamente) e la libertà di riunione pacifica (il diritto di riunirsi pacificamente con gli altri ed esprimere le proprie opinioni collettive). Che poi la manifestazione sia stata una forma di protesta cara ai movimenti giovanili nel corso della storia è fatto noto e già diffusamente studiato.

Nel corso della storia recente sono state proprio le iniziative in seno ai movimenti in difesa dell’ambiente, poi riconnesse alle iniziative dei Fridays for Future, a riportare all’attenzione degli adulti i minorenni come attori della vita pubblica. Ma non solo: si pensi alle proteste studentesche in Cile contro l’ingiustizia sociale; alle proteste studentesche contro l’uso delle armi negli Stati Uniti e così via.15

In questo senso, l’emergenza COVID-19 ha fornito un impulso allo sviluppo di strategie alternative di protesta: quando, durante le fasi di lockdown, lo spazio pubblico è divenuto inaccessibile, la piazza è divenuta virtuale. Ne è stata l’esempio, il 24 aprile 2020, la realizzazione da parte dei Fridays For Future Groups in Germania della più grande manifestazione digitale, con più di 230,000 visitatori in streaming e 40,000 tweets. Ma anche le forme di manifestazioni tramite il ricorso all’arte, alla musica, ai linguaggi informali di espressione.16

La protesta, allora, quando portata nello spazio pubblico si traduce in agire, può divenire dissenso,17 introduzione di quell’elemento incommensurabile che manifesta l’alterità, attraverso forme orizzontali di partecipazione (Spannring, Ogris & Gaiser, 2008) che obbligano le istituzioni – adulte – ad interrogarsi (Sandin, Josefsson, Hanson & Balagopalan, 2023).

Torna, allora, la riflessione di Biesta su quelle forme di interruption (Biesta, 2012) che consentono l’agire politico e, in questo modo, educano (non istruiscono) anche gli adulti e le istituzioni: attraverso tali esperienze, i giovani agiscono quali educatori sociali, finanche mettendo in crisi, disvelandone gli impliciti, la retorica della partecipazione, tendendo di fatto a mettere in discussione la struttura democratica così come tradizionalmente pensata (Biswas, 2021).

Quando bambini e giovani agiscono, per così dire, come attori politici, il sistema stesso sembra disorientarsi. Tali situazioni rivelano per così dire un “buco nel sistema”, vale a dire l’impreparazione stessa delle istituzioni a pensare i minorenni e i giovani come attori di pari valore nella scacchiera dei processi di gestione politica della comunità. È quello che sta accadendo con il coinvolgimento di giovani e minorenni nei procedimenti giudiziari che in gran parte del mondo si stanno portando avanti sui temi della cosiddetta giustizia ambientale e che vedono minorenni per primi agire come attori nei processi. Questo sta ponendo non pochi problemi in termini di discipline giuridiche e anche di costruzioni di procedure, di fatto mostrando alcuni aspetti di inevitabile complessità sia sul fronte dei diritti dell’infanzia, sia su quello dei diritti umani e dei procedimenti istituzionali pensati per tutelarli.18

4 Conclusioni: giovani spazi dell’agire politico

Gert Biesta (2016) nell’interrogarsi sulla educazione alle forme di cittadinanza, parte da due prospettive alternative: un’educazione per la democrazia e un’educazione attraverso la democrazia. Nella prima l’educazione mira alla preparazione dei giovani per la loro partecipazione futura alla vita democratica, tramite l’acquisizione di conoscenze, abilità e valori democratici. Una visione molto vicina a quanto rilevato nelle policies dalle quali si è partiti in questa riflessione. Come prospettiva alternativa, invece, Biesta propone una educazione attraverso la democrazia: i giovani, in tale prospettiva, imparano soprattutto attraverso la partecipazione diretta e autentica alle forme di agire politico che le istituzioni (comprese quelle educative) consentono loro di sperimentare. In entrambe le prospettive, però, la democrazia viene sempre posta come un tema a cui ci si deve preparare in anticipo (Bianchi & Biffi, 2022). La visione di una public pedagogy sembra invece scardinare questo apparente stallo, ribaltando la prospettiva.

L’articolo 12 della UNCRC sancisce che gli Stati parti garantiscono al bambino capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo riguarda, e che le opinioni del bambino devono essere prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. Si tratta, però, di un passaggio per certi versi autoevidente: un bambino che desidera esprimere il proprio punto di vista, o che direttamente lo esprime, è evidentemente in grado di avere un punto di vista. La capacità di discernimento è, infatti, un vincolo che si presta ad essere letto, ancora una volta, soltanto da una prospettiva adultocentrica, con rimando ad un piano di raziocinio come elemento caratterizzante la possibilità stessa di essere attore politico.

È, in tale direzione, interessante recuperare il General Comment n. 12 ad opera della UN Committee on the Rights of the Child (2009), nel quale si sottolinea che il riferimento a soggetti “capaci di formarsi le proprie opinioni” non possa essere inteso come limitante: “Questo significa che gli Stati parti non possono assumere in maniera pregiudiziale che un bambino o un’adolescente è incapace di esprimere le proprie opinioni. Al contrario, gli Stati parti dovrebbero presumere che un bambino o un’adolescente ha la capacità di formarsi le proprie opinioni e riconoscere che ha il diritto di esprimerle; non è compito del bambino o dell’adolescente dover dimostrare la propria capacità” (UNICEF, 2009). L’analisi giuridica dell’articolo riconosce, in questo dovere degli Stati parti, l’illegittimità di un riconoscimento a priori di incapacità, rimarcando quanto gli studi abbiano ormai dimostrato il bambino è capace di formarsi la propria opinione sin da prima dell’acquisizione delle competenze necessarie ad esprimerla verbalmente. Per questo, “la piena attuazione dell’articolo 12 richiede il riconoscimento e il rispetto delle forme di comunicazione non verbale, incluse il gioco, il linguaggio del corpo, le espressioni facciali, il disegno e la pittura, attraverso le quali i bambini piccoli esprimono comprensione, scelte e preferenze” (Ivi). In questa direzione, leggere la partecipazione dei giovani all’interno dei soli linguaggi istituzionali sembra andare in direzione opposta, quasi chiedendo ai giovani di dimostrare la loro capacità di dialogo con le istituzioni, piuttosto che ingaggiando le istituzioni nel loro dover essere capaci di dialogare.

La centratura sulla razionalità come elemento distintivo dell’adulto che, di fatto, rimarca la differenza fra chi è adulto e chi non lo è rischia di divenire un filtro che impedisce di vedere le modalità tramite le quali le giovani generazioni faticosamente cercano di tracciare un orizzonte alternativo. Attraverso linguaggi e forme di espressione che a volte vanno oltre le capacità espressive delle istituzioni adulte.

Le forme di partecipazione emergenti stanno cercando la strada di un ascolto anche dentro i processi istituzionali e, al tempo stesso, stanno premendo le istituzioni affinché si interroghino: è potente cosa può accadere quando si aprono circuiti virtuosi di scambio e confronto alla pari fra le diverse istanze, e quando anche le istituzioni sono in grado non solo di pensare al migliore interesse dei giovani, ma anche di pensare con i giovani nel migliore interesse di tutti.

Riferimenti bibliografici

Arendt, H. (1958). The Human Condition. Chicago: The University of Chicago Press [tr. it. 2017. Vita Activa. Firenze: Giunti].

Andersson, E. (2017) The pedagogical political participation model (the 3P-M) for exploring, explaining and affecting young people’s political participation. Journal of Youth Studies. 20:10, 1346-1361. https://doi.org/10.1080/13676261.2017.1333583

Bertolini, P. (2006). Educazione e politica. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Bianchi, D., & Biffi, E. (2022). La partecipazione dei giovani al bene comune: il ruolo dell’educazione nelle strategie europee dedicate alle nuove generazioni. Pedagogia e Vita. 80(3), 73-84.

Biesta, G. (2012). Becoming public: public pedagogy, citizenship and the public sphere. Social & Cultural Geography. 13(7), 683-697. https://doi.org/10.1080/146493365.2012.723736

Biesta, G. (2016). Beyond Learning: Democratic Education for a Human Future. New York: Routledge.

Biswas, T. (2021). Letting teach: gen z as socio-political educators in an overheated world. Frontiers in Political Science, 3https://doi.org/10.3389/fpos.2021.641609

Child Rights Connect (2020). The Rights of Child Human Rights Defenders: Implementation Guide. Child Rights Connect.

Crowley, A., & Moxon, D. (eds.) (2017). New And Innovative Forms of Youth Participation in Decision-Making Processes. Strasbourg: Council of Europe Publication.

Daly, A. (2022). Climate competence: the impact of youth climate activism on international human rights law. Human Rights Law Review. 22(2), 1-24.

Daly, A. (2018). Children, Autonomy and the Courts: Beyond the Right to be Heard. Leiden: Brill.

Davies, K., Tabucanon, G. & Box, P. (2016). Children, climate change, and the intergenerational right to a viable future. In Ansell, N., Klocker, N., & Skelton, T. (eds.), Geographies of Global Issues: Change and Threat. Singapore: Springer.

Forbrig, J. (ed.) (2005). Revisiting Youth Political Participation: Challenges for Research and Democratic Practice in Europe. Strasbourg: Council of Europe Publication.

Gasparri, G., Omrani, O. E., Hinton, R., Imbago, D., Lakhani, H., Mohan, A., Yeung, W., & Bustreo, F. (2021). Children, adolescents, and youth pioneering a human rights-based approach to climate change. Health and Human Rights, 23(2), 95-108.

Haers, J., Van Laer, J., Siongers, J., Thijssen, P., & Mels, S. (eds.) (2015). Political Engagement of the Young in Europe: Youth in the Crucible. London: Taylor & Francis.

Hart, R. (1992). Children’s Participation. From Tokenism to Citizenship. Firenze: UNICEF.

Holloway, S. L., & Valentine, G (eds.) (2014). Children’s Geographies. Living, Playing, Learning and Transforming Everyday Worlds. London: Routledge.

Lardner, C. (2001). Youth Participation – A New Model. Edinburgh: Youth Social Inclusion Partnership.

Lefebvre, H. (2018). La produzione dello spazio. Roma: Edizioni Pigreco [Orig. work 1974, La production de l’espace].

Lundy, L. (2007), ‘Voice’ is not enough: conceptualising Article 12 of the United Nations Convention on the Rights of the Child. British Educational Research Journal, 33, 927-942. https://doi.org/10.1080/01411920701657033

Malatesta, S. (2015). Geografia dei bambini. Luoghi, pratiche e rappresentazioni. Milano: Guerini Scientifica.

Parker, L., Mestre, J., Jodoin, S., & Wewerinke-Singh, M. (2021). When the kids put climate change on trial: Youth-focused rights-based climate litigation around the world. Journal of Human Rights and Environment, 13(1), 64-89.

Percy-Smith, B. (2010). Councils, consultations and community: rethinking the spaces for children and young people’s participation. Children’s Geographies, 8(2), 107-122. https://doi.org/10.1080/14733281003691368

Percy-Smith, B., & Thomas, N. (eds.) (2010). A Handbook of Children and Young People’s Participation: Perspectives from Theory and Practice. London: Routledge.

Pickard, S. (2019). Young people, protest and dissent. In Politics, Protest and Young People (pp. 407-444). London: Palgrave Macmillan.

Pollock, G., Pilkington, H., & Franc, R. (eds.) (2017). Understanding Youth Participation Across Europe: From Survey to Ethnography. London: Palgrave Macmillan.

Rancière, J. (2007). Il disaccordo. Politica e filosofia. Roma: Meltemi. (Orig. work 1995,  La Mésentente. Politique et philosophie).

Sandin, B., Josefsson, J., Hanson, K., & Balagopalan, S. (eds.) (2023). The Politics of Children’s Rights and Representation. Studies in Childhood and Youth. Cham: Palgrave Macmillan. https://doi.org/10.1007/978-3-031-04480-9_11

Sanson, A. V., & Burke, S. E. L. (2020). Climate change and children: An issue of intergenerational justice. In Balvin, N., Christie, D. J. (eds.), Children and Peace. Peace Psychology Book Series. Cham: Springer. https://doi.org/10.1007/978-3-030-22176-8_21

Sloam, J. (2016). Diversity and voice: the political participation of young people in the European Union. The British Journal of Politics and International Relations, 18(3), 521-537.

Spannring, R., Ogris, G., & Gaiser, W. (eds.) (2008). Youth and Political Participation in Europe: Results of the Comparative Study of EUYOUPART. Opladen: Verlag Barbara Budrich.


  1. La UN Youth Strategy, per esempio, si riferisce con “giovani” ai soggetti fra i 10 e i 24 anni. Diversamente, i documenti relativi all’UN Segreteriat per fini statistici considerano i giovani come soggetti fra i 15 e i 24 anni (per approfondimenti: https://www.un.org/youthenvoy/youth-un/).↩︎

  2. Nelle policies europee viene prevalentemente seguita la definizione adottata dall’Eurostat: https://ec.europa.eu/eurostat/data/database↩︎

  3. UN General Assembly, Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development. A/RES/70/1, 2015.↩︎

  4. https://www.unyouth2030.com/↩︎

  5. Si veda la Risoluzione del Consiglio dell’Unione europea e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, su un quadro di cooperazione europea in materia di gioventù: La strategia dell’Unione europea per la gioventù 2019-2027, reperibile alla pagina: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:C:2018:456:FULL↩︎

  6. Di cui è possibile ripercorrere i risultati nel Report from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions on the implementation of the EU Youth Strategy (2019-2020), reperibile alla pagina: https://ec.europa.eu/transparency/documents-register/detail?ref=COM(2021)636&lang=en↩︎

  7. https://youth.europa.eu/year-of-youth_it#content↩︎

  8. L’educazione gioca, in tale prospettiva, un ruolo chiaramente cruciale. Cita, riporta, infatti, la Risoluzione riportata in nota 5: “L’istruzione rimane un elemento chiave per la cittadinanza attiva, la società inclusiva e l’occupabilità. Ecco perché dobbiamo ampliare la nostra visione sull’educazione per il XXI° secolo, concentrandoci maggiormente sulle competenze trasferibili, sull’apprendimento centrato sullo studente e sull’educazione non formale, al fine di ottenere un accesso veramente equo e universale all’apprendimento di qualità” (Risoluzione del Consiglio dell’Unione europea e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, su un quadro di cooperazione europea in materia di gioventù: La strategia dell’Unione europea per la gioventù 2019-2027 (2018/C 456/01), 2018, p. 15). L’educazione è, dunque, processo fondamentale per guidare il cambiamento delle società, una visione umanistica dell’educazione quale ‘bene comune’, come da sempre ribadito dall’UNECSO nei suoi diversi documenti chiave, a partire da Il mondo dell’educazione oggi e domani – Rapporto Faure (1972) e Nell’educazione un tesoro – Rapporto Delors (1989).↩︎

  9. UN General Assembly, Convention on the Rights of the Child, United Nations, Treaty Series, vol. 1577, 20 novembre 1989.↩︎

  10. https://ec.europa.eu/eusurvey/runner/EU-YOUTH-DIALOGUE-8TH-CYCLE↩︎

  11. Eurochild – Save the Children – UNICEF – ChildFund – World Vision, Our Europe, our rights, our future, Eurochild, 2021.↩︎

  12. Per approfondimenti si vedano Haers, Van Laer, Siongers, Thijssen & Mels, 2015; Pollock, Pilkington & Franc, 2017.↩︎

  13. Chiaramente, in questa riflessione non è possibile non tenere conto dello spartiacque – sociale e politico – rappresentato dall’emergenza COVID-19 e dalle sue ricadute nel corso degli ultimi 3 anni. Si tratta, però, di un fenomeno ancora in corso di studio, ed è difficile comprendere l’impatto che tale emergenza ha avuto nella ridefinzione delle forme di partecipazione, pur essendo sempre indicato come “impattante” (è quanto riporta ad esempio il già citato Report from the commission to the european parliament, the council, the european economic and social committee and the committee of the regions on the implementation of the eu youth strategy (2019-2021).↩︎

  14. Inevitabile il riferimento allo studio di Henry Lefebvre, che pone al centro i processi di produzione e significazione dello spazio, riconducendo lo spazio alla sua natura di prodotto sociale (Lefebvre, 2018).↩︎

  15. Fonti interessanti a riguardo sono fornite dal Child Rights International Network, CRIN, che offre anche riferimenti utili destinati ai giovani per la progettazione di iniziative di protesta e manifestazione non violenta. Per approfondimenti: https://home.crin.org/protest-and-activism-resources?rq=activism↩︎

  16. Per approfondimenti si rimanda all’articolo: https://home.crin.org/latest/how-coronavirus-makes-us-rethink-youth-protests↩︎

  17. Non è possibile qui proseguire nella riflessione sulla dimensione del dissenso, che però si ritiene fondamentale per lo sviluppo delle presenti argomentazioni e che trovano un riferimento teorico di estremo interesse nell’opera di Jacques Ranciere (2007).↩︎

  18. Per approfondimenti: Child Rights Connect, 2020; Daly, 2018, 2022; Davies, Tabucanon & Box, 2016; Gasparri, 2021; Pickard, 2019.↩︎