1 Introduzione
Questo contributo si propone di introdurre un metodo narrativo di ricerca qualitativa ad orientamento fenomenologico applicabile nel campo (socio)pedagogico. La ricerca fenomenologica con le vignette è stata sviluppata presso l’Università di Innsbruck nell’ambito di due progetti finanziati dal Fondo austriaco per la ricerca scientifica (dal 2008 al 2015) e successivamente sperimentata nelle scuole secondarie austriache (Schratz, Schwarz & Westfall-Greiter, 2012). Questo approccio è stato ulteriormente sviluppato in particolare da ricercatori e ricercatrici della Libera Università di Bolzano (Baur & Peterlini, 2016; Agostini, 2016a; Agostini & Zadra, 2022) e dell’Università di Vienna (Agostini et al., 2023; Agostini, Schratz & Eloff, 2024) trovando applicazione anche in contesti sociali al di fuori dell’ambito scolastico (Peterlini, 2020).
Le vignette sono “narrazioni brevi e concise che catturano momenti di esperienza” (Schratz, Schwarz & Westfall-Greiter, 2012, p. 34).1 La ricerca che utilizza le vignette come strumento di raccolta dati si fonda sulla fenomenologia husserliana descrittiva e pone al centro dell’attenzione la correlazione tra l’atto di coscienza (noesis) e l’oggetto (noema) che si riferisce alla coscienza. Secondo il filosofo fenomenologo Bernhard Waldenfels (1992) il contenuto fattuale (il cosa) e le modalità di accedere ad esso (il come) non possono essere considerati momenti separati l’uno dall’altro. Gli oggetti della percezione sono dati e si mostrano al soggetto in maniera non naturale, bensì mediata dal contesto della loro apparizione. Gli oggetti percepiti (noemata), nella visione fenomenologica, non sono né fatti predeterminati o realtà oggettive, né costrutti soggettivamente determinati. Essi appaiono – nella modalità della responsività – come un ‘certo’ qualcosa che prende forma solo all’interno di uno specifico e unico atto percettivo, ovvero di un’esperienza globale che porta con sé l’ineludibile variazione prospettica per la quale il significato che emerge dal percepito è in verità significato dell’esperienza percettiva, che varia prospetticamente in base al contesto, all’interesse, alla motivazione, e persino alla disposizione fisica e spaziale del soggetto e dell’oggetto. Questa prospettiva è stata approfondita anche da Maurice Merleau-Ponty (2002/1945) il quale affronta la questione del rapporto tra conoscenza e percezione, attribuendo a quest’ultima un ruolo gnoseologico. Gli approcci teorici di matrice cartesiana da una parte, infatti, riducono la percezione ad un atto di spontaneità (Gallagher & Zahavi, 2009) del soggetto che si colloca quindi in secondo piano rispetto alla pura pensabilità. D’altra parte, l’empirismo caratterizza la percezione come operazione psicologico-associativa che unifica dati o qualità sensibili altrimenti incoerenti. Merleau-Ponty (2002/1945) chiarisce, invece, il senso filosofico della percezione sulla base dell’esperienza percettiva in quanto tale, superando così l’idea dualista e dicotomica dell’essere.
Sulla base di questo quadro di riferimento epistemologico che ha orientato l’ideazione e l’implementazione del metodo di ricerca della vignetta fenomenologica, nei paragrafi successivi verrà delineato il ruolo della fenomenologia nella ricerca con le vignette e ne verranno ricapitolati, nei loro tratti essenziali, i concetti centrali. Infine, sarà presentata la vignetta fenomenologica con particolare attenzione alle procedure di raccolta, preparazione dei dati e analisi dei dati.
2 La ricerca fenomenologica in ambito pedagogico
La fenomenologia è spesso descritta dai suoi rappresentanti come uno stile di pensiero (Merleau-Ponty, 2002/1945), un atteggiamento specifico di apertura al mondo e agli altri nel modo di un ‘riorientamento’ del proprio sguardo. Nella fenomenologia intesa come “filosofia dell’esperienza” (Meyer-Drawe, 2012a, p. 201) assume un ruolo centrale la visione fenomenologica della situazionalità corporea degli esseri umani e delle loro incarnazioni corporee. Questa prospettiva fenomenologica diventa una teoria di riferimento per la ricerca pedagogica, in contrasto con gli approcci costruttivisti e il loro focus sull’individualità umana, poiché tiene in considerazione la socialità e la corporeità degli individui. Inoltre, pone l’accento sull’interazione intersoggettiva con gli altri e sul carattere sollecitante del mondo e dei suoi oggetti. Un’ulteriore distinzione rispetto agli approcci costruttivisti si trova nell’enfasi attribuita al tema del patico, cioè alla peculiare passività di carattere attivo della percezione e dell’esperienza umana. Questo costituisce un punto di partenza significativo per le analisi fenomenologiche, che mettono in discussione il potere (attivo) di disporre di un soggetto presumibilmente autonomo, ma sottolineano anche le condizionalità e i limiti spaziali, temporali e corporei della percezione, del pensiero e dell’azione umana.
La pedagogia fenomenologica, attraverso l’ottica della fenomenologia in generale e gli strumenti di una ricerca fenomenologica in particolare, fornisce risultati importanti in campo pedagogico. Inoltre, cercando di rimanere fedele all’esperienza vissuta nel mondo, sottolinea ciò che rende i processi educativi una dimensione esperienziale specifica e unica nella relazione tra noi stessi, gli altri e il mondo.
Seguendo il discorso pedagogico della fenomenologa tedesca Käte Meyer-Drawe, imparare e fare pratica dall’ esperienza può essere visto come imparare e fare pratica come esperienza (2012a). Ogni esperienza consente di modificare e ri-orientare le conoscenze e le esperienze precedenti e, al contempo, si presenta come inizio di nuove esperienze. Anche le esperienze negative – considerate in termini di funzioni e non di valutazioni normative dei contenuti dell’esperienza, che si possono manifestare sia come fallimenti sia come successi sorprendenti – permettono di prendere coscienza di atteggiamenti e habitus latenti e costituiscono occasioni di apprendimento e ri-apprendimento (Meyer-Drawe, 2012a).
Da una prospettiva fenomenologica, l’apprendimento è un’esperienza in cui si modifica il rapporto con sé stessi, gli altri e il mondo (Meyer-Drawe, 2012a; Brinkmann, 2018) e in cui si trasforma l’intera persona (Buck, 1989). La pedagogia fenomenologica tedesca radica tutto l’itinerario filosofico di Edmund Husserl nell’esperienza, partendo da essa e ritornando a essa. Husserl sostiene la necessità di risalire al fondamento di senso che è co-fungente nella scienza, al mondo che ci è dato, così come ci è dato nell’esperienza reale, cioè al mondo sensibile (Husserl, 1997/1961). Fare ricerca qualitativa in ambito pedagogico con le possibilità offerte dalla fenomenologia significa cercare di cogliere quello che i metodi e gli strumenti di ricerca quantitativa non riescono a fare: includere come oggetto di indagine i vissuti andando alla realtà e rimanendo nelle cose stesse. La pedagogia e la ricerca qualitativa pedagogica orientate alla fenomenologia possono ridefinire le priorità pedagogiche e conferire un senso e una dignità scientifica a pratiche pedagogiche capaci di cogliere aspetti che, pur non essendo quantificabili, risultano cruciali nell’esperienza in ambito pedagogico (Bruzzone, 2012), facendo riferimento a un concetto significativo di esperienza.
La fenomenologia non solo consente di fare ricerca empirica qualitativa nel campo della pedagogia, ma offre anche indicazioni su come condurre tale ricerca rendendo centrale il lavoro sul campo, senza una supremazia di teorie precostituite, al fine di fondare le conoscenze sulla descrizione fedele del fenomeno così come si manifesta nella situazione. La fenomenologia assegna al ricercatore e alla ricercatrice il compito di “occuparsi di qualsiasi cosa che appare alla coscienza nella maniera in cui appare” (Mortari, 2016, p. 84). Le conoscenze devono essere descrittive e una descrizione scientificamente valida è quella che restituisce le cose così come esse si manifestano (Husserl, 2002/1976). Ogni oggetto di ricerca si pone in un determinato modo allo sguardo di chi riesce a coglierlo prima di ogni pensiero predicativo (Ibidem). La descrizione fedele è quella che permette, quindi, di indicare (deuten) come la cosa si manifesta.
Il metodo di ricerca per “cogliere” la datità originaria, seguendo Husserl, deve seguire il principio secondo cui “ogni visione originalmente offerente è una sorgente legittima di conoscenza e tutto ciò che si dà originalmente nell’intuizione (Intuition) è da assumere come esso si dà, ma anche soltanto nei limiti in cui si dà” (Husserl, 2002/1976, p. 50-51). Attenersi a questo principio significa per Husserl esprimere fedelmente ciò che si manifesta nel rispetto di una datità originalmente differente e quindi mettere in atto il principio epistemico di riportare e descrivere ciò che colpisce la nostra attenzione dando voce alle cose senza oltrepassare “il limite dello stato fenomenico del vissuto” (Ivi, p. 47). Pertanto, adottare una prospettiva fenomenologica va oltre la semplice volontà o capacità di assumere la prospettiva dell’altro, ma significa “piuttosto, l’adozione di un particolare metodo di riflessione sulla prospettiva che ci viene offerta dai partecipanti alla nostra ricerca” (Churchill, 2019, p. 3).
3 Concetti fondanti della fenomenologia pedagogica per la ricerca con le vignette
Alcuni concetti fenomenologici che hanno accompagnato la fondazione del metodo qui presentato – esperienza, intenzionalità e responsività, epoché, corporeità – sono cruciali per inquadrarne e configurarne la specificità.
L’approccio metodologico alla ricerca qualitativa fondato sulla fenomenologia descrittiva richiede, innanzitutto, una puntualizzazione del concetto di esperienza. L’esperienza è per Husserl il “primum reale” (1966, p. 288) e quindi ogni realtà si rivela nel suo senso solo nell’esperienza: “Esperienza è l’operazione in cui per me, l’esperiente, l’essere esperito ‘è là’, e nel modo in cui esso è là” (Ibidem). L’esperienza è esperienza di oggetti e pertanto di datità e di manifestazioni dirette delle cose stesse nella loro particolare realtà. Secondo Husserl va conquistata una diversa prospettiva riguardo a come l’esperienza, che è coscienza, può dare o incontrare un oggetto. Perciò, “è evidente in ogni caso che, se la cosa è reale, la cosa reale stessa non è altro che la cosa percepita e che è fondamentalmente assurdo dire che il percepito stesso sarebbe soltanto un’immagine o un segno di una cosa che è vera in sé, che non cadrebbe, in ciò che essa propriamente è, nella mia percezione” (Husserl, 1992/1956, p. 45). Questo approccio all’esperienza richiede la messa a fuoco di momenti soggettivi, corporei, che si dispiegano nella loro dimensione produttiva e generativa, presupponendo una ridefinizione fondamentale del rapporto tra il soggetto e la realtà sperimentata. Nella ricerca fondata nella fenomenologia il senso del mondo si manifesta dall’interno dell’esperienza del mondo che viene indagata e interrogata fenomenologicamente.
Per Husserl è proprio la coscienza intenzionale che ci permette di trovare un senso al mondo. L’intenzionalità, infatti, ci permette di mettere in relazione la coscienza con gli oggetti, perché la coscienza è sempre coscienza di sé e quindi sempre intenzionale. L’intenzionalità è quindi la capacità di individuare una molteplicità di significati in ciò che è esterno. La coscienza è un atto intenzionale “un in-tendere verso… in cui il soggetto si trascende verso l’oggetto con una donazione di senso” (Iori, 1988, p. 117). A questo proposito non solo viene meno la possibilità di una conoscenza oggettiva del mondo, ma, allo stesso tempo, si può parlare di “instabilità costitutiva” (Ibidem) dei processi e dei prodotti della conoscenza e quindi di negoziazione e di ricostruzione di senso di ogni esperienza. L’esperienza in modo fenomenologicamente fondata è quindi libera dalle preconoscenze e dalle ingenuità oggettivistiche nei termini della sua struttura intenzionale, cioè si fa sempre esperienza di qualcosa come un certo qualcosa (etwas als bestimmtes Etwas).
Nello sviluppo della vignetta come strumento di ricerca abbiamo tenuto conto, inoltre, dell’evoluzione del concetto di responsività proposto dal filosofo contemporaneo Bernhard Waldenfels (2011). Secondo Waldenfels, l’intenzionalità, a causa del suo orientamento allo scopo e alla regola, non è in grado di dare sufficiente spazio al carattere estraneo, stra-ordinario ed intersoggettivo dell’esperienza. Pertanto, nei suoi studi sull’estraneità e sullo stra-ordinario, Waldenfels sostiene che i processi esperienziali sono generati da richieste estranee che egli esamina a partire dalla corporeità, prendendo a riferimento Merleau-Ponty (2002/1945). Mentre Husserl prende le mosse dall’Io trascendentale come coscienza-Io e riconduce la nota formula ‘qualcosa come un certo qualcosa’ al “soggettivismo trascendentale” (Husserl, 1961/1997, p. 125) e agli atti di conferimento di significato della coscienza, Waldenfels (2006) gli contrappone un concetto di responsività non trascendentale, non intenzionale e dunque corporeo, ovvero non centrato sull’Io del soggetto. In questo modo Waldenfels parte dal presupposto che il richiamo di ciò che è estraneo al soggetto non ha un significato fisso, ma prima di tutto è una pro-vocazione, un invito, una chiamata in causa, cosicché nel trattare con l’estraneo si fa sentire una forma di responsività che va al di là di qualsiasi intenzionalità. Con Merleau-Ponty si può parlare di fenomenologia del corporeo come ricerca del significato nel suo statu nascendi, nel suo entrare in scena nell’esperienza che è sempre incorporata e che, in Waldenfels, diviene attenzione particolare alla “richiesta estranea” (Waldenfels, 2006, p. 69) nell’esperienza.
Secondo Husserl la forza e l’utilità del metodo fenomenologico dipendono soprattutto dalla richiesta di un mutato atteggiamento nel soggetto percipiente, a cui si chiede di sospendere l’atteggiamento ‘pre-filosofico’ o ‘naturale’, in cui la coscienza intenzionale è praticamente assorbita dagli oggetti e si assume ingenuamente una realtà che esiste indipendentemente dagli atti intenzionali. Solo sospendendo l’atteggiamento naturale si può raggiungere l’obiettivo di ampliare la propria sfera di esperienza (Husserl, 1997/1961; 1973). In una prima fase, la validità del mondo e quindi il pre-giudizio di una trascendenza implicitamente presupposta del mondo naturale devono essere messi fra parentesi attraverso l’epoché, dal greco epi- (su) e échein (tenere), cioè ‘trattenere’, ‘sospendere’. Da questo atteggiamento specificamente filosofico, che prevede la sospensione dell’atteggiamento metafisico ingenuo (Husserl, 1997/1961) si distingue, in un secondo momento, la riduzione (Reduktion) fenomenologica come tematizzazione della connessione tra soggettività e mondo (Husserl, 1973). In questo modo viene preservato l’atteggiamento ingenuo e con esso l’approccio pre-riflessivo al mondo, così da poter essere esaminati, mettendone però tra parentesi la validità. “La riduzione”, afferma Merleau-Ponty, “distende i fili intenzionali che ci collegano al mondo per farli apparire” (2002/1945, p. 10). In questo modo, da un lato, il ricercatore e la ricercatrice fenomenologico/a cerca di comprendere il mondo della vita, dall’altro, evita di essere completamente assorbito da questa esperienza e può quindi descriverla adeguatamente. È solo attraverso la messa in atto dell’epoché e della riduzione fenomenologica che diventiamo consapevoli della nostra parte senziente, attraverso la quale può realizzarsi l’obiettivo della vignetta, ovvero l’espansione della nostra sfera di esperienza. Solo così la soggettività emerge come istanza che costituisce la condizione di possibilità di ogni fenomeno. In questo modo, il mondo può essere visto come costituito da una coscienza corporea costituente e i fenomeni possono essere percepiti nel modo in cui appaiono (Agostini, 2016a).
Quando in fenomenologia si parla di ‘corporeità’, ci si riferisce a un fenomeno strutturante di base che è sempre coinvolto nella costituzione degli altri fenomeni (Waldenfels, 2011; Francesconi, & Tarozzi, 2019). Il fenomeno del corpo influisce sul modo in cui ogni oggetto viene percepito o esperito. L’atteggiamento corporeo, come la percezione, nasce dal proprio modo di vita, avviene nello scambio inter-corporeo con gli altri e fa sempre riferimento al proprio posizionamento nel mondo e all’integrazione nella pratica sociale. Il punto di riferimento di ogni percezione ed esperienza (inter)soggettiva è il corpo come possibilità e realtà di tutte le esperienze. Così, con il concetto di “inter-corporeità” di Merleau-Ponty (2002/1945) si chiarisce che abbiamo bisogno dell’altro per dischiudere l’accesso a noi stessi e quindi alle nostre esperienze (corporee). Le esperienze vissute dagli altri ci possono sfuggire da un punto di vista cognitivo, ma non ci sfuggono nelle loro articolazioni corporee. In quanto esseri senzienti e percipienti, noi siamo sempre influenzati dalle espressioni corporee degli altri. Ciò significa che nel processo esperienziale condiviso, gli altri rivelano qualcosa che possiamo esperire anche nel nostro corpo. Grazie al concetto di schema corporeo sviluppato da Merleau-Ponty (2002/1945) all’interno del tema dell’inter-corporeità, è possibile il formarsi di una corrispondenza preriflessiva con l’altro, in modo che un significato condiviso possa sorgere nell’incontro inter-corporeo. In una situazione esperienziale comune e condivisa emerge un significato sociale intersoggettivo, che non può essere attribuito né solo a me, né solo all’altro, ma per cui è necessaria l’espressione da parte dell’altro. I ricercatori e le ricercatrici fenomenologiche possono fare riferimento al carattere inter-soggettivo e inter-corporeo dell’esperienza non appena vanno sul campo.
4 La vignetta come strumento qualitativo narrativo di raccolta dati
Le vignette fenomenologiche sono state concepite come possibilità di materializzare i principi teorici fenomenologici appena esposti. Come già menzionato, sono state utilizzate negli ultimi quindici anni in vari gruppi di ricerca di diverse università europee, africane e asiatiche e ulteriormente sviluppate soprattutto all’Università di Vienna e alla Libera Università di Bolzano. Le vignette, riprendendo i fondamenti del pensiero di Husserl (1997/1961), Merleau-Ponty (2002/1945), Waldenfels (2011) e Meyer-Drawe (2012a), consentono di mettere a fuoco come il mondo della vita sia un mondo dell’esperienza immediata, un “mondo già dato”, un “mondo previo” (Husserl, 1997/1961, p. 154-157). La vignetta, permette di sperimentare il mondo con un “atteggiamento naturale e primordiale” (Ibidem), evitando di cadere nell’astrazione teorica e, come si vede dall’esempio seguente, cattura l’unicità e la particolarità delle situazioni, dei soggetti e delle loro vite.
La lacrima di resina
Roberto si avvicina ad un tronco che giace per terra e passando la mano sul tronco senza alzare gli occhi grida verso Mario, la guardia forestale: “Dietro alla corteccia c’è questo coso?” “Sì, è un insetto… è un insetto che vive sotto alla corteccia. Vedi che scava tante gallerie?”, spiega Mario continuando a parlare mentre si avvicina a Roberto che gli addita i buchi fatti dall’insetto. “Ah son tutte le gallerie queste!” esclama continuando a esaminare e toccare il tronco. Alessandro si accosta ai due chiedendo “Ma che insetto è?” Il forestale non gli risponde perché sta già parlando con due bambine che si sono accostate e gli mostrando gli aghi del pino nero. Alessandro non ripete la sua domanda ma allunga un braccio anche lui a toccare gli aghi in mano al forestale. “Ma che grandi!” esclama scrollando leggermente la testa. Anche Cristiano allunga la mano verso gli aghi, ne prende un ciuffetto, lo gira fra le dita, poi fa un saltello verso una compagna e glielo mette in mano ridendo. Roberto alza gli occhi dal tronco, cerca lo sguardo di Mario e chiede ad alta voce: “Con cosa si può ma… maestro… ma cosa si può fare con la resina?” “Puoi toglierti le spine” risponde la guardia a Roberto che aggrotta le sopracciglia e spalanca la bocca in un lungo “Ehh”. “Se tu hai una spina di legno nella mano metti della resina e metti un cerotto” – continua la guardia forestale – “la resina ha la proprietà di toglierti la spina”. Roberto, a bocca aperta, ritorna ad osservare in silenzio una lacrima di resina sul tronco (Zadra, 2022).
5 Che cos’è e come si scrive una vignetta
La vignetta fenomenologica presenta una definizione che è stata sempre più precisata a partire dalla sua genesi nel 2009. Il termine vignetta ha la sua origine etimologica nel francese vignette, ‘piccola vigna’, con riferimento al disegno decorativo delle foglie di vite nei manoscritti medievali ad opera degli amanuensi (Meyer-Drawe, 2012b; Schratz, Schwarz & Westfall-Greiter, 2012). Come una miniatura in prosa la vignetta fenomenologica descrive in modo pregnante una scena attraverso una scrittura ricorsiva che prevede diverse fasi di stesura, revisione e limatura. La vignetta racchiude la descrizione di un momento esperienziale che colpisce il ricercatore e/o la ricercatrice, che lo irrita, che suscita domande, scardina una procedura abituale o una categoria di comprensione. Si tratta di momenti di esperienza in cui, in relazione con gli altri e il mondo, le aspettative vengono smentite e le esperienze antecedenti vengono messe in discussione. Le vignette fenomenologiche consentono l’accesso all’“esperienza co-esperita” (Schratz, Schwarz, & Westfall-Greiter, 2012, p. 36): contengono situazioni che sono co-esperite dal ricercatore e/o dalla ricercatrice nell’istante in cui le cose accadono nel mondo della vita e sono fondate su momenti e azioni reali che si manifestano nell’esperienza co-esperita di chi scrive la vignetta. In una fase successiva le vignette ancora in forma di bozza sono validate intersoggettivamente all’interno del gruppo di ricerca e sottoposte ad un successivo processo di labor limae che, soprattutto a livello stilistico, rende la vignetta risonante e permette a chi la legge di esperire e rivivere l’esperienza co-esperita. Michael Schratz, Johanna F. Schwarz e Tanja Westfall-Greiter (2012) paragonano le vignette a fotografie istantanee che catturano, attraverso un attento uso della lingua, la dinamicità delle azioni di soggetti in situazioni concrete. Nella stesura della vignetta è attribuita specifica attenzione al linguaggio del corpo, alla percezione corporea, alle atmosfere, alla mimica, alla prossemica, all’andatura e alle mosse minime del corpo, ai toni di voce e ai silenzi, a tutto ciò che si può difficilmente cogliere linguisticamente (Agostini, 2019a; Agostini & Zadra, 2022). Le vignette presentano eventi quotidiani e apparentemente poco appariscenti che, in quanto tali, possono anche apparire non “particolarmente significativi, ma capaci di assumere una grande importanza” (Arrighetti, 2007, p. 79, citato in Schratz, Schwarz, & Westfall-Greiter, 2012).
Nel processo di scrittura delle vignette viene fatta anche una sorta di epoché del linguaggio, svuotando ogni parola di significati scontati e banali per renderla feconda di possibilità, pregnante, capace di esprimere il massimo di realtà possibile, un’eccedenza di significati che possono essere ignoti e sorprendenti rimanendo allo stesso tempo aderenti alle cose. Meyer-Drawe (2012b) raccomanda l’uso di una lingua curata, raffinata, vicina all’uso letterario perché le situazioni non devono essere semplicemente appuntate e annotate. Le scelte linguistiche non solo consentono una ricostruzione degli enunciati linguistici, ma riflettono soprattutto la partecipazione sensoriale, perché “il mondo non è ciò che io penso, ma ciò che io vivo” (Merleau-Ponty, 2002/1945, p. 26). L’accuratezza concettuale e l’annotazione dettagliata di particolari o di espressioni linguistiche non sono così importanti nella scrittura delle vignette, ma è cruciale che la vignetta inquadri in modo significativo le azioni e l’espressività corporea e le renda risonanti in modo che chi legge possa partecipare all’esperienza co-esperita tra ricercatori e ricercatrici con i/le partecipanti sul campo, per comprenderla e per potervi attingere, in modo che, partendo dalle proprie vecchie esperienze e dalla propria prospettiva individuale, si dischiuda una nuova esperienza per chi legge la vignetta.
Le vignette fenomenologiche differiscono dalle vignette etnografiche di cui parla Frederick Erickson (1986) non solamente per l’approccio teorico ed empirico, la grande attenzione al linguaggio e all’estetica, ma anche perché si concentrano sulle esperienze pre-riflessive con tutti i loro elementi di pathos. La descrizione patica delle espressioni facciali, dei gesti, della postura, dell’andatura, dell’abbigliamento e degli elementi di ornamento del corpo esprime ciò che attrae, stimola e sollecita l’individuo nella situazione prima di essere tradotto in azioni. Il linguaggio di una vignetta fenomenologica non si concentra su dettagli puntuali, ma punta a delineare la complessità, la ricchezza, la dinamicità delle esperienze vissute, sa rendere le emozioni e i colori delle emozioni, fa trasparire stati d’animo e genera un’eccedenza di senso e significati per chi legge, rendendo le esperienze comprensibili e presenti attraverso l’esperienza di chi ha scritto la vignetta e co-esperito la situazione. I ricercatori e le ricercatrici che si dedicano alla scrittura di vignette fenomenologiche hanno bisogno quindi di una raffinata capacità espressiva: il linguaggio è il tramite per seguire le tracce di ciò che è stato vissuto, sperimentato, percepito, intuito, sentito e provato, deve consentire di esprimere le esperienze co-esperite in modo “conciso” ma allo stesso tempo “pregno” di abbondanti elementi sensoriali (Meyer-Drawe, 2012b, p. 14).
Il ricercatore e la ricercatrice che scrivono le vignette partecipano a una molteplice varietà di situazioni che intendono co-esperire, assumendo non tanto il ruolo di osservatori distanti, ma quello di partecipanti che sono disposti a farsi catturare dagli eventi che possono accadere sul campo di ricerca. Questo coinvolgimento che non è solo attivo e non solo passivo si verifica sia all’interno di un gruppo classe, sia in situazioni di apprendimento extrascolastico come nell’esempio riportato. Nel tentativo di agire con naturalezza, il ricercatore/la ricercatrice rimane aperto/a alle percezioni e partecipa alle situazioni, senza comunque assumere per esempio il ruolo di educatore o insegnante. Riprendendo le argomentazioni husserliane e quelle dei suoi successori, Merleau-Ponty (2007/1964) ha messo in evidenza come l’essere “affetto” (affiziert-sein), quindi il concetto di Affektion, scaturisca dal fare esperienza intesa come qualcosa che prorompe soprattutto attraverso la corporeità, nella quale i sensi hanno una funzione paradigmatica dell’essere-affetto. I sentimenti e i sensi assumono un ruolo centrale nel richiamare l’interesse: un certo elemento dell’azione può scatenare paura, preoccupazione, stupore, sorpresa rendendo il corpo “vinculum dell’io e delle cose” (Merleau-Ponty, 1967/1960, p. 267). L’affezione rappresenta una sorta di dinamica di contatto che svela una dimensione più originaria del rapporto tra il sé e il mondo: le cose sollecitano, “pungono”, stimolano, interpellano.
Chi fa ricerca è sempre presente sul campo e registra dapprima le esperienze co-esperite in note e appunti. Le note sono abbastanza libere, ma evidenziano tutto ciò che è apparso come degno di memoria, peculiare, sorprendente, piacevole, curioso o irritante in modo tale da preservare la vivacità dell’esperienza. Particolare attenzione viene rivolta al linguaggio del corpo, perché è l’incarnazione di ciò che è stato esperito e vissuto: l’esperienza vissuta dai soggetti sul campo può sottrarsi a chi fa ricerca sul campo, ma non sfuggono le espressioni corporee che, se presentate fenomenologicamente, possono costituire una porta di accesso (Agostini, 2019a). I movimenti, le posture, le espressioni corporee vanno colti e presentati in modo da permettere una corrispondenza con l’altro che sia in un certo senso epochizzata e faccia emergere modalità e possibilità del sé. Dell’espressione linguistica va registrato non solo il contenuto, ma va esplicitata anche la modalità delle interazioni fra i soggetti, le direzioni, gli spostamenti, l’ampiezza e i contatti degli sguardi, costantemente coinvolti nel discorso, le tonalità e i movimenti degli occhi, delle labbra, delle mani. Il ricercatore/la ricercatrice annota azioni, movimenti, dettagli della scena, pensieri, sentimenti ed emozioni avendo in mente una mappa da seguire per poter poi trasferire nella scrittura questi momenti. La stesura delle note è guidata da domande o temi quali la temporalità, spazialità, corporeità e relazionalità che non vogliono definire un metodo per l’annotazione dell’esperienza co-esperita, ma aiutano a riconoscere e incarnare una postura aperta e delineano un’arte e non un metodo di interrogarsi sul senso di un’esperienza. Le annotazioni mettono quindi a fuoco i fatti e le azioni che si susseguono, le percezioni degli spazi e dei luoghi in cui si verificano gli eventi, le persone coinvolte e, in particolare, tutto quello che colpisce i sensi.
6 Elaborazione dei dati: scrittura e limatura della vignetta e validazione intersoggettiva
Il processo di scrittura della vignetta vera e propria si colloca immediatamente dopo l’evento co-esperito per garantire un’elevata accuratezza. L’obiettivo di questa seconda fase del processo di scrittura non è semplicemente quello di creare una versione pulita o sintetica delle annotazioni, ma piuttosto di trovare le modalità e i mezzi linguistici ed estetici per esprimere l’esperienza vissuta anche ad una distanza emotiva, spaziale e temporale. La sfida principale consiste nel trasmettere il non detto e il percepito attraverso lo stato d’animo e l’atmosfera della situazione, in modo da offrire ai lettori una nuova prospettiva (Agostini, 2019b). Inizialmente le bozze di vignette risultano essere descrizioni ancora prive della necessaria densità e risonanza. Le vignette spesso prendono forma al di fuori del campo, attraverso scelte che permettono di cogliere la scena con tratti concisi e densi. Il materiale annotato viene accuratamente esaminato per condividere l’esperienza co-esperita sul campo con coloro che non vi hanno partecipato. Si cerca di mantenere il carattere di apertura, per escludere interpretazioni univoche e unilaterali, permettendo alla scena stessa di parlare, di essere una scena vissuta anche se non originaria, di aprire a uno sguardo autentico, alla comprensione di esperienze vissute da altri, in una sorta di presenza-assenza. La versione provvisoria della vignetta, ottenuta dopo questo processo, viene quindi sottoposta alla validazione da parte del gruppo di ricerca. Il processo di validazione intersoggettiva si svolge soprattutto sul piano della condensazione linguistica (Agostini, 2016a) e consiste in una risposta all’esperienza articolata nella bozza della vignetta da parte dei ricercatori e delle ricercatrici che non hanno vissuto l’esperienza sul campo e formulano domande e suggerimenti per affinare il linguaggio e lo stile. In questa fase, tuttavia, possono essere abbinate o integrate anche informazioni contestuali necessarie per la comprensione della vignetta.
Articolare verbalmente il linguaggio del corpo e l’incarnazione di ciò che viene sperimentato e vissuto, in cui, come già accennato, si manifestano le esperienze intersoggettive, è sempre una sfida. Il compito è quello di mostrare ciò che è stato vissuto in modo concreto. Quali termini rispecchiano fedelmente il tono delle parole sentite o pronunciate? Si tratta, come nella vignetta riportata “La lacrima di resina”, di uno “spiegare” o, meglio, un “chiarire” o “esporre”? Si è trattato di “sgranare gli occhi” o “spalancare la bocca” per lo stupore o la meraviglia? Come possiamo semplicemente disvelare questa espressione del bambino senza intrappolarla in strati di significato? Come individuare le parole che lasciano spazio per accogliere l’unicità degli eventi, come fare in modo che i gesti non siano interpretati ma semplicemente dati, ripresi da un atto, “come se l’intenzione dell’altro abitasse il mio corpo o come se le mie intenzioni abitassero il suo” (Merleau-Ponty, 2002/1945, p. 25)?
Le parole utilizzate vengono attentamente vagliate nel gruppo affinché diano voce all’esperienza e riproducano in modo preciso ciò che è stato percepito sul campo. Si cerca di lasciare un certo spazio anche a espressioni che si nutrono di poesia, di stile letterario e di tonalità affettive. Dopo la prima fase di annotazione dell’esperienza, con la quale prende avvio la traduzione in linguaggio di ciò che viene percepito, la bozza della vignetta viene ora condensata in vignetta vera e propria. Grazie alla dimensione intersoggettiva, alla revisione e al labor limae di tipo linguistico a cui la vignetta viene sottoposta, emerge ora una nuova dimensione dell’esperienza. La vignetta finale costituisce una rappresentazione scenica di qualcosa che trascende l’esperienza individuale e si concentra su qualcosa di generale, divenendo descrizione esemplare. La condensazione linguistica del significato dell’esperienza dà luogo a un’eccedenza di significato non riconducibile a significati preesistenti.
Nel corso del lavoro di scrittura e del confronto dialogico all’interno dei gruppi di ricerca, emerge la fatica di un nuovo orientamento. I processi metodologici di epoché e riduzione diventano processi auto-educativi di sé come ricercatore/ricercatrice anche nella fase di scrittura dei dati. “La vignetta non descrive, non afferma, ma mostra”, scrivono Schratz, Schwarz e Westfall-Greiter (2012, p. 35) indicando così la fondamentale importanza della scelta dei mezzi linguistici per lasciare che le cose affiorino secondo una modalità irriflessiva secondo il principio husserliano del cominciamento radicale (Husserl, 1913/1976), dell’immer wieder (sempre di nuovo) senza produrre generalizzazioni e astrazioni che allontano dalla realtà in cui ci muoviamo ed esistiamo.
Nella descrizione del contesto vengono inoltre incluse solo le informazioni contestuali rilevanti per la comprensione. Per riuscire a catturare l’atmosfera scenica, si cerca sempre di bilanciare il livello di dettaglio, in modo che la descrizione sia sintetica senza perdere di atmosfera.
7 L’analisi dei dati: lettura scenica, discorsiva e in forma scritta della vignetta
Le vignette, ora, sono pronte per essere sottoposte a un particolare tipo di analisi che a sua volta si radica nei principi fenomenologici. La composizione e la presentazione specifica di una vignetta indirizza l’attenzione percettiva dei lettori e delle lettrici già verso una particolare selezione di esperienze. I significati di ciò che viene percepito sono già co-costituiti attraverso la condensazione linguistica. Da un lato, tali descrizioni condensate di esperienze rimandano a un accesso pre-riflessivo al mondo, anche se i ricercatori e le ricercatrici devono rendersi conto che i resoconti esperienziali o le descrizioni delle esperienze vissute non sono mai veramente identici alle stesse esperienze pre-riflessive, perché tutte le descrizioni di esperienze sono già trasformazioni delle esperienze stesse. Secondo van Manen “senza questo drammatico elemento sfuggente del significato vissuto alla nostra attenzione riflessiva, la fenomenologia non sarebbe necessaria” (2016/1997, p. 113). Inoltre, i ricercatori e le ricercatrici che scrivono vignette fenomenologiche devono adottare l’atteggiamento descrittivo fenomenologico, vedere, pensare ed esprimere come descritto nella riduzione fenomenologica. Anche i metodi di lettura riflessiva delle vignette, per estrarre e analizzare il significato, devono essere integrati con l’epoché e la riduzione fenomenologica. Dall’altro lato, la trasformazione della scena in linguaggio, con la relativa estetizzazione e riflessione sul significato, fa sì che le vignette contengano elementi riflessivi, ma anche eccedenze di significato immanenti al testo, che consentono di liberare l’eccedenza attraverso le associazioni. Non solo nella esperienza co-esperita della situazione, ma anche nella lettura della vignetta, si cerca di ottenere un senso e afferrare un significato dalla situazione e di esprimere linguisticamente ciò che viene vissuto nella vignetta. Meyer-Drawe parla di una “comprensione scenica” (2021, p. 17) in grado di congiungere sensualità e concettualità, percezione ed espressione linguistica. La fase di analisi dei dati viene definita ‘lettura’ dei dati, che, a differenza di un’interpretazione, si presenta come un’esemplificazione che lascia spazio alla consapevolezza di qualcosa che non può comunque essere afferrato o spiegato. La lettura non propone interpretazioni, ma mostra soltanto possibilità di comprensione, rinunciando per convinzione epistemologica a spiegazioni basate su teorie o modelli predefiniti, quindi senza nessuna pretesa di oggettivazione o operazionalizzazione. Non si esegue una ricerca di categorie o di temi guidati da un modello, ma si adotta un dialogo aperto e rivelatore focalizzandosi sulla situazione esemplare e particolare che permette un accesso di tipo riflessivo. Le conoscenze pre-riflessive vengono sottoposte ad una revisione riflessiva e le ambiguità vengono svelate in termini di significati diversi.
Si possono distinguere diversi tipi di letture delle vignette: letture sceniche, ispirate al metodo teatrale di Augusto Boal (Peterlini, 2017) e letture discorsive o scritte (Agostini, 2016b; Agostini, Schratz & Eloff, 2024). Le vignette possono essere analizzate sia in gruppo, attraverso discussioni oppure letture sceniche, sia individualmente per iscritto. In questa prospettiva, le vignette puntano ad una lettura che fa riferimento al significato del termine deuten che non implica interpretare ma “tenere la direzione verso l’aperto” (Gadamer, 1983, p. 424), cioè, comprendere un senso che può contenere significati diversi. Anche l’etimologia del termine tedesco deuten sottolinea il tentativo di “cercare di spiegare” e “indicare con un dito”, di afferrare il significato (Bedeutung), ovvero il processo stesso per pervenire al significato (Deutung). In quest’ottica, la lettura dei dati, si configura come un’attribuzione produttiva di significato, distante dall’interpretazione esplicativa e dal progetto ermeneutico mirante a confermare i fatti del mondo (Wittgenstein, 1999). Linda Finlay, a questo proposito, parla di “pointing to” contrapposto a “pointing out” (2009, p. 11): la preposizione “to” indica infatti il movimento di richiamare l’attenzione, l’indicare per guidare lo sguardo in una direzione, mentre “out” è un evidenziare ciò che sta dietro al testo, nascosto dietro le parole. Dato che fenomenologicamente qualcosa si manifesta sempre come un certo qualcosa, e appare sempre come qualcosa a qualcuno, in ambito pedagogico non possiamo considerare qualcosa come fatto oggettivo, ma sempre come esperienza fatta da qualcuno in particolare. L’esperienza partecipata della vignetta dipende quindi sempre dalla persona e dalla prospettiva del ricercatore o della ricercatrice e non può mai essere portata alla sua piena chiarezza a causa dell’ambiguità dell’esperienza stessa e della costituzione corporea di chi conduce la ricerca (Agostini, 2016a).
Il significato di un esempio “non emerge come oggettivazione e generalizzazione di una regola generale, ma piuttosto nella comprensione intuitiva” (Brinkmann, 2012, p. 44). La molteplicità di senso che si apre nella lettura non è acquisita induttivamente, ma risulta da un accesso intuitivo che è reso possibile solo dalla propria storia pre-riflessiva. L’analisi fenomenologica comporta una selezione riflessiva e una tematizzazione sistematica delle connessioni tra gli elementi pre-riflessivi, e in parte legati alla vita, contenuti nelle vignette. In questo modo, i lettori e le lettrici fanno una esperienza peculiare basata sull’esempio concreto, partendo dalla loro stessa esperienza e prospettiva. Durante il processo di lettura della vignetta, la struttura peculiare dell’esempio trascende la sua stessa intenzione; esso viene soltanto presentato senza dare indicazioni sulle modalità in cui deve essere compreso, dato che è sempre collocato nel contesto di una situazione, che, in un certo senso, determina il modo stesso in cui può essere compreso (Buck, 1989; Lippitz, 1984). La lettura sviluppa comprensioni alternative e rinuncia a spiegazioni di teorie o modelli nel senso di attribuzioni esterne di significato e generazione di categorie comparabili. La riduzione fenomenologica, che inizia con la stesura delle vignette, viene quindi proseguita nell’analisi-lettura delle vignette in un processo ricorsivo, scomponendo “qualcosa come qualcosa” e riconducendolo al modo in cui appare in una certa prospettiva. Pertanto, la lettura fenomenologicamente orientata non cerca un’analisi sotto forma di risposte conclusive né un’interpretazione univoca nel senso di un’interpretazione esplicativa. La lettura è piuttosto un processo aperto, ambiguo, rivelatore piuttosto che dimostrativo (Schratz, Schwarz, & Westfall-Greiter, 2012, p. 39). Secondo Schratz, Schwarz e Westfall-Greiter l’obiettivo principale della lettura fenomenologica è quello di “differenziare l’eccedenza e la ricchezza delle esperienze articolate nelle vignette e di mostrarle nel maggior numero possibile di sfaccettature” (2012, p. 39), in modo che chi legge i testi delle vignette possa rispondere a ciò che tocca e coinvolge delle esperienze, che si manifestano come eccedenze di significato.
‘Capire con l’esempio’ implica una nuova relazione con sé stessi: poiché si coglie sé stessi nelle convinzioni e nei saperi pre-riflessivi. Ogni lettore e lettrice risponde all’esperienza della vignetta in modo diverso anche se la composizione della vignetta e il linguaggio scelto mettono a fuoco una determinata percezione, precisa ma allo stesso tempo aperta. Questa evocazione di una certa ambiguità è consapevole. Ciò che cambia spesso nelle letture di una vignetta sono i contesti e gli approcci alla comprensione. Ciò che è fondamentale è che la prospettiva di lettura che si dà di una vignetta sia trasparente: la lettura parte dall’intuitivo, ma, in un passo successivo, viene anche fondata teoricamente (Meyer-Drawe, 2012a), nel senso dell’“inserimento” (Einlegen) della teoria in modo produttivo (Brinkmann, 2017). Nel processo di lettura non avviene una ricerca di significati sempre più profondi e raffinati: la vignetta, basandosi su ‘segni di esperienza’ nel senso di azioni ed espressioni concrete, fa invece emergere, attraverso una comprensione riflessiva delle ambivalenze dell’esperienza compresa in essa, molteplici modi di leggere.
8 Conclusioni e sfide (future)
Il processo di ricerca portato avanti attraverso lo strumento delle vignette si articola in diversi passaggi. In primo luogo, è necessario adottare un atteggiamento aperto e flessibile, facendo spazio alla sorpresa e andando oltre le proprie aspettative. Questo richiede un esercizio di sensibilizzazione alla percezione per ricercatori e ricercatrici, ad aprirsi a ciò che accade sul campo. Inoltre, nel processo, rivestono un ruolo chiave le espressioni corporee poiché, come abbiamo già visto, prestare attenzione a come si muovono i soggetti, alle posture che assumono, a come muovono e usano le mani, alle espressioni che si dipingono sui volti, ai gesti che accompagnano le parole, aiuta a cogliere fenomeni altrimenti sfuggenti. In un momento successivo le esperienze raccolte vengono tradotte in forma scritta in vignette attraverso la condensazione linguistica. Questo processo di condensazione, avvenuto durante la validazione intersoggettiva nel gruppo di ricerca, costituisce una fase di revisione e discussione dell’esperienza co-esperita. Solo così è possibile verificare se l’esperienza percepita sia stata adeguatamente espressa attraverso il linguaggio, dando vita a una storia esemplare che può essere letta in diversi modi. Nella fase di analisi, invece, i vari livelli di significato di una vignetta vengono dispiegati e analizzati per la loro ambiguità esperienziale e le peculiarità pedagogiche.
L’utilizzo delle vignette come strumento di ricerca si è dimostrato molto fruttuoso: le vignette sono state impiegate in progetti di ricerca di rilevanza internazionale (cfr. Agostini et al., 2023). Uno dei limiti di questo strumento è sicuramente rappresentato dalla tipologia di scrittura che richiede una postura epistemologica matura, ma anche una abilità di catturare in forma scritta e attraverso una struttura ricercata e uno stile raffinato l’esperienza co-esperita. La vignetta, inoltre, deve essere utilizzata all’interno di gruppi di ricerca che condividono una prospettiva teorica e che lavorano insieme alla validazione intersoggettiva delle vignette.
La sfida che le ricerche con vignette fenomenologiche affrontano è quella di espandersi in campi di ricerca diversi e transdisciplinari, di creare una rete di ricercatori e ricercatrici che usino questo strumento di ricerca per affrontare aree complesse e questioni che implicano un nuovo modo di indagare un mondo caratterizzato da incertezza, vulnerabilità e precarietà, e di studiare le relazioni delle persone con il mondo e con gli altri, per aprirsi all’eccedenza delle possibilità e delle prospettive in un percorso di formazione a quella pazienza che si cura di ogni particolare e di ogni estraneità.
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Tutte le traduzioni dal tedesco sono a cura delle autrici.↩︎