Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.28 n.69 (2024), 73–84
ISSN 1825-8670

Ermeneutica infantile e unicità della lettura estetica della letteratura per l’infanzia

Stefania CarioliLink Campus University (Italy)
ORCID https://orcid.org/0000-0002-2697-2997

Stefania Carioli is Associate Professor of History of Pedagogy and Education at Link Campus University, Department of Human Sciences. Her research focuses on the intersection of children’s and young adult literature/media and pedagogy of reading, particularly as the implications related to digital and electronic media.

Pubblicato: 2024-08-08

Childhood Hermeneutics and the Uniqueness of the Aesthetic Reading of Children’s Literature

Abstract

The purpose of this paper is to reflect on the uniqueness of the aesthetic reading of children’s literature and child hermeneutics as foundations for reading education. The first section examines Louise Rosenblatt’s transactional model of aesthetic reading and Wolfgang Iser’s phenomenological approach, as well as their theoretical implications for reader-response criticism. The paper’s second section focuses on some more recent reader-response criticism research directions, which investigate postmodern picturebooks whose proposals within the educational scene have generated conflicting opinions. However, empirical studies that have investigated the point of view from which real children authentically live the experience of reading have demonstrated the surprising ability of younger readers to fathom and interpret these ambitious narratives, which invite readers into an experience that enhances interpretive resourcefulness. The characteristics of this variety of books reveal an implicit trust in the hermeneutic potential of younger readers, which contradicts the deep-rooted idea that continues to paint them as incapable of artistic-aesthetic experiences and unable to express their own hermeneutics.

Obiettivo del presente contributo è di riflettere sulla specificità della lettura estetica della letteratura per l’infanzia e dell’ermeneutica infantile, come fondamenti per un’educazione alla lettura. Basandosi sul modello transazionale di lettura estetica di Louise Rosenblatt e sulle sue convergenze con l’approccio fenomenologico di Wolfgang Iser, nella prima parte del contributo ne vengono considerate le influenze teoriche sulla Reader-response criticism e sugli studi empirici volti a indagare il punto di vista dal quale bambine e bambini reali vivono autenticamente l’esperienza del leggere. Nella seconda parte, il contributo si sofferma su alcune direzioni di ricerca più recenti della Reader-response criticism, che esplorano postmodern picturebook, la cui proposta all’interno della scena educativa ha dato adito a pareri contrastanti. In realtà, studi empirici dimostrano la sorprendente capacità dei lettori più giovani di scandagliare e interpretare queste ambiziose narrazioni, che invitano i lettori a un’esperienza che valorizza l’intraprendenza interpretativa. Le caratteristiche di questa varietà di albi rivela un’implicita fiducia nelle potenzialità ermeneutiche dei lettori più giovani, che contraddice la radicata idea che continua a dipingerli come incapaci di esperienze artistico-estetiche e non in grado di esprimere una propria ermeneutica.

Keywords: Children’s hermeneutics; Aesthetic reading; Children’s literature; Reader-response criticisim; Picturebook.

1 Introduzione

Nella nota introduttiva al capitolo Readers, texts, contexts: Reader-response criticism (Benton, 2006), Peter Hunt ha posto in risalto l’aspetto distintivo del composito e diversificato campo di ricerca della Reader-response criticism rispetto alla gran parte della teoria critica che si occupa di letteratura per l’infanzia, ovvero, l’impegno teso a esplorare il punto di vista dal quale bambine e bambini reali vivono autenticamente l’esperienza del leggere (Hunt, 2006, p. 81), un impegno volto a indagare il percorso che li porta a diventare lettori di letteratura, il modo in cui attraverso la lettura si relazionano con la letteratura, teso ad ampliare le conoscenze sul rapporto dei lettori con la letteratura per l’infanzia (Duthoy, 2023), accogliendo come presupposto che la stessa letteratura risulti più profondamente compresa se osservata anche attraverso lo sguardo, le impressioni, i pensieri dei giovani e dei giovanissimi (Benton, 2006). Una riflessione – quella sulla “sorprendente specificità” dell’“ermeneutica infantile”, sul “rapporto autentico che si crea tra loro e certe narrazioni”, sulle “scelte propriamente effettuate”, sulle “mescolanze”, sulle “contaminazioni” (Faeti, 2010, p. 10) – che chiarisce l’unicità della lettura estetica della letteratura per l’infanzia, in altre parole, di una lettura con intenti tutt’altro che moralistici o strumentali.

Il presente contributo si concentra sull’ermeneutica infantile e sull’unicità della lettura estetica della letteratura per l’infanzia, basandosi sul modello transazionale (di ispirazione deweyana) di lettura estetica di Louise Rosenblatt; sulle convergenze fra gli studi della stessa Rosenblatt con quelli di Wolfgang Iser, e focalizzando sulle coordinate teoriche che hanno influenzato particolarmente la Reader-response criticism.

L’ermeneutica infantile coglie e accoglie il valore autentico delle risorse interpretative dei bambini, ne riconosce la profondità nel dare senso ai mondi metaforici della narrazione e l’unicità nel porre in luce aspetti talvolta non visibili al lettore adulto. Significative, a questo proposito, sono le parole di Maria Nikolajewa e Carole Scott che, nel rappresentare il processo di lettura dell’albo illustrato come un circolo ermeneutico, sostengono che i bambini, quando chiedono di farsi rileggere lo stesso libro più e più volte, in realtà, non leggono lo stesso libro, piuttosto, ne approfondiscono sempre di più l’interpretazione, a differenza degli adulti che hanno perso questo modo di leggere, perché ignorano il tutto e considerano le illustrazioni semplicisticamente decorative (2013, p. 2).1

Nell’ultima parte, il contributo considera i tratti specifici di alcuni formati artistico letterari contemporanei – gli albi illustrati cosiddetti postmoderni – che, a causa della loro forza centrifuga rispetto alla tradizione, di contenuti e strutture spesso estremamente sofisticati, hanno sollevato la questione se i giovani siano in grado di far fronte alla loro lettura. Dinnanzi a proposte narrative che deviano rispetto a quelle che la consuetudine ritiene più adatte all’infanzia, continua immancabilmente a ripresentarsi quel sistema interpretativo precostituito tendente a ricondurre a schemi semplicistici la rappresentazione dei bambini, la visione della lettura, le caratteristiche dei testi da scegliere per loro. Nell’ambito di questo consolidato sistema, infatti, i bambini continuano a essere concepiti soltanto come lettori ingenui, incapaci di vivere esperienze artistico-estetiche, non in grado di esprimere una propria ermeneutica; né, in questo sistema, viene accettata la varietà interpretativa: la lettura è vista esclusivamente come strumento di “trasmissione di informazioni chiare e puntuali”, di descrizioni didascaliche “di fatti ed eventi del mondo” (Campagnaro, 2017, p. 10). Su questi presupposti, la scelta ricade su “trame spesso appiattite su necessità didattiche”, su libri “rassicuranti” ed “accessibili”, mentre marginalizzata o del tutto dimenticata è l’idea che

l’incontro con la letteratura è pure un incontro folgorante con le belle lettere e con le belle figure. È la storia di un innamoramento con le forme più alte del narrare (Ibidem).

Se il modo di avvicinare i più giovani al mondo da leggere e se le letture scelte per loro rispecchiano l’immagine di come bambini e giovani sono percepiti dagli adulti (Bodmer, 1991), la rappresentazione che traspare da un’idea di lettura ripiegata su trame banali e schematiche è quella di un giovane lettore limitato nella sua forza immaginativa per l’urgenza di favorire rudimentali strumenti verificabili a breve termine; un giovane lettore la cui autonomia di giudizio, sensibilità, libertà interpretativa e di pensiero saranno subordinate a logiche altre. Plausibilmente, l’inibizione a un certo modo di leggere e la messa in atto di sistemi di condizionamento e contenimento nell’accesso a stimolanti spazi mentali aperti alla conoscenza e all’immaginazione – come sono certe narrazioni per l’infanzia – sono interpretabili anche come non estranei a nuove forme di controllo sulle giovani menti, controllo che, come Milena Bernardi (2014) ha approfonditamente argomentato, si presenta come un sofisticato sistema di condizionamento, più che come una vera e propria censura. Da questo punto di vista, abbassare lo sguardo verso ciò che viene escluso dall’interesse critico o dal mainstream delle proposte rivolte all’infanzia, su ciò che viene culturalmente stigmatizzato o marginalizzato, riveste un particolare interesse.

2 La hora del lector

Nel campo degli studi sulla letteratura per l’infanzia, la Reader-response theory ha fatto ingresso a opera di studiosi interessati a esplorare l’esperienza dei bambini con i testi letterari, a capire la loro prospettiva come lettori letterari e il modo migliore per valorizzarne l’autenticità. E, tuttavia, non si è trattato di un ingresso privo di dubbi né di esitazioni. I concetti alla base del quadro teorico della Reader-response theory sono nati nel campo della critica letteraria del lettore adulto (Benton, 2006; Hirvela, 1996) come sfida alla prospettiva testocentrica, che metteva in ombra o espungeva l’intervento interpretativo del lettore (Eco, 1979; Eco, 2020/1979). Diversamente, le nuove prospettive affermavano il ruolo del lettore, sottraendo dal focus della discussione critica la nozione di testo autonomo, da esaminare nella sua struttura oggettiva, e sostituendola con una nuova creazione di quel testo da parte del lettore (“the reader’s recreation of that text”, Benton, 2006, p. 84). Umberto Eco ha definito questa svolta culturale La hora del lector (Eco, 1992, p. 23) – titolo dal valore profetico mutuato dall’opera di Josep Maria Castellet del 1957 – mentre riconosceva il gesto ermeneutico, il riflusso dei ricordi e di esperienze vissute da parte del destinatario/lettore, quali componenti costitutive del testo (Bertoni, 2011) e studiava “il problema” (Eco, 1979; Eco, 2020/1979) della cooperazione interpretativa finalizzata a riempire gli spazi vuoti, “quel che il testo non dice (ma presuppone, promette, implica ed implicita)”, in quanto “meccanismo pigro”, che “vive sul plusvalore di senso introdottovi dal destinatario”, dando particolare valore proprio ai “movimenti interpretativi che, come poi ha mostrato Barthes, producono […] il piacere […] del testo” (Eco, 2020/1979, s.p.).

Quando la prospettiva della Reader-response theory ha fatto ingresso nel campo degli studi sulla letteratura per l’infanzia ha esplorato le specifiche implicazioni della reale esperienza di lettura dell’opera artistico-letteraria. Punto di partenza, la concezione della lettura come atto fondato, non tanto, sulla scoperta del significato del testo (in una sorta di scavo archeologico), quanto piuttosto su una creazione da parte del lettore (“reading is not the discovering of meaning [like some sort of archaeological ‘dig’] but the creation of it”, Benton, 2006, p. 84). Dalle descrizioni di ciò che i bambini provano durante la loro esperienza di lettura è emersa un’attività altrimenti nascosta, è stato possibile chiarire il mistero di ciò che pensano e sentono, cogliere la natura del processo interpretativo del lettore che crea il significato dell’opera letteraria. Occupandosi sia delle qualità testuali che della relazione con il testo come elementi complementari di un’esperienza unitaria, gli approcci della risposta del lettore nella letteratura per l’infanzia hanno allacciato tutti un rapporto con la pedagogia (Benton, 2006; Hunt, 2006). Sono state così poste le premesse teoriche per la familiarizzazione con un quadro di idee che la maggior parte dei critici e degli insegnanti di scuola non ri-conosceva anche solo fino a pochi decenni fa: il lettore bambino è stato visto non più come una tabula rasa, un “non ancora lettore”, ma come un protagonista attivo, che apporta una propria conoscenza e sensibilità personali all’atto del leggere, con variazioni significative che hanno aperto alla pluralità interpretativa e forgiato una nuova relazione tra lettura ed educazione alla letteratura (Benton, 2006).

3 L’ora del giovane lettore

I riflessi dell’ora del lettore nel campo della critica della letteratura per l’infanzia non sono stati immediati, visto che, nello strenuo tentativo di cercare di ottenere rispettabilità critica per questa letteratura, ha continuato a prevalere l’enfasi sul testo. Come ha fatto presente Aidan Chambers – fra i primi a sottolineare i limiti di una distinzione operata tra approccio letterario e approccio pedagogico nell’ambito della critica della letteratura per l’infanzia e a considerare il giovane lettore implicito attingendo dalla prospettiva fenomenologica di Wolfgang Iser (1978) – gli approcci incentrati sul bambino sono stati rifiutati da coloro che li hanno ritenuti un pericolo per la letterarietà della letteratura per l’infanzia: “rejection of any concept of the child-reader-in-the-book by those people who have sought most earnestly for critical respectability” (Chambers, 2012, p. 2). Nella disamina critica sul livello di sviluppo di readers, texts, contexts dalla prospettiva della reader-response, Benton (2006) ha osservato come le opere di Wolfgang Iser e di Louise Rosenblatt sono quelle che hanno avuto la maggiore influenza nell’ambito pedagogico dell’insegnamento della letteratura per l’infanzia. I due autori hanno contribuito a introdurre l’idea – ancora epocale alla fine del Novecento – secondo la quale non si possa parlare di esistenza significativa di un testo al di fuori della relazione con i suoi lettori, fornendo così una base epistemologica anche per la considerazione dell’esperienza letteraria dei più giovani. Secondo Whalen-Levitt (1980), gli studi di Iser e di Rosenblatt hanno contribuito a far entrare la letteratura per l’infanzia nel “regno” dello studio letterario, perché la letteratura ha iniziato a riferirsi a una gamma di esperienze e – non solo – a un gruppo di testi. Lo spostamento dell’enfasi sull’esperienza del lettore, gradualmente anche del giovane lettore, piuttosto che sul testo, ha incoraggiato a considerare anche i primi libri dei bambini come argomento di studio fino ad allora escluso. Sui nuovi presupposti epistemologici, infatti, un albo illustrato come, ad esempio, il notissimo Good Night Moon (Wise Brown, 1947), fino ad allora ritenuto troppo semplice e troppo illustrato per essere propriamente oggetto di analisi critica, è uscito dal sottobosco letterario insieme al lettore bambino che, evitando semplicistiche supposizioni, ha iniziato a essere visto come genitore del lettore adulto (Whalen-Levitt, 1980).

4 La lettura come esperienza letteraria

Pur attraversando linee d’indagine differenti, gli studi di Iser e di Rosenblatt sono giunti a esiti molto simili. Entrambi si sono concentrati su ciò che accade durante la lettura e sulla natura dell’esperienza letteraria, allontanandosi da una visione di questo processo come progressione lineare e ammettendo la diversità interpretativa. La lettura è stata considerata come un atto situato e complesso, in cui la netta differenza tra soggetto (lettore) e oggetto (testo) scompare, nel senso che non si può parlare semplicemente di un lettore che agisce sul testo o di un testo che agisce unidirezionalmente sul lettore ma, piuttosto, in termini di interrelazione dinamica tra lettore e testo (Whalen-Levitt, 1980).

4.1 Lettura estetica e lettura efferente

Per come affronta e chiarisce presupposti fondamentali per una pedagogia della letteratura per l’infanzia, è interessante richiamare qui la nota distinzione operata da Rosenblatt fra lettura efferente e lettura estetica. Infatti, malgrado le semplificazioni e i fraintendimenti suscitati da questo modello, esso rimane il principale riferimento teorico per spiegare le componenti estetiche che intervengono nel rapporto fra giovani lettori e testi letterari (Pantaleo, 2013; Soter, Wilkinson, Connors, Murphy & Shen, 2010). Va preliminarmente detto che Rosenblatt definisce la lettura mutuando il termine “transazione” da John Dewey (Dewey & Bentley, 1949), per indicare un concetto epistemologico di base distinto rispetto a quello di “interazione”. Se il concetto di interazione implica la presenza di entità dualisticamente separate e già definite che agiscono l’una sull’altra, il termine “transazione”, invece, suggerisce una relazione reciproca, che si definisce in un rapporto vicendevole fra elementi che sono fasi di una situazione presa nella sua totalità (Rosenblatt, 1986).2 La lettura è definita perfettamente dal termine “transazione”, perché si tratta di un processo

che avviene tra un particolare lettore e un particolare testo in un particolare momento e in particolari circostanze. Tutti questi fattori influenzano la transazione tra lettore e testo. Il lettore, infatti, non si avvicina al testo letterario per scoprire un’entità già definita, il significato dell’opera d’arte letteraria. Ogni lettore porta con sé un bagaglio unico di significati, retaggio di esperienze passate con la lingua e con i testi nel corso della sua vita. La transazione con i segni del testo attiva un flusso bidirezionale o, meglio, circolare, di simbolizzazioni dinamicamente intrecciate che reciprocamente si riverberano e si fondono (Rosenblatt, 1986, p. 123).

A partire da tale definizione, la studiosa declina una varietà di forme di lettura, che descrive facendo riferimento a due principali tipologie, poste alle estremità di un continuum:

ogni evento di lettura rientra in uno spettro che copre quelle che ho definito le posizioni prevalentemente efferenti o prevalentemente estetiche. Efferente è il tipo di lettura in cui l’attenzione è concentrata su ciò che deve essere trattenuto: il significato emerge da un’astrazione e da una strutturazione analitica delle idee, delle informazioni, delle conclusioni da conservare o utilizzare successivamente. L’atteggiamento prevalentemente estetico, che copre l’altra metà del continuum, designa invece una disponibilità a focalizzare l’attenzione su ciò che viene vissuto in relazione al testo durante l’evento di lettura, dunque, non solo ciò che le parole indicano, ma anche gli aspetti qualitativi associati. Il suono delle parole, la loro ripetizione e variazioni ritmiche possono essere ascoltati con il metaforico orecchio interno, che dà luogo a quelle tensioni interiori, sensazioni, sentimenti e associazioni che accompagnano le immagini e le idee, colorando scene, azioni e personaggi immaginati. L’evocazione è vissuta sensibilmente a partire da testi come poesia, romanzo, dramma. È a questa opera vissuta, a questa evocazione, che il lettore risponde durante la transazione e che in seguito sarà valutata, analizzata, criticata (ivi, p. 124).

L’approccio efferente ed estetico sono alternativi, ma entrambi necessari. Il problema che Rosenblatt ravvisa nell’insegnamento della letteratura è che esso soffre del mancato riconoscimento che l’opera letteraria è l’evocazione vissuta dal lettore durante la transazione con il testo. Proprio perché il continuum estetico-efferente non viene compreso, i giovani lettori non sono aiutati a sviluppare l’abitudine ad assumere una posizione adeguata al particolare evento di lettura. Anche nel caso in cui l’insegnamento della letteratura proponga testi di qualità, su di essi vengono poste domande che premiano una lettura efferente, concentrata sulle informazioni da estrarre e trattenere. L’attenzione del giovane lettore è, in questi casi, orientata verso ciò che sarà richiesto dopo, generalmente, parafrasi, sintesi, categorizzazione dei generi, analisi del dettaglio tecnico stilistico o attribuzione a periodi biografici o storici, ecc. Tuttavia, gli aspetti efferenti non dovrebbero ostacolare il vivo circuito personale che si crea tra l’opera letteraria e chi la percepisce, la cui essenza consiste nell’evocazione che coinvolge, a vari livelli, l’organismo della persona nella sua interezza (Rosenblatt, 1978; 1986; Whalen-Levitt, 1980). Non importa quanto piccolo il lettore sia, l’esperienza di lettura estetica contribuisce alla crescita delle capacità personali di evocare legami, fornendo la base di un’educazione che aiuta a far crescere sensibilità e raffinatezza. Quando, invece, l’insegnamento permette solo un’esperienza vaga e frettolosa con la letteratura, limitata all’efferenza e basata principalmente sui resoconti di seconda mano, dell’insegnante o del critico, senza favorire – o addirittura impedendo – una transazione estetica iniziale, senza aiutare il giovane lettore ad assaporare, ad approfondire l’esperienza vissuta, a riprenderla e a riflettere su di essa, accostando elementi sensoriali, affettivi e cognitivi, in un processo di progressiva consapevolezza degli stati interiori relativi alla percezione dell’opera, per organizzarne il senso, in questi casi, l’insegnamento della letteratura è addirittura controproducente (Rosenblatt, 1986).

5 Per una pedagogia della letteratura per l’infanzia

Un’analisi dell’educazione alla lettura della letteratura per l’infanzia – attuale nei propositi di definire come e perché la letteratura sia essenziale per lo sviluppo, ascoltando i bambini stessi – è stata proposta da Margaret Meek.3 Sulla scia degli approcci sulla centralità del lettore, e assumendo in gran parte la prospettiva della Reader-response criticism (Benton, 2006), la Meek ha declinato in chiave squisitamente operativo-laboratoriale le questioni fondamentali al centro del discorso qui affrontato, intessendo la trama di una pedagogia della letteratura. Alla fine degli anni Ottanta del Novecento, la studiosa ha pubblicato How Texts Teach What Readers Learn (1988), che definisce significativamente “workshop” (Meek, 1988, p. 3). In questo volume, ella prende le mosse da quelli che – solo apparentemente – possono sembrare truismi ma che in realtà si rivelano aspetti tutt’altro che ovvi, perché trascurati, nonostante la loro evidente basilarità. Innanzitutto fa notare che, sebbene sia chiaro che per formare lettori siano necessarie narrazioni letterarie, in realtà, nella gran parte degli studi sulla lettura, alla specificità della lettura della letteratura per l’infanzia vengono riservati solo fuggevoli cenni. Infatti, le discussioni sull’insegnamento della lettura sono spesso decontestualizzate, incentrate principalmente sul processo, mentre il testo è trattato come sostanza neutra su cui funziona quel processo: come se il lettore reagisse nello stesso modo di fronte a una poesia o a un albo illustrato, piuttosto che a un orario o a un avviso (Meek, 1988).

L’enorme potenziale per suscitare forme interpretative che la letteratura per l’infanzia ha in sé non viene opportunamente valorizzato, come dimostra la mancata considerazione del portato – di aspettative, di conoscenze già possedute e di comportamenti “da lettore” – con cui i bambini arrivano a scuola. La capacità di raccontare storie per immagini attraverso l’interpretazione di illustrazioni, ad esempio, si presenta precocemente come forma di manipolazione simbolica, che è parte integrante dell’ontogenesi della competenza letteraria. Altrettanto si può dire dei collegamenti intertestuali, con cui i bambini entrano in contatto molto presto, non appena iniziano a ricordare testi in rima, come le filastrocche ad esempio, e a riconoscerne i riferimenti durante l’ascolto di letture ad alta voce. Ma si tratta di un bagaglio di opportunità che immancabilmente va a perdersi in un percorso di alfabetizzazione in cui la lettura è appiattita su una mera decodifica di parole. E tale perdita rischia di essere ancor più dannosa se si considera che riconoscere parole sulla pagina non esaurisce certo la capacità di leggere. Meek si sofferma su questo punto decisivo per sottolineare come, contrariamente a una concezione sin troppo diffusa, non si diventa lettori sviluppando prima una serie di abilità di decodifica e di comprensione e poi applicando queste abilità a testi letterari. Piuttosto, prima si impara a operare come lettori, agendo mentalmente su testi ascoltati o su narrazioni illustrate che consentono anche ai più piccoli di intervenire con prime forme di riconoscimento, di ipotesi, di predizioni, di rappresentazioni. Solo successivamente e in continuità con queste conoscenze e su queste basi sarà possibile innestare il percorso di acquisizione della decodifica, senza tuttavia che sia mai persa di vista l’importanza di continuare a permettere la manipolazione mentale del testo, l’impegno nell’interpretazione su cui si costruisce il viaggio formativo del lettore.

Dal canto loro, tuttavia, gli insegnanti, preoccupati da ciò che gli alunni devono imparare e dalla responsabilità di far raggiungere presto quei traguardi, tendono a sottovalutare o a non considerare queste precoci scoperte sulla lettura, ciò che incuriosisce i bambini e che li attrae di più di questo mondo, che, nella migliore delle ipotesi, hanno conosciuto come sorgente di ritualità e vicinanza alle figure adulte loro affettivamente vicine, come viaggio all’insegna di quella gratuità, “che è la sola moneta dell’arte” – per usare le celeberrime parole con cui, qualche anno più tardi, Daniel Pennac avrebbe parlato della lettura (2000, p. 27). E, se non trovano la possibilità di esprimersi, il loro bagaglio conoscitivo sarà ignorato e sarà spezzata la continuità con le loro esperienze e i loro ricordi, con conseguente, profonda frattura nel viaggio formativo per diventare lettori.

Meek suggerisce, quindi, di dare spazio alle espressioni in nuce delle competenze letterarie, di valorizzare la lettura come scoperta, di non spiegare tutto; di lasciare anche a letture successive la scoperta di altri indizi segreti di cui l’artista ha cosparso le proprie narrazioni; di mettere i bambini nella condizione di poter mostrare le loro acute capacità osservative e di saper raccogliere dettagli in profondità, nei meandri delle intenzioni meno evidenti degli autori. Ammettendo, inoltre, il fascino sui più giovani e l’influenza delle storie proposte dai media elettronici, la studiosa osserva un altro elemento di discontinuità: da un lato, gli autori, che hanno iniziato sempre più frequentemente negli ultimi decenni a presentare le loro narrazioni in formati intriganti, che utilizzano codici espressivi visivi somiglianti a quelli dello schermo; dall’altro, un insegnamento della lettura che ha come unica preoccupazione la parola scritta, dimostrando come continui a permanere il retaggio di un’idea di libri illustrati come forma pre-letterata di narrazione.

Un’ulteriore considerazione merita il contesto di relazioni e la condivisione della lettura con gli altri, quali aspetti fondamentali di un’attività che non avviene nel vuoto, nonostante siamo inclini a pensarla silenziosa e solitaria. E, tenendo presente che i principali luoghi di condivisione della lettura sono la famiglia e gli altri contesti educativi – fra cui, in primis, la scuola – le modalità che vengono poste in essere in questi luoghi sono cruciali, parte integrante del bagaglio delle impressioni sulla lettura che ogni bambino porterà con sé per tutta la vita (Meek, 1988; Williams, 2006).

6 Qualità e varietà delle letture

Le opportunità messe in gioco da opere di letteratura per l’infanzia di qualità superano di gran lunga quelle di libri che Meek definisce schematici, che non offrono stimoli, sfide, enigmi da svelare, né appelli alla dimensione interiore dei più giovani. La letteratura per l’infanzia di qualità deborda dagli schemi, è costantemente esposta a sperimentazione, a modifiche di generi e stili narrativi, a variazioni nel modo di inserire riferimenti intertestuali. Queste caratteristiche distintive sono parte integrante della qualità delle opere di letteratura per l’infanzia, che riescono così a rispondere ai gusti e alle esigenze diverse di lettori diversi. Infatti, una prima, fondamentale esperienza che l’opera letteraria offre è la natura e la ricchezza dei modi con cui gli autori possono raccontare e, d’altro lato, le diverse possibili interpretazioni che quelle narrazioni sono in grado di ingenerare nel lettore. In queste opere, il mondo è rappresentato con stili artistici unici e con metafore visive e verbali che si connettono a ciò che bambine e bambini sanno e/o stanno imparando, a come vivono le loro esperienze, ponendosi dalla prospettiva dell’infanzia. Le rappresentazioni realizzate in queste opere sono realistiche, nel senso che i giovani lettori percepiscono la relazione con la loro realtà psicologica, ma offrono anche possibilità altre, vie di fuga sconvenienti, eccessive, ardite, che il mondo degli adulti potrebbe non sopportare, sebbene siano molto apprezzate dai bambini (Meek, 1988).

The authors who exploit their art, and the illustrators who make pictures with secrets, link what children know, partly know, and are learning about the world, to ways of presenting the world in books. These presentations are lifelike, that is, the reader senses their relation to psychological reality. But they are also scandalous, excessive, daring possibilities that the real world, the world of adults, might not endure, but which are real to children. Look for the picture books of Edward Ardizzone, John Burningham, Anthony Browne, Quentin Blake, Shirley Hughes, Janet and Allan Ahlberg, and of course, Maurice Sendak. Read them with your most adult awareness of life and literature and text, and you will see that the invitations they offer to young readers are far from infantile. Children who encounter such books learn many lessons that are hidden forever from those who move directly from the reading scheme to the worksheet (Meek, 1988, p. 19).

Piuttosto che condannare alcune di queste storie, etichettandole come inadatte, gli adulti dovrebbero prendersi il tempo per aiutare i più giovani a entrare nelle storie, a esprimere i propri giudizi, in una crescente tolleranza dell’ambiguità e consapevolezza che le cose non sono esattamente come sembrano. Gli inviti che queste opere propongono, infatti, sono tutt’altro che infantili: i bambini che le incontrano ne ricevono una molteplicità di stimoli, che rimarranno per sempre sconosciuti a coloro che passano direttamente dalla lettura di testi schematici al foglio di lavoro. L’esito è che tra i giovani lettori che hanno fatto ingresso nel mondo da leggere attraverso i molteplici significati di testi polisemici e quelli che, invece, si sono riduttivamente allenati sui tratti delle parole scritte a solo scopo di esercizio di decodifica, vi è una distanza in termini di profondità riflessiva e qualità connotative della lettura, che coloro che hanno avuto solo un’esperienza irriflessiva sentono come mancanza quando si trovano di fronte a un testo che significa più di quanto dice in superficie, come un testo narrativo di qualità.

Allora, all’incoraggiamento a velocizzare la decodifica andrebbe sostituito l’accompagnamento alle buone letture. Altrimenti, fa notare Meek con un’efficace metafora, i lettori corrono sul posto, ma non si allontanano con la mente. La potenza di certe narrazioni risiede proprio nell’incentivo a muovere il pensiero, a superare le categorizzazioni; nello scontro con i consueti modelli interpretativi, perché tali narrazioni rendono plausibile la varietà delle modalità espressive, dei livelli di messa a fuoco, dei punti di vista, tenendoli insieme, in un unico spazio. L’accompagnamento alle buone letture risulta così una difesa contro la tirannia del potere riduttivo dell’alfabetizzazione funzionale (Meek, 1988), le buone letture diventano rifugio per la libertà del lettore e della lettrice dai pesanti condizionamenti sociali, per una sua partecipazione più pensata e aperta alle possibilità “di lĕgĕre, ossia di raccogliere stimoli per creare mondi interiori e immaginare qualcosa che non c’è, che non c’è stato ma che avrebbe potuto esserci, che non c’è adesso ma che potrebbe esserci in un futuro o in una realtà diversa” (Carioli, 2018, p. 8).

7 Recenti direzioni di ricerca nella Reader-response criticism

Ammettendo la complessa varietà dell’esperienza estetico letteraria, la Reader-response criticism si avvale di diversi metodi di ricerca empirica, tutti, comunque, riconducibili a un approccio qualitativo, che pone l’accento sulle prospettive interpretative dei lettori, fra cui, sondaggi, osservazioni, scrittura di diari, discussioni di gruppo, estrinsecazioni sul sentire e pensare individuale, ecc. (Duthoy, 2023). Se i primi studi riconducibili all’approccio Reader-response criticism hanno indagato la risposta del giovane lettore alla narrativa e alla poesia (Benton, 2006), la ricerca empirica più recente ha individuato ulteriori direzioni nell’esplorazione della risposta di lettori di età diverse a una stessa opera letteraria (Duthoy, 2023), nonché nell’esplorazione della risposta di giovani lettori a narrazioni multimodali come picturebook (albi illustrati) e wordless picturebook (albi illustrati senza parole) anche nei loro sviluppi postmodern4 (Driggs Wolfenbarger & Sipe, 2007; Graff & Shimek, 2020; Kümmerling-Meibauer, 2015). Pur senza fare riferimento specifico ai postmodern picturebook, ma più in generale all’albo illustrato come prezioso “prodotto culturale” all’interno della scena educativa, proprio per come in esso collaborano immagine e parola scoprendo varietà di stili illustrativi e verbali, Marco Dallari sottolinea:

Dal punto di vista cognitivo, l’associazione parola e immagine e l’implicazione dei processi interpretativi connessi alla dimensione metaforica che caratterizza fortemente questo tipo di testi, aiuta a disimparare a riconoscere, come dice Lyotard (2008), perché fa scoprire che non esiste un modo giusto (e unico) di rappresentare visivamente qualcosa, ma esistono, per ogni rappresentazione, infinite possibilità (Dallari, 2018, p. 11).

7.1 Albi illustrati postmoderni ed ermeneutica infantile

I margini volutamente aperti di certi albi illustrati postmoderni celebrano il fluttuare dei significati e della loro indeterminatezza, continuano il gioco in sospeso con le aspettative dei lettori invitandoli a un’esperienza che si pone agli antipodi rispetto alla lettura di una letteratura finalizzata a trasmettere morali o precetti (Klinker, 1999). Nel valorizzare l’intraprendenza creativa dei giovani lettori, questi formati artistico letterari rivelano una profonda fiducia nelle loro potenzialità ermeneutiche. Infatti, alcuni di essi presentano sulle loro pagine una galleria di illustrazioni in cui sono rappresentati mondi immaginari e fantastici, che pur facendo parte di uno stesso libro sono fra loro apparentemente distinte: il lettore è messo nella condizione di poter aprire l’albo a una qualsiasi pagina e di leggere, permanendo su un’unica illustrazione oppure scoprendo connessioni narrative fra le varie pagine, perché non vi è nulla di specifico, né di predeterminato, ma solo suggestioni visive e verbali. Un esempio è il “fantastico” The Mysteries of Harris Burdick di Chris Van Allsburg (1984), in cui è esibito un enigmatico intreccio di misteriose e straordinarie illustrazioni in bianco e nero e di altrettanto oscure stringhe di parole. Ispirato (come afferma lo stesso autore, Shaun Tan) all’inedita idea di libro espressa in The Mysteries of Harris Burdick, è The Red Tree (Tan, 2001), albo minimamente verbalizzato e surrealisticamente illustrato, che segue il viaggio frammentato di una giovane. L’impulso che ha guidato Shaun Tan – come egli stesso ha raccontato – è stato il tentativo di descrivere sentimenti usando il linguaggio metaforico, visivo e verbale. In assenza di una narrazione esplicita della storia, un albo illustrato come The Red Tree invita il lettore a trarre il proprio significato, un significato che tende – come in una logica fuzzy – a mescolarsi con la semantica del senso, prestandosi a una lettura mai definitiva, sempre relativizzata e messa in discussione:

qualsiasi significato apparente è sempre intriso di incertezza: l’albero rosso può fiorire, ma può anche morire. Nulla è assoluto o definitivo e questo riflette la vita reale e la continua ricerca di una soluzione. Le idee di questo albo sono molto ampie e penso che puntino su un metodo di espressione, piuttosto che su un contenuto specifico. The Red Tree non solo sopporta interpretazioni variabili, ma ne ha bisogno, e questo sembra appropriato al tema, perché l’esperienza di sofferenza o di speranza di ognuno è unica e personale (dal sito di Shaun Tan, trad. e cit. in Carioli, 2022, p. 132).

Altrettanto paradigmatico dell’invito alla polifonia interpretativa è l’albo illustrato postmoderno Voices in the Park (Browne, 1998). In esso, quattro monologhi descrivono la versione soggettiva della passeggiata nello stesso parco di una donna, di un uomo, di un bambino e di una bambina, rispettivamente, figlio e figlia dei due personaggi adulti. La varietà prospettica di questa narrazione interrompe il discorso monologico di una voce dominante, mentre la multilinearità della struttura narrativa dà vita a vari incipit e a più finali – o all’assenza di entrambi, nel senso più consueto dell’espressione – impegnando il lettore nell’autonoma scelta fra le molteplici linee narrative e nel gioco della scoperta in pagine pullulanti di riferimenti intertestuali a classici della letteratura per l’infanzia (come Mary Poppins in the Park) e all’intero ventaglio dei linguaggi artistici: dalla pittura surrealista di René Magritte, a quella espressionista di Edvard Munch; dall’arte rinascimentale a quella fiamminga; dal riferimento all’icona cinematografica di King Kong, a quelli alla scultura, alla danza, alla musica, …. Al centro di questa narrazione, la consapevolezza dell’interpretazione di tutto ciò che ci circonda, della soggettività della percezione del reale, resa con una pluralità di indizi disseminati dall’autore nel corso della narrazione. E se è vero che il gioco di voci e motivi diversi messi in scena in questo albo diminuisce la possibilità di condiscendenza a un unico punto di vista, è altrettanto vero che nel profondo abitano anche connessioni recondite, stimolo ad andare al di là della superficie e delle apparenze, sino in fondo, a collegare i fili meno immediatamente visibili di una trama complessa (Carioli, 2022).

La proposta di albi come questi all’interno della scena educativa ha dato adito a pareri contrastanti, poiché, secondo alcuni, la molteplicità di linee narrative che intrecciano vari piani di significato, la presenza di dispositivi metanarrativi e autoreferenziali che richiamano l’attenzione sul meccanismo di finzione letteraria, la distanza ironica e la parodia, la densità di riferimenti intertestuali da scoprire e di linguaggio metaforico di cui è fitto sia l’apparato illustrativo che quello verbale risulterebbero eccessivamente complessi, inaccessibili, difficilmente comprensibili. In realtà, studi empirici basati sulla teoria della Reader-response hanno continuato a dimostrare la sorprendente capacità dei lettori più giovani di scandagliare e interpretare queste ambiziose narrazioni (Kümmerling-Meibauer, 2015) e svelato così, ancora una volta, l’inaspettata disposizione ermeneutica di bambine e bambini, se e quando sono create intorno a loro condizioni che favoriscano e rendano possibile un’autentica interpretazione.

Riferimenti bibliografici

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  1. Nonostante la distanza prospettica rispetto all’interpretazione dell’adulto, l’ermeneutica infantile è inquadrabile all’interno di un approccio ermeneutico che, come noto, è interessato a una analisi fenomenologica della risposta estetica, e che pertanto studia la ricezione come una costruzione di senso nella comprensione dell’oggetto estetico. In questa prospettiva, l’atto della lettura non si limita a cogliere i significati espliciti, o quasi espliciti, ma produce senso, e dunque interpretazione (Levorato, 2000). A proposito di come l’interpretazione interviene nella lettura del lettore adulto, scrive Maria Chiara Levorato: “la comprensione è solo una parte del processo che avviene nella lettura: ci sono altri processi che la influenzano, ne costituiscono l’aspetto qualitativo e le conferiscono valore estetico. Tali processi stanno alla base delle reazioni del lettore che si coinvolge, si appassiona al destino dei personaggi, prova emozioni, prende ciò che legge come un possibile modello della realtà, valuta e giudica le azioni dei personaggi, assegna all’autore degli scopi e gli attribuisce delle intenzioni, trasforma il testo in funzione dei propri scopi e inclinazioni, in buona sostanza lo interpreta. […]. La distinzione tra comprensione e interpretazione è particolarmente rilevante per i testi narrativi i quali, caratterizzati come sono da una certa indeterminatezza, tollerano, più di altri, interpretazioni diverse. Per riferirsi a questo fenomeno, Bruner [1991] parla di componibilità ermeneutica, che può essere illustrata dalle parole di Saramago tratte dal suo lavoro Tutti i nomi: ‘Al contrario di quanto in genere si crede, senso e significato non sono mai stati la stessa cosa, il significato si percepisce subito, è diretto, letterale, esplicito, chiuso in se stesso, univoco, per così dire, mentre il senso non è capace di starsene tranquillo, brulica di significati secondi, terzi e quarti, di direzioni raggianti che si vanno dividendo e suddividendo in rami e ramoscelli fino a che si perdono di vista’” (2000, p. 67).↩︎

  2. Sintesi e traduzioni dall’inglese sono dell’autrice dell’articolo.↩︎

  3. Membro onorario dell’IBBY (International Board on Books for Young People), Margaret Meek Spencer (1925-2020) ha combinato l’esperienza di insegnante con quella di ricercatrice e, infine, di docente all’Institute of Education dell’Università di Londra. Dalla fine degli anni Sessanta, le sue idee hanno contribuito a modificare notevolmente la direzione di gran parte della ricerca e della pratica della lettura nel mondo anglofono, portando a un riconoscimento più profondo sia del ruolo attivo dei lettori che dell’importanza dei libri di letteratura per l’infanzia.↩︎

  4. Come noto, la definizione “condizione postmoderna” è stata coniata da Jean-François Lyotard, “per designare lo stato della cultura dopo le trasformazioni subite dalle regole dei giochi della scienza, della letteratura e delle arti, messe in relazione con la crisi delle narrazioni” (Lyotard, 2004, p. 5). È altresì noto che il termine “postmoderno” è stato impiegato negli Stati Uniti già negli anni Cinquanta del Novecento e che l’attività dei primi romanzieri definiti postmoderni comincia tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta (cfr. Fastelli, 2013). Nel presente contributo, il termine “postmoderno” viene utilizzato con riferimento a una parte della letteratura per l’infanzia, a partire dal riconoscimento che i libri per bambini cambiano con la cultura che li circonda (Goldstone, 2001). Per approfondimenti sui postmodern picturebook, si vedano, tra gli altri: Goldstone & Labbo, 2004; Dresang, 2010).↩︎