1 Introduzione
Nel 2014 Save the Children Italia ha definito la povertà educativa come “privazione da parte dei bambini e degli adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni” (p. 4). Nel proporre tale costrutto, la Onlus ha attinto da filoni di ricerca dell’ultimo ventennio del Novecento, di sociologia politica e di matrice socio-economica, con il merito di risvegliare l’interesse sui minori e sull’esigenza di promuovere l’educazione. Grazie all’advocacy di Save the Children, in Italia è stato costituito il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile (L. 208/2015), finalizzato ad affrontare il fenomeno in quattro aree: 1. comprendere, 2. essere, 3. vivere assieme, 4. conoscere il mondo (poi modificata in 4. condurre una vita autonoma e attiva). Nonostante l’impegno governativo a favore dei minori e le conquiste che gli educatori socio-pedagogici e i pedagogisti hanno ottenuto sul piano normativo nell’ultimo decennio (L. 205/2017; L. 65/2017), l’educazione occidentale sembra in una fase di stallo. Le povertà educative dilagano e molti adulti provano un senso di impotenza e/o demotivazione di fronte alle questioni poste dalle nuove generazioni.
Come è noto, nella sua storicità l’educazione è frutto della relazione dinamica tra finalità, conoscenze e pratiche: le scelte e le azioni educative si basano su finalità e conoscenze, che evolvono grazie all’esperienza maturata nelle pratiche (Bottero, 2020). In parallelo, la povertà educativa è sia multidimensionale sia declinabile culturalmente e le ineludibili questioni di fondo dell’epistemologia pedagogica consentono di sostanziarne il costrutto. Per quale tipo di individuo, di società e di mondo si intende oggi educare? Cosa caratterizza il soggetto-persona che si vuole accompagnare nel suo formar-si?
Le pratiche educative risentono del paradigma dominante nel contesto di appartenenza, che orienta la rappresentazione dell’essere umano, l’idea e le finalità dell’educazione. Le immagini di umanità, di società, di mondo e di scienza influiscono su molteplici piani interconnessi: comunicativo, relazionale, esistenziale, sociale, educativo, psicologico, medico, politico, economico, ecologico, etico, agricolo, industriale, ecc. Il pedagogista può opportunamente attingere dalle scoperte delle scienze, ma deve mantenersi consapevole che ognuna offre una mappa di ciò che si vede attraverso lenti di uno specifico modello (gr. paradeigma). Come ha rilevato il filosofo e sociologo francese Edgar Morin (1999/2000),
un paradigma regna sulle menti perché istituisce i concetti sovrani e le loro relazioni logiche (disgiunzione, congiunzione, implicazione ecc.). Sono tali concetti che governano in modo occulto le concezioni e le teorie scientifiche che si delineano sotto il dominio appunto del paradigma (p. 122).
La pedagogia, scienza di raccordo tra le scienze umane, è chiamata a essere un’istanza critica. Le crisi che affliggono l’umanità e il pianeta hanno una dimensione cognitiva, correlata al sistema culturale di appartenenza. Nonostante il progresso, lacune nella conoscenza della conoscenza “hanno prodotto formidabili misconoscimenti e nuove forme di ignoranza” (Morin, 2012, p. 13), tali da non consentire a oggi la democratizzazione della cultura e un’equità educativa in grado di ridurre le disuguaglianze. Per rilanciare efficacemente l’intreccio di teoria e prassi nell’educazione, è utile esaminare la questione delle attuali povertà pedagogiche ed educative alla luce delle cornici culturali entro cui l’educativo stesso viene concepito. Il processo riflessivo e le risposte alle odierne lacune o incongruenze tra finalità e pratiche potrebbero giovarsi di contaminazioni e/o aperture a paradigmi epistemologici e culturali alternativi.
Senza pretese di esaustività, nel presente contributo si suggerisce che il paradigma olistico sistemico e la teoria della complessità, insieme a prassi proto-olistiche e orientamenti derivanti dalle neuroscienze, offrano solide fondamenta per una pedagogia volta a prevenire e contrastare forme di povertà radicate in Occidente.
Le neuroscienze hanno fornito prove dell’interconnessione e dell’interdipendenza tra le dimensioni costitutive dell’umano. Come può tale consapevolezza tradursi proficuamente in direzioni e azioni educative? Nei paragrafi che seguono il lettore è accompagnato a riflettere sull’opportunità di un’educazione integrativa, che faccia proprio il portato delle scienze e agisca unitariamente sulla multidimensionalità di ciascun educando. Si trattano, per esempio, i rapporti complessi tra emozioni e apprendimento, tra benessere integrale della persona, educazione alla corporeità, al respiro e al movimento consapevole. Si argomenta inoltre che – per un futuro più equo e pacifico – l’essere umano occidentale dovrebbe essere educato a riequilibrare il pensiero logico-razionale, potenziando ambiti che le neuroscienze hanno attribuito all’emisfero cerebrale destro.
2 Tra interconnessioni e interdipendenze
Idee e concetti proto-olistici, presenti sin dall’antichità, sono entrati nel dibattito scientifico nella seconda metà dell’Ottocento. Negli ultimi anni del XIX secolo il filosofo francese Henri-Louis Bergson (1896/1982, 1969/2012) iniziò a offrire contributi importanti per il superamento di tradizionali dualismi della cultura occidentale, come interno/esterno, materia-natura/spirito, anima/corpo, percezione/coscienza, intelletto/intuizione. Di fronte a trame e relazioni complesse, fu Jan Christiaan Smuts, filosofo di scienza e politico di origine olandese, a coniare il termine holism nel 1926. In greco antico il lemma holos significa “tutto, intero, indiviso”; l’olismo autentico considera la realtà nelle sue molteplici dimensioni interrelate, senza separare processi di natura fisica, chimica, biologica, psicologica, mentale, sociale, culturale, ambientale, ecc. Il principio che il tutto supera la somma delle parti ha ispirato forme di olismo in ambiti filosofici eterogenei: epistemologico (es. Duhem-Quine), delle credenze e dell’interpretazione (es. Davidson), semantico (es. Wittgenstein), concettuale (es. Sellars), della mente (es. Descombes), dell’esperienza (es. Romano) (Romano, 2014, p. 256). D’altro canto, l’epistemologia della complessità – attraverso l’idea che l’ordine, il disordine e l’organizzazione debbano essere pensati insieme – ha inteso eludere ogni riduzionismo e superare l’olismo stesso (Morin, 2015a). Il senso di coltivare una “costante relazione tra la visione unitaria e quella molteplice nasce dall’esigenza di non perdere il molteplice nel concetto di unità” (Mancini, 2017, p. 182).
Se si vogliono adottare un pensiero complesso e uno sguardo globale – per quanto concesso a un soggetto umano – occorre abbandonare ogni forma di attaccamento alla linearità ed esercitarsi a scorgere le tracce di una causalità circolare, di un “anello autogeneratore e ricorsivo” (Morin, 2014/2015b, p. 75). Già Bergson (1904/1990) aveva evidenziato che il rapporto tra fatti psicologici e stati cerebrali è complesso e non biunivoco: sussiste tra anima, o coscienza, e corpo un legame caratterizzato da una certa solidarietà non facilmente esplorabile, data l’eccedenza dello spirito e della mente rispetto all’attività cerebrale (Bergson, 1912/1991). Sebbene nell’essere umano la dimensione emotiva e quella fisiologica siano collegate, gli effetti fisici di un disagio emozionale possono comparire dopo diverso tempo. A volte sembra non esserci correlazione, ma la circolarità produce sempre reciproche influenze – sia tra le parti di un sistema sia tra la singola parte e il tutto – fino al sorgere di un nuovo temporaneo equilibrio: i sistemi sono dotati di processi omeostatici (dal greco òmoios, “stesso, identico, comune, uguale di forze”, e stásis, “stato, condizione, stabilità”).
Di fronte alle irriducibili differenze e agli inevitabili conflitti da gestire, chi educa non può ignorare che
ormai, a costituire il problema da affrontare non sono solo gli errori di fatto (d’ignoranza), di pensiero (dogmatismo), ma l’errore di un pensiero parziale, l’errore del pensiero binario che vede solo o/o, incapace di combinare e/e, nonché più profondamente, l’errore del pensiero riduttore e del pensiero disgiuntivo ciechi a ogni complessità (Morin, 2014/2015b, p. 16).
La processualità che caratterizza il pensiero umano e la conoscenza della conoscenza fa sì che teorie differenti possano validamente riguardare livelli diversi o fasi dello stesso fenomeno; una postura olistica consente inoltre di integrare molteplici punti di vista (Cheli, 2009, 2010).
La formazione dell’identità personale è comunemente ricondotta a una stratificazione di esperienze vissute nello scorrere del tempo, atte a far maturare il senso di sé e dell’alterità. Si impara a essere chi si è attraverso un flusso eterogeneo che include processi psicologici, relazionali, linguistici, culturali, sociali, ecc. e ovviamente educativi. In modo analogo a tutti gli organismi viventi in natura, l’essere umano è un sistema di sistemi,1 a sua volta inserito in ulteriori sistemi secondo una logica di embedding: esiste come unitotalità in cui tutte le componenti, i livelli, le dimensioni e i sotto-sistemi derivano da scelte di chi lo osserva e lo considera soggetto (o a volte ancora oggetto) di studio. Adottare uno sguardo eco-socio-psico-somatico consente pertanto di guardare il corpo-persona non soltanto come un sistema in sé, ma anche come parte di “sistemi-ambiente – socio-culturali, ecologici e cosmici – con i quali sussiste una relazione di reciproca influenza” (Cheli & Antoniazzi, 2020, p. 170).
Il paradigma scientifico olistico sistemico è un modello di relazione e di informazione che considera
l’essere umano come un sistema globale, le cui diverse dimensioni – corporea, energetica, emozionale, mentale, coscienziale, spirituale – non sono tra loro separate e indipendenti […] ma anzi strettamente interconnesse e finalizzate a scopi comuni: la sopravvivenza, la riproduzione, il benessere e la realizzazione dell’individuo. Analogamente, ogni dimensione è costituita di parti che sono strettamente interconnesse e cooperative (Cheli & Antoniazzi, 2020, p. 17).
Una visione incentrata sull’unità mente-corpo-energia rappresenta un punto d’incontro tra modelli occidentali e orientali; l’olismo è affine a una concezione di salutogenesi in quanto processo multidimensionale inclusivo di ogni aspetto fisico, psichico, affettivo, relazionale, sociale e spirituale della persona (Benetton, 2012). Deprivazioni o disfunzioni in una qualsiasi dimensione possono indurre squilibri in ogni altra. Per esempio, un malfunzionamento psichico-cognitivo può ripercuotersi sul corpo (psico-somatica) e, viceversa, un errato funzionamento corporeo può causare o concausare malattie della mente (somato-psichica). La dimensione spirituale è condizionata dalla funzionalità corporea e l’educazione alla corporeità coinvolge e forma la totalità dell’individuo (Benetton, 2012). Una famiglia o un ambiente sociale disfunzionali impattano sulla dimensione psichica e cognitiva del soggetto (socio-psico-somatica), mentre la patologia del singolo individuo minaccia la funzionalità del contesto relazionale (somato-psico-sociale). Forme di in- e dis-abilitazione, malattie mentali e fisiche possono derivare da inquinamento o mancati equilibri nelle dimensioni ambientale, educativa, politica e culturale (Bertolini, 1988; Bauman, 2012; Finetti, 2024). D’altro canto, tratti diffusi come scarsa consapevolezza di sé, egoismo, avidità, indifferenza, remissività, gregarismo, corruttibilità, sociopatia, ecc. concorrono a favorire derive sociali, culturali e/o ambientali nell’ecosistema di riferimento (Cheli & Antoniazzi, 2020). Il bene-essere di ciascuno e simultaneamente della collettività necessita di armonia tra ecologia dell’ambiente ed ecologia umana (Malavasi, 2008).
In Occidente si è perlopiù aderito a un paradigma scientifico di matrice predominantemente materialistica e meccanicistica, con una tendenza alla settorializzazione e alla frammentazione. L’epoca attuale è pervasa da un senso di alienazione che induce l’individuo umano a percepirsi separato (dagli altri, dalla natura, persino da se stesso); ciò genera gravi disagi psichici, esistenziali, relazionali, spirituali, ecc., a prescindere dalla fascia socio-economica di appartenenza. Abbracciare l’approccio eco-sistemico infonde però fiducia nelle capacità autodifensive, autoriparative e trasformative che ogni sistema ha per mantenersi in vita e in salute, nonché per evolvere (Cheli, 2009, 2010). Di fronte alle povertà educative correlate all’odierna cultura occidentale, è provvidenziale una visione unificata e unificante come quella offerta da una prospettiva autenticamente olistica, in grado di accogliere le “virtù della specializzazione” mantenendo vigile “l’occhio extradisciplinare” e di promuovere “sconfinamenti e migrazioni interdisciplinari” (Morin, 1999/2000, pp. 112-114): consente di co-costruire un futuro vivibile, valorizzando la radice sanscrita del lemma pace (paç-, “legare, unire, saldare”).2 Educare in senso olistico significa infatti favorire una modalità di pensiero, meditazione e riflessione che mette “in evidenza i punti d’incontro rispetto alle differenze, per trovare quel filo rosso che unisce complessità e diversità” (Mancini, 2017, p. 182).
3 Dal proto-olismo alla SPNEI: educazione e benessere integrale
Nell’essere umano la struttura biologica e la dimensione del pensiero sono collegate; l’individuo è attraversato da un flusso informazionale in rapporto con memorie filogenetiche (che derivano dall’appartenenza al genere umano) e personali (originate nell’ambiente di crescita). L’esperienza costruisce memorie dichiarative o esplicite (che vedono coinvolti processi coscienziali) e procedurali o implicite (utilizzate per azioni e automatismi in cui la coscienza non è partecipe).3 Solo dagli anni ’70 del Novecento tali interconnessioni hanno destato l’interesse della comunità scientifica ed è emerso l’approccio sistemico nelle scienze della salute. Si sono profilati, ad esempio, campi di ricerca come la psico-neuro-immunologia (PNI) e la psico-neuro-endocrino-immunologia (PNEI), un ampliamento della PNI basato sugli studi del neurofarmacologo francese Henry Laborit, della biologa, neuroscienziata e farmacologa statunitense Candace Beepe Pert (1997) e del marito Michael Ruff.
L’olismo della visione sistemica è rimasto […] ai confini delle scienze empiriche ufficiali poiché esse non comprendevano il modo in cui le parti sono collegate e integrate all’interno di un sistema unico, ma la situazione è notevolmente migliorata negli ultimi decenni del XX secolo (Laszlo, 2010, p. 2).
Nel 2020 il sociologo e psicoterapeuta Enrico Cheli e la psicologa esperta di psicosomatica e salute integrata Cristina Antoniazzi hanno proposto l’ambito di ricerca SPNEI, socio-psico-neuro-endocrino-immunologia, che include la dimensione sociale nel modello di Pert; le emozioni riguardano infatti prevalentemente eventi di natura relazionale esterni al soggetto. Molecole di emozioni si trovano in tutto il corpo e formano un sistema di comunicazione globale tra i (sotto)sistemi dell’organismo umano (Pert, 1997). Una rete intercellulare trasmette informazioni che possono entrare nel sistema di sistemi a qualsiasi livello. I sintomi della malattia sono situati nel corpo e contemporaneamente nella mente (in modo conscio o inconscio).
La mente non è il prodotto di nessun organo, nemmeno del cervello. La consapevolezza è una proprietà dell’intero organismo; e nella rete psicosomatica vediamo la mente conscia e inconscia pervadere ogni aspetto del corpo fisico […]: il corpo è la mente inconscia (Pert & Marriott, 2006/2014, p. 47).
La conoscenza e la consapevolezza di sé a cui il soggetto può accedere sono rese possibili dall’interazione tra “intelligenza corporea, intelligenza emotiva, discernimento e sensibilità relazionale” (Casadei, 2021, p. 91). Nella prospettiva SPNEI, una deprivazione educativa può ripercuotersi su qualsiasi dimensione dell’essere umano, influenzando la vita del singolo, i sistemi di cui è parte e la loro evoluzione: fattori psichici, processi neurologici, secrezioni ormonali, sistema immunitario, dinamiche socio-comunicativo-relazionali ed educative sono interdipendenti. Le neuroscienze affettive e sociali mostrano che le emozioni positive contribuiscono alla produzione di ormoni e neuropeptidi favorevoli alla buona salute (es. serotonina, dopamina, endorfine, ecc.), mentre paura, tristezza e rabbia ne attivano altri che, in elevato dosaggio, risultano dannosi per il corpo (es. adrenalina, noradrenalina, cortisolo, ecc.). Gioia, serenità, speranza e ottimismo alimentano – e ripristinano dopo eventi stressanti – il buon funzionamento dei sistemi omeostatici e di autoguarigione. I soggetti resilienti superano difficoltà e accadimenti negativi più velocemente rispetto alla norma proprio perché riescono a provare emozioni positive in condizioni avverse (Tugade & Fredrickson, 2004). L’educazione affettivo-emotiva è dunque imprescindibile, anche perché solo una buona capacità di autoregolazione emozionale favorisce l’apprendimento, la tutela della salute fisica e relazioni costruttive (Lucangeli, 2019; Lucangeli & Vicari, 2019). Un protratto stato di allarme mette a rischio il corpo-persona, disattivandone temporaneamente le funzioni immunitarie e impiegando le energie disponibili per reagire a minacce percepite. Fortunatamente i processi disfunzionali sono almeno in parte risanabili. Seppur con risultati differenti in base all’età, l’interdipendenza dinamica non viene meno.
In discipline orientali antiche proto-olistiche, come l’agopuntura e la medicina tradizionale cinese, le emozioni e l’alimentazione erano (e sono) ritenute fattori in grado di stimolare la salute attraverso principi omeostatici, difensivi e autoriparativi di sistema (Cheli & Antoniazzi, 2020). Rinunciare all’educazione emotiva e alimentare danneggia il singolo e i sistemi di cui è parte, con evidenze a livello sociale, sanitario ed economico. I processi cognitivi ed emozionali sono oggetto di studio rispettivamente dalla fine degli anni ’50 e dagli anni ’90 del Novecento, ma alcune dimensioni – come coscienza e spirito – sono ancora poco indagate: se ne occupano filoni di nicchia della psicologia e della psicoterapia che faticano a ottenere riconoscimento accademico-scientifico (es. psicologia transpersonale, logoterapia). A volte si tende a trascurare il fatto che la corporeità sia veicolo e tramite educativo per tutte le dimensioni dell’essere (compresa quella spirituale) e le declinazioni dell’umano intelligěre. Esplorando però tradizioni religiose e di culto anche a noi vicine, si scopre che
l’attenzione alle posizioni del corpo ed alle tecniche di respiro sono sempre state presenti nell’insegnamento di alcune forme di preghiera, ivi compreso il cristianesimo con la preghiera esicastica ed altre forme di meditazione e preghiera profonda che fanno dell’attenzione al corpo e degli esercizi corporei un aspetto importante del loro insegnamento spirituale (Naccari, 2015, p. 107).
Se l’educazione dei minori esclude anche solo questo livello esistenziale – quindi non offre strumenti per affrontare la ricerca di senso – conseguenze non trascurabili potranno minacciare il benessere e la progettualità degli adulti che diventeranno (Frankl, 1946-1996/2005). La pedagogia è pertanto chiamata a valorizzare l’educazione integrale dell’essere umano.
4 Corpi vissuti e salute globale
Il corpo-persona congiunge la vita visibile esteriormente con quella interiore ed è il principale “mediatore tra l’io e il mondo” (Bruzzone, Triani, Dallari, Bottero, Farné, & Tarozzi, 2021, p. IV). L’epoca attuale è caratterizzata dal culto dell’immagine, della magrezza e di una permanente giovinezza. Sono disponibili quasi ovunque centri sportivi e fitness, palestre, spa, istituti di bellezza e centri estetici, ma spesso il corpo di chi frequenta questi luoghi apparentemente votati alla salute respira poco e male, è rigido, frammentato, sconnesso; in altri termini, è connotato da una separatezza che riduce la sensibilità e non consente quell’autentico ben-essere che può derivare solo dalla percezione di unità/unione. “I corpi che appaiono sempre più perfetti, con gli attuali canoni della bellezza, diversissimi da quelli di pochi anni fa, nascondono una continua insoddisfazione e perenne ricerca di bellezza ulteriore” (Naccari, 2003, p. 261).
Educare alla corporeità implica prendersi cura almeno del respiro (senza ignorare la radice etimologica comune con spirito), del risveglio muscolare e del movimento che il soggetto compie in quanto spazio nello spazio. Da millenni diverse discipline, perlopiù di matrice orientale, promuovono l’educazione alla consapevolezza corporea, alla respirazione completa e al movimento cosciente, favorendo l’integrità personale e l’armonia nelle relazioni. Il respiro modula il linguaggio e i sentimenti, mettendo in comunicazione strutture neurali e aree di autoregolazione emozionale (MacLarnon & Hewitt, 2004; Arch & Craske, 2006). Ogni tensione corporea o emotiva altera la respirazione, mentre quest’ultima retroagisce su emozioni, attenzione, postura, muscolatura, energia vitale e sessualità (Montecucco, 2005). In Occidente tali interdipendenze sono oggetto di studio almeno da quando lo psichiatra e psicoanalista austriaco Wilhelm Reich (1933/1949) intuì la relazione tra il sentire, la sfera emotiva e le tensioni muscolari. L’analisi bioenergetica – psicoterapia a mediazione corporea proposta dall’allievo di Reich Alexander Lowen (1958, 1985) – ha approfondito il legame tra blocchi corporei/muscolari, flusso dell’energia vitale ed espressione della personalità. Aria – denominata anche Prana (India), Rlung (Tibet), Qi (Cina), Aiki (Giappone), Pneuma (Antica Grecia) – è intesa nella medicina antica come vitalità in collegamento con la mente/psiche umana: la respirazione è l’unica funzione essenziale per vivere che si può realizzare in modo sia involontario/automatico sia cosciente. Prolungando i tempi di inspirazione-espirazione e potenziando la ventilazione polmonare si migliora l’ossigenazione e si agisce contemporaneamente sulle dimensioni fisica, mentale, psichica e spirituale; diventa persino possibile entrare in stati di coscienza espansa (es. beatitudine, armonia profonda) che donano benessere e possono innescare processi di guarigione psico-fisica. Una respirazione consapevole – intenzionale e direzionata – conduce energia e informazioni biochimiche in particolari aree del corpo, ne acuisce la sensibilità, scioglie tensioni muscolari e viscerali, permette di gestire situazioni di stress, di controllare l’ansia e la paura, nonché di mantenere la mente lucida e focalizzata. A tutte le età si può imparare a condurre una respirazione profonda e fluida, in grado di offrire nutrimento a livello energetico e spirituale (Montecucco, 2005; Nhat Hanh, 2011).
Il corpo è luogo dell’esistere stesso della persona, a partire dal quale siamo consapevoli di noi stessi, del mondo e degli altri, è la realtà nella/con la quale percepiamo, sentiamo, pensiamo ed entriamo in relazione. La corporeità è la persona stessa […]. Allora è proprio attraverso la dimensione corporea che è possibile raggiungere ogni realtà dell’essere umano, ogni dimensione della persona. Il movimento è, quindi, una grande e poliedrica possibilità educativa, se opportunamente pensato e realizzato (Naccari, 2003, p. 2).
Muovendosi e respirando insieme, i membri di un gruppo fanno anche esperienza della dimensione intersoggettiva. Chi si sente parte di una comunità è chiamato a regolare il comportamento nel rispetto degli spazi e dei ritmi propri e altrui, esercitandosi nel coordinamento e nella collaborazione. Un approccio educativo attento alla corporeità e al movimento consapevole porta quindi benefici anche sui piani emotivo e sociale.
La cultura occidentale ha dato forma a corpi rigidi, a volte molto presenti limitatamente al dolore, al sovrappeso o a un’immagine artefatta, ma più spesso in un certo senso assenti, poiché fattori mentali ed emotivi concorrono a indurirli e renderli meno sensibili/ricettivi. Talvolta corpi sofferenti manifestano povertà educative e drammatizzano richieste di aiuto inespresse verbalmente. Suggeriscono tuttora spunti interessanti gli studi pionieristici di Reich (1933/1949) sulla corazza caratteriale, che si forma durante la prima infanzia per proteggere dal dolore e può bloccare il flusso dell’energia vitale. Poiché psiche, soma ed energia sono strettamente interdipendenti, lo scudo fisico o mentale che il soggetto si costruisce per l’autodifesa – anche a causa di povertà pedagogiche degli adulti significativi – interferisce con la salute e il ben-vivere. Ne consegue che interventi a livello somatico abbiano effetti retroattivi sui sistemi energetico, emozionale e mentale (Montecucco, 2005): sciogliere tensioni fisiche, ad esempio, contribuisce al rilascio dei traumi e/o dei blocchi emozionali correlati. Parallelamente, se si vuole un corpo sano e flessibile, occorre esprimere adeguatamente le emozioni e mantenere fluida la vita emotiva.
Esplorare la percezione della propria corporeità significa, in primo luogo, riconoscersi fisicamente: cosa ci sostiene, ci fa muovere, agire, vivere. Imparare a trovare radicamento ed estensione, imparare a respirare, liberare il ritmo da tensioni e resistenze sono i passi necessari per prendere posizione nell'esistenza e poter dire “Io sono qui, presente!” (Casadei, 2021, p. 94, auth. trans.).
5 Valori per il contrasto di povertà educative culturali
La società occidentale ha coltivato menti abituate (ma anche contemporaneamente limitate) ai canoni di un pensiero logico-razionale, tendenzialmente quantificatore, disgiuntivo, dicotomico e incline alla monodisciplinarità. Per molto tempo in Occidente è stato attribuito valore quasi assoluto alla forma di conoscenza intellettuale-dichiarativa e quasi nessuno a quella corporeo-procedurale; si è così giunti a compromettere la possibilità stessa di pervenire a una modalità integrata, più profonda e completa (Casadei, 2021, p. 92). Inoltre, la tendenza a privilegiare la dimensione intellettuale “comporta il rischio di contribuire a una conoscenza nozionistica e frammentata, piuttosto che promuovere un sapere interiorizzato, sensibile, creativo e trasformativo” (Casadei, 2021, p. 95, auth. trans.). Ciò rende ardua la comprensione di concetti che, nell’antichità e in contesti differenti, sono stati e sono tuttora di facile accoglienza: sistema, causalità circolare, ricorsività, interdipendenza, principio ologrammatico, frattalità, embedding, dialogica,4 relianza fra conoscenze e culture di matrice eterogenea, transdisciplinarità, ecc.
Se non si adotta uno sguardo ampio, che permette di includere e conciliare, quanto contrasta con i criteri di riferimento appresi sembra frutto di disordine. Nell’educazione occidentale si trascurano spesso ambiti che le neuroscienze hanno attribuito all’emisfero cerebrale destro: “capacità intuitive, analogiche, sintetiche, emozionali, globali”. Di conseguenza, è ostacolata una visione d’insieme che contempli gli scambi tra gli elementi e i sistemi in gioco e che possa pertanto favorire relazioni armoniche, equità e benessere diffuso. Soprattutto il sistema scolastico secondario occidentale è molto orientato allo sviluppo di capacità razionali, o comunque associate all’emisfero cerebrale sinistro, “quali l’analiticità, l’astrazione, la logica, il distacco emotivo” (Cheli & Antoniazzi, 2020, p. 184). I test di profitto non valutano adeguatamente capacità non cognitive vantaggiose per l’integrazione sociale e una buona qualità di vita, come perseveranza, coscienziosità, autocontrollo, fiducia, capacità di attenzione, autostima, senso di autoefficacia, resilienza, apertura all’esperienza, empatia, umiltà, attitudine alla collaborazione e a rapporti costruttivi (Kautz, Heckman, Diris, ter Weel, & Borghans, 2014; Heckman & Kautz, 2014). In Italia il modello scolastico tecnocratico ha il suo apice rappresentativo nelle prove INVALSI e nel sistema di assessment internazionale OCSE-PISA, che prevede la somministrazione di test standardizzati nelle nazioni aderenti. Questo tipo di scuola mostra diverse criticità e alimenta declinazioni della povertà educativa:
l’accentuazione pressoché esclusiva della dimensione cognitiva dell’apprendimento, a scapito di quella emozionale e sociale; l’insistenza sull’obbligo del risultato, che condiziona non soltanto la percezione degli studenti e delle loro famiglie, ma anche l’agire didattico dei docenti, svuotandolo di senso; l’inadeguatezza della valutazione sommativa standardizzata (atta semmai a monitorare il funzionamento del sistema, e non le performance dei singoli studenti) e l’esigenza di una valutazione di tipo formativo che riesca a cogliere le differenze individuali e i rispettivi percorsi di crescita (Bruzzone et al., 2021, p. II).
È apprezzabile l’impegno dell’International Association for the Evaluation of Educational Achievement (IEA) nel valutare alcune soft skill congiuntamente ad abilità cognitive (es. reasoning, valuing, enjoyment, self confidence). La scuola è educativamente povera se non ricorre a una didattica euristica e problematizzante, non insegna come farsi domande, cercare risposte e collegare le parti con il tutto, non promuove transdisciplinarità e pluralismo metodologico. Lo è altrettanto quando rinuncia alla sfida di rendere gli alunni collaboratori attivi nella creazione del sapere comune del gruppo classe e quando non accompagna il soggetto in crescita a riconoscere le proprie attitudini e incarnare il miglior se stesso nella personale vocazione: requisiti per diventare un adulto realizzato. La scuola pubblica, inoltre, non previene né contrasta adeguatamente il fenomeno delle povertà educative ogni qualvolta trascuri il fine di istituire uno spazio di cittadinanza in cui tutti trovino strumenti per apprendere ed emanciparsi. Ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana, la scuola dell’obbligo “ha l’obbligo dei mezzi e non dei risultati”: è chiamata a rendere conto dei primi e non dei secondi (Bruzzone et al., 2021, p. III).
Mutamenti etico-morali progressivi hanno impoverito il patrimonio assiologico occidentale – in particolare i valori orientati al collettivo, al servizio pubblico e al bene comune – alimentando l’attitudine alla competizione, alla discriminazione e allo scarto. Nonostante dagli anni ’70 del secolo scorso siano emerse tendenze olistiche, si ritiene che non si sia pervenuti a un olismo autentico, che potrebbe risolvere situazioni conflittuali o di impasse. La postura pedagogica auspicabile si fonda su principi come umiltà, comunione e confronto, poiché – all’interno del sistema di sistemi – una visione affidabile della realtà può sorgere solo dall’intersezione di punti di vista differenti. I riferimenti all’olismo e alla teoria della complessità stimolano inoltre l’assunzione dell’impegno personale. In quanto totalità cosciente, ciascun soggetto umano è chiamato a valutare le informazioni che arrivano dai sistemi che lo compongono e da quelli in cui è immerso, per scegliere e agire nel rispetto della libertà e della responsabilità ugualmente riconosciute a se stessi e agli altri come diritto e dovere.
Se si desidera un futuro sostenibile, occorre riequilibrare l’educazione e l’istruzione, potenziando approcci che considerino contesti, nessi e influenze tra diversi livelli, dimensioni e processi; è altresì necessario allenare l’esercizio del dubbio e la capacità di riconoscere la somiglianza con l’altro, fosse anche solo quella che giace nella comune unicità di ciascuno. Le scoperte scientifiche e il progresso sembrano scaturire più da attività immaginative, da doti sintetico-intuitive, da un pensiero laterale non focalizzato, dall’induzione e dall’analogia, che non da processi analitico-razionali, utilissimi in un secondo tempo per verificare le ipotesi e far procedere la ricerca (Cheli & Antoniazzi, 2020). Educare la dimensione cognitiva a modalità percettive per separazione-analisi e contemporaneamente per unione-sintesi (rinforzando inizialmente le carenze di quest’ultima) è vantaggioso per l’umanità e il pianeta: soltanto un’educazione integrativa può garantire un’integrazione armoniosa tra esseri pienamente umani (Finetti, 2023). Il superamento di una visione lineare della causalità permette inoltre al presente di acquisire maggiore importanza rispetto al passato, consentendo di contrastare povertà educative anche di vecchia data (Cheli & Antoniazzi, 2020).
Se non educato alla consapevolezza di sé come unitotalità interconnessa, l’essere umano può ignorare il flusso di informazioni che lo attraversa (compresi i segnali di malessere) e reiterare comportamenti nocivi per una o più delle sue dimensioni; può anche misconoscere il disagio altrui e agevolare disfunzioni collettive, per esempio attraverso politiche educative, sociali ed economiche dannose. Gli scambi informazionali sistemici sono complicati dai processi di significazione che l’individuo attiva di fronte a ciò che accade, incluse le credenze sulle possibili reazioni/risposte (Romano, 2014). Un intervento monodimensionale può non essere sufficiente per la risoluzione di un problema. Se si lasciano immutati determinati fattori, stati di povertà e di disagio tenderanno a ricrearsi, come capita quando il sollievo offerto da adeguate sedute psicoterapeutiche è sabotato da un’atmosfera disfunzionale che perdura a casa, a scuola o sul lavoro (Cheli & Antoniazzi, 2020). Sul fronte del welfare solo interventi generativi/emancipanti si sono rivelati efficaci: attivando risorse personali nei destinatari è possibile renderli a loro volta promotori di capacitazione (Fondazione “Emanuela Zancan”, 2018).
6 Conclusioni: teoria della complessità, olismo e neuroscienze per educare al bene comune
La prospettiva sistemica è supportata da evidenze neuroscientifiche: corpo, mente ed emozioni sono interdipendenti. Flessibilità, tendenza alla stabilità, capacità di auto-guarirsi, auto-riorganizzarsi ed evolvere sono spinte interne al sistema (Cheli & Antoniazzi, 2020). Le neuroscienze hanno dimostrato, ad esempio, che la composizione delle lacrime si differenzia in rapporto sia alla loro origine/funzione5 sia all’emozione che ne ha determinato il fluire e la topografia lacrimale (molecole pure) cambia al mutare dello stato d’animo (Fisher, 2017).6 Inoltre, l’individuo commosso dal sentire altrui riproduce tracce chimiche corrispondenti nelle proprie lacrime. Tali rilievi, insieme ai riscontri sull’attivazione dei neuroni specchio come prova dell’empatia (Rizzolatti & Gnoli, 2016), mostrano che il genere Homo ha sviluppato in milioni di anni una forte potenzialità di connessione, osservabile anche a livello cellulare (Lucangeli, 2021). Qualora il soggetto in crescita non venga accompagnato a valorizzare l’integrazione interna tra le dimensioni del proprio essere e l’interdipendenza tra mondo interno ed esterno, risultano disattesi i frutti di trasformazioni evolutive che hanno lasciato segni persino a livello biochimico.
Come si è anticipato in altri termini, educare per lo sviluppo del potenziale di ciascuno in ottica sistemica è una scelta che tutela l’umanità, l’ambiente e la pace: promuove infatti atteggiamenti orientati al benessere condiviso, imprescindibili per una comunità planetaria con un nuovo umanesimo (Morin & Zagrebelsky, 2012). Se non percepisce di essere in unione con gli altri e con il tutto, l’essere umano trova difficile sia cogliere il senso della propria esistenza sia riconoscere e onorare il valore dell’etica e dell’impegno. Un vuoto di significato può affliggere anche chi si consideri predeterminato in base a leggi scientifiche. Secondo lo psichiatra e neurologo viennese Viktor Emil Frankl,
l’uomo è veramente tale, ossia vive in pienezza la sua esistenza, nella misura in cui è orientato verso qualcosa o verso qualcuno che è al di là di se stesso e che rappresenta un valore, un ideale, un progetto carico di senso (Fizzotti, 2012, p. 9).
Per andare verso l’altro è necessario essere presenti a se stessi e avere a disposizione la propria unità multidimensionale da autotrascendere: corporea, energetica, emozionale, intellettuale, sociale, coscienziale e spirituale. Il continuum tra mondi, interni ed esterni, rende significativo l’umano esistere. Il significato invece sfugge se lo si cerca senza integrità interiore o in un’esteriorità sconnessa.
Il senso sorge alla confluenza di un mondo rivestito di un certo aspetto e di un “soggetto” dotato di certe attitudini, o più precisamente esso emerge dal sistema che essi formano insieme: il senso è una caratteristica relazionale di una totalità indivisibile in elementi semplici (Romano, 2014, p. 279).
La fenomenologia insegna che l’essere umano è un’unità bio-psico-socio-spirituale. Per tale ragione “l’educazione dovrebbe sempre cercare di coinvolgere simultaneamente il piano della sensibilità, dell’affettività, dell’intelletto e della volontà, utilizzando diversi linguaggi e non disgiungendo mai la testa dal cuore o lo spirito dal corpo” (Bruzzone, 2012, p. 60). L’educatore è chiamato per primo a nutrire in sé tutte queste sfere. Tra gli obiettivi educativi e di apprendimento è opportuno includere la formazione di conoscenze, abilità e “atteggiamenti plurali” che concernono emotività, socialità, motivazione e metacognizione (Consoli, 2020, p. 351). Poiché il soggetto in crescita trae giovamento dalla progressiva autoconoscenza, nella relazione educativa “si dovrebbe riflettere sui problemi e sulle difficoltà che questa pone, a cominciare dalla presenza in ognuno di una tendenza permanente all’autogiustificazione e all’automitizzazione, alla self-deception o menzogna a se stessi” (Morin, 2014/2015b, p. 84).
Solo se consapevole della complessità interna ed esterna, del proprio essere unitotalità interconnessa influente sul sistema di sistemi, l’essere umano può riconoscere l’importanza di coltivar-si e di agire con cura, responsabilità e solidarietà.
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Per approfondire la teoria dei sistemi si veda ad esempio: Bertalanffy, 1950a, 1950b, 1969.↩︎
Vd. https://www.etimo.it/?term=pace (ultima consultazione: 6 aprile 2024).↩︎
Vd. Biologydictionary.net Editors, https://biologydictionary.net/implicit-explicit-memory (ultima consultazione: 6 aprile 2024).↩︎
Come in Morin (2014/2015b), con dialogica si intende la presenza necessaria di processi e/o istanze antagoniste, tale da consentire di trascendere l’opposizione tra le parti.↩︎
Es. lacrime basali con la funzione di mantenere l’occhio in condizioni ottimali, riflesse in reazione a stimoli ambientali, psichiche/emotive in risposta a emozioni e stati d’animo.↩︎
Si veda anche il progetto di Maurice Mikkers iniziato nel 2015, https://imaginariumoftears.com/ (ultima consultazione: 6 aprile 2024).↩︎