Recentemente sono usciti tre film che, seppure molto diversi tra loro per contenuto e per stile, hanno un comune denominatore: trattano di scuola e di insegnanti: sono The Holdovers - Lezioni di vita (The Holdovers, regia di Alexader Payne, USA, 2023), La sala professori (Das Lehrerzimmer, regia di İlker Çatak, Grermania, 2023), Un mondo a parte (regia di Riccardo Milani, Italia, 2024). Il primo è ambientato in un college americano del New England nel 1970; il secondo e il terzo ai nostri giorni: quello tedesco in una moderna scuola secondaria di città, quello italiano nella piccola scuola primaria di uno sperduto paese dell’Abruzzo. Sono tutti tre film che mettono in scena situazioni e relazioni, dilemmi e drammi che sono anima e corpo della scuola, dove gli insegnanti vengono mostrati e narrati non per ciò che insegnano (se non per brevi tratti, quel tanto per dare il tono di un loro stile didattico) ma per ciò che sono. Michele e Agnese del film Un mondo a parte, Carla Novak insegnante di matematica e educazione fisica della Sala Professori e Paul Hunham professore di lettere classiche in Holdovers, sono tutte figure che vivono e soffrono di una loro condizione esistenziale di marginalità fatta di personale idealismo, di malcelata solitudine, di piccoli e grandi conflitti con l’istituzione in cui si trovano a lavorare, ma soprattutto con se stessi.
C’è da chiedersi quale ragionevole casualità abbia portato alla realizzazione pressoché contemporanea di tre film in tre Paesi diversi ambientati nella scuola. Film di successo, peraltro, considerando che quello americano e quello tedesco sono stati nelle nominations dei premi Oscar quest’anno (Holdovers ne ha vinto uno per la migliore attrice non protagonista), mentre il film italiano, uscito da due settimane mentre scriviamo, è subito campione d’incassi. È la scuola come scenario drammaturgico di un teatro “decadente” ad attirare l’attenzione, o è la figura dell’insegnante come protagonista e antieroe a piacere al pubblico? Forse entrambi. Tutto ciò che attraversa condizioni di crisi o che verosimilmente può essere rappresentato in tali condizioni è materia appetibile per il cinema da sempre. Nessuno potrebbe negare, credo, che l’identità professionale dell’insegnante, il suo ruolo, così come la scuola-istituzione, siano segnati da elementi di crisi e la stessa educazione, strutturalmente connotata dalla dimensione del conflitto e del cambiamento, è stata ed è materia avvincente per le narrazioni letterarie e cinematografiche.
Holdovers vuol dire “residui”, “avanzi”, a vivere questa condizione è il tradizionalissimo quanto scontroso prof. Unham nel film americano: gli “avanzi” sono lui e lo studente Angus, entrambi rimasti soli nella scuola durante le vacanze di Natale, il primo perché è esistenzialmente solo e asociale, il secondo perché lasciato nel college dalla madre in vacanza col suo nuovo compagno. Insieme a loro la cuoca della scuola, sola anche lei dopo aver perso il figlio in Vietnam. Eppure quelle vacanze di Natale da “holdovers” saranno l’occasione per un rapporto educativo extrascolastico, una sorta di viaggio di formazione in cui l’incontro/scontro diventerà per entrambi, maestro e allievo, momento della verità, con un atto sorprendente di responsabilità a chiudere il film.
La “tolleranza zero” che definisce il carattere e la didattica del prof. Unham è la stessa che viene ufficialmente proclamata dalla preside della scuola media dove al suo primo incarico si trova ad insegnare Carla Novack. Anche lei è diversa dai suoi colleghi, è timida e inesperta, ma non accetta il perbenismo e l’ipocrisia di una scuola dove avvengono piccoli furti e una caccia al colpevole moralistica quanto inefficace. La sua scelta di andare alla ricerca della verità per altre strade le si rivolterà addosso condannandola ad un isolamento e a una conflittualità totali, una sorta di crescendo a effetto domino che la travolgerà lasciandola completamente sola, in un finale “sospeso”.
Sono “holdovers” anche Michele e Agnese, “resti” di insegnanti attaccati a una piccola scuola primaria dove i “resti” dei bambini di un piccolo paese formano a stento una pluriclasse. Il destino della scuola è segnato: la sua chiusura per mancanza di “materia prima”. Michele fugge dalla scuola di Roma dove non sopporta la tracotanza di bambini e genitori, è uomo solo e si fa trasferire in un piccolo paese di montagna, alla ricerca di una “dimensione” più ideale che reale; Agnese è l’insegnante vicaria del preside, che lì vive e insegna, anche lei sola con un figlio e un marito a perdere. La loro missione diventa salvare la scuola perché così salveranno anche se stessi, il senso del loro essere insegnanti.
È una relazione complessa e sistemica quella che emerge nei tre film: c’è l’insegnante, ci sono gli allievi e c’è l’apparato istituzionale della scuola. Il conflitto non è più quello tradizionale di natura pedagogica fra insegnante e allievi, che pure c’è ma rimane sullo sfondo; il vero conflitto è fra l’insegnante e la scuola stessa, i suoi regolamenti, le sue burocrazie, è come se l’insegnante si sentisse “altro” rispetto alla scuola. Nei tre film l’azione didattica, quella che l’insegnante è chiamato a svolgere, il suo normale “mansionario” potremmo dire, quasi non compare. È come se egli venisse chiamato ad occuparsi d’altro, scoprendo che nella scuola c’è qualcos’altro di importante che vale la pena incontrare e scoprire.
Gert J.J. Biesta nel suo libro Riscoprire l’insegnamento (2022) mette in evidenza come il senso di questa professione oggi e per il prossimo futuro non stia tanto nel dispensare contenuti e saperi, la cui reperibilità peraltro è sempre più diffusa e alla portata, ma nella sua funzione educativa. Si tratta di “liberare l’insegnamento dall’apprendimento” scrive Biesta. “L’educatore deve dare forma all’esperienza della resistenza, in modo tale che si configuri una possibilità reale di vivere il mondo nella sua alterità e integrità”“; e ancora,”il lavoro dell’educatore consiste ne ‘mettere in scena’ l’esperienza della resistenza, in modo tale da renderla importante, significativa e positiva”. L’insegnante deve quindi perdere potere per guadagnare autorevolezza.
Nei tre film di cui abbiamo parlato ci troviamo di fronte ad insegnanti il cui “potere”, dato dal ruolo che l’istituzione affida loro e che da loro si aspetta, si sgretola, non regge, in altre parole: non fanno gli insegnanti. Essi mettono in atto, ognuno a modo loro seguendo le trame dei film, forme di resistenza il cui esito non è vincere o perdere, ma dimostrare a se stessi e alla scuola che un’altra strada è possibile. Il prof. Unham e la prof. Novack, Agnese e Michele sono insegnanti umanamente fragili che entrano negli eventi a cui non sono preparati con ingenua caparbietà. Consapevoli della “povertà” del loro mestiere, non hanno niente da perdere, per questo hanno molto da insegnare.