1 Introduzione
Se si intende l’educazione come quel processo relazionale che promuove in colui che apprende il desiderio di aver cura di sé (Mortari, 2013), diventa prioritario portare al centro dell’attenzione pedagogica e delle politiche educative il paradigma della cura poco o scarsamente concettualizzato (Boddy, Cameron & Moss, 2006) per comprendere come le scuole, ed in particolare i servizi prescolari, possano diventare luoghi di espressione concreta della cura (Noddings, 1984; Noddings, 1992).
In coerenza con il fenomeno indagato (la cura) e con il contesto naturale entro cui l’indagine si realizza (la scuola dell’infanzia), la ricerca qualitativa in oggetto si colloca nella cornice del paradigma ecologico (Bateson, 1984; Mortari, 2007) e all’interno della naturalistic inquiry (Erlandoson, Harris, Skipper & Allen, 1993; Lyncoln & Guba, 1985).
La filosofia di ricerca è ad orientamento fenomenologico (Husserl, 2002): l’attenzione è posta ai vissuti e alle attribuzioni di significato dei soggetti coinvolti nel percorso di indagine (Mortari, 2007).
Lo studio intende contribuire alla definizione di un curricolo educativo orientato ai paradigmi della cura attraverso un approccio partecipativo, a partire dalla domanda generativa “In che cosa consiste una scuola della cura?”
Il presente articolo restituisce gli aspetti ritenuti più rilevanti di quattordici studi selezionati attraverso il processo della scoping review1 (Arksey & O’Malley, 2005) che, a partire da una domanda di revisione ampia “Cos’è la cura?”, ha collocato l’interrogativo in un ambito di ricerca definito (Levac, Colquhoun, & O’Biren, 2010), ovvero quello della scuola dell’infanzia. Gli studi sono stati selezionati a partire dal 2014, anno di pubblicazione, da parte della Commissione Europea, del documento Proposal for Key principles of a Quality framework for Early Childhood Education and Care (2014). Gli elementi emersi hanno orientato le prime direzioni assunte nella fase empirica della ricerca che hanno consentito, in un secondo tempo, di generare un dialogo fertile tra i saperi accademici e quelli dei pratici.
2 Un’esplorazione delle ricerche empiriche negli studi internazionali nel contesto dell’Early Childhood Education and Care (ECEC)
Nel tentativo di raccogliere le traiettorie di senso più significative e utili alla comprensione del fenomeno oggetto di studio, segue una rielaborazione dei contenuti delle ricerche analizzate organizzata in modo da far emergere i nuclei tematici più rilevanti. Essi riguardano: a) la cura come dimensione ontologica dell’essere umano; b) possibili interpretazioni del concetto di cura; c) il rapporto tra cura e educazione nel contesto ECEC; d) la dimensione della cura in relazione alla professionalità di chi opera nei contesti prescolari; e) il linguaggio della cura nei documenti sulle politiche educative e nei curricula; f) la cura come concetto relazionale nel dialogo tra insegnanti e bambini e tra pari; g) la cura come educazione alle virtù; h) la relazione tra cura e politica; i) la cura in una visione post umana; l) verso una riconcettualizzazione dell’idea di cura.
2.1 La cura come dimensione ontologica dell’essere umano
La cura è una pratica che avviene nella relazione con sé stessi e nel rapporto con l’altro, promuovendo il soddisfacimento di bisogni e creando condizioni di benessere (Engster, 2005; Gilligan, 1982; Mayeroff, 1990; Mortari & Ubbiali 2017; Noddings, 2013) ed ha un nucleo etico che è costituito dai modi di essere con gli altri (Mortari & Ubbiali, 2017). Per questi ultimi autori le radici teoriche della cura si rifanno a Platone (2000) e, più recentemente, si riallacciano all’elaborazione filosofica di Heidegger (1976) sull’inevitabilità della cura nell’esperienza umana, al pensiero di Lévinas (1997) che parla della necessità di prendersi cura della vita e alla stessa filosofia della cura elaborata da Mortari (2015) nella quale la vulnerabilità e fragilità sono riconosciute come condizioni ontologiche dell’essere umano, un essere umano che fonda la sua essenza, come afferma Arendt (1958), su una matrice di natura relazionale.
Per Noddings la cura è un processo relazionale che considera la prospettiva di colui o colei che riceve cura (Noddings, 1984; Noddings, 2013). La cura educativa, nello specifico, si caratterizza per avere una natura asimmetrica e pertanto occorre essere consapevoli che essa può facilmente veicolare forme di potere (Held, 2006). Tronto descrive il processo della cura in quattro fasi: discernere un bisogno, accettare la responsabilità, la pratica di dare cura, la cura-ricezione (Tronto, 2013). Un’etica della cura (Barnes, 2012; Goldstein, 1998; Noddings, 1984) che si identifica attraverso una natura dinamica, contestuale, complessa e sfumata (Engster & Hamington, 2015).
2.2 Possibili interpretazioni del concetto di cura
La cura è un processo olistico e multiforme caratterizzato da vicinanza, intimità, senso di fiducia e compassione (Lipponnen, 2017), una cura pertanto intesa, richiamando il pensiero di Merleau-Ponty (1964) come cura relazionale incarnata (Cekaite & Bergnehr, 2018). Il comportamento tattile diventa infatti espressione incarnata del valore dell’intimità caratteristico della cura relazionale. L’educazione disincarnata pare essere una caratterizza che permea i servizi prescolari focalizzati sui programmi di istruzione e su un approccio formale orientato dall’adulto e dal curriculum, mentre i modi di agire all’interno di servizi prescolari che pongono al centro la cura sono caratterizzati da un approccio più informale e ludico (Van Laere & Vandenbroeck, 2016).
La cura può assumere forme diverse: cura emotiva (intesa come riconoscimento), cura educativa, cura disciplinare e cura democratica. I valori della cura sono espressi sia da comportamenti non verbali, quali la gestualità e la mimica, che attraverso aspetti comunicativi para-verbali, quali il tono della voce e il ritmo dell’eloquio (Hansen et al., 2020).
All’interno del processo educativo è possibile cogliere una relazione tra la complessità della proposta educativa e la dimensione della cura etica: proposte troppo semplici e banali, un limitato livello di partecipazione dei bambini, la povertà dei contesti predisposti non consentono il manifestarsi di processi più complessi di cura etica (Langford & Richardson, 2020).
In relazione ai lavori condotti da Pikler, l’idea di cura fa riferimento al valore che le routine di base (igiene e alimentazione) rivestono per lo sviluppo dei processi di apprendimento (Bussey & Hill, 2017), intendendo pertanto la cura come una “sorta di curriculum”. In linea con altri studi che interpretano la cura come una pratica che non ha unicamente a che fare con il soddisfacimento dei bisogni di base, ma con lo sviluppo delle potenzialità connesse alla capacità di scegliere il proprio progetto di vita (Sen, 1992), si può affermare che i bambini costruiscano esperienze di cura per ridurre il disagio o il dolore degli altri, sostenere le relazioni, promuovere emozioni positive, migliorare abitudini sane e sicure e garantire la longevità e la sostenibilità delle risorse condivise. La cura è dunque interpretata come un costrutto multiforme, caratterizzato dalla presenza dei seguenti fattori: connessione, attenzione, reattività, competenza e sensibilità (McCormick, 2018). La cura è connessa alla complessità della relazione educativa (Moss, 2017).
La cura è riconosciuta come una pratica riflessiva, essenziale per contrastare le diffuse focalizzazioni sul bambino individuale e le sue competenze (Hellman, 2016).
2.3 Il rapporto tra cura e educazione nel contesto ECEC
La cura è una dimensione essenziale della vita umana (Heidegger, 1976), e in particolare nel tempo dell’infanzia, ma le politiche educative internazionali in ECEC, soprattutto ove domina una cultura neoliberista, pongono poca attenzione a tale paradigma che risulta essere poco concettualizzato (Hellman, 2016). La cura è relegata in una posizione di subalternità (Sims, 2014; Taggart, 2011) o interpretata unicamente come prerequisito all’istruzione e all’apprendimento (Langford et al., 2017). In molti altri Paesi, e in particolar modo, in quelli di lingua anglofona, prevale infatti in età prescolare una cultura della performance, si impiegano test di valutazione dei livelli di apprendimento dei bambini (Vandenbroeck, 2017 cit. in Rousea & Hadley, 2018) con una peculiare attenzione rivolta all’acquisizione di abilità e competenze in ambito matematico e linguistico (Löfdahl & Folke-Fichtelius, 2015). In tali realtà più forte è la marginalizzazione della cura nelle politiche educative (Langford & Richardson, 2020).
Ciò contrasta con altre prospettive che invece identificano nella cura il modo di essere e di agire nei contesti educativi volti alla prima infanzia, in una sostanziale convergenza tra cura e educazione (Moss, 2014; Broström, 2006). Per Moss, ad esempio, i due termini, considerati nel contesto ECEC, sono sinonimi e agiscono in un quadro coerente, globale e unitario in virtù della specificità del bambino da 0 a 6 anni (Moss, 2014). In altri contesti, la cura assume maggior rilievo e le dimensioni di cura e istruzione o cura e apprendimento risultano essere maggiormente interconnesse, anche se sovente istruzione e apprendimento includono la cura (Bussey & Hill, 2017). Questo si evince anche dall’utilizzo di alcune definizioni quali Educare (Rentzou, 2019), pedagogia del nutrimento (Nolan, 2020), pedagogia della cura (Rockel, 2009), cura educativa riflessiva (Hellman, 2016).
Lo scollamento descritto è visibile a livello istituzionale, amministrativo e pedagogico (Van Laere et al., 2012), dimensione quest’ultima nella quale tale dicotomia è errata in quanto non corrisponde alla necessità di operare per uno sviluppo globale dell’infanzia e nel rispetto dei diritti dei bambini. La scarsa visibilità della cura e talora la sua intellettualizzazione (Löfgren, 2016; Rentzou, 2019) contribuiscono a determinare una scarsa attenzione pedagogica al bambino del presente, nonostante il ruolo fondamentale della cura in educazione sia sottolineato in altri studi (Dahlberg, Moss & Pence, 2003; Goldstein, 1998) e confermato da ricerche neurobiologiche (Sims, 2014).
2.4 La dimensione della cura in relazione alla professionalità di chi opera nei contesti prescolari
In Grecia, la ricerca di Rentzou (2019) ha indagato come i professionisti ECEC concettualizzino l’educazione e la cura nel contesto greco e quali siano le ricadute per la loro identità professionale. L’analisi dei dati, pur nella consapevolezza da parte della ricercatrice stessa della limitatezza di un approccio esclusivamente di tipo quantitativo, sottolinea alcuni elementi utili alla discussione in corso tra i quali l’idea che ciò che afferisce alla cura non venga considerato dagli insegnanti come tratto che qualifica la loro identità professionale (ad esempio, la cura dei bisogni fisici o emotivi dei bambini non è ritenuta parte dei propri compiti). L’articolo di Rentzou risulta particolarmente interessante in quanto evidenzia come, nonostante i ricercatori europei abbiano già da tempo posto in attenzione ai tavoli politici la necessità di superare la dicotomia tra cura e istruzione, l’enfasi sulla scolarizzazione in ECEC permanga, come pure l’idea che l’educazione abbia a che fare con processi di insegnamento/apprendimento che escludono la cura o la collocano comunque in una posizione di inferiorità (Peeters, Sharmahd & Budginaitė, 2016).
Uno studio svedese (Löfdahl & Folke-Fichtelius, 2015) indaga la cura in relazione alle pratiche di documentazione promosse nei servizi prescolari, ovvero cerca di comprendere in che modo i professionisti parlano di cura nel lavoro di documentazione. Le autrici ricordano come oggi in Svezia, come in molti altri Paesi di lingua anglofona, prevalga in età prescolare una cultura della performance, si impieghino test di valutazione dei livelli di apprendimento dei bambini, con una peculiare focalizzazione sull’acquisizione di abilità e competenze in ambito matematico e linguistico. A partire dal 1970, nel contesto svedese si fa riferimento nell’Early Childhood Education (ECE) al termine Educare (Broström, 2006), concetto che unisce insieme la parola cura e la parola istruzione. All’interno di questo panorama, il termine cura risulta essere molto spesso subalterno rispetto a concetti quali istruzione e apprendimento.
Gli esiti della ricerca condotta da Löfdahl e Folke-Fichtelius mostrano come la cura sia importante, ma difficilmente oggetto di documentazione: i dati rilevano, infatti, che oggetto dei processi di documentazione sono gli apprendimenti e lo sviluppo della conoscenza, mentre la cura non rappresenta un aspetto di qualità da rendere visibile. Nelle documentazioni raramente le narrazioni di cura diventano oggetto di tale azione o, quando esse sono presenti, la cura è vista in relazione a narrazioni focalizzate sull’apprendimento. Documentare la cura non viene dunque considerato come un tratto professionalizzante, a differenza del più performante lavoro di documentazione degli apprendimenti: per i docenti orientarsi verso le dimensioni dell’insegnamento, piuttosto che dare valore alle dimensioni di cura, costituisce un fattore di crescita e sviluppo della propria professione.
Un secondo studio svedese (Löfgren, 2016) affronta il medesimo tema cercando di indagare i modi in cui “a noisy silence about care” prende forma nelle narrazioni di insegnanti di servizi educativi prescolari mentre parlano del loro lavoro attraverso la documentazione. In Svezia dal 1996 la scuola dell’infanzia è collocata all’interno del Ministero dell’Istruzione e della Ricerca, ha un proprio curriculum che invita a usare, come rilevato anche nella precedente indagine, gli strumenti della documentazione e della valutazione in relazione alla qualità complessiva del servizio.
Pur non rappresentando una dimensione nuova per gli insegnanti, la pratica documentativa ha assunto nuova identità, in quanto grande attenzione deve essere posta ai requisiti di visibilità collegati alle procedure di controllo e di valutazione esterna. Ciò determina riflessi anche sulla percezione della professionalità dell’insegnante che tende a parlare molto più frequentemente di una documentazione che ha per oggetto gli apprendimenti e non la cura. Per Lindgren (2001 cit. in Löfgren, 2016) questo scollamento tra cura e apprendimento è influenzato sia dall’idea che parlare di cura significhi parlare di un aspetto problematico che vedrebbe il bambino agire in modo passivo nella sua relazione con il mondo, sia dal prevalere di una sorta di intellettualizzazione della cura in età prescolare che produrrebbe l’effetto di potenziare l’approccio all’apprendimento. L’analisi delle interviste realizzate evidenzia come prevalgano i riferimenti a documentazioni legate agli apprendimenti o, dove si parla di cura, ciò avvenga in funzione dell’apprendimento in linea con un’idea performativa dell’educazione coerente con le attuali politiche in materia.
Conclusioni similari emergono anche in una ricerca condotta nel Regno Unito, dove Archer (2017) rileva l’assenza di un’etica della cura2 nei discorsi degli insegnanti nei quali l’etica della cura appare quasi come qualcosa di taciuto, perché implicito nella pratica educativa. Archer esamina in modo critico i rapporti di valutazione tra insegnanti e bambini alla luce della pedagogia relazionale (Papatheodorou & Moyles, 2008) e dell’etica della cura (Goldstein, 1998; Noddings, 1984).
Quest’ultimo studio considera della pedagogia relazionale i valori della mutualità, della complessità e del contesto, mentre delle teorizzazioni di Noddings e Goldstein considera i concetti di reciprocità e responsività per comprendere in che misura siano presenti nel contesto prescolare inglese dominato da un’idea di valutazione che privilegia l’impiego di standard che generalizzano i livelli di apprendimento. È interessante qui osservare come per gli insegnanti l’etica della cura risulti non tanto assente, quanto implicita, indirettamente percepita attraverso la preoccupazione mostrata dai partecipanti sugli effetti della valutazione sommativa sui bambini a breve e lungo termine.
Uno studio australiano (Rousea & Hadley, 2018) cerca di comprendere i punti di vista di insegnanti e genitori su quello che risulta essere importante all’interno delle pratiche educative, con un’attenzione focalizzata sui concetti di amore (inteso come creazione di un ambiente emotivamente sicuro) e cura (intesa come azione volta a soddisfare bisogni fisici e a dare sicurezza). Anche se questi aspetti sono considerati nella pratica professionale, l’approccio neoliberista che promuove la competizione e si fonda sulla misurazione oggettiva degli esiti d’apprendimento non riconosce concetti quali l’amore o la cura, se non in misura secondaria (Hunkin, 2018). I risultati della ricerca mostrano una divergenza tra il punto di vista dei professionisti e quello delle famiglie in merito a ciò che viene ritenuto importante in ECEC. Nello specifico, i professionisti attribuiscono valore al linguaggio dell’apprendimento e dello sviluppo, mentre le famiglie ai concetti di amore, cura e benessere.
In Nuova Zelanda, un piccolo studio indaga, con un approccio fenomenologico, la cura intesa come curriculum (Bussey & Hill, 2017). Per le autrici, il concetto di cura come curriculum fa riferimento al valore che le routines di base, tra cui l’igiene personale o l’alimentazione, rivestono in termini di opportunità di insegnamento/apprendimento per i bambini. La concezione di cura a cui fanno riferimento le ricercatrici richiama i lavori compiuti da Emmi Pikler a Budapest attorno al 1950. Gli esiti dello studio mostrano, da parte degli insegnanti, il tentativo di andare oltre i confini definiti da ciò che si dovrebbe insegnare, evidenziando un allontanamento dai processi di alfabetizzazione primaria. Le autrici sottolineano come la complessa questione della cura e della cura come curriculum richiederebbe una più approfondita concettualizzazione e come occorrerebbe riprendere nuovamente in esame le caratteristiche che qualificano il professionista nel contesto ECEC.
Infine la ricerca di Hellman (2016) approfondisce i modi con cui gli insegnanti giapponesi promuovano esperienze di cura riflessiva nei contesti prescolari. La diffusa spinta all’individualismo ha interessato negli ultimi anni anche il Giappone, nonostante sia ancora diffusa l’attenzione rivolta per la cura, la responsabilità e la dimensione comunitaria. Gli insegnanti riconoscono il valore delle pratiche e del linguaggio della cura tra le qualità di un agire professionale, modalità ritenute naturali per le figure femminili, capaci di essere apprese da quelle maschili (Hellman, 2015). Lo studio rileva come la cura, nei contesti indagati, venga progettata in modo riflessivo. Gli insegnanti, in base ad alcune teorie dello sviluppo, educano i bambini a partire dai due-tre anni a prendersi cura e ad assumersi delle responsabilità nei confronti di Sé, nei confronti dell’ambiente (inteso come luogo fisico e luogo relazionale che include esseri viventi non umani) e degli altri, anche istituendo, all’interno dei contesti, gruppi di responsabilità.
Sinteticamente, è possibile affermare quanto segue. All’interno di una cornice neoliberista, l’identità dell’insegnante è permeata da un’idea di insegnamento molto orientato in chiave didattica e standardizzato, in un orizzonte di significato lontano dal riconoscere il valore professionale e pedagogico della cura (Langford & Richardson, 2020). La cura, intesa sostanzialmente come attenzione ai bisogni fisiologici e emotivi dei bambini, è importante, ma difficilmente viene documentata: l’attenzione dell’insegnante è spostata verso la dimensione dell’istruzione e dell’insegnamento oggetto di documentazione. Documentare la cura non è pertanto considerato un tratto professionalizzante (Löfdahl & Folke-Fichtelius, 2015): prevalgono i riferimenti a documentazioni legate agli apprendimenti o, dove si parla di cura, ciò avviene in funzione dell’apprendimento in linea con un’idea performativa dell’educazione (Löfgren, 2016).
I docenti considerano pochissimi elementi del loro lavoro come riguardanti in modo esclusivo la cura: ciò che attiene alla cura rimane escluso dalla dimensione di professionalizzazione (Taggart, 2011), mentre colgono il legame tra istruzione e cura in aspetti che riguardano la sicurezza e il benessere (Rentzou, 2019). “The silence about care” viene collegato ai tratti individualistici della società contemporanea fondata sullo sviluppo individuale e la prestazione (Moss, 2014), società dove debole è l’orientamento verso un’idea di cura intesa come dimensione relazionale che produce una condizione di reciproca attenzione tra gli esseri umani (Löfgren, 2016).
L’etica della cura non sarebbe tanto assente nei discorsi degli insegnanti, quanto implicita. Anche il linguaggio impiegato per narrare le pratiche da parte dei professionisti risulterebbe influenzato dalle politiche educative vigenti (Archer, 2017): i discorsi dominanti, così come teorizzato da Fisher e Tronto (1990), influenzano dunque le pratiche degli insegnanti.
Diverso è anche il punto di vista degli insegnanti e dei genitori in merito a ciò che viene considerato importante all’interno nei servizi educativi: nei primi prevale l’attenzione al linguaggio dell’apprendimento e dello sviluppo, nei secondi prevale l’attenzione al linguaggio della cura e dell’amore. Non è la presenza della dimensione della cura nella pratica educativa che è messa in discussione, ma tale aspetto non viene considerato un tratto importante da condividere e da farne oggetto di riflessione (Rosea & Hadley, 2018). In alcuni contesti del Nord Europa si osserva come nelle interazioni di cura i praticanti spesso fondino insieme processi caratterizzati dalla socializzazione e dall’adattamento della cultura (valori, norme, atteggiamenti e comportamenti) che rispecchiamo il concetto di Educare (Hansen et al., 2020) già precedentemente descritto.
Un ulteriore elemento che contribuisce a influenzare negativamente la rappresentazione personale e sociale della figura dell’insegnante (Langford & Richardson, 2020) riguarda la concettualizzazione del lavoro di cura come “naturale”, ossia come tipo di occupazione affidata prevalentemente ad un universo femminile, professione scarsamente retribuita (Gilligan, 1982) e socialmente poco riconosciuta (Langford & Richardson, 2020).
2.5 Il linguaggio della cura nei documenti sulle politiche educative e nei curricula
Nei documenti che hanno come oggetto le politiche educative, come pure nei curricula analizzati in alcune ricerche, la cura è invisibile, resa implicita o data per scontata: ciò accade ad esempio in Svezia (Löfdahl & Folke-Fichtelius, 2015; Löfgren, 2015) o in Grecia ove l’accento è posto sui domini di sviluppo e di apprendimento (Rentzou, 2019). Anche Archer rileva l’assenza di un’etica della cura nei documenti politici in uno studio condotto nel Regno Unito (Archer, 2017). Nel Regno Unito l’Early Year Foundation Stage (EYFS) costituisce il quadro di riferimento per i bambini fino a cinque anni (Department for Education 2014c cit. in Archer, 2017). In esso sono identificati le aree di apprendimento, i conseguenti obiettivi di apprendimento precoce e i requisiti di valutazione a testimonianza della crescente attenzione attribuita ai risultati di apprendimento dei bambini e alla valutazione stessa.
Scarsi i riferimenti anche nell’EYLF australiano, documento che rappresenta un riferimento primo per il lavoro degli insegnanti (Rosea & Hadley, 2018). Lo stesso linguaggio impiegato nel documento australiano Early Years Learing Framework (EYLF) è costruito per dare enfasi a termini come curriculum, valutazione pedagogica, risultati d’apprendimento con il rischio che i professionisti fortemente indirizzati nel loro lavoro dai contenuti di questo documento, non valorizzino altri aspetti quali il gioco, l’esplorazione, la libertà di movimento, il dialogo tra bambini (Van Laere, Peeters & Vandenbroeck, 2012). Nel documento citato soltanto tre sono i riferimenti al concetto di cura (quattro, se si considera il concetto di nutrire) e ben 220 i riferimenti al termine apprendimento (Ortlipp, Arthur & Woodrow, 2011 cit. in Rousea & Hadley, 2018).
2.6 La cura come concetto relazionale nel dialogo tra insegnanti e bambini e tra pari
All’interno di un più ampio progetto realizzato nel Nord Europa e denominato “Values education in Nordic preschool”, i ricercatori Hansen, Jensen e Broström (2020) hanno condotto un’indagine in Danimarca con l’obiettivo di indagare come i valori di democrazia, cura e disciplina prendano forma nelle interazioni tra professionisti e bambini nei servizi prescolari. In tali contesti, la cura è sostanzialmente interpretata come espressione del rapporto emotivo tra insegnante e bambino ed è volta a creare sicurezza (Katz & Goffin, 1990). Anche in Danimarca, negli ultimi anni la dimensione dell’apprendimento sta assumendo maggior rilievo nell’educazione prescolare, sia per l’influenza della Strategia di Lisbona del 2000 (Rodriguez, Warmerdam & Triomphe, 2010 cit. in Hansen et al., 2020) che per la contaminazione proveniente dalle pratiche educative dei paesi del Nord Europa che combinano nel loro approccio, come già precedentemente sottolineato, cura e istruzione attraverso l’espressione del concetto di Educare (Broström, 2006). Nelle cornici teoriche di tali studi si ritrova, tra gli altri, il pensiero di Noddings (1984, 1992) che intende il rapporto di cura come uno scambio in cui entrambi i soggetti contribuiscono alla relazione. Gli esiti di questa ricerca-azione mettono in luce quattro forme di cura nelle interazioni tra insegnanti e bambini: la cura emotiva, la cura educativa, la cura disciplinare e la cura democratica.
A partire dalla vitale importanza che le cure relazionali svolgono per il benessere e lo sviluppo dei bambini (Noddings, 2013), un’ulteriore ricerca svedese condotta da Cekaite e Bergnehr (2018) indaga alcune pratiche di cura relazionale che avvengono attraverso il contatto corporeo nelle quotidiane interazioni tra gli adulti e i bambini in una scuola dell’infanzia. I risultati mostrano che il comportamento tattile agito da un adulto verso un bambino promuove un’esperienza sensoriale potente dal punto di vista comunicativo, alimentando pratiche inter-corporee reciproche ed è espressione incarnata del valore dell’intimità caratteristico della cura relazionale. Tali pratiche creano la possibilità di nutrire relazioni continuative nel tempo, capaci di porsi in ascolto dei bisogni emotivi dell’altro, di facilitare la partecipazione ai momenti della quotidianità e ai processi educativi stessi determinando positive influenze sullo sviluppo globale del bambino. Tale studio alimenta una concettualizzazione della cura intesa come un costrutto olistico e multiforme. Visione che intende contrastare alcune interpretazioni della professionalità degli insegnanti che non valorizzano il contatto fisico e il coinvolgimento emotivo, ma privilegiano un fare educativo distaccato, prettamente di natura didattica.
In uno studio canadese Langford & Richardson (2020) analizzano le pratiche di cura attraverso le teorizzazioni dell’etica della cura tra le quali assume un ruolo centrale il pensiero di Noddings, sia per l’importanza data alla promozione di un ascolto autentico dei bisogni, degli interessi, delle idee dei bambini (Noddings, 2013) sia per l’attenzione data alla necessità di considerare, nella relazione di cura, anche la prospettiva di colui o colei che riceve cura (Noddings, 2002). Altri importanti riferimenti assunti dalle ricercatrici, sempre nell’ambito dell’etica della cura, sono costituiti dal pensiero di Held (2006) che ha approfondito la riflessione sulla natura dei processi di cura educativa e da quello di Tronto (2013) che si è occupata della relazione tra cura e politica. I risultati emersi dalle osservazioni compiute sulle pratiche di cura messe in atto nelle interazioni tra professionisti e bambini mostrano come le azioni di cura siano spesso caratterizzate da una natura strumentale o siano interrotte o non completate. Inoltre, le caratteristiche delle proposte educative programmate per i bambini non consentono l’attivarsi di processi più complessi di cura etica quali l’ascolto, l’indagine, la negoziazione, la flessibilità e l’adeguamento (Hamington, 2015). Quanto emerge dall’analisi dei dati raccolti fa sorgere interrogativi per ciò che attiene alle pratiche educative, ma interroga anche la dimensione politica (Tronto, 1993) e gestionale che deve tutelare coloro che si prendono cura degli altri (Kittay, 2015): i fattori strutturali e organizzativi incidono in misura significativa sulla possibilità di dare forma a interazioni caratterizzate da processualità nelle quali prende forma l’etica della cura in un contesto. Le ricercatrici specificano, inoltre, che in Canada i programmi educativi per la prima infanzia identificano il lavoro di cura come “naturale”, quindi implicito, e come attività per rispondere ai primi bisogni fisici e sociali dei bambini.
Una ricerca fenomenologica condotta negli Usa (McCormick, 2018) indaga come un gruppo di quindici bambini dai tre ai cinque anni costruisce esperienze di cura, aspetto centrale ma poco indagato in ECEC. L’analisi dei dati mostra come i bambini, durante le esperienze di cura, si siano mostrati attenti alle esigenze di cura degli altri, dimostrando empatia e decentramento da Sé, flessibilità e sentimento di appartenenza alla comunità, avendo cura degli altri, di Sé e delle cose in modo sensibile e competente. Tali risultati confermano dunque quanto teorizzato da Engster (2005) e Noddings (2013).
In Indonesia, infine, la ricerca di Adriany e Warin (2014) intende esplorare il rapporto tra la cura, dimensione ritenuta di fondamentale importanza nell’’educazione della prima infanzia (Dahlberg, Moss & Pence, 2003) e i discorsi centrati sul bambino (influenzati dalla psicologia dello sviluppo) per capire in che modo tali concetti coinvolgano altri processi, tra cui in particolare il comportamento di genere non tradizionale. In tale studio gli autori cercano di rendere visibile come tale rapporto si traduca in una forma di controllo, con effetti regolamentari tali da alimentare la costruzione di una visione dell’infanzia che legittima lo sviluppo di un binario di genere. I ricercatori suggeriscono di agire verso una ridefinizione del concetto di cura per liberarlo dai vincoli legati al suo potere normativo (Adriany & Warin, 2014). Un’idea di cura che sfida l’ordine di genere potrebbe, secondo gli studiosi, promuovere nel lavoro degli insegnanti atteggiamenti volti a riconoscere e apprezzare ogni forma di differenza (Dahlberg & Moss, 2004), comprese quelle legate al comportamento di genere non tradizionale.
2.7 La cura in una visione post umana
Ancora, alcune teorie non-antropocentriche invitano a riconcettualizzare la cura come qualcosa che non appartiene all’individuo, ma sta nella dimensione dell’incontro (caring in-between): la cura avrebbe una natura collettiva e impersonale, né totalmente umana, né non umana.
Una ricerca finlandese, passando in rassegna gli studi che si sono occupati delle prospettive etiche e politiche della cura (Gilligan, 1982; Noddings, 2015; Puig de la Bellacasa, 2017; Tronto, 1993), sottolinea come molte di queste teorizzazioni siano focalizzate su un’idea di cura come pratica relazionale che coinvolge gli esseri umani (Vladimirova, 2021). L’indagine post-qualitativa presentata da Vladimirova approfondisce, invece, un’idea di cura “in-between” nel contesto outdoor della prima infanzia finlandese con l’intento di capire cosa venga prodotto nell’incontro tra bambini e natura. I risultati suggeriscono come l’incontro tra bambini e contesti naturali generi un ambiente relazionale collettivo, nel quale il comune senso di appartenenza attiva e si nutre di attenzioni reciproche e dove ogni elemento diviene parte del processo di cura.
Tale visione aspira a promuovere un cambiamento in ambito educativo, con attenzione all’outdoor education, all’interno di una cornice olistica, inclusiva e aperta, anche attraverso nuovi approcci materialistici (Vladimirova, 2021).
2.8 La cura come educazione alle virtù
Nel contesto italiano, Mortari & Ubbiali (2017) intendono comprendere, attraverso un progetto di ricerca educativa denominato MelArete, come sia possibile orientare la persona ad aver attenzione alle virtù e a riflettere sui valori che queste possono assumere al fine di realizzare una vita buona. Nello studio si sottolinea, infatti, come educare alla cura significhi educare alle virtù. L’analisi dei dati fa emergere come esso abbia favorito nei bambini la comprensione del concetto di virtù, consentito di riconoscere le componenti di un’azione virtuosa e permesso di nominare una specifica virtù identificando quale azione coerente è bene mettere in campo in una situazione critica.
2.9 La relazione tra cura e politica
La cura in educazione pone implicazioni che riguardano la dimensione politica (Kittay, 2015; Tronto, 1993), anche per l’influenza di fattori strutturali e organizzativi nella costruzione stessa di esperienze orientate alla cura (Langford & Richardson, 2020). Il concetto di cura è connesso al senso di responsabilità, all’attenzione per l’altro e la comunità: cura intesa come attenzione per Sè, gli altri e l’ambiente (fisico e relazionale).
Il concetto di cura, inteso come modo per stimolare lo sviluppo dell’infanzia, dovrebbe essere esteso per includere la valorizzazione delle differenze, comprese quelle di genere (Adriany & Warin, 2014).
2.10 Verso una riconcettualizzazione dell’idea di cura
Le ricerche empiriche selezionate attraverso la scoping review evidenziano la necessità di elaborare una diversa visione dell’identità e della formazione dei professionisti in ECEC (Löfdahl & Folke-Fichtelius, 2015) operando una riconcettualizzazione della cura secondo le dimensioni legate all’etica della cura (Archer, 2017). È urgente risignificare la relazione tra istruzione e cura dal punto di vista teorico e pratico per agire sul piano della professionalità educativa in ECEC (Rentzou, 2019).
All’interno del contesto accademico ci si interroga infatti se cura e istruzione/apprendimento debbano o meno essere considerati termini dicotomici (Löfdahl & Folke-Fichtelius, 2015): è necessario alimentare la ricerca per lo stretto legame che sussiste tra i percorsi formativi disponibili a livello accademico e le pratiche agite nei contesti quotidiani (Rentzou, 2019). Occorre contrastare il processo di non visibilità o intellettualizzazione della cura così diffuso in una società centrata sullo sviluppo e la performance, ponendo attenzione al bambino nel qui e ora e al suo benessere, promuovendo la capacità di prendersi cura reciprocamente (Löfgren, 2016).
3 Per concludere
L’analisi delle ricerche empiriche selezionate attraverso il processo di revisione della scoping review denota, in primo luogo, un aspetto significativo nell’ambito della ricerca: in coerenza con la complessità dei fenomeni educativi indagati si evidenzia come la quasi totalità delle indagini privilegi un approccio di natura qualitativa. Soltanto uno studio è di natura esclusivamente quantitativa (Rentzou, 2019).
In relazione agli esiti di tali ricerche è possibile sottolineare alcune costanti. Un aspetto dominante nei contesti ECEC permeati da una cultura di tipo neoliberale è rappresentato da una diffusa idea di educazione che colloca la cura in una posizione di subordine. Il concetto di education qui espresso fa riferimento al processo volto a promuovere l’acquisizione di abilità e competenze, spesso collegate allo sviluppo di contenuti di apprendimento che sono parte del curriculum delle scuole di ordine superiore. Tale concetto di education è permeato da un approccio tecnocratico e dalla cultura della performance, dove i livelli di abilità e apprendimenti sono misurati con strumenti standardizzati (Löfdahl & Folke-Fichtelius, 2015). La cura viene considerata come un aspetto della pratica educativa di minore importanza, marginalizzata o vissuta come implicita nella relazione educativa (Archer, 2017), difficilmente visibile nel lavoro di documentazione realizzato dagli insegnanti (Löfgren, 2016). Interpretata come prerequisito all’istruzione, la cura non è considerata una componente chiave della qualità della professione dei docenti. (Löfdahl & Folke-Fichtelius, 2015; Rentzou, 2019). La cura è vissuta come implicita perché considerata naturalmente un’attitudine femminile, per cui non meritevole di attenzione formativa e pedagogica (Langford & Richardson, 2020).
Le ricerche evidenziano la necessità di uscire da visioni dicotomiche che pongono in contrasto cura e educazione (Van Laere et al., 2012) a favore di approcci integrati, focalizzati sul bambino del presente e sulla predisposizione di opportunità educative che favoriscano il fiorire delle potenzialità di tutti i soggetti coinvolti nella relazione, abbracciando il valore della complessità dell’esperienza educativa (Hamington, 2015; Moss, 2014) che include l’attenzione per ciascuna unicità (Adriany & Warin, 2014). Si sottolinea l’urgenza di promuovere una diversa visione dell’identità e della formazione dei professionisti in ECEC (Bussey & Hill, 2017; Cekaite & Bergnehr, 2018; Löfdahl & Folke-Fichtelius, 2015; Rentzou, 2019) operando una riconcettualizzazione della cura in educazione e nelle politiche attraverso la prospettiva legata prioritariamente all’etica della cura (Held, 2006; Mortari, 2015; Noddings, 1984; Tronto, 1993).
Appare dunque non sufficiente agire a livello politico ed educativo per favorire una maggiore integrazione tra le dimensioni di cura e di educazione nei contesti prescolari ma, in antitesi a logiche strumentali e mercantili dell’educazione, diventa centrale, in accordo con Mortari, riposizionare all’interno delle questioni pedagogiche ed educative il paradigma della cura interpretando quest’ultima come categoria centrale del discorso pedagogico (Mortari, 2013).
Per raggiungere tale intento occorre risignificare, alla luce dell’etica della cura, l’idea stessa della cura, ridefinendo conseguentemente i percorsi di formazione iniziali e in servizio degli insegnanti in ECEC per costruire una diversa cultura della cura capace di rifondare i modi di essere e di agire nella relazione educativa.
La ricerca empirica che prende avvio dalla revisione della letteratura presentata intende portare un contributo nel perseguimento di tali obiettivi. Così intesa l’educazione viene a configurarsi come quel processo grazie al quale il soggetto educativo apprende ad aver cura di sé, coltivando quegli strumenti di natura cognitiva ed emotiva necessari a dare forma al suo percorso originale nel mondo (Mortari, 2022).
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Una preliminare analisi della letteratura è stata pubblicata negli atti della Conferenza Internazionale ICERI2022.↩︎
Per ciò che attiene all’etica della cura, importante prospettiva per reinterpretare la relazione con l’altro e con il mondo, i principali riferimenti sono costituiti dalle figure di Carol Gilligan (1982) e Nel Noddings (1984). In seguito altre figure hanno approfondito tale teorizzazione e tra queste ritroviamo Virginia Held (2006), Sara Ruddick (1993) e Joan Tronto (1993). «A partire da Carol Gilligan la riflessione sull’etica ha proposto un altro tipo di etica: l’etica della cura. La “voce della giustizia” interpreta l’etica come adesione a norme morali stabilite […], la “voce della cura” risponde a una preoccupazione per le singole persone considerate nella loro unicità (Mortari, 2009, p. 59).↩︎