1 Incontri sensibili: posture e corpi nell’esperienza dell’educazione
Nelle pagine degli albi illustrati, libri con figure dal formato riconoscibile per la dominanza del linguaggio visivo, si offre, nella rappresentazione iconografica o letteraria delle relazioni educative e dell’infanzia, un osservatorio prezioso per la riflessione pedagogica e la formazione. Nell’incontro con i migliori libri scritti per bambine e bambini, cioè, nelle belle parole di Mac Burnett per “il pubblico più intelligente, coraggioso e onesto che uno scrittore possa sperare di avere” (Burnett, 2024, p. 16) si celano infinite occasioni di conversazione e confronto didattico, fra lettori di qualsiasi età, su ogni argomento, dall’amore alla morte. La letteratura per l’infanzia narra da sempre anche dei continui (e mai indolori) aggiustamenti reciproci necessari nella relazione educativa, di inclinazioni incoraggiate o contrastate, di innalzamenti e incontri mancati o agiti, di repressioni o tensioni (o repulsioni) verso l’altro per antonomasia, cioè il bambino; mettono in scena convergenze e non di rado costrizioni e modellamenti educativi che funzionano da una parte come specchi della storia, documenti e dichiarazioni pedagogiche di momenti storici e configurazioni specifiche, dall’altra come possibili scintille per nuovi rispecchiamenti, ripensamenti critici o riflessioni (Grilli, 2021) sulle relazioni in educazione.
Nelle figure dei libri per bambini si possono osservare anche i movimenti, i gesti e i corpi, mossi, e più spesso immobilizzati, in nome dell’educazione. Corpi che sono impegnati, oltre che nel continuo naturale movimento perpetuo dell’esplorazione e dell’apprendimento, in una inarrestabile metamorfosi, soltanto più visibile nei bambini. Ogni processo educativo comprende una metaforica ginnastica posturale che prevede l’andare verso l’altro, in posture variabili, flessibili, necessariamente dinamiche. La prospettiva fenomenologica, da Husserl a Merleau Ponty, per citare solo due numi tutelari, ci invita a osservare il vivente e vissuto come spazio dove accadono le esperienze; le prospettive pedagogiche che ne conseguono indicano come l’educazione sia sempre un fatto concreto e sensibile di processi che coinvolgono necessariamente i corpi, e nei corpi, e fra i corpi, accadono. Se il paradigma della Embodied Cognition Theory ha indotto un cambio di prospettiva, con rilevanti ricadute sugli ambiti dell’apprendimento e dell’educazione, le riflessioni sulla Embodied Education e la pedagogia del corpo auspicano da tempo alleanze e convergenze disciplinari sul tema (Varela, 1991; Contini, Fabbri & Manuzzi, 2006). A scuola però, e in educazione in generale, il corpo vivente non è al centro dell’attenzione (movimento, aria, luce, natura, gioco, nutrimento e altre funzioni fisiologiche) nonostante sia presente, fin dagli anni Settanta (Alfieri, 1975), un’articolata riflessione che risponde a questa dimenticanza dei corpi con diverse risorse e prospettive: pedagogiche, umanistiche, motorie, narrative (Mariani, 2010; Francesconi & Tarozzi, 2012, 2013; Ceciliani, 2018; Gamelli & Mirabelli, 2019; Milani, 2021; Faggioli & Schenetti, 2023; Terrusi, 2023). Nel quadro di una riflessione sul benessere e sulla qualità delle relazioni educative, in questo contributo guardiamo alla risorsa della letteratura per l’infanzia, nella forma dell’albo illustrato, per ragionare su una categoria che riguarda posture e gesti, fisici e metaforici, in educazione: la dimensione della tenerezza.
Il suo affiorare in forme e rappresentazioni diverse, come possibilità di valorizzazione di un gesto delicato quanto liberante, affettivo e pertanto democratico, potrà forse contribuire alla riflessione sulla relazione educativa nei suoi aspetti gestuali, somatici, affettivi, visibili nei processi e nelle esperienze che coinvolgono corpi e spazi. Indagheremo la tenerezza nelle pagine degli albi illustrati per l’infanzia con e senza parole (Terrusi, 2012, 2017) non prima di averne richiamate alcune definizioni e ricadute affettive e pedagogiche.
2 Forme e modi della tenerezza: inclinazione, fragilità, contatto e coraggio
Non c’è tenerezza che non nasca dalla interiorità, dalla soggettività e dalla consapevolezza che siamo tutti chiamati a un comune destino di dignità, e di libertà (Borgna, 2022, p. 3)
Al sentimento della tenerezza lo psichiatra Eugenio Borgna (1930-2024) ha dedicato un interessante volume che traccia i confini di un sentimento e ne indaga e declina il valore come risorse indispensabile di umanità e di libertà:
Non è facile definire la tenerezza, essa sconfina nella gentilezza, nella delicatezza, nella timidezza, nella dolcezza, nella mitezza, e anche nella fragilità, e ha qualcosa in comune con le une, e con le altre (…). La tenerezza si esprime con il linguaggio delle parole, e con quello del corpo vivente: uno sguardo, un sorriso, una lacrima, una stretta di mano, una carezza, un abbraccio ne sigillano i modi di essere (Borgna, 2022. p. 6).
Nelle relazioni quotidiane con i bambini, i ragazzi, gli anziani, ma anche fra pari, la tenerezza configura la possibilità di accogliere prima di tutto l’alterità, con un atteggiamento di rispetto e di ascolto, di vicinanza, di adattamento corporeo per la presenza fisica ed emotiva dell’altro. La tenerezza informa la qualità dell’attenzione, dei gesti e dell’atmosfera nel dialogo, nell’incontro e nella cura che dedichiamo agli altri. Si tratta di un tendere all’altro, etimologicamente, un incontro che accade in uno spazio intermedio fra le persone, uno spazio tattile lo definisce il danzatore Virgilio Sieni (Palma, 2019) in cui ogni giudizio è sospeso e l’incontro può darsi nell’accoglienza della fragilità. La dimensione della tenerezza è gestuale e sensibile: per esempio riguarda la modulazione del tono e del volume della voce, strumento fondamentale in educazione, perfetto tramite fisico di emozioni interiori. Nelle relazioni educative la voce gioca un ruolo fondamentale. Per educare alla democrazia, ricorda Franco Lorenzoni, maestro e scrittore (Lorenzoni, 2023) riprendendo anche Mario Lodi, servono la parola gentile e un tono di voce che sia tramite di impressioni di gentilezza e rispetto, a partire dal timbro, dal tono e dal volume che lo informano. Ciò che rende la frequentazione della tenerezza indispensabile nella dimensione pedagogica è il suo essere dimensione emotiva necessaria perché accada l’incontro con l’altro, l’esperienza e il processo della relazione educativa. Se ogni incontro e ogni gesto educativo, anzi ogni processo educativo, necessita di tempo per accadere, di riflessione per poter essere colto, di cura per essere consapevole, di autoriflessione per essere intenzionale e dunque efficace, ogni incontro si sostanzia, sempre, anche e prima di tutto di corpi, gesti fisici, espressioni facciali, spazi, muscoli, posture, atmosfere definite da percezioni sensibili. Lorenzoni suggerisce al riguardo: “Penso che potremmo affermare senza sbagliare che il principale strumento di lavoro per chi lavora con bambine e bambini piccoli sia il proprio volto e i trentasei muscoli che lo muovono” (Lorenzoni, p. 70). Anche Gianni Rodari, com’è noto denunciava come nelle aule scolastiche si ridesse troppo poco (Rodari, 2023): era il 1973 e cinquant’anni dopo è ancora così, nonostante studi e approcci integrati affermino la necessità di educare, e apprendere, in contesti rispettosi delle emozioni (cfr. Lucangeli, 2019).
Borgna indaga diffusamente i confini della tenerezza, le zone in cui abita, attraverso il linguaggio, in particolare quello poetico, nella parola letteraria di Rilke, Gozzano, Etty Hillesum, Simone Weil, Emily Dickinson, Marina Cvetaeva, Sylvia Plath, Amelia Rosselli, Antonia Pozzi e indaga le manifestazioni emotive e interiori come le lacrime, le carezze, la nostalgia, il coraggio, la felicità e l’infelicità. La tenerezza ha molte sfumature e può essere allegra e ridente ma anche piena di dolore e struggimento. Accogliendo l’invito metodologico del suo testo, per esplorarne possibili forme procediamo nell’indagine sulla tenerezza, cercandola, declinandola e riconoscendola in alcune storie illustrate per l’infanzia. Condividiamo infatti l’appello di Borgna a trovare il coraggio per riformulare modelli di vita e di relazione, drammaticamente condizionati nei nostri tempi non solo dall’esperienza della pandemia ma dai disastri ambientali, dalla gestione violenta delle migrazioni, dalle catastrofi umanitarie denominate guerre e dai massacri di bambini, per cercare nuove modalità di vicinanza, contatto e incontro con l’altro, con speranza, impegno e utopia, per dirla con le parole del problematicismo pedagogico.
L’etimologia comune di cuore e coraggio indica una strada possibile nel ripartire dall’affettività e dalla rivalutazione di emozioni che accolgono e riconoscono la fragilità umana come valore primario e collettivo. La tenerezza, come la fragilità, oggi imbarazza forse un po’; non è materia consueta nelle costruzioni dei tanti percorsi dedicati ai libri per bambini, non è particolarmente in voga, e invece si rivela ingrediente quotidiano indispensabile e insostituibile tanto alla rappresentazione letteraria e figurativa dell’infanzia, quanto alla relazione autentica con bambine e bambini in tutti i contesti. La tenerezza è indispensabile in ogni gesto di cura e condivisione che prevede la relazione fra persone diverse. Fra adulti e bambini, lungi dall’essere una nuance cosmetica, la tenerezza è qualità connaturata alla caratterizzazione biologica della specie umana, cioè al primato umano di essere noi specie neotenica, cioè i cui piccoli dipendono più a lungo dalla forma adulta di ogni altra specie. I piccoli umani senza la tenerezza e la dedizione degli umani adulti, in primis delle umane, cioè la profusione di cura, protezione, nutrimento e affetto, non sopravvivono, nascendo e restando a lungo incompleti dal punto di vista biologico, morfologico e comportamentale. Vale la pena di riaffermare oggi, mentre con rinnovato vigore si sferrano attacchi reazionari – sotto forma di critiche più o meno psicologistiche – alle competenze materne, ai corpi e ai gesti dell’accudimento materno e della cura, come l’allattamento, la protezione e la prossimità fisica nel sonno, che senza la percezione e l’assunzione della responsabilità completa, prima di tutto fisiologica, sensibile e affettiva, che la forma adulta ha nei confronti dei bambini non esiste e non sopravvive l’umanità. È un dovere pedagogico, oltre che culturale, ricordare questa responsabilità educativa e lavorare in questo senso per la realizzazione di una piena educazione alla cittadinanza globale che interpreti un progetto “cosmico” e pacifico, nel senso delineato e dichiarato da Maria Montessori e ripreso da Rossella Raimondo (Montessori, 1970; Raimondo, 2019, 2024), in cui la qualità dell’esperienza vissuta e dei processi di relazione ha un ruolo centrale.
La tenerezza è una postura obliqua. Simbolicamente identificabile con le linee curve delle madonne, e delle donne, chine sui bambini e con le traiettorie ondivaghe di questi ultimi e non con la qualità di virile verticalità identificabile con le figure autoritarie della rettitudine, mostra anche una via politica, una modalità di relazione vitale rivoluzionaria, improntata ad un modello diverso da quello verticale, capitalista e patriarcale. In questo senso lo stereotipo (donna/curva-uomo/verticalità) sottende a due paradigmi diversi di soggettività, quella che si sbilancia verso l’altro, mettendo alla prova, necessariamente il proprio baricentro, e quella in sé conchiusa, immune al contagio del bisogno altrui. Queste riflessioni sullo scarto fra verticalità e orizzontalità, fra immagini e categorie politiche sono ampiamente problematizzate, e indagate attraverso il pensiero di voci illustri da Judith Butler a Hannah Arendt, il pensiero dell’odiatore di neonati Kant e altri illustri pensatori, nel saggio filosofico che Adriana Cavarero ha dedicato proprio al tema suggestivo delle posture: Inclinazioni. Critica della rettitudine (2014), testo filosofico illuminante anche per “guardare le figure” (Faeti, 1972) dei libri per bambini. La tenerezza è chiamata in causa quotidianamente nella relazione fra i soggetti, è una risposta biologica alla morfologia del cucciolo. Daniele Bruzzone nel suo saggio dedicato alla vita emotiva invita a una profonda comprensione e valorizzazione degli affetti e dell’esperienza emotiva nella vita, come elementi decisivi sul piano della nostra formazione e della nostra esistenza:
Ora, se c’è una capacità che si richiede a chi quotidianamente affianca le persone più fragili (perché giovani e ancora inesperte o perché vulnerabili o ferite dalla vita) è proprio quella di sapere stare a contatto con le emozioni e sentimenti – propri e altrui – di cui è intessuta l’esistenza senza pretendere di neutralizzare l’inquietudine che ne deriva, ma facendo del coraggio di esserci una virtù personale e professionale (Bruzzone, 2022, p. 155).
Marco Dallari nel suo Immaginauti (2024) riprende il discorso di Bruzzone con un’indagine – in dialogo con poeti, saggisti, scrittori e filosofi di tutti i tempi – dedicata alla responsabilità filosofica, civica e politica dell’esercizio dell’immaginazione, in stretta relazione con i processi della formazione, fra individuazione, in senso Junghiano, e “ulteriorità”. Scrive Dallari:
[…] ciascun essere umano può diventare giardiniere di sé stesso solo con il contributo degli altri. Così, accettando di riconoscere e accogliere il primato degli affetti, torniamo all’indissolubile rapporto fra l’idea di individuazione e la dimensione dell’Ulteriorità. Ulteriorità che è, in termini filosofico-esistenziali, la meta ultima e irraggiungibile di chi, mai soddisfatto della propria condizione presente, sa che solo con un atteggiamento di tensione inventiva e trasformativa si può impostare l’esistenza verso un continuo perfezionamento e autosuperamento (Dallari, 2024, p. 19).
Crediamo che quella stessa “tensione inventiva e trasformativa” sia la caratteristica più profonda del dinamismo infantile che i più grandi artisti depositano e restituiscono nei migliori libri per bambini. In questa chiave l’habitus che valorizza “l’esplorazione come esperienza educativa” (Guerra, 2019) è lo stesso che spinge alle esplorazioni letterarie e iconografiche della letteratura per l’infanzia: un moto di tenerezza che porta ad osservare ciò che è diverso da noi, per proporzioni, dettagli e funzioni, con attenzione infusa di rispetto e capace di meraviglia. Dallari chiude il suo volume con un appello:
Gli strumenti e le occasioni per accendere l’immaginazione e costruire un consistente immaginario dovrebbero essere riconosciuti come diritti e come importanti e indispensabili risorse individuali e collettive. E questo dovrebbe essere un obiettivo primario della formazione scolastica (Dallari, 2024, p. 246).
Per le ragioni qui citate indaghiamo e omaggiamo la tenerezza in un repertorio di immaginari d’infanzia, come risorsa politica e pedagogica, registro poetico di narrazioni ed esperienze profondamente formative.
3 Fenomenologia della tenerezza: canto materno, gioco, riconoscimento, guarigione, ascolto, emozione e rito
Riposa un poco, adesso,
riposa e stai sereno.
Un giorno non lontano,
lo sai ci rivedremo.– Tutti i cari animaletti (Nillson, 2022)
Il primo libro di questa collezione minima, suggestiva e del tutto non sistematica, potrà essere Tutto dormirà (Lindgren, 2021) una ninna nanna composta da Astrid Lindgren per il corredo musicale dal film tratto da uno dei suoi romanzi (FIG. 1).
Nelle illustrazioni di Marit Törnqvist, nel testo cantato da Aida Talliente, che si può ascoltare grazie al codice QR, prende forma il racconto di un gattino che non dorme ancora e che di notte esplora un bellissimo paesaggio muovendosi come un minuscolo puntino nella vastità naturale, mentre tutti gli altri, vitellini e agnellini e porcellini e bambini, dormono già. Una narrazione semplice, apparentemente minima, dedicata ai piccoli, avvolge i lettori con le figure, le parole, il ritmo e una canzone magnificamente suonata e cantata, per rispondere al desiderio di essere coinvolti in un’esperienza sensibile, sonora e musicale poco prima di dormire, per poter attraversare quella soglia prima di lasciarsi andare. Un’esperienza sinestetica, che si ingaggia sensi diversi e muove, con tenerezza, nelle diverse dimensioni dell’ascolto, nell’osservazione della pagina in cui ciò è importante ciò che è piccolo, nel piacere fisico della ripetizione dei versi, nella sequenza delle pagine e dell’inevitabile vicinanza prossemica con cui il libro verrà letto con i piccoli lettori.
Io grande e tu piccino (L'Arronge, 2019) in un alternarsi di semplicissime frasi mette in pagina il rispecchiamento e l’aggiustamento della relazione, fra giochi e cerotti. Una cosa grande per il grande e una piccola per il piccolo, nel fare tutto, un bagno di bolle, mangiare un gelato, una birra o un succo; un’azione e la sua ripetizione, un errore e la sua consolazione, una ferita e un cerotto, il gioco delle rime, la semplicità della struttura producono una grande tenerezza per la relazione educativa stessa, un riso che confina con la commozione, perché c’è la responsabilità del grande e uno sguardo che accoglie ogni occasione – mai eppure sempre perfetta - in cui si cresce insieme, un programma: “io grande e tu piccino, ti starò sempre vicino” (FIG. 2).
Beatrice Alemagna è una celebrata autrice-illustratrice, capace di mettere in pagina un’infanzia autenticamente riconoscibile in quanto sempre paradossalmente obliqua e deformata, guardata e rappresentata attraverso il riflesso di una poetica che fungendo da possibile lente protettiva ci permette di reggere la luminosità altrimenti insostenibile che emana dalle bambine e dai bambini. Mio amore (Alemagna, 2020) è un albo con una struttura molto semplice: un piccolo essere dalle sembianze poco identificabili viene sempre riconosciuto, e definito, come qualcos’altro da chi lo incontra (“sei un cane?”), perché la sua forma è incerta, cucita com’è con un ricamo grossolano dagli orli discutibili e incerti (FIG. 3).
Il piccolo essere indefinibile continua il suo cammino affermando di non essere questo e non essere quello. Alla fine incontra qualcuno che non gli chiede nulla, non ha bisogno di attribuirgli nessuna definizione, lo riconosce, anzi lo conosce già perché, gli dice: “so già chi sei tu, tu sei il mio amore!”. Allo stesso modo, ne Il grande Bubo (FIG. 4) l’autrice dispone una storia che nel fraintendimento linguistico esprime una connotazione non solo affettiva ma esistenziale e pedagogica: sono grande perché sono il “grandissimo amore” e me lo sento dire, con un abbraccio grande, sono la grandezza dell’amore che ricevo (Alemagna, 2014), cresco se amato e sognato. Parafrasando Danilo Dolci, potremmo dire anche che ciascuno cresce se narrato.
Esistiamo nella relazione, nelle prime relazioni in maniera primigenia e le grandi storie per l’infanzia lo dimostrano, nelle mille strade che la crescita sa percorrere, ritrovando e moltiplicando gli affetti anche e soprattutto nei paesaggi più impervi della vita. Nell’affetto ricevuto, nella dimostrazione della tenerezza, nell’accettazione, nell’accoglienza, nella più palese dichiarazione di tenerezza e amore noi cresciamo e apprendiamo il mondo: un abbraccio, una carezza, il contatto, la pelle, quel tempo fondamentale e fondante caratteristico, seppure non esclusivo, del materno. Viene della Polonia uno dei più poetici autori per bambini, che si firma da sempre Janosch. La poetica della tenerezza, declinata in un umorismo nonsense dal sapore filosofico, caratterizza tutti i suoi migliori racconti illustrati. Tigrotto e Orsetto vivono insieme. Cucinano piatti buonissimi l’uno per l’altro (piccolo Orso cucina, perché è un bravo cuoco), e si dividono i compiti quotidiani della cura domestica, delle pulizie, delle feste. A funghi, per dire, ci va Tigrotto. Si vogliono bene e sono i loro gesti che lo dimostrano. Le loro storie hanno quella misura perfetta per incontrare vari lettori, piccoli osservatori ma anche giovani lettori. In una delle loro avventure, forse la più meravigliosa, i due vengono presi dalla smania di partire. Hanno trovato una cassetta di legno con una scritta che li fa sognare: Panama (Janosch, 2021) (FIG. 5).
E così decidono che è tempo, dopo aver affisso un apposito cartello per indicare la strada, di lasciare la confortevole casetta nel bosco e andare, in quel paese profumato di banane. Il viaggio è un vero periplo avventuroso, c’è il maltempo, ci sono gli incontri con ospiti generosi, c’è il ritorno, circolare, al punto di partenza. È lo sguardo, tema pedagogico per eccellenza, ad essere messo alla prova, a vedere con occhi nuovi il luogo da cui si è partiti. In un altro dei piccoli volumi magistrali di Janosch succede qualcosa che ci riporta all’aspetto della cura reciproca nella postura tenera. Tigrotto si fa male, il titolo è programmatico: Ti guarisco io, disse l’Orsetto (Janosch, 1997), mentre in copertina lo sta trasportando a braccia. “Striscia spostata”, la diagnosi. Divano, cibo buono, molta tenerezza cioè pazienza, affetto, attesa, chinarsi sull’altro, sfamarlo, offrire un sorriso, come cura. La convalescenza, che è una condizione non solo sanitaria ma anche esistenziale, la guarigione, la crescita stessa richiedono tenerezza, tempo, fisicità, distanze e vicinanze, amicizia. Di pazienza, affetto, attesa, gioco e rappresentazione ironica e anche struggente della sopportazione materna è fatto un piccolo albo intitolato Indovina che cosa sono! (Yoshitake, 2023) (FIG.6).
La richiesta, imperativa e abbastanza minacciosa, a ben guardare, appare tale già in copertina, dove una bambina piccola tiene sulle spalle un mantello, il volto rabbuiato in un cipiglio che non fa presagire, come il punto esclamativo stesso, niente di buono. Il gioco è presto detto: la bambina, che sembra davvero molto piccola, mima qualcosa, la madre, che l’autore ritrae pietosamente segnata da occhiaie mentre sta ripiegando i panni del bucato, deve indovinare: “Questo cos’è? E questo?”, però non indovina mai, la bambina si arrabbia, eppure al voltare pagina vediamo che in effetti la posizione assunta dalla bambina poteva, a posteriori però, essere molto molto somigliante alla forma di una teiera! Il gioco, che di fatto non sta riuscendo, continua fino a quando, dopo un ennesimo indovinello, la bambina improvvisamente tace, coperta da un secchio, distesa per terra. La madre solleva l’oggetto e vede che la piccola sta dormendo. Qui la tenerezza dell’albo si esprime nella constatazione incrociata della fragilità umana delle protagoniste: la loro stanchezza, i loro limiti, la loro imperfezione, la non capacità di mimare della bambina, l’impossibilità di indovinare della madre, il desiderio di giocare quando si ha talmente sonno che si sta per crollare, un gioco che non riesce ma non importa, la fatica dopo una giornata impegnativa per tutti. Tenerezza, una volta tanto e speriamo per sempre, anche per tutte le figure adulte implicate nelle relazioni educative, a partire dalle madri, prima di tutto, sempre; tenerezza come supporto alla genitorialità.
Hanno un formato un po’ simile alle storie di Tigrotto e Orsetto le storie di Bris (Lebourg, 2021) un misterioso piccolo personaggio informe e simile a un calzino, creato dalla francese Claire Lebourg. Bris vive in una casa sulla spiaggia, così vicino al mare che il mare a colazione gli entra in salotto. Così prende il caffè su una poltrona-canotto, e aspetta che la marea gli depositi attorno ogni genere di tesoro. Pesci e molluschi vivi vengono rimessi in mare, il resto diventa materia di commercio online, per Bris che si organizza la sua giornata solitaria con disciplina. In questa vita tranquilla però irrompe l’altro: si chiama, scopriremo poi, Baffone. Apostrofa Bris accorciando le distanze con diminutivi del tipo Briscolo o Briscoletto, che al diretto interessato non piacciono neanche un po’. Ha un buffo aspetto, potremo dire che sembra un leone marino, ma in miniatura, vista la proporzione fra lui, Bris e le vongole. C’è un intruso, e Bris inizialmente lo detesta. L’intruso si accomoda in casa di Bris, in un letto, starnutisce, si ammala. A quel punto, il bivio, la scelta: Bris decide di curarlo, e lo fa benissimo. Con una zuppa, tanta pazienza, dedizione e tempo. In questo e negli altri volumetti che raccontano le storie di Bris, nuovamente, tenerezza e ironia sono elementi inscindibili e permeano l’intero racconto e le figure.
4 Ogni cosa è possibile: il gioco, il silenzio, il racconto e il mutamento nelle storie illustrate
Possiamo praticare esercizi di sguardo e di ascolto, dando voce ai lettori (non solo ai bambini) in modi speciali con quei libri che raccontano storie solo con le figure, chiamati anche silent book (Terrusi, 2017, 2024). Tre i titoli che, in questa selezione minima, invitano a sperimentare la lettura di testi esclusivamente visivi. Uno è Autunno (Berner, 2018) uno dei quattro capolavori della serie delle stagioni della pluripremiata autrice tedesca (FIG. 7).
Il grande cartonato è un romanzo polifonico a figure, un’occasione straordinaria per esplorare narrazioni del mondo con i bambini, per creare conversazione e dare spazio ad ogni voce. Ogni dettaglio ha ragione d’essere in queste pagine strabilianti per perizia illustrativa e ricchezza di particolari: ogni elemento, ogni personaggio ha il proprio posto in una città brulicante di vita e affollata. Piccoli, grandi, animali, mobili e immobili, tracciano traiettorie con le loro vite e i loro movimenti, e li seguiamo e riconosciamo, pagina dopo pagina e non solo, volume dopo volume, in una continuità che vede il libro come porzione di mondo in dialogo perenne con gli altri testi e con il mondo là fuori. La postura della lettura stessa qui, nell’esperienza di confronto con il libro, ne esce stravolta: l’adulto deve pazientare, frenare interpretazioni (di solito riduttive), autenticamente guardare e cercare ricorrenze, indizi, sorprese, essere complice, non guida, disporsi alla flessibilità e allo spaesamento, vedere con altri occhi e abbandonare la pulsione di controllo. Lasciare spazio, tempo, rilassarsi perché di scritto non c’è nulla. Si tratta di libri che invitano alla tenerezza che dispone all’ascolto di altre voci, altre lingue, altre competenze, dunque profondamente rivoluzionari e inclusivi.
Un secondo libro senza parole di un autore scomparso recentemente alla veneranda età di cento anni, Attilio, è Meglio insieme (Attilio, 2023) (FIG. 8).
Nel segno grafico essenziale di un autore molto vicino ai lettori della prima infanzia, sono due i cuccioli in una gabbietta; solo uno viene prelevato e portato, da un umano dotato di scarpe con i tacchi, in una casa umana. Là una bambina, ne vediamo solo le gambe visto che l’illustrazione ha un taglio ad altezza-cucciolo, mostra di occuparsi del cagnolino, ma questi non mangia, non gioca, non risponde, è immobile, ritratto. Lacrime cadono dall’alto, sui piedi della bambina. Il dramma può risolversi solo con un atto fisico, che segue all’intenzione tenera che comprende la necessità dell’altro. Piedi adulti e bambini si dirigono verso il bordo sinistro della pagina, nella grammatica delle figure significa che tornano indietro per prendere il cucciolo rimasto indietro: i due cagnolini si ricongiungono infine gioiosamente, si fanno le feste, esprimono la gioia nel salto e così comincia la nuova vita insieme. Un piccolo libro senza parole può condensare tanti temi cruciali, aspettative, proiezioni, diritti e desideri. Ricordarci che senza cura, senza la tenerezza che abbiamo ricevuto, e che riceviamo, non saremmo qui e non saremo qui. Da ultimo citiamo un libro che è una magistrale celebrazione della capacità infantile di esplorare ogni soglia, anche la morte, con tenerezza, dignità e umorismo attraverso il gioco. Tutti i cari animaletti (Stark, 2022) (FIG. 9) racconta di una piccola impresa funebre, istituita da tre bambini annoiati in un pomeriggio d’estate, in occasione del ritrovamento di un bombo morto.
Agli animaletti defunti, di cui a quanto pare è pieno il mondo, i bambini dedicano da quel momento in avanti riti dignitosissimi e pieni di poesia, gesti di cura per ogni dettaglio, funerali con lacrime vere e poesie di occasione che tolgono il fiato per la bellezza, fra cui quella citata in apertura di questa sezione. I lettori si ritroveranno gli occhi pieni di quelle specialissime lacrime che sgorgano davanti alle opere capaci di esplorare e suscitare le emozioni miste, il riso e il pianto insieme, la tenerezza profondissima e l’ironia dissacrante che rendono ogni cosa vivibile, viva e piena di senso, la sacralità e l’ammirazione per la capacità poetica dei bambini, per quella tenerezza dinamica e profondamente generativa che è nucleo essenziale della nostra umanità.
Le storie, le narrazioni, i libri illustrati per i bambini contengono anche questo segreto: fra il piccolo e il grande, e persino fra visibile e invisibile, fra qui e altrove, fra vita e morte, c’è riconoscimento, c’è gratitudine, c’è relazione autentica, quando c’è tenerezza, quando c’è attenzione per soffermarsi su ogni incontro, per chiederci chi siamo mentre continuiamo noi stessi, respiro dopo respiro e oltre, a mutare, attuando la nostra ulteriore metamorfosi.
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