Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.28 n.69 (2024), 1–4
ISSN 1825-8670

Vite “difficili”. Prospettive nazionali e internazionali sull’educazione in carcere

Alessandra AugelliUniversità Cattolica del Sacro Cuore (Italy)

Ricercatrice in Pedagogia generale e sociale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Sede di Piacenza. Per 15 anni ha lavorato come insegnante Cpia 5 di Milano nelle sedi carcerarie di San Vittore e dell’IPM “Beccaria”. Svolge da diversi anni formazione rivolta a diverse figure educative, tra cui funzionari giuridico-pedagogici ed educatori nell’ambito del disagio adolescenziale.

Caterina BenelliUniversità degli Studi di Napoli “Federico II” (Italy)

Professoressa associata in Pedagogia generale e sociale presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università Federico II di Napoli. Tra i suoi focus di ricerca: pedagogia penitenziaria, pedagogia narrativa e autobiografica, pedagogia dell’inclusione. Dirige la rivista in open access “Autobiografie. Teorie, pratiche, esperienze” (Mimesis Journal).

Pubblicato: 2024-08-08

Difficult Lives: National and International Perspectives on Education in Prison

Il dibattito nazionale sul sistema penitenziario e sui fenomeni ad essi connessi (sovraffollamenti, suicidi, maltrattamenti, aumento della violenza e problematiche psichiche1) è vivo, anche se sembra di competenza e di interesse di pochi. Spesso le discussioni si attestano attorno a movimenti d’opinione che sfumano in fretta e che non approfondiscono i motivi profondi dei fenomeni o che non ricostruiscono uno scenario d’insieme più complesso e sfaccettato. Il rischio è, in questo caso, di cadere in argomentazioni fortemente polarizzate e condizionate da correnti partitiche o da urgenze storiche: pensiamo all’abolizionismo e al conservatorismo che vengono invocate puntualmente rispetto ad episodi e contingenze specifiche nonché a proposte di legge e decreti.

Aprire un terreno di studio e argomentazione socio-educativa ci pare, allora, quanto mai importante nel nostro panorama attuale per “smarcarsi” da queste correnti e per lavorare più a fondo e più a lungo su una dimensione di vita che riguarda il vivere comune e che ci interroga profondamente sia come persone e cittadini, sia come educatori e pedagogisti.

In tal senso vogliamo ribadire a gran voce, riprendendo le parole e l’esperienza di Piero Bertolini, pedagogista ed educatore, direttore per dieci anni (1958-1968) dell’Istituto di osservazione e di custodia preventiva “C. Beccaria” di Milano:

la pedagogia in quanto tale ha una sua specifica parola da dire, e dall’altro sul conseguente desiderio di contribuire ad un più meditato e dunque più valido inserimento della stessa pedagogia nella concreta opera di recupero e di riadattamento dei vari soggetti in difficoltà (Bertolini, 1968, pp. 5-6, corsivi nostri).

Piero Bertolini avviò e sostenne una grande attenzione, costituendo il presidio della pedagogia in ambito penitenziario: pensiamo che abbia senso e valore raccogliere questo importante testimone e portarlo con cura nei contesti attuali, facendo sì che le riflessioni e le esperienze trovino sempre più spazi di condivisione e di contaminazione. Un Maestro che ci accompagna e ci guida per riflettere, approfonditamente, sulla questione penitenziaria e la sua complessità in contesti di reclusione diversi.

Anche se il carcere continua ad essere confinato logisticamente e strutturalmente, l’intenzionalità educativa ci porta a lavorare costantemente perché si superi quella “linea di demarcazione tra «noi» e «loro», fra gli «onesti» cioè e i «delinquenti», i «cattivi», i «perversi», ecc…” (Bertolini, 1968, p. 5) e perché i luoghi di detenzione possano diventare sempre più contesti porosi e si vivano come territori abitati, parte attiva della comunità.

Ciò va promosso non per un puro ideale buonista o umanitario, ma perché, secondo la prospettiva bertoliniana, l’attenzione alle persone recluse e che vivono la pena della detenzione può concretamente aiutarci a recuperare e riprendere con maggiore vigore, profondità e senso i fondamenti dell’impegno educativo in modo trasversale: “la pedagogia del ragazzo difficile non differisce nelle sue linee essenziali, ossia nei suoi principi e nei suoi orientamenti fondamentali, dalla pedagogia del normale” (Bertolini, 1968, p. 9).

Si tratta, dunque, di cogliere le specificità della sfida che le “divergenze” dei percorsi difficili ci pongono, ma al contempo osservare quanto queste specificità possono portarci a irrobustire alcune consapevolezze e a disseminare di attenzioni efficaci e di strumenti puntuali ogni percorso educativo nella sua “normalità”. Dice a tal proposito Piero Bertolini:

Il processo rieducativo altro non è se non la realizzazione di un processo formativo normale, pur con delle differenze importanti per quel che concerne il ritmo del suo procedere. (…) Il ragazzo difficile porta con sé un materiale d’esperienza gravemente compromesso, ovvero ha una storia personale senza dubbio assai pesante. (…) in ogni caso la problematica educativa rimane in ogni caso rivolta al futuro. L’inizio di un trattamento rieducativo avviene in un tempo assai ritardato rispetto all’inizio della normale educazione. (…) E non c’è nulla di più ostico per l’uomo, nella cui natura è sempre presente qualcosa che si oppone alla sua elevazione e alla sua spiritualità, che il dover rimettere in gioco, rivedere, modificare i propri convincimenti e le proprie idealità soprattutto quando essi si siano in qualche modo già standardizzati (…). Ecco perché il ritmo dell’incedere educativo è più «drastico» (Bertolini, 1968, p. 87).

La “drasticità” e l’impegno educativo che si fa più forte nei casi di storie accidentate trova nell’apertura e nella tensione al futuro quella comunanza di intenti e di prospettive con ogni tipo, spazio, modo di intervento educativo.

Definire e orientare i processi rieducativi ci porta a riflettere sui principi e sulle direzioni di senso dei processi educativi in generale, per il focus prioritario che portano in un contesto, come quello penitenziario, attraversato da contributi disciplinari diversi: infatti, “se è vero che i vari e molteplici mezzi e metodi di cura e di trattamento dei soggetti che qui ci interessano non debbono essere unicamente pedagogici, è pur tuttavia vero che proprio questi sono gli essenziali” (Bertolini, 1968, p. 7, corsivi nostri). Riportare alla luce, dunque, la caratterizzazione essenzialmente pedagogica di ogni descrizione e apporto dentro e fuori dal carcere, volto alla prevenzione, al miglioramento della vita dei soggetti difficili e alla loro piena partecipazione alla vita comunitaria, è quanto mai urgente e prioritario.

Il Focus che qui presentiamo, dunque, si pone in questo solco di riflessioni e di richiami e vuole segnare un passo importante per riprendere l’eredità preziosa di Piero Bertolini e di quanti come lui in questi anni hanno coltivato studi e ricerche in tal senso con motivazione e costanza. Accogliendo riflessioni teoriche e rielaborazione di buone pratiche a livello nazionale e internazionale, intende far luce sull’attualità e sulle ricadute delle intuizioni della pedagogia fenomenologica in merito alla lettura e al recupero dei fenomeni “devianti” e di marginalizzazione sociale, rilevandone la valenza anche rispetto all’età adulta: essa ci invita ad uscire da logiche causalistiche e deterministiche e ad ampliare lo sguardo sulla complessità, cogliendo legami tra le disuguaglianze sociali e le forme di esclusione, tra gli sviluppi dei processi migratori, le dipendenze e i circuiti penali, ecc…

Incrinare e decostruire le forme di istituzionalizzazione totale e di reclusione come chiusura è possibile solo sostenendo percorsi di senso e rifondando le condizioni di partecipazione e di cura della comunità.

In questa cornice incontriamo il contributo di Mario Schermi e Alessandra Augelli, in cui una rilettura della prima opera di Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, funge da lente interpretativa per osservare nel vivo delle urgenze educative contemporanee, segnate da vecchi e nuovi disagi. Gli autori si interrogano sull’esperienza vissuta della pena e sulla necessità di coltivare quel margine educativo possibile proprio di questo “attraversamento” esistenziale; e, al contempo, vogliono far luce sui rischi propri di una forma di educazione che si mescola alla punizione: la manipolazione, la violenza, l’assoggettamento, la dipendenza, ecc…

Caterina Benelli e Elena Zizioli attraversano il tema della salute mentale in carcere prendendo in esame il caso dell’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, nella provincia di Messina: un Istituto attraversato da una storia complessa che narra la condizione della salute mentale in carcere conosciuta per fatti di cronaca e relativa inchiesta parlamentare. Un contributo che accende i riflettori sulla relazione tra carcere e psichiatria: una delle tematiche più urgenti e presenti in area penitenziaria e che mette in dialogo le riflessioni pedagogiche con l’opera di Franco Basaglia, maestro della psichiatria democratica.

Luca Decembrotto e Sergio Grossi esplorano nel loro articolo gli effetti di disabilitazione sociale causata dal carcere, analizzando come questa istituzione possa esacerbare le condizioni di disabilità già esistenti o crearne di nuove, intensificando i processi di emarginazione e aumentando le disparità nella società. L’analisi richiama a una riflessione critica sulla funzione sociale e sulle pratiche delle istituzioni carcerarie, proponendo un approccio più inclusivo.

Del Pozo Serrano, Cantero e López ci offrono un’apertura interessante sull’esperienza socio-educativa spagnola del sistema penitenziario: ricostruendo il quadro della situazione spagnola in termini di inquadramento legislativo e di condizioni effettive attuali, fanno luce sulle proposte rieducative presenti e sui principi professionalizzanti che possono guidare le buone prassi di intervento socio-educativo in carcere (comunità, partecipazione, consapevolezza, liberazione, autonomia e olismo)

Elisabetta Musi, infine, porta un contributo sull’istituto di “messa alla prova” e sul suo valore civico e rieducativo: attraverso di esso gli autori di reato hanno la possibilità di realizzare percorsi finalizzati al cambiamento e alla rilettura critica dei propri comportamenti e, al contempo, verifica anche le competenze, la tenuta, la responsabilità di chi accoglie. L’accoglienza, infatti, di queste persone in attività e progetti di carattere (ri)educativo costituisce una sfida importante per enti e associazioni che scelgono di accompagnare e orientare l’esperienza: si esplorano alcuni snodi attraverso la rielaborazione di un percorso formativo e di una ricerca con associazioni che accolgono le persone messe alla prova.

Tutti i contributi sono accomunati dalla rilettura dell’opera bertoliniana alla luce delle nuove urgenze e dalla ricaduta concreta rispetto ai vissuti esperienziali dei soggetti che abitano il mondo penitenziario, coltivando la speranza e il desiderio che i riflettori – almeno quelli pedagogici – non impediscano mai di far luce sul carcere e su temi così delicati, talvolta scomodi come quelli delle “vite di scarto” di baumaniana memoria.

Affrontare il tema dell’educazione penitenziaria, nelle diverse declinazioni, rappresenta per noi un dovere sociale e politico e, allo stesso tempo, l’appartenenza ad un’area privilegiata di ricerca pedagogica e di intervento educativo e sociale.

Riferimenti bibliografici

Antigone, XIX rapporto sulle condizioni di detenzione. https://www.rapportoantigone.it/diciannovesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/carcere-e-salute-mentale/

Bauman, Z. (2004). Vite di scarto. Bari: Laterza.

Benelli, C. (2012). Coltivare percorsi formativi. La sfida dell’emancipazione in carcere. Napoli: Liguori.

Bertolini, P. (1964). Delinquenza e disadattamento minorile. 16a ricerca sulla scuola e la società italiana in trasformazione. Bari: Laterza.

Bertolini, P. (1968), Per una pedagogia del ragazzo difficile. Bologna: Malipiero.

Bertolini, P. (2005). Ad armi pari. La pedagogia confronto con le altre scienze sociali. Torino: Utet.

Bertolini, P. Caronia, L. (2015). Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento. Milano: FrancoAngeli.


  1. https://www.rapportoantigone.it/diciannovesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/carcere-e-salute-mentale/↩︎