Due sostantivi salgono alla mente dopo la lettura di questo libro. Da una parte l’Autore ci lascia un’idea di grande saggezza, di profondità di pensiero, di capacità magistrale di condurre i ragionamenti. Dall’altra, resta un’idea di leggerezza: una scrittura che si confonde con la natura stessa tanto è leggera, ariosa, corroborante e multiforme. Un po’ come quando, da ragazzi, d’estate, si giocava a correre dentro ai campi di grano alto, dove non si pensava a nulla, se non alla bellezza del grano, a quella sensazione di opulenza, di infinito, di giallo odoroso che si diffondeva ovunque, come avere l’universo a disposizione.
Com’è accaduto con molti altri suoi libri, Duccio Demetrio con La natura è un racconto interiore riesce ad anticipare idee e posizioni pedagogiche e filosofiche. Traccia percorsi epistemologici e operativi nuovi, che poi i lettori, gli studenti, gli educatori, i docenti e gli studiosi potranno fare propri e seguire nei loro itinerari di vita, di studio, d’insegnamento e di formazione. “Scrivere è non dimenticarsi del mondo”, dice l’Autore (p. 31), e da questo assunto iniziale prende avvio un libro davvero molto bello e destinato a entrare nelle scelte di lettura e nei percorsi formativi più vari perché è uno strumento culturale e metodologico per diffondere un’educazione ambientale non solo tecnico-scientifica.
Infatti, il libro contiene moltissimi rimandi letterari, poetici, filosofici, pedagogici volti a definire l’idea che è importante guardare alle sorti del pianeta non tanto per seguire un pensiero comune e generico, ma “da dentro”, cioè, mettendo al centro la coscienza, la consapevolezza e la riflessione. Lo sguardo della scienza è sì importante per descrivere e conoscere la natura, ma la nostra conoscenza di essa sarà diversa se noi stessi sapremo osservarla con lo sguardo della meditazione e della concentrazione silenziosa, due atteggiamenti che predispongono alla scrittura.
Demetrio auspica un movimento ecologico che sappia guardare alla natura anche grazie alla mediazione della poesia, della pittura, del cinema, perché la diffusione di una cultura orientata in direzione autobiografica consente di dare un contributo alla comprensione dei problemi ecologici. Amare la natura scrivendone significa volerne esaminare le forme e i fenomeni, ma anche far sì che la natura stessa entri di più a far parte della nostra vita. La scrittura è un modo per non separarci dalle cose e fortificare la consapevolezza che facciamo parte di esse.
La natura è un racconto interiore è un libro filosofico e, ancor meglio, di filosofia dell’educazione. Affascina qualunque lettore (non solo gli studiosi o gli specialisti) per la ricchezza e la potenza lessicale e concettuale; per la profondità delle teorie che espone e per il tono partecipato e appassionato che l’Autore imprime come un timbro o come un sigillo costante in tutte le pagine e in tutti i capitoli. Eppure, è allo stesso tempo un “libro d’azione”, che intende aiutare i lettori nella presa di coscienza ecologica e nella difesa dell’ambiente. Anche per questo il libro è profondamente innovativo. È in linea con i movimenti ambientalisti e di difesa della Terra, ma coniuga i principi dell’ecologia con un approccio pedagogico di chiara impronta fenomenologica.
È giusto battersi per la green economy, per la bioagricoltura, per avere leggi che si oppongano alla devastazione dei paesaggi; ma chi si occupa di educazione ha un compito in più: aiutare a comprendere le ragioni profonde dell’attaccamento e dell’affezione che chiunque sente di avere verso la Terra, ma che poi – inevitabilmente – sono diverse da persona a persona. Di fatto, la natura quasi sempre è lo sfondo delle nostre storie personali e di educazione e rappresenta uno dei possibili modi per situarci nell’esistenza.
Da ciò segue che l’approccio narrativo (secondo il quale ci muoviamo nel mondo interpretandolo attraverso le nostre facoltà di raccontarlo e ricondurlo a storie) deve includere anche le questioni ecologiche e ambientali. L’invito di Demetrio è di “raccontarla”, la natura. Lo si può fare in tanti modi: per esempio con le memorie dei primi incontri infantili riconducibili alla terra; oppure recuperando le memorie di coloro che ci hanno parlato di essa; o anche ponendo attenzione a ciò che trasmettono in forma anche metaforica i miti, le cosmogonie dei popoli e gli episodi delle religioni che hanno avuto (e hanno) al centro la natura. Le storie che potranno ispirare i nostri racconti sulla natura incrociano i temi del mistero della vita e spesso pongono domande filosofiche alle quali è difficile dare risposte.
Il libro sviluppa la prospettiva ermeneutica e fenomenologica che indirizza a procedere secondo il binomio fare e descrivere (una prospettiva cara, fra l’altro, a Piero Bertolini) e inaugura l’espressione fondativa green autobiopraphy che descrive un campo d’azione e di pensiero vasto e ben definito. Sono “autobiografie verdi” le scritture di coloro che raccontano del contatto con una natura che dona lavoro, piacere, curiosità, bellezza; lo sono anche le scritture che consentono di dialogare con noi stessi di fronte alle meraviglie naturalistiche, in modo da far aumentare la nostra consapevolezza ecologica e renderci ancor più convinti della necessità di difendere la Terra. L’amore per la natura, se testimoniato anche dalla nostra intenzionalità a scrivere di essa, si può tradurre poi in azioni concrete in sua difesa, di carattere pedagogico, in aperto contrasto con coloro che (per indifferenza o per ricerca del profitto) deturpano la Terra (e talvolta la devastano).
“Scrivere verde” vuol dire molte cose. In primo luogo, significa dare un nome a sensibilità e a emozioni profonde che possiamo contribuire a diffondere sulla natura, come elemento importante della nostra biografia: essa è parte di noi, ne condividiamo le sorti con il corpo, i sensi, il respiro. E così l’esercizio di tenere diari dei nostri contatti rispettosi della vita delle piante, degli animali, di ogni forma vivente, dei territori, dei fiumi consente di trattenere meglio nella memoria le nostre impressioni. In tal modo potranno essere condivise con altri che abbiano in comune le nostre stesse passioni oppure (al contrario) con chi non ne condivida il senso e -anche attraverso i nostri scritti, forse- possa guardare in modo più attento alle sorti del pianeta.
“Scrivere verde” significa anche diventare biografi della natura, che certo non ha parole, ma sa scrivere e mostrare a suo modo trasformazioni e fragilità; fasi e passaggi; vittorie e adattamenti; rinascite inattese e sconfitte definitive; letarghi lunghi e rinnovamenti completi; storie di nascita e di morte. Diventare biografi della natura significa dare un piccolo contributo almeno al racconto di una porzione di mondo. La scrittura infatti trasforma i paesaggi in una realtà alla quale aggiungiamo qualcosa che essi non possiedono; doniamo loro sentimenti, emozioni, colori che ricaviamo dalle nostre tonalità emotive.
Le “autobiografie verdi” appartengono al genere delle eco-narrazioni: cioè scritture dedicate agli ambienti naturalistici, ai giardini, ai boschi, alle montagne, ai paesaggi desertici, selvaggi, marini. Possono essere: diari, resoconti di viaggio, descrizioni di attività agricole, di lavori negli orti e di coltivazioni; racconti che parlano di animali, di specie arboree e marine; storie che narrano di pietre, rocce, fossili, minerali. Rientrano in questo genere anche le scritture saggistiche, giornalistiche, documentaristiche, mediatiche, scientifiche che diffondono storie, buone idee e esempi per far nascere o per far maturare la consapevolezza ecologica. Sono tutte scritture che trasmettono un’etica con al centro non solo l’uomo e i suoi bisogni, ma il pianeta e il cosmo; sono scritture nelle quali la Terra è un organismo vivente e come tale soggetto di diritti. La cura per la natura non ha bisogno solo di tradursi in un impegno ecologista: per consolidarlo e condividerlo al meglio sono necessarie scritture diverse e anche autobiografiche.
Nel libro Demetrio riporta moltissimi esempi. Troviamo rimandi sempre motivati e spiegati a brani e poesie dei più diversi autori (Prevért, Yeats, Goethe, E. Dickinson, Rilke, Rimbaud, Hesse…); troviamo frequenti riferimenti a opere immortali di autori classici (le Bucoliche e le Georgiche di Virgilio, le Metamorfosi di Ovidio, i Frammenti dei Lirici Greci…); troviamo citazioni tratte da testi narrativi di scienziati (il botanico inglese Robert Mabey, il fisco Carlo Rovelli…) e di filosofi (Rousseau, Thoreau, Augé, Morin…). Ma al di là di tutto questo, il libro si fa ricordare per due tratti originali che muovono propriamente da una intenzionalità autobiografica. Contiene infatti tredici tavole a colori che riportano altrettanti grandi quadri a olio dipinti dallo stesso Demetrio che rappresentano le colline che lui stesso vive e ama, di varie zone dell’Umbria e della Toscana, “raccontate” con uno stile molto personale e con un uso sapiente del colore e della luce. Infine, nel penultimo capitolo del libro, l’Autore si mette alla prova: seguendo le sue stesse indicazioni di metodo, che ha fornito ai lettori durante tutto il libro, inizia lui stesso una prima traccia di una sua autobiografia verde. Un bellissimo esperimento riuscito: di grande leggerezza e di grande saggezza.