Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.29 n.71 (2025), I–III
ISSN 1825-8670

Pensieri e parole a proposito di una “Pedagogia laica”

Roberto FarnéAlma Mater Studiorum Università di Bologna (Italy)

Pubblicato: 2025-04-15

Il 21 marzo 2025 si è tenuto all’Università di Verona il convegno “Per un’agenda della Pedagogia Laica. Una ricerca partecipata di Temi, Prospettive, Responsabilità”. Un punto di partenza per avviare una elaborazione comune sulla identità di una Pedagogia laica nel tempo presente, e per quello futuro. Questo editoriale intende essere un contributo per la riflessione e la discussione.

All’inizio degli anni ottanta Franco Battiato lanciava la canzone, di cui era autore insieme a Giusto Pio, Centro di gravità permanente. Nel testo il cantautore dichiara di cercare “un centro di gravità permanente / che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente”. Qualcosa di cui forse si sente il bisogno in un tempo dove le ideologie si sono frantumate, la società è diventata liquida, “Dio è morto, Marx pure, e anch’io se ci penso non mi sento troppo bene” come ebbe a dire Woody Allen. La Pedagogia può permettersi di non avere punti di riferimento orientativi? non dico un “centro di gravita permanente”, ma qualcosa di solido, poiché nessun educatore o pedagogista di buon senso pensa che l’educazione sia neutra, asettica, anomica.

A questo ho pensato ponendomi il problema di quale identità abbia oggi la “Pedagogia laica”, posto che abbia una identità. Nel recente passato, per almeno cinquant’anni, il mondo della pedagogia e dell’associazionismo educativo è stato segnato dalla divisione fra “Cattolici” e “Laici”. Nel campo della pedagogia accademica questo significava, per esempio, riconoscere una sede universitaria come connotata da una identità prevalentemente laica oppure cattolica; nei concorsi universitari formare commissioni a maggioranze variabili fra laici e cattolici ecc. Poco importava, in realtà, che fra i “cattolici” ci fossero molte persone culturalmente, scientificamente laiche, e che fra i “laici” ci fossero professori di fede cattolica. Senza che questo significasse iscriversi a liste o fare pubbliche dichiarazioni, era così in base ad una scuola di provenienza nella quale ci si era formati e alla quale di fatto si aderiva e che, con un certo gentleman agreement, ha consentito ad ognuna elle due identità di difendersi nel rispetto dell’altra.

Insomma, questo rivestimento consentiva di avere non uno ma due “centri di gravità” che sono stati permanenti finché il mondo non è cambiato, sono venute meno le condizioni sociali e culturali che davano senso a quella permanenza. Oggi (e da tempo) non è più così e continuare a sostenere in quei termini l’esistenza di una “Pedagogia cattolica” e di una “Pedagogia laica” (in quei termini, sottolineo) è non solo una finzione, ma anche un anacronismo scientifico.

L’articolo 33 della Nostra Costituzione afferma “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, dunque: massima libertà di esprimere il proprio orientamento scientifico e didattico in senso cattolico o in senso laico, fatti salvi i principi sanciti dalla Costituzione, che chiedono di essere da tutti rispettati. Non so dire se oggi esista una “Pedagogia cattolica”, considerando la varietà di culture che il mondo cattolico esprime e che, pur se hanno una comune matrice, hanno spesso assai poco in comune sul piano dei modelli ideali e sociali. Così come nutro dubbi sul fatto che esista una “Pedagogia laica”, che tradizionalmente voleva dire non-cattolica, ma se oggi quel mondo cattolico è di fatto pluri-identitario, quello laico non lo è…?

La parola laico ha significato storicamente essere libero da vincoli di obbedienza/sottomissione all’autorità religiosa e al suo credo sul piano culturale e ideologico. Nella storia moderna e contemporanea quel termine si è declinato su altri ambiti di libertà. Nell’Università c’erano e ci sono pedagogisti laici totalmente fedeli al credo marxista o a quello liberista o laicista nel senso proprio di anticattolico. Era laico Giovanni Gentile, e la sua riforma della scuola fu definita la più fascista delle riforme. Se non è una pedagogia libera quella cattolica, allora sono anche altre le pedagogie che risentono di scarsa libertà, di altre soggezioni.

Più semplicemente non dovremmo riconoscere, tutti, che la pedagogia è laica a prescindere? Non nel senso in cui la si è definita tradizionalmente, ma perché afferma “L’educazione come pratica della libertà” per usare il titolo di una famosa opera di Paulo Freire. La Pedagogia come scienza libera che non distingue fra chi ha orientamenti di qualche fede, ma fra orientamenti scientifici e culturali aperti al dialogo e al dissenso: ci sarà, c’è, una pedagogia neoidealista, una fenomenologica, una problematicista, una personalista ecc. Scuole di pensiero e di ricerca a cui ogni pedagogista può ritenersi affine, oppure no, di fede cattolica, laica…. In questo senso, il fatto che uno studioso, un ricercatore in campo pedagogico abbia una propria identità ideale o ideologica o religiosa non è una categoria che pre-giudica la sua ricerca, perché ciò che vale è la sua intrinseca qualità scientifica dove ognuno potrà esercitare una critica a sua volta rigorosa e non pre-giudicata. Ciò che da tutti andrebbe rifiutato è il dogmatismo, di qualunque specie, perché è antiscientifico, compreso il dogmatismo scientista.

Detta così, questa idea di “laicità” potrebbe (forse) essere condivisa da tutti, nient’altro che un principio costituzionale: libera scienza in libero stato. Peraltro, gli stessi pedagogisti di matrice cattolica penso si sentano liberi e non costretti. C’è però un aspetto che bisogna considerare e qui torno al principio del mio discorso: laicità vuol dire quindi neutralità? Rinuncia a qualcosa che sia un “Centro di gravità” ancorché debole e aperto? Laicità vuol dire che tutto va bene ed è relativo? Ecco, io non credo questo.

La pedagogia non si limita ad essere una scienza descrittiva, essa è anche normativa poiché l’educazione non la osserva da fuori ma da dentro, la progetta, la applica e ne verifica i risultati. In altre parole, a differenza delle altre scienze dell’educazione, la pedagogia è chiamata a “sporcarsi le mani” con l’educazione per cui, come ebbe a scrivere Riccardo Massa: “L’educazione è anche una sporca e triste faccenda”, dove è necessario prendere decisioni, fare scelte, gestire relazioni spesso difficili. Quella di insegnante è una delle tre professioni pubbliche a cui la società affida il compito di prendere decisioni su altri soggetti, le altre due sono il giudice e il medico, ognuno nel proprio ambito, assumendosi le rispettive responsabilità. E vediamo tutti quanto oggi queste tre professioni siano, su piani diversi, “sotto attacco”.

Va da sé che la competenza pedagogica (scienza e coscienza) ha dei riferimenti con la sfera politica, e che il rapporto far pedagogia e politica sia antico e attuale è più che mai evidente: l’educazione prefigura il futuro, orienta e genera consenso, crea dissenso, apre o chiude ai giovani visioni del mondo. In questo senso la pedagogia è vicina alle scienze politiche, all’economia, alla sociologia, al diritto, con cui dovrebbe dialogare più spesso, mentre tradizionalmente si vive affiliata solo alle scienze umanistiche.

Se così è, allora, la laicità è questione di libertà, di diritti su cui possono esistere visioni diverse dove la questione se essere laico o cattolico ci può essere, ma è secondaria rispetto all’avere una visione ideale e politica su questioni cruciali come una certa concezione della libertà e dei suoi limiti, dei diritti e dei doveri nei numerosi campi in cui questi ambiti hanno a che fare con l’educazione.

Il rischio, altrimenti è che alla vecchia separazione fra pedagogia cattolica e laica si sostituisca quella che vede da una parte una pedagogia politicamente progressista (un termine comunque generico) composta sia da laici che da cattolici, e dall’altra una pedagogia conservatrice (termine ancora generico) anch’essa composta da laici e da cattolici.

Fare qualche esempio può servire. È libera una scuola asservita alle logiche dell’INVALSI? Uso volutamente il termine “asservita” perché tale è la situazione e il disagio che genera. È libero il sistema universitario che nel nostro Paese impedisce di laurearsi in Teologia nelle Università pubbliche statali, come avviene in altri Paesi? La teologia, di qualunque orientamento, non è indifferente al dialogo con la pedagogia.

E ancora: è libera una scuola dove l’80% del personale insegnante è femminile, il 99% nella scuola dell’infanzia, il 95% nella primaria? Forse bisognerebbe agire perché figure maschili si sentano libere di svolgere il mestiere di insegnante. Dico “si sentano” perché di fatto lo sono, ma non la percepiscono come una libertà interessante. L’Italia è il Pese dell’Europa Occidentale con il maggior numero di insegnati donne. Dovrebbe essere la Pedagogia ad affermare l’anomalia di un sistema scolastico totalmente femminilizzato.

Veniamo al tema dei Diritti, un fronte essenziale della cultura laica. I diritti sono belli, si lotta per la loro conquista come ci dimostra la storia passata e recente, e c’è ancora oggi chi muore per affermarli. E i doveri? A chi tocca affermare i doveri? I doveri sono “meno belli” dei diritti, costano fatica ma se disarticoliamo i diritti dai doveri finisce che certi diritti diventano privilegi. Quello straordinario giocoliere delle parole che è Alessandro Bergonzoni, in un suo monologo a teatro esordiva dicendo: “Ci sono i diritti e i doveri. Bene, parliamo dei doveri. Ma dov’eri? Si può sapere dov’eri…?!”. Sì perché di fronte ai doveri pare che tutti si nascondano… Tocca alla pedagogia occuparsi di una sana, necessaria educazione ai doveri e ai diritti tenuti insieme. Che poi vuol dire educare a quel “senso di responsabilità” che è alla base del concetto stesso di cittadinanza attiva. Si dovrebbe allora entrare nel merito su come dare concretezza a una pedagogia dei diritti e dei doveri che non sia quella “chiacchera pedagogica” che ci viene spesso (e a ragione) rinfacciata. Tra cui il dovere di occuparsi dei diritti educativi dei più deboli, degli esclusi.

Quando il governo, qualunque sia il suo colore politico, emana riforme e linee di indirizzo che riguardano la scuola, la famiglia e tutti i settori che toccano anche l’educazione, che idee esprimono e che pratiche promuovono in materia di libertà, diritti e doveri?

Ho fatto alcuni esempi, altri se ne potrebbero fare, ma ciò che importa è uscire dalle affermazioni generali di principio ed entrare nel merito delle forme e delle pratiche educative su cui, se da una parte si chiede di obbedire, dall’altra si può decidere responsabilmente di contrastare e disobbedire. Con buona pace di don Milani, mi sento di dire che l’obbedienza è anche una virtù sul piano educativo, dipende… Ma anche la disobbedienza lo è. È su questi piani che va cercato qualche “centro di gravità”, non permanente, ma neppure effimero, per una pedagogia laica dove nessuno si senta escluso, ma ognuno si senta libero.


 

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