Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.29 n.72 (2025), 75–77
ISSN 1825-8670

Katia Daniele, Il disagio degli adolescenti. Tornare a educare a scuola per promuovere la salute mentale, FrancoAngeli, Milano, ISBN 978-88-351-6245-2, 178 pagine, 2024

Antonella ArioliUniversità Cattolica del Sacro Cuore, Milano (Italy)

Pubblicato: 2025-08-06

Il disagio degli adolescenti quanto ha a che fare con la promozione della salute mentale? E quale può essere il contributo di un’istituzione educativa fondamentale – quale è la scuola – per prevenirne l’insorgenza? Questi gli interrogativi principali dai quali muove il volume di Katia Daniele volto a esplorare – si legge nella quarta di copertina – “il legame cruciale tra il lavoro per la promozione del benessere e il lavoro educativo”. Ciò nella convinzione che il disagio, quale condizione che fa parte inevitabilmente dell’esistenza, sia anche una questione pedagogica, da non relegare nel solo ambito della patologia. Esattamente come il tema della salute mentale. Se con questa espressione, infatti, si intende uno stato di benessere in cui il soggetto comprende le proprie capacità, è in grado di gestire pensieri, relazioni ed emozioni sulla base di un senso positivo della propria identità (come recita la World Health Organization nel documento Comprehensive Mental Health Action Plan 2013-2030), ci si rende conto come tali aspetti coincidano, di fatto, con le finalità che attengono ad ogni processo educativo. Emerge la stretta connessione fra salute mentale e educazione: quest’ultima concorre a promuovere – o ad ostacolare – il benessere dei ragazzi. Allo stesso tempo, in un circolo del tutto virtuoso, la salute mentale consente di affrontare al meglio le esperienze educative: di mettere in atto le personali capacità e di incrementare le proprie risorse.

In linea con tali considerazioni si pone la WHO quando esorta a precoci interventi di health promotion per contrastare l’insorgenza di disturbi psichici e la conseguente medicalizzazione. Interventi che, ad esempio, potrebbero concretizzarsi in programmi educativi sulle life skills e, dunque, sulla formazione affettiva, relazionale ed emotiva nella scuola.

L’educazione (e, nello specifico, l’istituzione scolastica) risulta allora profondamente implicata nella promozione della salute mentale poiché, come specifica Lucia Zannini nella prefazione del volume, “gli adolescenti che hanno già problemi conclamati di salute mentale rappresentano la punta di un iceberg di un disagio diffuso […]. Ma, nella maggior parte dei casi, il disagio rimane sommerso, e non compreso, pur manifestandosi in comportamenti a scuola, in famiglia e nei contesti di educazione non formale” (p. 10).

Da dove deriva questo disagio diffuso? L’interessante risposta di Katia Daniele, suffragata non solo dalla letteratura di riferimento ma anche dalla voce dei ragazzi che ha incontrato, è che la matrice di tale malessere sia ravvisabile nell’esperienza del limite, con la quale ciascuno prima o poi si confronta. Ovvero, nella percezione di uno scarto tra l’identità ambita e quella realizzata; nel vissuto di mancanza e di frustrazione nei confronti dell’ideale di un Sé desiderato, ma ancora incompiuto. Ideale sul quale incidono, nondimeno, le aspettative del contesto familiare, sociale, culturale di appartenenza. E, non da ultimo, la scuola, che da sempre contribuisce alla costruzione di tali attese.

Tuttavia, proprio la scuola e l’educazione rivestono un ruolo centrale rispetto all’esperienza del limite (e, quindi, in relazione al disagio e alla sua prevenzione), giacché attraversare l’esperienza educativa significa fare i conti con se stessi e con la possibilità del fallimento. Significa uscire dalla personale comfort zone ed esporsi all’insuccesso, sperimentando sofferenza e delusione. L’educazione comporta disagio perché introduce al nuovo, all’incerto, all’imprevedibile. Il suo compito non è soddisfare bisogni, compensare mancanze o evitare ostacoli, bensì sostenere i soggetti ad affrontare il malessere che l’esperienza del limite comporta: vale a dire, allenarli a leggere criticamente ciò che accade, per trovare significati anche nelle situazioni più problematiche ed emotivamente critiche. Si tratta di una palestra esistenziale, insomma, dolorosa quanto necessaria.

Dire questo significa sostenere la necessità di integrare, nelle pratiche educative quotidiane, la cura delle “competenze di vita” (p. 122) dei giovani, in un ambiente scolastico capace di stimolarli alla ricerca di senso e, pertanto, di attrezzarli a vivere in modo significativo non solo le situazioni proposte dalla scuola, bensì l’insieme delle esperienze che costellano i loro ambiti esistenziali. La promozione della salute mentale a scuola, dunque, non può risolversi in momenti ‘dedicati’ e estemporanei, connotati dalla straordinarietà. Essa costituisce piuttosto l’effetto collaterale dell’ordinaria esperienza scolastica, purché non sia ripiegata su logiche performative volte a risultati immediati, bensì orientata a “formare soggetti desideranti” (p. 151). Quest’ultimo punto interpella in modo urgente l’educazione, stante ciò che esprimono gli studenti coinvolti nella ricerca qualitativa realizzata dalla Daniele. Essi, infatti, “sembrano propendere verso «l’essere tranquilli» come uno scopo principale, non necessariamente associato alla progettazione del proprio futuro, ma piuttosto all’individuazione di un equilibrio nel presente, apparentemente statico e privo di preoccupazioni, ma anche, purtroppo, di aspettative e desideri” (p. 141). Un segnale che potrebbe essere letto come “un appello implicito alla comunità educativa, inclusi i docenti, affinché si impegnino attivamente nella creazione di esperienze educative che stimolino il desiderio dei loro studenti di pensarsi nel futuro” (ibidem).

E gli insegnanti cosa pensano in merito alla promozione della salute mentale come compito della scuola? Molti docenti credono che questo non attenga al loro lavoro; altri invece sostengono che la scuola debba occuparsi anche del benessere psichico dei ragazzi, tornando a educare (al di là dell’istruire): allestendo cioè esperienze che stimolino i ragazzi a riflettere su quello che vivono, a mettere in discussione giudizi affrettati e superficiali, a esprimere le proprie convinzioni e i personali vissuti emotivi, ma soprattutto a progettarsi nel futuro, facendo sostanzialmente coincidere la promozione del benessere con la “apertura a nuove possibilità” (p. 18) e intendendo l’educazione come pratica atta a dilatare il campo delle esperienze dei giovani. Sul ruolo educativo della scuola l’Autrice si esprime a chiare lettere: “riteniamo che la scuola non debba limitarsi solo a essere un luogo per l’acquisizione di conoscenze, né, tantomeno, di abilità e atteggiamenti in risposta alle richieste sociali. Piuttosto, crediamo che la scuola debba fungere da ambiente di cura e di crescita, dove «curare» assuma il significato di «aver cura» dell’esistenza della persona, lavorando pedagogicamente sul blocco che limita le sue possibilità” (ibidem). Ossia promuovendo una (ri)elaborazione soggettiva e intersoggettiva dell’esperienza.

La sfida che contraddistingue, a mio parere, il lavoro di Katia Daniele è pertanto quella di porre in risalto il grande potenziale della scuola – e dell’educazione – nella prevenzione del disagio dei giovani: non di quello grave (che abbisogna di servizi di salute mentale afferenti al sistema sanitario), bensì del malessere derivante “da esperienze di insuccesso […] e che può esitare in comportamenti di chiusura e di autosvalutazione” (p. 15). E poiché l’ambito in cui si osserva questo disagio non grave – ma non per questo meno preoccupante – è quello scolastico, ciò chiama in causa la responsabilità educativa della scuola, che ha il dovere di prendersi cura della salute mentale in modo continuo e non occasionale (secondo una logica emergenziale), vedendo in questo “un impegno inderogabile” (p. 16).

Dopo una prima parte in cui viene delineato che cosa significhi, oggi, fare esperienza di adolescenza e che cosa si intenda per disagio e salute mentale secondo uno sguardo pedagogico, il testo offre significativi dati empirici derivanti da focus group e interviste con docenti, dirigenti scolastici e giovani delle scuole secondarie di II grado, dando spazio a chi sta sul campo e deve fare i conti, ogni giorno, con le complessità che l’avventura della crescita comporta.