Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.22 n.50 (2018)
ISSN 1825-8670

Estetica, filosofia e pedagogia digitale. Percezione e immaginazione oltre (l’uso delle nuove tecnologie)

Cristina CoccimiglioINDIRE Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (Italia)

Cristina Coccimiglio, laureata presso La Sapienza con una tesi triennale in Estetica sulla questione della tecnica in Jacques Ellul (1912-1994) e una tesi magistrale sul pensiero del filosofo Emilio Garroni (1925-2005). Già assegnista di ricerca in Sociologia dei processi culturali e comunicativi, attualmente collabora con INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa).

Pubblicato: 2018-04-05

Abstract

La tesi che voglio argomentare in questo breve saggio è che l’estetica può offrire, dal punto di vista teoretico, delle chiavi di lettura importanti per ritematizzare percezione, immaginazione, attenzione e immagine, categorie essenziali per riflettere sui cambiamenti che investono le forme e i contenuti del sapere modificati dalle ICT. Dei processi che investono queste categorie si fa carico una moderna pedagogia digitale come quella odierna, che intende valorizzare la centralità degli apprendimenti, basandosi sulla partecipazione, sulla condivisione, sulla personalizzazione e sulla produzione di artefatti digitali.
The thesis I want to argue is that aesthetics can offer, from a theoretical point of view, key interpretations that are important for ritualizing perception, imagination, attention and image, essential categories to reflect on the changes which concern the forms and contents of knowledge modified by ICT. The processes that invest these categories take on modern digital pedagogy like today’s, which aims to enhance the centrality of learning, based on participation, sharing, customization and production of digital artifacts.

Keywords: Technology; Pedagogy; Imagination; Aesthetics; Perception.

1 Premessa

La tecnologia influisce sui processi di produzione di conoscenza e sull’apprendimento1 soprattutto in due modi: dà loro visibilità e contribuisce a modificarli. In entrambe queste azioni è chiamata in causa la categoria dell’estetico, inteso come ambito dell’aisthesis, del sentire, del percepire.

La tesi che voglio argomentare in questo breve saggio è che l’estetica – concepita non come “filosofia dell’arte” ma come riflessione critica sulle condizioni di senso2 dell’esperienza in genere, a partire dalle esperienze determinate che facciamo3 – può offrire, dal punto di vista teorico, delle chiavi di lettura importanti per riconsiderare anche alcune tra le categorie in gioco in vista di una pedagogia basata su partecipazione, condivisione, personalizzazione e produzione di artefatti digitali.4

Per comprendere adeguatamente questi problemi, occorre innanzitutto ripensare percezione (Desideri, 2007, 2011, 2013) e immaginazione – nel loro rapporto con adattamento, conoscenza, comportamento ed esperienza – alla luce di un’estetica (nell’accezione sopra evocata) e più precisamente di una tecno-estetica (di cui si darà subito una definizione). Il presupposto di una tecno-estetica è che

[…] la sensibilità umana, la sua aisthesis specie-specifica, dispone di un’attitudine “naturale” a prolungarsi negli artefatti tecnici che homo sapiens, fin dalla sua prima comparsa, ha adoperato come protesi. L’essere umano sente il mondo ambiente e si sente nel mondo ambiente, con il quale interagisce, in una prospettiva che è fin dall’inizio potentemente esternalizzata nelle tecniche esistenti e da queste altrettanto potentemente orientata. Questa tesi non ha nessuna particolare originalità e si potrebbe argomentare ricorrendo al pensiero di molti filosofi (per es. John Dewey o Walter Benjamin, Jacques Derrida o Emilio Garroni), paletnologi (per es. André Leroi-Gourhan), teorici della cosiddetta mente estesa (per es. Alvar Noe), epistemologi (per es. Francesco Antinucci), psicologi sperimentali (per es. Lev S. Vygotskij o Michael Tomasello), pensatori che hanno interrogato la tecnica sotto un profilo filosofico (per es. Gilbert Simondon o Bernard Stiegler), mediologi (per es. Marshall McLuhan o Richard Grusin) e molti altri ancora. (Montani, 2015, p. 72)

Una messa a punto di questi concetti può risultare utile per riflettere sui cambiamenti che investono forme e contenuti del sapere modificati dalle ICT: si tratta di un compito di cui dovrebbe farsi carico una pedagogia, opportunamente coadiuvata dalla filosofia, che valorizzi la centralità degli apprendimenti nel processo educativo.

L’idea è quella di proporre una mediazione critica capace di suggerire un rapporto più armonico tra pratica educativa e nuove tecnologie, sostenendo l’importanza di una riflessione intorno al “fare tecnico” che non prescinda da uno sguardo interdisciplinare. Il dialogo tra estetica e pedagogia può rappresentare un contributo in questo senso.

Data la triangolazione qui operata con pedagogia e tecnica, l’estetica va declinata come una “esteto-tecnica” o “tecno-estetica”, secondo quella che Gilbert Simondon – il filosofo che ha coniato questa espressione – chiama “fusione intercategoriale” (2014, p. 32). La tecno-estetica descrive una dinamica in cui il rapporto tra essere umano (nello specifico qui discenti e docenti), artefatti digitali – o, come li chiama Simondon, “oggetti tecnici” – e mondo è saldamente mantenuta in una dimensione di continua interazione e implicazione reciproche. Non basta: ciò che è dirimente nel paradigma della tecno-estetica è che queste interazioni e implicazioni reciproche sono possibili solo grazie a una connessione che è peculiarmente umana, quella tra la tecnica e l’aisthesis, la sensibilità. L’aisthesis, nella storia dell’evoluzione umana, è sempre stata connessa con elementi tecnici, con protesi che ci permettono di regolare il nostro modo di percepire e sentire il mondo circostante, oltre che di accedere a livelli di sviluppo e individuazione che vanno al di là di quelli meramente biologici. A questo si riferisce Simondon quando scrive:

Il sentimento tecno-estetico sembra essere più originario rispetto al solo sentimento estetico o all’aspetto tecnico considerato semplicemente sotto l’angolazione della sua funzionalità. (ibidem, 2014, p. 46)

Come si vede, per Simondon la riflessione estetica si deve misurare – in linea di principio e oggi più che mai – con gli effetti della progettazione tecnica della sensibilità. Per molti critici il risultato più rilevante di tale progettazione tecnica della sensibilità consiste esclusivamente in una vistosa riduzione della capacità di “sentire” l’alterità del mondo, il suo costituirsi cioè come il riferimento della nostra esperienza.5 In questa ottica può riuscire significativo affrontare, da una prospettiva filosofica, il problema dei limiti e delle opportunità che derivano, nella fattispecie, dal “commercio” con la dimensione interattiva delle ICT, riflettendo sul senso dei processi, delle facoltà e dei dispositivi coinvolti nei processi di apprendimento e costruzione di conoscenze.

Per meglio chiarire, seguiamo Montani che scrive:

Se è vero che oggi viviamo per lo più in ambienti ad alto tasso di mediazione tecnica (cioè in “ambienti mediali”) con i quali interagiamo sempre più massicciamente grazie a tecnologie wearable o direttamente incorporabili, l’ambito epistemico di una tecno-estetica si candida ad assumere un ruolo di primaria importanza in quanto orizzonte e terreno di coltura di specifiche prestazioni schematiche, analogiche e linguistiche. (ibidem, 2017, p.42)

Queste parole sembrano fare eco a quelle di Simondon:

L’intuizione percettiva fondamentale fa parte di una cultura. Essa agisce alla stregua di un preselettore, che discerne l’accettabile dal non accettabile determinando l’azione che accetta o che rifiuta. (ibidem, 2014, p. 39)

Questa inedita connessione tra sensibilità e tecnica risulta del tutto perspicua solo se compresa a partire da un paradigma di estetica che ne proietta le possibilità oltre i limiti dell’arte e ne valorizza il compito di riflettere sullo statuto della percezione sensibile: è una idea di estetica che recupereremo dal pensiero di Emilio Garroni.

2 Estetica e pedagogia oggi

L’idea di estetica proposta da Emilio Garroni consiste in un esercizio esemplare del pensiero critico, una “filosofia non speciale” che, partendo dal contingente e dal particolare, risale alle condizioni di possibilità, necessarie e universali, dell’esperienza.6 In questa accezione si tratta innanzitutto di una riflessione sulle condizioni che consentono al soggetto, nel corso di un’esperienza, di risalire dal proprio sentire fino al senso dell’esperienza. Si tratta un passaggio dal condizionato alla sua condizione di senso, che non elimina la contingenza dell’esperienza, ma la connette ai suoi necessari presupposti.

La sensibilità umana non è solo ricettiva: al contrario, essa esternalizza le prestazioni dell’immaginazione, realizzando una elaborazione condivisa dell’esperienza, fondata cioè su schemi che possono essere comunicati ad altri soggetti. E, oggi più che in passato, nei processi percettivi è in gioco in modo specifico una elaborazione che ha a che fare con l’apprendimento. Ai giorni nostri, infatti, un consapevole e adeguato uso delle nuove tecnologie, anche nelle aule scolastiche, rende possibile attuare forme di apprendimento di tipo esperienziale, basate sulla libera esplorazione, sull’espressione individuale e sulla collaborazione tra alunni. Grazie a moderni software e al computer è possibile tornare a una modalità di apprendimento per così dire primordiale, quella esperienziale, che comporta non pochi vantaggi (Antinucci, 2001). Ogni discorso odierno sull’estetica implica, dunque, un orizzonte problematico, instabile e multiplo, in cui ogni fatto estetico implica un evento percettivo che rinvii all’esperienza di qualcosa. In esso si intrecciano il filo relativo alla nostra vita percettiva e quello del senso, della connotazione culturale dei significati e di quanto appreso nella vita (e dunque l’orizzonte linguistico categoriale).7

La connessione dell’estetico con l’esperienza risulta quanto mai attuale quando si tratta di educazione, in particolare di quella scolastica: è questo un contesto in cui la modalità di imparare-facendo (e sentendo) sembra poter diventare una via privilegiata, sostenuta dalla riscoperta della didattica attiva e dalle opportunità che essa offre.8 Si è scritto e mostrato varie volte come la scuola si sia tradizionalmente organizzata intorno a una certa modalità di apprendimento, che Antinucci (2001) chiama “simbolico-ricostruttiva”,9 supportata a partire dall’età moderna dalla tecnologia della stampa. A differenza di quelli di origine simbolico-ricostruttiva, gli apprendimenti di origine esperienziale – o “senso-motoria”, come li definirebbe Antinucci – sono accessibili quando si presenta un contesto in cui la pratica sopperisce all’insufficienza dell’espressione di un pensiero e della comunicazione di una conoscenza tramite il linguaggio. Essendo tornato centrale questo tipo di apprendimento, un discorso sull’esperienza estetica e sulla tecno-estetica – non dimentichiamo che si tratta di esperienze pratiche, manuali – ritrova tutta la sua pertinenza pedagogica.

Nel saggio Prolegomeni a un’educazione tecno-estetica (2015) Pietro Montani mette in luce il rapporto tra estetica e tecno-estetica suggerendo la tesi della connessione di quest’ultima con il lavoro dell’immaginazione (che definisce nei termini di uno schematismo tecnico), approdando infine all’analisi della natura mediale delle nuove tecnologie dell’immagine. La fertilità del dialogo possibile dell’estetica con la pedagogia e con la filosofia dell’educazione, a mio avviso, risiede proprio nell’impostazione aperta e in continua evoluzione che caratterizza anche i presupposti da cui muove la sua riflessione, permeata dall’esigenza di rapportarsi all’altro dal pensiero, a ciò che è fuori di esso. Per Montani possiamo dire con certezza (2015, pp. 80-81) che non esiste alcuna pregiudiziale teorica per cui un’educazione tecno-estetica sia destinata a subire l’impoverimento che oggi si tende in modo molto diffuso ad attribuirle. È in gioco una modalità del tutto particolare di intendere l’immaginazione: come dispositivo complesso che provvede alla messa a punto di schemi grazie ai quali la nostra attività cognitiva e il nostro fare pratico e produttivo interagiscono in modo costante, sistematico e creativo con il mondo reale e con gli altri uomini, introducendo quelle che comunemente oggi chiamiamo innovazioni.

Sono due, a mio avviso, i presupposti che Montani fa propri e che sono decisivi in funzione della riflessione che presento in questo lavoro. Si possono esplicitare in questi termini: a) la prestazione interattiva dell’immaginazione può essere indagata in modo giusto solo se si considera che i supporti esternalizzati dell’attività immaginativa (come linguaggio e scrittura) esercitano un feedback con cui l’immaginazione agisce sulle competenze (Vygotskij, 1972) delle quali siamo dotati a priori e che possiamo implementare e scoprire; b) questo feedback potrebbe rivelarsi produttivo a condizione di scoprire nuove competenze. Bisogna dunque evitare il rischio che l’individuo venga totalmente assorbito dagli ambienti associati e dai relativi processi di individuazione (Stiegler, Kambouchner, Meirieu, Julien Gautier & Vergne, 2012).

Ecco che ad esempio il discorso delle competenze, di cui si tratta anche in ambito pedagogico in rapporto agli apprendimenti educativi, e quello della tecno-estetica trovano un interessante punto di convergenza. Ci troviamo di fronte a un’ulteriore conferma della fertilità di un terreno che si trova ai margini di due importanti “discipline” e che vale la pena di provare ad indagare.

L’estetica, in virtù della sua vocazione nei riguardi della percezione e della capacità di tematizzare il rapporto tra sensibilità e strumenti tecnici, può così formulare ipotesi intorno alla questione dei media.10 La nostra sensibilità, secondo le più recenti acquisizioni della ricerca sulla cultura visuale e riprendendo tesi già formulate nel campo degli studi sui mass media, si prolunga in protesi tecniche che la modificano, la influenzano e diventano una mediazione tra noi e la realtà (Grusin, 2017). Oggi il multiverso digitale offre opportunità elaborative nuove rispetto alle immagini: una inedita immediatezza nel loro uso, la possibilità di interagire modificandole, l’accessibilità a un ricco archivio in rete, in continua espansione. Nell’epoca degli schermi interattivi e touch (Carbone, 2016; Casetti, 2015), i media si configurano come archivi11 che raccolgono video, infografica, modellazione 2 o 3 D, simulazioni (Parisi, 2001) e immagini fisse. Maiello a questo proposito:

L’immagine d’archivio oggi è il risultato dell’indicizzazione e selezione algoritmica, del nostro incessante tentativo di conservare il presente, che dà vita a una sovrapproduzione di materiale visivo e audiovisivo, registrazione delle nostre esperienze quotidiane, realizzata con l’unico scopo di essere condivisa, cioè appunto, conservata. (ibidem, 2016, p. 87)

Lo studente non ha più bisogno di un apparato rigido per condividere contenuti, ma si serve di posta elettronica, bullettin boards, social network: gli sono dunque richieste competenze12 molto spesso inesplorate. Da un lato, gli artefatti digitali presentano le caratteristiche della multimedialità e innescano processi di apprendimento che possono dimostrarsi più o meno funzionali; dall’altro, le tecnologie mobili supportano l’apprendimento informale e situato. In questo contesto, diventa centrale l’aspetto della creazione e della creatività,13 altro tema caro all’estetica di tradizione garroniana.

Nel contesto scolastico la sinergia tra augmented reality e wearing technologies configura un nuovo paradigma, che richiede anche al docente di sapere progettare e gestire l’interazione tanto con ambienti reali e simbolici quanto con processi di embodied cognition. Questi ultimi, infatti, stanno gradualmente soppiantando la realtà virtuale, la quale, a essere onesti, nella didattica ha trovato un utilizzo molto limitato. Facendo un passo indietro, la realtà virtuale14 ha rappresentato per anni il vertice della tecnologia dell’immagine, iniziata ventimila anni fa con le pitture rupestri (Antinucci, 2011). Sul versante cognitivo le tecnologie di realtà virtuale, operando una perfetta ricomposizione della sfera senso-motoria condivisa originaria, producono una forma che ricompone le funzioni emotive e cognitive. Indubbiamente ciò permette alla sfera senso-motoria di riattualizzare la condizione, fondamentale sul piano evolutivo, della relazione tra parola e percezione visiva: è possibile15 ampliare, attraverso una tecnologia, lo spazio di interazione verbale con qualcuno che condivide con noi lo stesso mondo visivo senza essere presenti in carne e ossa (Antinucci, 2011, p. 292).

A questo proposito, è opportuno ricordare che la percezione visiva16 va occupando sempre un maggiore spazio a livello cognitivo. Questo non deve indurci nell’errore di concepire la visione come un’elaborazione puramente mentale e interna: la percezione visiva ha una natura innanzitutto motoria; per tematizzarla, dobbiamo chiamare in causa sia il corpo che l’ambiente in cui ci muoviamo. La percezione va semmai concepita come il risultato di un’elaborazione condivisa tra l’interno (la mente) e l’esterno (le operazioni che compiamo). Risulta pertanto pertinente un’interpretazione degli strumenti digitali come protesi per l’immaginazione, ossia come strumenti in grado di “sentire” i segnali provenienti dal mondo al posto degli individui (Finocchi, 2016).

L’attitudine umana a prefigurare tecnicamente un mondo abitabile e vivibile, pensata da Nietzsche in termini di volontà di potenza e divenuta decisiva in Kant, assume oggi una centralità storicamente rilevante: c’è ancora occasione di raccogliere e connettere il dato empirico o le tecnologie digitali lo fanno per noi in modo automatizzato?

Si può ad esempio riconoscere l’emergere di un nuovo paradigma estetico nel dispositivo VRBOX e chiedersi se esso inauguri un processo di selezione e ottimizzazione della sensibilità, oppure se faccia sì che la partecipazione estetica sia in grado di realizzare un dialogo intermediale tra parola, suoni e immagini. È un semplice schermo? O un occhio protesico? Quale utilizzo possibile nella facilitazione degli apprendimenti, in un contesto scolastico? Per Simondon “esiste intorno a ogni prodotto un margine di libertà che permette di utilizzarlo per fini non previsti” (2014, p. 41). Il carattere indeterminato dell’oggetto tecnico lo rende capace di interagire con la realtà esterna: si dà, dunque, flusso di informazioni solo in virtù dell’apertura sistemica delle parti in gioco (uomo e oggetto tecnico). Come spiega Montani:

del rapporto dell’essere umano con gli artefatti, decisivo per la sua sopravvivenza, si possono dare tre interpretazioni fondamentali: a) la tecnica come modo di correggere o integrare le carenze, o i difetti, del nostro corpo e della nostra azione adattativa; b) la tecnica come un modo di delegare alcune attività corporali ad artefatti capaci di svolgere, per noi, una funzione di esonero o di potenziamento; c) la tecnica come empowerment del soggetto umano, vale a dire come realizzazione di una singolare unità di organico e inorganico, capace di scoprire se stessa e le sue potenzialità, solo nel corso di un’effettiva attività. (ibidem, 2017, p.8)

Lo sviluppo dell’oggetto tecnico non va mai al di là dell’uomo: entrambi sono attraversati da processi di individuazione interconnessi. È un rapporto in cui giocano insieme essere umano, oggetto tecnico e ambiente naturale. La partecipazione estetica a questo gioco non fa altro che valorizzarne gli elementi di interazione dinamica. Si aprono qui questioni che riguardano la nostra intuizione percettiva (da intendersi in senso kantiano), le sensazioni, il nostro “commercio” con la realtà tecnica e, prima ancora, le nostre modalità cognitive di apprendimento.

3 Percezione e immaginazione

Come ho già detto, un discorso sull’estetica non può prescindere dall’orizzonte della percezione (intimamente connessa con le forme di apprendimento). Questa è sempre coinvolta in un processo di trasformazione, dovuta all’azione dei contenuti e degli oggetti digitali; è modificata e influenzata da questi ultimi e a sua volta li modifica. È una trasformazione che riguarda l’essere umano.17 Non voglio sostenere l’equivalenza tra percettivo ed estetico, ma ricordare che ogni esperienza estetica riguarda il nucleo percettivo dell’esperienza, anzi, per meglio dire, nei confronti dello sviluppo dell’atteggiamento cognitivo “la dimensione estetica dell’esperienza sta prima, sia in un senso temporale (dal punto di vista evolutivo) sia in un senso strutturale; ed è per questo motivo che tale dimensione meta-funzionale non è mai estinta o ridotta a residuo senza effettiva funzione” (Desideri, Matteucci, 2007, p. 17).18

Per mettere meglio a fuoco il ruolo della percezione, nello specifico in rapporto ai processi di apprendimento, è opportuno soffermarci sull’immaginazione, che – in un modo specifico nell’essere umano, un modo che Garroni definirebbe “specie-specifico” – media tra percezione e linguaggio. Secondo una linea di studi inaugurata da Pietro Montani, l’immaginazione è vista più come una tecnica che come una facoltà. Questo spostamento di prospettiva arricchisce il concetto di “lavoro dell’immaginazione” anche in relazione agli apprendimenti educativi, scolastici in particolare. Il lavoro di questa tecnica,19 che consente l’integrazione, tendenzialmente innovativa, del dato con una certa conformità a regole che non sono già date ma devono essere costruite, può essere pensato come una negoziazione tra l’“immagine interna” dell’esperienza, elaborata dal soggetto (Garroni, 2005), e le sue diverse esternalizzazioni. Perché pensare l’immaginazione come una tecnica? La questione consente di estendere le riflessioni su questo lavoro a quello che viene comunemente definito come ambito delle tecnologie e dei media.

La razionalità per sua stessa natura è immaginativa. La tradizione filosofica ha spesso ristretto il compito dell’immaginazione “a un ruolo di secondo piano, ora perturbante e negativo, ora ausiliario e strumentale” (Castoriadis, 1986, p. 328). Al contrario, essa è fortemente implicata nella costruzione della competenza simbolica. È proprio questa competenza che si rinnova nell’interazione con le nuove tecnologie, nelle quali l’utente ha un gradiente maggiore di opzionalità nelle scelte: ne segue che il modo di apprendimento legato a quelle scelte gli rende presumibilmente disponibile più di una grammatica. Ci occorre dunque un modello di immaginazione pensato a partire dalla convergenza tanto con la percezione-sensibilità quanto con sistemi e dispositivi simbolici.

Garroni (1977) esemplifica l’attività immaginativa tramite il concetto di metaoperatività: homo sapiens è l’unico animale che sa utilizzare uno strumento per costruirne un altro, grazie alla finalizzazione di una capacità creativa che si serve del carattere produttivo dell’immaginazione. Si dispiega così un orizzonte di scopi possibili: ecco il legame con la tecnica.20 Riprendendo la questione e valorizzando ora il ruolo della percezione-sensibilità e il suo rapporto con l’immaginazione, Garroni individua una facoltà molto ampia e diversificata nelle sue funzione, che chiama “facoltà dell’immagine”, a cui affida “la premessa e la garanzia della realtà del significato delle parole del linguaggio” (2005, p. 57). L’ampiezza di questa facoltà e del suo correlato mentale, l’“immagine interna”, è bene illustrata da Garroni nel modo seguente:

Chiamerò complessivamente “immagine interna” sia il precedente di un’immagine (sensazione), sia l’immagine in quanto attualmente prodotta (percezione), sia l’immagine in quanto riprodotta o ricordata-rielaborata (immaginazione), per distinguerle complessivamente dalla “figura” esteriorizzata, per esempio, mediante un disegno. Questi tre momenti o aspetti dell’immagine interna sono strettamente connessi e talvolta addirittura difficilmente distinguibili. (ibidem, 2005, p. IX)

Tra la facoltà dell’immagine e la facoltà del linguaggio esiste un rapporto di implicazione reciproca. Perché pensare, proprio in questo contesto, l’immaginazione come una tecnica? Oggi si profila una trasformazione epocale nei processi del divenire cosciente. Percepiamo con un corpo fatto di protesi. Non era mai successo che tante immagini fossero condivisibili e manipolabili. I nostri ambienti di vita diventano in misura crescente mediali. Questo giustifica la necessità di un approccio antropologico all’immaginazione, quindi di una sua interpretazione in termini di tecnica.

Seguendo la prospettiva del paletnologo André Leroi-Gourhan, possiamo affermare che non esistono tecnologie disancorate da un qualche rapporto con il corpo umano. Egli dimostra come sia il cervello, per così dire, a seguire il corpo, espandendosi e supportando capacità cognitive avanzate come il linguaggio:21 senza una trasformazione della struttura del nostro corpo infatti non avremmo lo sviluppo del pensiero astratto e del linguaggio. L’avventura intellettuale parte dai piedi e non dalla testa. Se in questa prospettiva quelle che Garroni definisce “immagini interne” non possono costituirsi a meno di relazionarsi con protesi esterne, si deve considerare ora ciò che potrebbe avvenire, o sta di fatto avvenendo, con l’intervento di tecnologie digitali che riproducono i processi del divenire cosciente.

4 Prestazione interattiva dell’immaginazione e immagini digitali

Se con Kant ha inizio un modo di pensare l’immaginazione non come fantasia, ma come una facoltà fondamentale nel processo cognitivo, oggi è centrale, alla luce delle considerazioni fatte sul suo carattere tecnico, la dinamica intersoggettiva di questa facoltà, che assume sempre più i tratti di una immaginazione collettiva. Mi riferisco evidentemente alla rete. Il legame con l’ambiente e l’aspetto intersoggettivo giocano un ruolo essenziale nella produzione delle immagini: come risalire i tratti caratteristici di questa nuova forma di immaginazione? Una risposta la otteniamo ipotizzando che la tecnologia digitale riveli possibilità “ontologiche” dell’immagine ancora inesplorate.

In ambito pedagogico si riconosce come l’uso didattico dell’immagine (Landriscina, 2012) si giochi tra i due poli dell’internalizzazione e dell’esternalizzazione. Quando si considera un’immagine didattica si fa riferimento al suo contenuto informativo, servendosi implicitamente di una caratterizzazione molto diffusa fin dall’antichità, quella dell’immagine-copia della realtà. Dobbiamo però confrontarci con un’immagine non soltanto visiva ma anche musicale, poetica, tattile, olfattiva, gustativa, cinestetica. Nancy afferma in proposito:

L’immagine non è la cosa stessa ma la “medesimezza” della cosa presente come tale, è staccata da un fondo e ritagliata in un fondo. Il fondo è la forza dell’immagine, il suo cielo e la sua ombra, non il rovescio della medaglia ma il senso intelligibile come tale sentito direttamente nell’immagine. […] L’immagine è il dire non linguistico o il mostrare la cosa nella sua medesimezza. Questa medesimezza però è non soltanto non detta o “detta” altrimenti: è una medesimezza altra da quella del linguaggio e del concetto, una medesimezza che non deriva né dall’identificazione né dalla significazione (quella di una “pipa”, ad esempio), ma che si sostiene solo da sé, nell’immagine e in quanto immagine. (2012, pp. 41-42)

Bernard Stiegler pensa invece l’immagine dei media digitali e interattivi come uno schermo di scrittura. La vera rivoluzione è rappresentata dall’interattività. Le pratiche interattive sono un fenomeno ben radicato e molto ricco: il cambiamento ambientale nel nostro rapporto con le immagini coinvolge una serie di modalità di “scrittura” dell’esperienza (cartina, mappa, touch screen, GPS). L’interattività non si esaurisce nell’implementazione di un programma stabilito mentre lavoriamo con un dispositivo tecnico, ma prevede e promuove creatività. Essa insieme all’intermedialità, che facilita un’esperienza multisensoriale, istituisce nuove modalità cognitive. C’è interattività dove si può avviare un processo di rielaborazione tra oggetto tecnico, ambiente e essere umano, un processo che eccede le regole prestabilite di un programma.

Nelle simulazioni degli ambienti digitali prevale il non verbale; le nuove tecnologie spingono i giovani ad avviare processi di elaborazione delle loro esperienze sempre più legati all’uso di immagini. Cambia così il nostro rapporto con le immagini, sempre più spesso usate non solo per illustrare ma anche per costruire discorsi. Le stesse tecnologie digitali mostrano ciò che le immagini possono fare, rivelandone la struttura ontologica. Nell’apprendimento, l’immaginazione ha un ruolo fondamentale nel passare dalla conoscenza astratta alla vita pratica; l’utilizzo adeguato di uno spazio digitale è, dunque, un problema educativo.

5 Conclusioni

Oggi i processi cognitivi hanno raggiunto un livello di esternalizzazione mai realizzato prima dagli esseri umani. Da un certo punto di vista l’esperienza22 è canalizzata, regolata, instradata: sembra che la possibilità effettiva di ampliare il campo dell’esperienza complessiva non aumenti. Possiamo chiederci quindi se un allargamento di accessi alla realtà corrisponda necessariamente ad un aumento della capacità di esperire e conoscere il mondo, o se non stiamo disponendo solo di una possibilità in più di incontrare una realtà pre-figurata da un programma (Diodato, 2005). Negli ultimi anni, anche in ambito pedagogico, si è posto l’accento sulla necessità di stimolare nella didattica il maggior numero possibile di canali sensoriali. Tuttavia, sebbene l’importanza attribuita all’apprendimento visivo sia ribadita con forza, in special modo nel mondo anglosassone, va ricordato che non è quello visivo l’unico canale sensoriale chiamato in causa dall’interazione tecnologica: complessivamente si attiva un lavoro dell’immaginazione, attraverso modalità nuove.

In conclusione, vorrei approfondire un aspetto specifico della convergenza tra cognizione, processi di apprendimento, esperienza estetica e nuove tecnologie interattive. Si tratta del prodursi di un “effetto archivio” rispetto agli oggetti didattici digitali. Tale effetto può essere immaginato come il risultato di un montaggio intermediale che non è altro che l’esternalizzazione di processo mentale analogo, come sarà più chiaro in seguito. Rispetto a questo aspetto, è possibile fare una riflessione sull’artefatto didattico differenziandolo dall’oggetto tecnico generico. La mia ipotesi è che i concetti di “archivio” e di “montaggio” possano trovare un fertile terreno di applicazione nei nuovi processi di apprendimento che prevedono l’utilizzo del digitale a scuola. Chiamo artefatto didattico digitale – si pensi alle repository multimediali dei contenuti didattici digitali23 – il prodotto di un’attività di ricerca che prevede l’uso di diversi linguaggi e media: una mappa concettuale; un ipertesto; un lavoro collaborativo nato con l’utilizzo di una piattaforma integrata in un sistema informatico; un oggetto in una repository o un oggetto raccontato e descritto in un blog; suoni e voci registrati che accompagnano video didattici. Tale attività è finalizzata alla messa a punto di contenuti e strumenti per l’attuazione di nuove metodologie per l’apprendimento di contenuti disciplinari e interdisciplinari. Mi riferisco a ciò di cui si serve lo studente per apprendere o realizza il docente insegnando attraverso le ICT a seguito di un lavoro di riappropriazione creativa. In molti di questi processi un vero e proprio processo di montaggio – anch’esso significativo sotto il profilo didattico e cognitivo – si attiva nella costruzione di strumenti utili ai fini didattici.

I nuovi media sono “apparati” della memoria. Sono cioè dei dispositivi di distanziamento, di riappropriazione, di registrazione e di rielaborazione di materiale mediale visivo e audiovisivo (Maiello, 2016). Operano come sistemi che sviluppano pratiche di elaborazione individuale e collettiva della memoria.

Attualmente i docenti si confrontano con la diffusione di repository che ospitano diversi formati mediali e sono ospitate da media, che non sono altro che delle forme contemporanee di archivi.

Oggi l’archivio in rete è costituito da regole e da sistemi simbolici, ovvero dagli algoritmi e dai sistemi di indicizzazione che governano i software. Se questa considerazione è valida rispetto al funzionamento dei social network, non lo è però quando siamo di fronte a repository di oggetti didattici digitali e a processi di costruzione che vi si attivano. In questo tipo di relazione c’è ancora un margine di discrezionalità per il sentire e il giudizio. Ci tengo a sottolineare quindi che l’efficacia nella selezione è determinata dall’esperienza reale nella pratica in classe: non è un algoritmo a decidere l’elaborazione del dato, come accade invece nei social media (rispetto alla scelta delle informazioni che sono valorizzate). E questa autonomia tipica dei contesti didattici si manifesta esemplarmente nelle pratiche di montaggio che i loro repository richiedono. Occorre dunque chiedersi quali o meglio di che natura siano le regole di questo montaggio: si tratta di regole “intellettuali” o incorporate (tanto nel corpo quanto nell’artefatto)?

In ambito pedagogico digitale, rispetto a questi artefatti – nella loro destinazione d’uso, costruzione e funzione – si può, a mio avviso, addirittura parlare di montaggio a due livelli (uno interno e uno esterno): a) un montaggio operato tra i diversi formati per costruire l’oggetto; b) un montaggio che avviene nella mente dello studente quando cerca connessioni e relazioni tra i diversi oggetti digitali (video lezioni, materiali di studio condivisi, tutorial)24 per costruirsi una conoscenza organica basata su concatenazioni, come tra concetti. In un ambito disciplinare specifico un oggetto digitale diventa realmente operativo solo nella interazione tra, poniamo, la rappresentazione strutturata del concetto di una legge fisica (attraverso immagini, schemi, video) e la relazione (tutta interna alla mente del discente e del docente) tra questa rappresentazione intermediale e i suoi possibili prolungamenti in altre operazioni o sviluppi, sia scientifici sia tecnici.

Se l’immaginazione intermediale, per dirla con Montani, è una tecnica, possiamo dire che questo tipo di contenuto digitale è una protesi del lavoro dell’immaginazione e dell’intelletto che si attiva anche nei processi di apprendimento. Qui la parola, i suoni, l’immagine vivono nella narrazione, nell’intreccio e nelle connessioni che si sviluppano nella realizzazione, costruzione e trasmissione di oggetti digitali. L’investimento emotivo è fondamentale nello stabilire processi cognitivi di apprendimento: questi ultimi non possono prescindere dall’attivarsi di emozioni. E le emozioni sono legate, forse più ancora che ai contenuti, alla struttura, alla composizione dei contenuti stessi (Vygotskij, 1972). Per il nostro discorso è opportuno notare come il momento emozionale nasca solo a partire da un qualche tipo di “corto-circuito” tra interno ed esterno: è un caso che potrebbe verosimilmente verificarsi nel processo di doppio montaggio appena descritto. Non è in opera infatti, né in maniera preminente né tanto meno esclusiva, un algoritmo che decide quale oggetto va utilizzato, ma la pratica reale – e la messa in pratica in aula, in modo guidato o condiviso – della metodologia suggerita dall’oggetto prescelto: è ancora la relazione tra esseri umani, dunque, a definire quale di questi oggetti è selezionabile e utile come parte di un archivio multimediale. Sottolineo quindi che è la pratica condivisa in classe, non un algoritmo, che fa dell’oggetto digitale, considerato nel suo uso più generale, l’oggetto di una buona o una pessima pratica.

Vediamo come un aiuto importante per problematizzare in modo nuovo determinate questioni arrivi dalla filosofia della tecnica, che rappresenta un terreno fertile per far emergere la condizione del discente in quel microcosmo che è oggi la scuola. Come ho provato a mostrare, dalla ricategorizzazione e dal ripensamento di concetti presi dalla tecno-estetica viene un interessante ampliamento di vedute per la pedagogia digitale. Tutto porta a credere che anche l’evoluzione tecnologica dell’industria 4.0, che si basa su una nuova generazione di macchine a controllo numerico programmabili a distanza, dovrà fare i conti con la capacità decisionale e di discernimento dell’essere umano, legata a una dimensione etico-pratica imprescindibile anche nell’uso dei dispositivi interattivi.

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  1. I risultati delle ricerche che affrontano il rapporto tra tecnologie e apprendimenti danno risultati contrastanti. È accertato che il miglioramento dei processi di apprendimento deriva plausibilmente dall’utilizzo di una specifica metodologia piuttosto che dall’uso della tecnologia (Hattie, 2009; Lee, Cheng, Rai & Depickere, 2005). Le azioni didattiche che si avvalgono delle ICT, secondo altre evidenze empiriche, favoriscono il coinvolgimento e la partecipazione degli allievi, determinando miglioramenti nelle scienze, nella reading literacy e nella matematica. (Lewin, Somekh, Steadman, 2008; Marzano, Vegliante, Iannotta, 2015).

  2. Mi riferisco alla concezione di estetica che permea i lavori di Emilio Garroni (1925-2005).

  3. Cfr. § 1.

  4. Pezzini (2017) nota come la diversificazione degli strumenti a disposizione sembrerebbe portare “al massimo potenziamento performativo la capacità percettiva e immaginativa dell’uomo, ma altrettanto forte appare il rischio che esso possa passare dall’essere tecnicamente assistito – come è sempre stato – all’essere tecnicamente dipendente. E per giunta può risultare espropriato proprio della sua libera, ipotetica e creativa attività di sintesi,”bruciata sul tempo“, come suggerisce Bernard Stiegler, proprio dai particolari dispositivi delle nuove tecnologie”. Una posizione, questa, che ricorda quella di Adorno e Horkheimer quando parlavano, condannandolo, dello “schematismo dell’industria culturale”, che consiste in un’anticipazione del lavoro immaginativo attraverso l’offerta di contenuti già pronti.

  5. Cfr. Montani, 2007. Montani, pur considerando le derive di una “canalizzazione” tecnica della sensibilità, difende l’ipotesi di una connessione produttiva tra aisthesis e oggetti tecnici. Tra i suoi lavori: Bioestetica (2007), L’immaginazione intermediale (2010) e Tre forme di creatività: arte, politica, tecnica (2017).

  6. Cfr. Garroni, 1986. Quando parla di “pensiero critico”, Garroni fa riferimento a Kant e in particolare alla Critica della facoltà di Giudizio, in cui il filosofo tedesco, trattando del giudizio estetico, non si riferisce più solo alle condizioni spazio-temporali della percezione (come accade ancora nella Critica della ragione pura, in cui si parla in questo senso di “estetica trascendentale”) ma comprende un’indagine su come sensibilità, immaginazione e intelletto riorganizzino il loro rapporto secondo un “libero gioco” che promuove il rinnovamento delle forme e dei modi del fare esperienza.

  7. In una trama dell’esperienza assicurata dalla funzione connettiva e selettiva della memoria ogni atto percettivo non si dà mai singolarmente ma sempre in un campo percettivo (Desideri, 2011; 2013).

  8. I nuovi processi di acquisizione e produzione di contenuti digitali prevedono la produzione di dispositivi continuamente migliorabili. Il classico “dispositivo aula” sta lentamente cedendo il posto a un “ambiente associato” – così si esprimerebbe Simondon – nel quale i contenuti digitali assumono sempre più la forma di “supporti” didattici per la costruzione delle competenze disciplinari. L’espressione “didattica attiva” trae origine dalla volontà di indagare ruolo e valore dell'esperienza su cui essa si fonda. Metodologie didattiche come brainstorming, discussione, lavoro di gruppo, role playing e metodologie autobiografiche hanno molteplici applicazioni in questo senso.

  9. Prima dell'avvento della scuola o di forme analoghe, la trasmissione delle conoscenze avveniva quasi esclusivamente attraverso l’apprendimento esperienziale. L’apprendista, guidato da un maestro esperto, impegnato anche lui operativamente, apprendeva attraverso l’osservazione del fare altrui e si metteva alla prova.

  10. Per un’estetica dei media cfr. Diodato & Somaini, 2011.

  11. Il ricorso all’apprendimento multimediale prevede la capacità di organizzare informazioni e l’attuazione di diverse strategie comunicative. I fautori della teoria del carico cognitivo (Chandler & Sweller, 1992; Sweller, 2005) sottolineano l’importanza di costruire schemi e conoscenze da attivare per trattare le varie tipologie e forme di materiali proposti. Si nota che “anche se all’inizio del processo di apprendimento tali schemi non sono disponibili e le risorse cognitive sono impegnate nel loro processo di formazione, è fondamentale la modalità di presentazione del materiale che non deve ostacolare il processo di acquisizione delle informazioni, ragion per cui la complessità del compito è strettamente dipendente dal livello di esperienza di chi apprende” (Marzano, Vegliante & Iannotta, 2015, p. 23). Interagire con i media digitali comporta dei cambiamenti anche a livello cognitivo e neurologico (Barzillai & Wolf, 2009) e ciò richiede l’attivazione di una tipologia più complessa di competenze (Coiro, 2011; Coiro & Dobler, 2007).

  12. Ad esempio la capacità d’esplorazione, il problem setting e il problem solving, la capacità di comunicazione, l’autonomia e le abilità relazionali.

  13. Sulla creatività cfr. Montani, 2017; Garroni, 2010.

  14. “Ciò che accade con la tecnologia di realtà virtuale, incarnata nelle simulazioni […], è che ridiventa possibile un modo di apprendere sensomotorio senza i limiti che questo modo aveva nella sua tradizionale forma della ‘bottega’, e anzi con notevoli potenziamenti. Il cuore dell’apprendere senso-motorio è infatti, come abbiamo visto, il ‘fare esperienza’ e cioè il poter compiere e ripetere cicli di azione-constatazione del risultato-nuova azione” (Antinucci, 2011, p. 302).

  15. Inglobando tecnologie dell’immagine e della parola.

  16. L’immagine per Desideri può essere il frutto di un fare cognitivo. Viene dopo la cognizione riflessa ma prima della vera intenzionalità.

  17. http://www.didatticaenattiva.it/didattica/didattica_enattiva.htm

  18. Desideri indaga il rapporto tra esperienza estetica ed esperienza in generale, analizza la struttura non insulare della percezione come una trama complessa, stratificata, i cui nodi sono costruiti da “vincoli percettivi” e nota che “nella misura in cui i nostri vincoli percettivi con il mondo si stabiliscono e si rafforzano, si incrementa anche la dimensione cognitiva e si stabilizza e affina quella emotiva del nostro commercio con l’ambiente. Dal punto di vista cognitivo, ciò determina l’inserimento di ogni nostra esperienza in una rete linguistico-concettuale, nella quale – almeno inizialmente – non possiamo fare altro che disporci, perché l’abbiamo ereditata. Dal punto di vista emotivo, d’altra parte, l’intessersi di una singola esperienza in una trama non solo sincronica (riguardante l’attualità di un evento percettivo), ma anche diacronica (riguardante la stratificazione temporale) favorisce il formarsi di un habitus percettivo, dove i vincoli sono per così dire metabolizzati e non avvertiti come tali” (Desideri, Matteucci 2007, p. 19).

  19. Cfr. Pezzini, 2017, p. 179: “In campo estetico il suo ruolo di sintesi nei processi della conoscenza umana e della creatività è stato indagato e valorizzato in particolare da Emilio Garroni e a seguire da Pietro Montani, in particolare nei suoi studi sull’intermedialità e sulle tecnologie della sensibilità”.

  20. Garroni sostiene che l’immaginazione produttiva metaoperazionale, specifica dell’essere umano, prevede una commistione tra operazionalità strumentale e immaginazione. L’avvento delle tecnologie digitali di augmented reality rimette in discussione questo aspetto tecnico dell’umano perché è lo stesso strumento a svolgere l’attività che dovrebbe attivarsi a partire da esso.

  21. Fu la postura da quadrupede a bipede a creare una nuova materia cerebrale produttrice di formidabile potenza di calcolo. E a partire dall’abbassamento della laringe fu possibile iniziare a pronunciare fonemi.

  22. Si pensi alla “realtà aumentata”. Essa implica una produzione maggiore di stimoli sulla sensibilità, consente di anticipare la realtà, rende protagonisti di un’iper-esperienza.

  23. Tra gli archivi più ricchi di oggetti (fruibili sulla lavagna interattiva o sul proprio PC) vi sono quelli reperibili nei siti di Smart, Promethean e Interwrite1. Qui vengono messi a disposizione materiali di ogni tipo a titolo gratuito. La maggior parte degli oggetti proviene da Nord America, Australia e Canada, Paesi che già da tempo usano la LIM in ambito scolastico.

  24. Si veda ad esempio il repository di INDIRE (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione e Ricerca educativa) presente nel sito http://www.scuolavalore.indire.it/. Si tratta di risorse composte da buone pratiche, risorse per docenti di ogni grado scolastico, disciplina e argomento. Il progetto nasce come risposta all’esigenza di diffondere e valorizzare il patrimonio di contenuti, attività e materiali disciplinari realizzati da INDIRE nell’ambito degli interventi per lo sviluppo professionale dei docenti e promossi dal Programma Operativo Nazionale 2007/2013, a valere sul Fondo Sociale Europeo PON FSE “Competenze per lo Sviluppo”.