Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.22 n.50 (2018)
ISSN 1825-8670

Il bene nel pensiero dei bambini. Una ricerca educativa nella scuola dell’infanzia e primaria

Federica ValbusaUniversità degli Studi di Verona (Italia)

Federica Valbusa è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi di Verona, ateneo presso il quale ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Scienze dell’educazione e della formazione continua. I suoi principali interessi di ricerca riguardano l’educazione affettiva e l’educazione etica.

Marco UbbialiUniversità degli Studi di Verona (Italia)

Marco Ubbiali è dottore di ricerca in Scienze Pedagogiche e attualmente Ricercatore T.D. presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi di Verona. Tra i suoi interessi di ricerca la filosofia dell’educazione, in chiave fenomenologica, e la pedagogia della scuola.

Roberta SilvaUniversità degli Studi di Verona (Italia)

Roberta Silva è Ricercatore T.D. presso l’Università degli Studi di Verona, ateneo dove ha conseguito il Dottorato di Ricerca. I suoi interessi di ricerca toccano da un lato i Cognitive Cultural Studies, e dall’altro i metodi della ricerca qualitativa e il loro ruolo nei contesti educativi e sociali.

Pubblicato: 2018-04-05

Abstract

Il paper presenta MelArete, un progetto di educazione etica promosso dal CRED (Centro di Ricerca Educativa e Didattica) dell’Università degli Studi di Verona e pensato per i bambini della scuola dell’infanzia e primaria. Il progetto prevede la realizzazione di un percorso educativo, sul quale è stata svolta una ricerca qualitativa finalizzata a comprendere come si qualifica il pensiero etico dei bambini. Il paper si focalizza in particolar modo sulla prima attività del percorso, che prevede il coinvolgimento dei bambini in una “conversazione socratica” sul bene. L’obiettivo educativo dell’attività è quello di far riflettere i bambini su questo concetto, mentre l’obiettivo euristico è quello di consentire ai ricercatori di comprendere quali significati i bambini attribuiscono ad esso. I dati raccolti sono stati analizzati attraverso un “metodo meticciato”, che combina aspetti del metodo fenomenologico-eidetico e della grounded theory. Nel paper vengono presentati i risultati emersi nelle scuole dell’infanzia e primarie coinvolte.
The paper presents MelArete, a project for ethical education promoted by CRED (Center of Educational and Didactic Research) of the University of Verona and created for children attending kindergarten and primary school. The project implies the realization of an educative path on which we carried out a qualitative research aimed at understanding children’s ethical thinking. The paper particularly focuses on the first activity of the path that implies the involvement of children in a “Socratic conversation” about good. The educational aim of the activity is to involve children in a reflection on this concept, while the heuristic aim is to allow us to understand what meanings children give to it. The collected data were analyzed through a methodological crossbreeding, which combines aspects of the phenomenological-eidetic method and of the grounded theory. The paper presents the findings which emerged in the kindergartens and primary schools involved in the research.

Keywords: Ethical education; Virtue ethics; Educative research; Kindergarten; Primary school.

Ai fini della valutazione accademica si attribuiscono a Federica Valbusa i paragrafi 4 e 7.2, a Marco Ubbiali i paragrafi 1, 2 e 7.1, e a Roberta Silva i paragrafi 3, 5, 6 e 8.

1 Introduzione

Un’autentica ricerca educativa deve essere trasformativa (Mortari, 2009). A questo fine, occorre promuovere nelle scuole nuove esperienze, che si ipotizzano essere significative per gli alunni coinvolti, e poi investigare la loro efficacia. Questa premessa pedagogica sta alla base della realizzazione del progetto MelArete, un percorso educativo e di ricerca sull’etica delle virtù, che è stato attivato dal CRED (Centro di Ricerca Educativa e Didattica) dell’Università degli Studi di Verona. La responsabile scientifica del progetto è la professoressa Luigina Mortari. L’obiettivo educativo del progetto è quello di portare i bambini a riflettere su alcuni concetti eticamente rilevanti, oltre che sulla loro esperienza di azioni eticamente orientate; l’obiettivo euristico è duplice: investigare come si qualifica il pensiero etico dei bambini e verificare l’efficacia delle attività proposte durante il percorso educativo.

Nel corso dell’anno scolastico 2016/2017, il progetto ha coinvolto 115 bambini di cinque e sei anni di dodici sezioni di sei scuole dell’infanzia di Trento, Bologna e Roma e 106 bambini di sei classi quarte di quattro scuole primarie di Bergamo e Roma.

In questo articolo presenteremo il quadro teorico e il quadro epistemologico che fanno da cornice al progetto e descriveremo il percorso di educazione etica proposto ai bambini. Ci soffermeremo poi su una particolare attività, che ha portato il pensiero dei partecipanti a riflettere sul “bene” e che ci ha permesso di comprendere quali significati i bambini attribuiscono a questa parola: dopo aver descritto lo strumento della “conversazione socratica” utilizzato in classe, presenteremo i dati e i risultati emersi da questa attività nelle scuole dell’infanzia e primarie coinvolte nel progetto.

2 Una ricerca sull’educazione etica: perché?

2.1 L’urgenza dell’educazione etica oggi

La letteratura contemporanea in ambito sociologico e filosofico descrive la nostra società come caratterizzata dall’indifferenza (Bauman, 2001/2002; Morin, 1994/2004), da una scarsa percezione dell’altro (Boella, 2006, 2018), da una scarsa disponibilità a impegnarsi per il bene comune, dalla violenza che passa attraverso gesti e parole, da uno scarso senso di rispetto delle leggi del convivere (Pulcini, 2009; De Monticelli, 2010, 2011, 2015; Mortari, 2017a).

Secondo una visione condivisa possiamo affermare che la nostra società è di tipo liberistico, basata sulla competizione, e in essa il concetto di “vita buona” è inteso come l’affermazione di sé (Bauman, 1999/2000, p. 56). Le progettualità educative alle quali assistiamo tendono, conseguentemente, a valorizzare e sviluppare solo quelle competenze utili a una società che valuta ogni cosa secondo una logica economica e in termini di auto-affermazione (Mortari 2017a, p. 15). Assistiamo a programmi educativi che danno corpo a un vero e proprio “banking model of education” (Freire, 1970/1971; Marullo & Edwards, 2000, p. 746).

Di fronte all’urgenza di una educazione globale, abbiamo invece bisogno di lavorare per realizzare una nuova visione dell’educazione che offra un’esperienza ricca di significato, cioè capace di “dare forma” a una “buona persona” e a una “buona società”, in una visione etica dell’educazione.

L’educazione è una pratica, e ciò richiede una teoria che le dia forma. Una efficace teoria dell’educazione dovrebbe aiutare i giovani a dare forma alla loro vita, a far fiorire tutte le dimensioni esistenziali della vita: cognitive, sociali, affettive, spirituali, etiche e politiche (MIUR, 2012). Non può, cioè, essere ridotta al mero piano dell’istruzione, che resta solo una delle dimensioni del complesso fenomeno educativo. Tale educazione prende la forma della socratica epimeleia, la cura che coltiva l’essere di ciascuno (Mortari, 2015). Deve, inoltre, muovere i sentimenti e i valori che danno forma alla comunità: responsabilità e solidarietà devono diventare strutturali, così da fondare una “grammatica” per l’azione civica. La visione di Edith Stein ci suggerisce che è proprio la solidarietà ad essere cifra di una comunità e a fare di essa un luogo in cui le singolarità, le originalità e le individualità di ciascuno non sono annullate, ma valorizzate nella messa in comune (Stein, 1922/1999).

Se l’educazione è una pratica, è necessario anche progettare percorsi ed esperienze educative capaci di raggiungere il suo obiettivo – fondamentale e complesso – di “fioritura” (Mortari, 2015) di tutti gli aspetti dell’umano. Secondo Dewey (1938/1993) l’educazione richiede un modo sensato di stare dentro l’esperienza, con una postura riflessiva: un’esperienza finalizzata alla formazione di cittadini impegnati e consapevoli, costruttori di una civiltà democratica (Dewey, 1916/1974).

Se la ragione sociologica appena presentata offre la misura dell’urgenza dell’educazione etica per bambini e giovani oggi, una ragione ontologica offre la misura dell’essenzialità della stessa: l’etica è dimensione fondante e primaria della vita.

2.2 L’etica: una dimensione ontologica della fioritura dell’umano

Platone afferma che ciò che orienta l’anima nella vita è la ricerca del bene, infatti ognuno fa quello che fa in vista del bene (Platone, Repubblica, VI, 505 E). Concorda con lui Aristotele quando afferma che ogni essere tende al bene (Etica Nicomachea, I, 1094 a 1-3).

Ma in che cosa consiste il bene? E dunque in che cosa consiste una vita buona? Queste domande, ineludibili per dare forma a una vita autenticamente umana, trovano però difficile risposta: la limitatezza delle capacità umane le rende domande “irrispondibili” (Arendt, 1978/1987; Mortari, 2008). Non però domande da evitare, ma da tenere necessariamente sempre aperte, in una continua ricerca che i soggetti e le comunità devono operare e tener desta. La disciplina che fa del bene il suo oggetto sistematico è l’etica. La intendiamo qui nella visione di Ricoeur (1990/1993) che la descrive proprio come una disciplina con tensione teleologica, in opposizione alla visione nomotetica della morale, disciplina che invece codifica comportamenti e linee di azione per il convivere umano. È proprio la ricerca dell’etica che dà forma alla necessità umana di “auspicio alla vita buona, con e per gli altri, all’interno di istituzioni giuste” (Ricoeur, 1990/2007, p. 34). Un auspicio che dà forma alla vita buona intesa come un vero e proprio gesto di cura, che si esprime nella “cura di sé, cura dell’altro, cura delle istituzioni” (ibidem). Grazie all’apporto di Ricoeur è dunque possibile ripensare il fondamento della vita buona, etica, come di una vita comune, una vita che si fa buona in quanto animata dalla cura, dove anche la cura di sé non si oppone (in modo individualistico e competitivo) alla cura degli altri e si pone all’interno del framework istituzionale che garantisce una vita buona per tutti, oltre il vis á vis (cfr. anche Lévinas, 1974/1983).

La visione di Ricoeur trova un riscontro anche nel pensiero di Mortari (2015) la quale argomenta che la forma del gesto di cura è una forma etica e che l’etica stessa trova la sua espressione più autenticamente umana nella forma della cura. Notevole apporto alla questione proviene dal pensiero femminile il quale afferma che esistono due tipologie di etica: l’etica della cura e l’etica della giustizia. Tale teorizzazione è stata codificata da Carol Gilligan (1982/1987), la quale attraverso le sue ricerche empiriche si accorge della presenza di due “voci” differenti nelle pratiche: l’autrice le presenta come opposte, l’una (la voce della cura) di tipo situazionale, l’altra (la voce della giustizia) di tipo geometrico. L’etica della giustizia (ben codificata da Kant) ha a lungo dominato il dibattito: in campo educativo tale applicazione trova un autore di riferimento in Robert Coles (1986), il quale la definisce come la capacità di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.

Negli ultimi decenni però l’etica della cura ha trovato un riconoscimento sempre crescente nella comunità scientifica, proponendo una visione che assume nella propria essenza la ricerca del bene dell’altro. È in questo paradigma che i teorici dell’etica della cura (Mayeroff, 1990; Noddings, 1984; Held, 2006; Tronto, 1993) descrivono la specificità di tale prospettiva nell’aiutare l’altro a dare forma alla sua umanità, in una relazione nella quale il caregiver si sente coinvolto con responsabilità dentro la ricerca del bene dell’altro e con l’altro. Nella ricerca empirica di Mortari (Mortari, 2006; Mortari & Saiani, 2013) emerge che l’etica della cura si attualizza in un’etica delle virtù: la ricerca del bene per sé e per/con l’altro si traduce in un agire virtuosamente orientato (Mortari & Mazzoni, 2014). Già Platone nel Filebo definisce le virtù come i veri “beni dell’anima” (48 E), e anche Plutarco assegna un ruolo fondamentale all’agire secondo virtù: solo le “belle azioni” (La serenità interiore, 19, 477b) permettono all’anima di trovare il proprio ben-essere (Mortari, 2017b). Secondo la visione aristotelica la virtù è una disposizione a cercare l’interpretazione della cosa più fondata, a provare uno specifico sentimento al momento opportuno, orientando il sentire e il sapere in situazione verso un fine buono e nel modo giusto (Aristotele, Etica Nicomachea, II, 1106 b 20-25). Secondo questa visione la virtù è la condizione che permette all’uomo di realizzare una buona qualità della vita (eudaimonia). Cercare il bene è dunque vivere secondo virtù (Aristotele, Etica Nicomachea, I, 1099 a 21-25).

2.3 Educare all’etica: è possibile?

Se dunque si assume (a) che la cura abbia una primarietà ontologica, (b) che in conseguenza del fatto che l’agire con cura è mosso dall’intenzione di cercare ciò che è bene si possa parlare di un’etica della cura, e (c) che tale etica abbia il suo nucleo vivente in un modo di essere orientato alle virtù, allora un’educazione alle virtù trova un fondamento ontologico primario, e dunque anche educativo. (Mortari, 2014a, p. 17)

Passare dal piano ontologico e di filosofia dell’educazione a quello della pratica educativa richiede però di porsi seriamente due domande: le virtù possono essere insegnate? Ha senso affrontare questioni di questo tipo con i bambini?

La prima domanda era già un problema per la filosofia antica: secondo lo stile maieutico tipico del suo approccio, Socrate evita di rispondere a tale questione (Menone, 70 A). Aristotele invece offre una risposta affermativa: le virtù possono essere insegnate e apprese. Nell’argomentare la sua posizione, in chiara dialettica con il pensiero platonico, Aristotele suggerisce che l’obiettivo dell’etica è di tipo pratico, ovvero agire bene (Etica Nicomachea, I, 1098 b 20-22). Essa, in quanto disposizione abituale che orienta l’agire, può dunque venire appresa attraverso la pratica, una pratica che può essere educata. La virtù non è un’emozione, né un’abilità, né tantomeno un habitus irrazionale: è un habitus, un modo d’essere, che assume la sua forma sotto la guida critica della ragione e che delinea la postura etica di una persona (Pellegrino & Thomasma, 1993, p. 5).

La seconda domanda trova risposta affermativa nell’esperienza dei buoni insegnanti, che sanno come i bambini siano capaci di porsi grandi domande sull’esistenza, comprese quelle relative al bene e alle scelte da compiere in situazione (Ubbiali, 2017, p. 87). Tra i primi autori che hanno mostrato la ricchezza del pensiero etico-morale nell’infanzia c’è Coles (1986) che rubrica e analizza disposizioni, pensieri e azioni dei bambini che si pongono le grandi questioni sull’agire orientato al bene.

2.4 MelArete: una proposta di educazione etica, all’interno della filosofia della cura

Il progetto MelArete dà forma a strumenti educativi animati da queste convinzioni di fondo. In una rassegna critica della letteratura relativa ai progetti di educazione etica o morale (Mortari, 2014a; Mortari & Ubbiali, 2017) è possibile cogliere la specificità del progetto MelArete rispetto alle proposte diffuse, soprattutto nel panorama americano, quali la moral education, il moral reasoning e la character education.1 MelArete si distingue dalle proposte di moral education (Damon, 1988) in quanto pone al centro la questione teleologica dell’etica, rispetto alla deontologia morale, pur condividendo la centralità della questione educativa relativa al bene-agire; come il moral reasoning (Kohlberg, 1981, 1984; Colby & Kohlberg, 1987; Power, Higgins, & Kohlberg, 1989; Turiel, 1998, 2002, 2010; Smetana, 1995, 2006; Nucci, 1981; Nucci & Nucci, 1982; Nucci & Narvaez, 2008; Killen & Smetana, 2008, 2010), insiste sul lavoro critico della ragione nell’analizzare e comprendere pensieri, affetti ed effetti in gioco nelle azioni orientate al bene, senza però ridurre l’etica a una questione di mero ragionamento separato dalla vita vissuta in prima persona, ricordando che la virtù ha a che fare con l’agire buono; come la character education (Lickona, 1978, 1993, 2004; Howard, Berkowitz & Schaeffer, 2004; Berkowitz, 2011), insiste sulla formazione di un modo d’essere della persona che sia orientato all’agire bene, senza però ridursi a una mera socializzazione o introduzione dentro i codici morali di una comunità.

MelArete offre infatti proposte a misura di bambino per educare all’etica (alla ricerca aperta del bene) delle virtù (puntando sull’azione finalizzata al bene, ma continuamente posta sotto l’esame critico della ragione), all’interno del quadro della filosofia della cura (dove il bene dell’altro è cercato insieme al proprio). Oltre a questo MelArete è una ricerca educativa, ovvero un processo di indagine capace di sottoporre a esame critico le pratiche proposte e di raccogliere dati significativi circa lo sviluppo del pensiero etico dei bambini coinvolti nelle esperienze educative.

Dunque, prendendo a riferimento l’etica della cura, l’approccio di Ricoeur, l’etica delle virtù di Aristotele e il metodo dialogico socratico, MelArete si propone come un approccio nuovo all’educazione etica: il nome stesso nasce proprio dalla fusione tra le due parole greche che indicano le direzionalità fondative del progetto, ossia melete (cura) e arete (virtù). Alla base di questo progetto c’è una domanda dal carattere squisitamente pedagogico: come orientare le persone a prestare attenzione alle virtù e a riflettere sul valore che esse possono assumere al fine di realizzare una buona qualità della vita?

3 La cornice epistemologica

L’epistemologia naturalistica (Lincoln & Guba, 1985), che rappresenta un riferimento fondamentale per questa ricerca, prevede che il fenomeno che è oggetto di indagine venga studiato nel contesto del suo apparire, perché “è il contesto che fissa il significato” (Mortari, 2007, p. 61). Le ricerche che coinvolgono i bambini, quindi, dovrebbero essere condotte negli ambienti dove quotidianamente i bambini vivono e crescono. Per questo motivo, il progetto MelArete è stato realizzato a scuola, un contesto “dove si sperimentano continuamente nuove situazioni di apprendimento e dove, come conseguenza di una certa familiarità con un clima euristico, la partecipazione alla ricerca generalmente non è percepita in termini problematici” (Mortari, 2009, pp. 16-17).

La ricerca pedagogica può essere di tipo “constatativo-ricognitivo”, quando si prefigge di raccogliere dati per comprendere un fenomeno così come accade e incrementare la conoscenza esistente su un determinato tema, oppure di tipo “esperienziale-trasformativo”, quando si prefigge di realizzare nuove esperienze che possano apportare miglioramenti all’interno di un contesto o nella pratica educativa (Mortari, 2007; Mortari, 2009). Nel secondo tipo di ricerche rientrano anche quelle che, come MelArete, possono essere definite educative, poiché prevedono la realizzazione di un percorso educativo e lo svolgimento di una ricerca su di esso.

Un’ulteriore considerazione va fatta in relazione ai partecipanti. A questo proposito, va chiarito che quella presentata in questo articolo non è semplicemente una ricerca “con” i bambini, ma è più propriamente una ricerca “per” i bambini (Mortari, 2009), in quanto è animata dall’intenzione di offrire esperienze positive e significative ai partecipanti. Non si tratta cioè soltanto di coinvolgere i bambini in una ricerca per conoscere il loro punto di vista su un determinato fenomeno, ma si tratta anche di progettare e realizzare attività che possano contribuire alla loro fioritura interiore e, nello specifico, allo sviluppo del loro pensiero etico.

4 Il percorso educativo

Il progetto MelArete prevede l’organizzazione di una serie di incontri in classe fra i bambini e i ricercatori. Durante gli incontri, i bambini vengono coinvolti in alcune attività che sono progettate per sviluppare il loro pensiero intrasoggettivo e intersoggettivo in relazione ad alcuni concetti eticamente rilevanti, quali quelli di bene, di cura e di virtù, e in relazione ad alcune virtù specifiche, ossia coraggio, generosità, rispetto e giustizia.

Le attività organizzate prevedono “conversazioni socratiche”, storie (presentate dai ricercatori o inventate dai bambini), vignette e giochi. Nelle classi di scuola dell’infanzia e di scuola primaria vengono utilizzati gli stessi strumenti, adattati però sulla base della diversa età degli alunni: ad esempio, per quanto riguarda la presentazione di storie, nella scuola primaria le narrazioni vengono consegnate, con testo e relative illustrazioni, a ciascun alunno e lette ad alta voce dal ricercatore, mentre nella scuola dell’infanzia vengono raccontate e animate con i pupazzi. Va sottolineato che gli strumenti sono progettati per avere non solo una significatività educativa, connessa alla promozione della riflessione etica dei bambini, ma anche una significatività euristica, connessa alla raccolta di dati sul pensiero etico dei partecipanti.

Il percorso comincia con un primo incontro che prevede una “conversazione socratica” sui concetti di bene e di cura. Vengono poi organizzate alcune attività introduttive, finalizzate a far riflettere i bambini sul significato generale di virtù, sui significati di coraggio, generosità, rispetto e giustizia, e, nella scuola primaria, anche sui modi in cui si possono apprendere le virtù.2 La parte centrale del progetto prevede una focalizzazione sulle virtù del coraggio, della generosità, del rispetto e della giustizia, che vengono analizzate in classe attraverso la presentazione di una storia e attraverso un’ulteriore attività scelta fra le vignette, che portano il pensiero dei bambini a ragionare su una situazione eticamente problematica, e il gioco, che consente ai bambini di approfondire il loro pensiero a partire da uno stimolo ludico. Le attività conclusive, organizzate durante l’ultimo incontro, portano i bambini a riflettere nuovamente sui concetti proposti durante le attività introduttive, così da permettere ai ricercatori di comprendere se e come è cambiato il pensiero dei partecipanti grazie al percorso in cui sono stati coinvolti.3

Alla fine delle attività introduttive,4 viene presentata un’attività trasversale che i bambini svolgono in classe, almeno una volta alla settimana, grazie alla collaborazione degli insegnanti. Tale attività consiste nel tenere un diario esperienziale, che si chiama “fogliario delle virtù” nelle scuole dell’infanzia e “diario delle virtù” nelle scuole primarie, e che consente ai bambini di imparare a riflettere sulla propria esperienza e, in particolare, sui diversi modi di agire le virtù. La consegna che viene data ai bambini è quella di raccontare un’azione virtuosa compiuta o vista compiere: i bambini delle scuole dell’infanzia la disegnano su un foglio sagomato a forma di foglia (da cui il nome “fogliario”) e poi la descrivono a voce agli insegnanti, mentre i bambini della scuola primaria la scrivono.

Nella fig.1 presentiamo un prospetto sintetico delle diverse tipologie di attività previste dal percorso.

Fig. 1 – Schema grafico di rappresentazione sintetica delle attività del percorso nella loro scansione temporale.
Fig. 1 – Schema grafico di rappresentazione sintetica delle attività del percorso nella loro scansione temporale.

5 L’attività: lettura di una storia e “conversazione socratica”

Come già anticipato, durante il primo incontro viene organizzata un’attività che ha come obiettivo educativo quello di portare il pensiero dei bambini a riflettere sui concetti di bene e di cura. Innanzitutto, viene presentata la Storia di Puc e Pec, inventata dalla professoressa Mortari per questo progetto. Protagonisti della storia sono due piccoli giaguari: Puc è triste perché dovrà stare lontano da casa per alcuni giorni e la sua amica Pec prepara per lui un sacchetto con alcuni semplici ma importanti doni, che rappresentano carezze e sorrisi. La storia fa da cornice all’intero percorso, perché porta i bambini a riflettere sull’idea dell’agire con cura per cercare ciò che fa bene. Proprio il concetto di bene è quello che fa da sfondo a tutto il percorso, e i bambini vengono introdotti ad esso attraverso un racconto. Dopo la lettura della storia, vengono poste ai bambini alcune domande:

  • Vi è piaciuta la storia?

  • Perché?

  • La parola “bene” è una parola bella; cosa vi viene in mente quando sentite questa parola?

  • La parola “cura” è un’altra parola bella; cosa vi viene in mente quando sentite questa parola?5

Le ultime due possono essere definite “domande eidetiche”, perché chiedono ai bambini di focalizzare la loro attenzione sull’essenza dei fenomeni di bene e di cura. Tali domande costituiscono lo stimolo per l’attivazione di una “conversazione socratica” (Mortari, 2014b, pp. 43 e ss.), in cui i ricercatori agiscono da facilitatori per accompagnare i bambini nella chiarificazione e nell’approfondimento delle loro idee. Il metodo di conduzione di tali conversazioni è quello maieutico, esemplificato da Scorate nei dialoghi di Platone. Come è noto, Socrate sollecita i suoi interlocutori ad esaminare a fondo i concetti, per portarne alla luce i significati essenziali. Un esempio particolarmente pertinente, poiché riguardante il significato di una virtù, è quello che troviamo nel Carmide, dove Socrate chiede al suo interlocutore: “Spiegami che cosa è, secondo te, la temperanza” (159 A). Lo stesso si può fare in classe, avendo cura di adottare una postura di ascolto autentico nei confronti dei bambini. Il coinvolgimento in una “conversazione socratica” facilita i bambini a esaminare i concetti etici all’interno di un contesto dialogico, dove la co-costruzione del pensiero prende forma grazie al confronto fra le diverse prospettive. La conversazione è stata condotta in classe: i bambini, invitati ad esprimere i loro pensieri, sono intervenuti liberamente e i ricercatori hanno agito da facilitatori, conducendo il dialogo in maniera guidata ma non direttiva (cfr. Mortari, 2014b, p. 43).

La “conversazione socratica” sul bene e sulla cura prevista dal primo incontro del progetto MelArete ha una significatività sia educativa che euristica: favorisce la riflessione dei bambini sui concetti di bene e di cura e, al tempo stesso, permette ai ricercatori di comprendere come tali concetti si qualificano nel pensiero dei bambini. In questo articolo, ci concentreremo sul concetto di bene, presentando i dati e i risultati emersi nelle scuole dell’infanzia e primarie coinvolte nel progetto.

6 I dati raccolti e il metodo di analisi

Le conversazioni in classe sono state audioregistrate, trascritte fedelmente e anonimizzate nel rispetto del diritto alla riservatezza dei bambini coinvolti. L’analisi dei dati è stata effettuata sulla base di un “metodo meticciato” (Mortari, 2007, pp. 193 e ss.), che combina elementi del metodo fenomenologico-eidetico (Giorgi, 1985; Moustakas, 1994) e della grounded theory (Glaser & Strauss, 1967). Prima di spiegare quali sono le azioni euristiche in cui si è concretizzato il metodo adottato, occorre soffermarsi sul perché sia considerato scientificamente legittimo meticciare i metodi. La combinazione di più approcci metodologici risulta opportuna se guidata dall’obiettivo di comprendere il fenomeno nel modo più adeguato possibile e risulta efficace se i metodi che si decide di meticciare condividono alcune assunzioni di base. Nel nostro caso, si è scelto di combinare il metodo fenomenologico-eidetico con la grounded theory per i seguenti motivi (cfr. Mortari, 2007, p. 194):

  • entrambi perseguono l’obiettivo della fedeltà al fenomeno, che si raggiunge attraverso un’analisi il più possibile aderente ai dati;

  • entrambi invitano a sospendere tutte quelle precomprensioni che potrebbero condizionare il processo d’indagine, impedendo o inquinando la conoscenza del fenomeno nella sua specificità;

  • entrambi si configurano come metodi induttivi, che mantengono il processo di concettualizzazione saldamente radicato nei dati.

La scelta del metodo da adottare deve essere guidata dal principio della “libertà rigorosa”, che consente al ricercatore di meticciare elementi caratteristici di approcci metodologici diversi ma che, al tempo stesso, gli prescrive il dovere di esplicitare e argomentare le proprie scelte di meticciamento (Mortari, 2007, p. 194).

Il metodo meticciato adottato per l’analisi delle “conversazioni socratiche” sul bene ha previsto le seguenti azioni euristiche:

  • lettura ripetuta dei testi delle trascrizioni;

  • identificazione delle unità significative;

  • elaborazione di un’etichetta descrittiva per ciascuna unità significativa;

  • elaborazione di una categoria concettuale per ciascun gruppo di etichette riferibili allo stesso concetto generale di bene.

L’obiettivo dell’analisi è tipicamente fenomenologico, in quanto consiste nell’individuazione del significato essenziale che i bambini attribuiscono alla parola bene, mentre la modalità di codificazione, che prevede le due fasi dell’etichettatura e della categorizzazione, è tipica della grounded theory. Impegnandosi nell’esercizio dell’epoché, che consiste nel “mettere tra parentesi” presupposizioni e precomprensioni rispetto al fenomeno oggetto di indagine (Husserl, 1913/2002, pp. 71 e ss.; Mortari, 2007, pp. 89 e ss.), i ricercatori perseguono l’obiettivo di una codificazione che sia il più fedele possibile ai dati raccolti.

Nella tabella 1 che riportiamo di seguito vediamo due esempi, tratti dai dati raccolti nelle scuole primarie, di come è stato applicato il metodo utilizzato.

Tabella 1 – Due esempi di applicazione del metodo di analisi.
EXCERPTS ETICHETTE CATEGORIE
“Per me bene vuol dire volere bene ad una persona e poi fare del bene, per esempio aiutare qualcuno”

Il bene è saper volere bene

Il bene è aiutare chi ha bisogno

Avere a cuore il bene dell’altro

Fare del bene

“Per me la parola ‘bene’ vuol dire amicizia e stare bene insieme”

Il bene è amicizia

Il bene è stare bene con gli altri

Essere amici

Stare bene

7 I risultati

I dati che abbiamo raccolto nelle diverse sezioni e classi coinvolte esprimono la ricchezza del pensiero etico dei bambini. Nelle tabelle riportate in questo paragrafo presentiamo i risultati che sono emersi nelle scuole dell’infanzia e primarie. Accanto ad ogni etichetta riportiamo tra parentesi la quantificazione delle relative occorrenze e, nella colonna a fianco, un relativo excerpt tratto dai dati raccolti. Si specifica che gli excerpt inseriti nelle tabelle sono stati selezionati sulla base della loro coerenza e significatività rispetto all’etichetta ad essi attribuita: hanno quindi una funzione esemplificativa, finalizzata a mettere in luce il tipo di evidenze a partire dalle quali si è proceduto, induttivamente, alla codificazione qui presentata.

7.1 I risultati nelle scuole dell’infanzia

Cominciamo con la presentazione dei risultati emersi nelle scuole dell’infanzia coinvolte nel progetto (tab. 2).

Tabella 2 – I risultati emersi nelle scuole dell’infanzia. Tra parentesi si indicano le frequenze delle occorrenze delle etichette.
CATEGORIE ETICHETTE EXCERPTS
STARE BENE Star bene con le persone care (16) “Sto bene quando sono con la mamma e il babbo fuori a sentire gli uccellini, con loro sto bene perché mi vogliono tanto bene e mi danno tante abbracciatone”
Star bene facendo qualcosa di bello (18) “Io con la mia sorella che usciamo per andare al parco vicino a casa nostra che ci possiamo andare da sole e lì sto proprio bene”
Star bene è essere voluti bene (1) “Sto bene quando mamma e babbo mi danno l’abbracciatona”
Essere felici (4) “Bene vuol dire che siamo felici di gioia”
VOLERE BENE Essere voluti bene (ricevere bene) (26) “Bene è quando qualcuno ti vuole bene e ti dà abbracci”
Volere bene (dare bene) (18) “Bene vuol dire… io quando sento la parola bene… è quando… è quando voglio bene a un mio amico”
Volersi bene (reciprocità) (11) “Quando, quando mia mamma gli do un bacino… ecco, sì, e mi danno un bacino anche loro, che sono felici e quando sono felici giocano con me”
Bene sono le persone care (3) “Se penso al bene penso alla mamma”
FARE BENE Agire secondo una regola (3) “Bene è giocare bene”
Rispettare il lavoro altrui (1) “Raccogliere i fiori bene, non strappa quelli che qualcuno ha piantato, ma li strappa sull’erba”
Rispettare le persone è un dovere (2) “Bene è che si deve trattare bene gli amici, che non si fa male”
PRENDERSI CURA Fare vivere (1) “Bene significa fare vivere, dare agli altri il cibo e dare da bere”
Dare cure (3) “Bene è quando mi fa male il piede e la mamma mi mette la crema”
Dare attenzione (4) “Quando papà mi dice bravo e mi sta vicino”
VIVERE L’ESPERIENZA DELL’AMICIZIA Essere amici (4) “Bene è che sono tanto amici”
Diventare amici (2) “Quando sto con mamma al parco e ci sono tanti bambini che se anche subito non li conosci poi diventano miei amici”
Smettere di litigare (1) “Quando io e mio fratello giochiamo insieme… quando non litighiamo più”

Per i bambini della scuola dell’infanzia il concetto di bene si declina innanzitutto attraverso le espressioni con cui la parola viene articolata. Alla domanda “Che cosa vi viene in mente quando sentite la parola bene?” la maggior parte dei bambini ha risposto articolandola come “stare bene”, “volere bene” e “fare bene”. Sono inoltre emerse due ulteriori categorie, quella del “prendersi cura” e quella del “vivere l’esperienza dell’amicizia”.

Per quanto riguarda la categoria “stare bene”, i bambini fanno riferimento al bene come esperienza di ben-essere, che ha a che fare con lo stare in compagnia delle persone care, con il fare qualcosa di bello e con l’“essere voluti bene”. In sintesi, è l’esperienza dell’essere felici, che richiama alla mente del ricercatore il concetto greco di “eudaimonia”, intesa come bene dell’anima: la frase riportata in tabella (“bene vuol dire che siamo felici di gioia”) ci sembra rappresentare la chiave di lettura dell’intera categoria.

Per quanto riguarda la categoria “volere bene”, i bambini riportano esperienze di affetto ricevuto, dato o scambiato in maniera reciproca. Questi dati dimostrano la ricchezza di un pensiero capace di cogliere le diverse direzionalità espressive del volere bene. Alcuni bambini non esplicitano il verbo “volere bene” ma esprimono il medesimo concetto facendo semplicemente riferimento alle persone care, cioè quelle verso le quali sentono e manifestano affetto.

Per quanto riguarda la categoria “fare bene”, i bambini articolano il concetto di bene come misura dell’agire, ossia come riferimento che garantisce la bontà di un’azione. Quindi, il bene è agire secondo una regola, rispettare il lavoro di altri ed è anche il dovere di rispettare le persone (“si deve”, “non si fa”).

Per quanto riguarda la categoria del “prendersi cura”, l’esperienza del bene si traduce come fare vivere, ossia come cura che preserva la vita (in greco, è il concetto di merimna), come dare cure, ossia come cura terapeutica (in greco, è il concetto therapeia),6 e come dare attenzione, ossia come riconoscimento e valorizzazione dell’altro.

Infine, alcuni pensieri dei bambini suggeriscono l’identificazione dell’esperienza del bene con quella dell’amicizia; ecco perché, nell’ultima categoria, il bene è stato concettualizzato come “vivere l’esperienza dell’amicizia”. I bambini articolano tale esperienza secondo direzioni diverse: l’essere amici, etichetta che fotografa un dato di fatto (spesso i bambini fanno riferimento alla storia presentata durante l’attività); il diventare amici, etichetta che esprime l’idea dello stringere amicizia; lo smettere di litigare, etichetta che descrive il ritorno ad una situazione di armonia relazionale.

7.2 I risultati nelle scuole primarie

Proseguiamo presentando ora i risultati emersi nelle scuole primarie coinvolte nel progetto (tab. 3).

Tabella 3 – I risultati emersi nelle scuole primarie. Tra parentesi si indicano le frequenze delle occorrenze delle etichette.
CATEGORIE ETICHETTE EXCERPTS7
AVERE A CUORE IL BENE DELL’ALTRO Il bene è saper volere bene (22) “La parola bene è di molti significati, ma il più bello che ha […] è ‘ti voglio bene’”
Il bene si esprime attraverso gesti di affetto (3) “Per esempio la mamma, quando tu dormi, ti dà il bacio della buonanotte”
Il bene è avere il cuore dolce con gli altri (1) “Avere il cuore dolce e stare bene con la famiglia, il fratello, il padre, la madre, e molte altre cose”
Il bene si esprime attraverso gesti di cura (5) “Bene vuol dire avere molta gentilezza e quando […] qualcuno si fa male, oppure quando qualcuno si sente solo, oppure quando, non so, uno non sa cosa fare, un po’ di bene è farlo giocare con te, è fargli venire il sorriso”
Il bene è premura (2) “Tipo quando qualcuno mi chiede se sto bene”
Il bene è confortare (1) “Una persona ti consola […]”
Il bene è tenere l’altro nella mente (1) “Quando una persona pensa tanto a te”
Il bene si manifesta anche nelle azioni di fermezza degli adulti che impediscono di sbagliare (1) “Secondo me il bene è anche quando un adulto, tipo le maestre o le mamme ti strillano ma lo fanno perché ti vogliono bene e per non commettere più quell’errore”
Il bene si manifesta anche nei rimproveri a fin di bene (1) “Se qualcuno ti rimprovera lo fa per il tuo bene”
     
FARE DEL BENE Il bene è aiutare chi ha bisogno (15) “Per me la parola ‘bene’ vuol dire pure quando uno sta male oppure ha bisogno di aiuto tu lo aiuti”
Il bene è essere disponibili per chi ha bisogno (1) “Secondo me la parola ‘bene’ vuol dire avere il cuore aperto agli altri che stanno o più in difficoltà oppure ai nostri amici che hanno bisogno di una mano e la parola ‘bene’ vuol dire tante cose”
Il bene è salvare qualcuno in difficoltà (4) “Bene significa quando qualcuno tipo si fa male, quando si fa male facendo un incidente e tu lo salvi e lo curi”
Il bene è non fare del male (1) “Il bene significa che bisogna fare del bene. […] Cioè che non bisogna far del male perché sennò dopo sei cattivo”
Le persone buone fanno il bene e anche quando non ci sono più il loro bene ci accompagna (1) “Secondo me la parola ‘bene’ vuol dire anche quando una persona non c’è più lei ci segue sempre”
     
STARE INSIEME Il bene è stare insieme senza litigare (5) “Per me stare bene significa stare bene insieme senza litigare o arrabbiarsi con gli altri”
Il bene è andare d’accordo con gli altri (3) “La parola bene vuol dire anche andare d’accordo con le persone”
Il bene è non escludere nessuno (2) “Per me il bene vuol dire stare tutti insieme senza escludere nessuno ed essere felici”
Il bene è giocare insieme (1) “Stare bene insieme, giocare insieme e non lasciarci soli”
Il bene sono i gesti e le parole della buona convivenza (1) “Per me bene è anche un abbraccio, un grazie, un prego, una qualsiasi cosa che dimostra che non hai un rapporto brutto”
Il bene è stare con la famiglia (1) “Quando c’è tutta la famiglia unita”
Il bene è stare con gli amici (1) “Per me la parola ‘bene’ significa stare con gli amici”
Il bene è stare con le persone a cui si tiene (1) “Secondo me per stare un giorno importante con tutta… con le persone che più ci tieni”
Il bene c’è solo quando tutti stanno bene (1) “La parola ‘bene’ vuol dire quando tutti stiamo bene e non solo uno sta bene”
Il bene è il piacere di stare con gli altri (1) “È un significato di io voglio stare con te e sto con te perché ho piacere di stare con te”
     
STARE BENE Il bene è sentirsi in salute (1) “Che quando sento la parola ‘bene’, mi ricorda che voglio bene a tutti e che mi sento bene in salute”
Il bene è stare bene economicamente (1) “Bene significa tipo, quando tuo padre lavora e guadagna soldi, questo è un bene perché puoi comprare tipo la bolletta dell’acqua, della luce”
Il bene è felicità/allegria (4) “Mi fa sentire bene e di essere felice”
Il bene è stare bene con gli altri (4) “Secondo me vuol dire stare bene con gli altri e condividere la nostra amicizia”
Il bene è stare bene con se stessi e con gli altri (1) “Secondo me la parola ‘bene’ vuol dire stare bene con se stessi e con gli altri”
Il bene è stare bene con il proprio cuore (1) “Secondo me la parola ‘bene’ non è solo l'amore, un bacio, una carezza, la fratellanza ma è anche stare bene proprio con il nostro cuore, con gli altri”
Il bene è stare bene spiritualmente (1)

B.: “È stare bene… stare bene spiritualmente”

R.: “Stare bene spiritualmente. Cosa vuol dire stare bene spiritualmente? Interessante”

B.: “Stare bene con il nostro corpo, stare bene col nostro cuore, stare bene con la nostra mente, ma che per fare questo dobbiamo stare bene anche con gli altri”

     
ESSERE VIRTUOSI Il bene è essere generosi (4) “Allora secondo me volere bene vuol dire anche sacrificare qualcosa […] una piccola merendina che gli piace ad un altro e dargliela e così gli dimostri anche che gli vuoi bene”
Il bene è essere gentili (3) “Bene mi fa venire in mente una gentilezza”
Il bene è essere altruisti (1) “A me la parola bene fa venire in mente quando uno è altruista e pensa agli altri ma non solo a se stesso o agli amici cioè tipo non è che se qualcuno gli chiede vuole giocare con lui, lui deve dire ‘No devo andare a giocare con un altro’”
Il bene è condividere (4) “La condivisione e andare d’accordo”
Il bene è rispettarsi (1) “Invece a me la parola ‘bene’ come se mi avesse detto che non bisogna picchiare gli altri, però bisogna essere amici e rispettarci tra di noi”
Il bene è accogliere (3) “Una canzone ci riporta un po’ al concetto di bene. ‘Aggiungi un posto a tavola’ che alla fine ci vuole spiegare che bisogna accogliere tutti”
Il bene è ringraziare (2) “Ringraziare chi ci ha creato. […] Ma non solo chi ci ha creato, anche […] chi ci aiuta a superare anche le difficoltà della vita”
Il bene è avere senso civico (1) “Bene per me significa proteggere anche il nostro paese. Perché maltrattarlo se poi ci viviamo?”
     
RISPETTARE L’ALTERITÀ DELL’ALTRO Il bene è non discriminare (1)

B.1: “Anche se uno è nero non bisogna prenderlo in giro soltanto perché è di un altro colore, perché non sarebbe giusto è sempre come noi”

Interviene B.2: “Non si dice nero ma si dice di colore”

Il bene è non fermarsi all’apparenza (1) “Non si deve vedere da fuori ma si deve vedere da dentro”
     
ESSERE AMICI Il bene è amicizia (9) “Per me bene vuol dire amicizia”
Il bene è condividere l’amicizia (1) “Secondo me vuol dire stare bene con gli altri e condividere la nostra amicizia”
Il bene è essere un vero amico (1) “La parola ‘bene’ a me fa venire in mente quando qualcuno è un vero amico”
Il bene è avere fiducia negli amici (2) “Per me bene significa fiducia. E amicizia. Fiducia perché se un amico sta andando un attimo giù a chiedere una cosa e chiede al suo amico se gli può controllare il quaderno perché c’è il compagno accanto che glielo può copiare”
C’è il bene quando c’è amicizia per tutti (1) “Secondo me la parola ‘bene’ è un segno di amicizia per tutti quanti”
     
FARE UNA COSA FATTA BENE Bene è un complimento per qualcosa che si è fatto (2) “È tipo un complimento: hai fatto bene un compito”
In buona compagnia le cose si fanno bene (1) “A me fa pensare la parola ‘bene’ quando se stai in una buona compagnia le cose ti escono bene, invece se litighi ti escono male”
     
IL BENE APPARTIENE A UNA DIMENSIONE RELIGIOSA Il bene è l’azione di Dio (2) “Il bene di Dio che ci ha dato quando ha liberato tutti gli Ebrei dalla schiavitù degli Egiziani e ha aiutato queste persone per molti… Per quarant’anni ad attraversare il deserto e ad arrivare alla Terra Promessa. Ma non tutti sono arrivati a questa Terra Promessa perché […] hanno dimenticato il bene di Dio che li ha portati liberi dalla schiavitù come quando hanno costruito un altro dio”
Il bene è la parola di Dio (2) “La parola che ha dedicato Dio Padre a noi è lui quello che è riuscito a delle persone… che già da prima erano con il cuore aperto ma è lui che è riuscito a far pensare a delle persone che stare con il cuore aperto è la cosa più bella che esiste su tutta la terra”
Il bene è pregare (1) “Per me il bene significa pregare per gli altri”

I bambini della scuola primaria presentano un pensiero particolarmente ricco sul concetto di bene, che si declina come: “avere a cuore il bene dell’altro”, “fare del bene”, “stare insieme”, “stare bene”, “essere virtuosi”, “rispettare l’alterità dell’altro”, “essere amici” e “fare una cosa fatta bene”. Ci sono inoltre alcuni bambini che fanno riferimento al bene come appartenente ad una dimensione religiosa.

La categoria “avere a cuore il bene dell’altro” si articola in particolare secondo tre macro direzioni: quella dell’esprimere affetto verso qualcuno (con le etichette “il bene è saper volere bene”, “il bene si esprime attraverso gesti di affetto”, “il bene è avere il cuore dolce con gli altri”), quella del prendersi cura dell’altro (con le etichette “il bene si esprime attraverso gesti di cura”, “il bene è premura”, “il bene è confortare”, “il bene è tenere l’altro nella mente”) e quella della fermezza e del rimprovero a fin di bene (con le etichette “il bene si manifesta anche nelle azioni di fermezza degli adulti che impediscono di sbagliare” e “il bene si manifesta anche nei rimproveri a fin di bene”). I pensieri dei bambini raggruppati in questa categoria sono particolarmente ricchi e raffinati in quanto esprimono gesti concreti ma anche attenzioni e disposizioni.

La categoria “fare del bene” si articola innanzitutto secondo le diverse declinazioni dell’intervenire quando l’altro vive una situazione di fragilità e vulnerabilità. Per i bambini che fanno riferimento a questa concettualizzazione generale, il bene è aiutare chi ha bisogno, ma anche, sebbene in una sola risposta, essere disponibili per chi ha bisogno, cioè manifestare una postura capace di sensibilità e attenzione per l’altro. Altra declinazione del fare del bene è salvare qualcuno in difficoltà: il verbo “salvare” ha un significato molto forte, che fa riferimento ad una dimensione ulteriore rispetto all’aiutare, perché chiama in causa un’azione di radicale responsabilità nei confronti della vita dell’altro. In un caso, viene data una definizione in negativo del bene, che viene descritto come il non fare del male. C’è poi un dato che esprime un concetto di bene particolarmente raffinato, perché fa riferimento ad un legame che perdura nel tempo, anche dopo la morte.

Per quanto riguarda la categoria “stare insieme”, il bene viene innanzitutto definito attraverso l’esplicitazione dello stile dello stare bene con gli altri, che si qualifica come lo stare insieme senza litigare, l’andare d’accordo, il non escludere nessuno e il giocare insieme. In una risposta viene suggerito che la modalità dello stare bene insieme si concretizza nei gesti e nelle parole della buona convivenza (abbraccio, grazie, prego). Alcuni bambini, inoltre, esplicitano quali sono le persone con le quali si sta bene: la famiglia, gli amici e, più in generale, le persone a cui si tiene. Una bambina, quasi fornendo una chiave ermeneutica dell’intera categoria, rileva che il bene c’è solo quando tutti stanno bene. Un’altra bambina sottolinea il fatto che il bene è il piacere di stare con gli altri.

Per quanto riguarda la categoria “stare bene”, troviamo due risposte che fanno riferimento alle condizioni comunemente ritenute importanti per vivere bene, ossia il sentirsi in salute e lo stare bene economicamente. Altri bambini, continuando la riflessione sulla dimensione individuale dello stare bene, lo identificano come felicità e allegria. Ci sono poi alcuni dati in cui il bene è declinato nella sua dimensione relazionale, come stare bene con gli altri; un bambino e una bambina non solo sottolineano lo stare bene con gli altri, ma fanno anche riferimento il primo allo stare bene con se stessi e la seconda allo stare bene con il proprio cuore, suggerendo quindi un’armonia fra queste due dimensioni, relazionale ed individuale, dello stare bene. La chiave ermeneutica dell’intera categoria è espressa con potente chiarezza da una bambina che parla di “stare bene spiritualmente”, espressione estremamente raffinata e pregna di significato: la bambina, sollecitata dalla ricercatrice a spiegare il senso dell’espressione usata, delinea il concetto di “spirituale” come sintesi di tutte le dimensioni della persona, nella sua individualità e relazionalità; la bambina spiega infatti che “stare bene spiritualmente” significa “stare bene con il nostro corpo, stare bene col nostro cuore, stare bene con la nostra mente” e aggiunge che per coltivare queste direzioni dello stare bene è necessario “stare bene anche con gli altri”.

Un’ulteriore categoria definisce il bene come “essere virtuosi”: in particolare, i bambini fanno riferimento a specifiche virtù quali la generosità, la gentilezza, l’altruismo, la condivisione, il rispetto, l’accoglienza, la gratitudine e l’avere senso civico. Questa categoria è particolarmente significativa perché il legame fra il concetto di bene e quello di virtù costituisce il cuore della teoria che fa da cornice al progetto MelArete.

La categoria “rispettare l’alterità dell’altro” costituisce una specificazione della categoria “essere virtuosi” e, in particolare, della virtù del rispetto. Si declina come non discriminare e non fermarsi all’apparenza.

Strettamente collegata alla categoria dell’“essere virtuosi” c’è quella dell’“essere amici”: a questo proposito va ricordato che per Aristotele l’amicizia è una importante virtù (Etica Nicomachea, VIII, 1155 a). Per diversi bambini, il bene coincide con l’amicizia, con il condividere l’amicizia o con l’essere un vero amico. Qualcuno sottolinea che il bene si esprime nell’avere fiducia negli amici. Un bambino allarga il concetto suggerendo che il bene c’è quando c’è amicizia per tutti.

La categoria “fare una cosa fatta bene” ci dice che alcuni bambini identificano il bene come l’attestazione o il riconoscimento di un lavoro ben fatto; in particolare, un bambino sottolinea come questa dimensione del bene si dia soprattutto in un contesto relazionale (“in una buona compagnia”).

In una classe si è sviluppato un discorso che fa riferimento al bene come appartenente ad una dimensione religiosa: in alcuni dati, infatti, il bene è l’azione o la parola di Dio e l’atto di pregare per gli altri.

8 Conclusioni

La ricchezza dei dati raccolti dimostra la capacità dei bambini di ragionare in modo approfondito e raffinato su concetti eticamente rilevanti, quale è quello di bene. Il concetto di bene costituisce il cuore del percorso di educazione etica proposto ai bambini, perché è proprio al bene che mirano le azioni virtuose su cui si focalizza la parte centrale del progetto. I risultati emersi dalla nostra analisi esplicitano quali significati della parola “bene” erano conosciuti dai bambini all’inizio del percorso. Quello che si può immediatamente constatare scorrendo le tabelle presentate nel paragrafo precedente è che i bambini conoscono diverse declinazioni di questo concetto. È particolarmente interessante notare che sia nelle scuole dell’infanzia che in quelle primarie il concetto di bene viene posto in relazione a quello di cura: mentre per i dati relativi alle scuole dell’infanzia il “prendersi cura” è proprio una categoria, per i dati relativi alle scuole primarie l’aver cura si esprime attraverso alcune etichette che rientrano nella categoria “avere a cuore il bene dell’altro”. Un’altra considerazione che ci sembra interessante evidenziare riguarda il fatto che, sia nelle scuole dell’infanzia che in quelle primarie, il concetto di bene viene posto in relazione con quello di amicizia, nelle sue diverse declinazioni e manifestazioni. Poiché la cura e l’amicizia erano tematiche fondamentali anche della storia letta in classe, ci sembra possibile ipotizzare che non solo la “conversazione socratica” ma anche la presentazione della storia abbia costituito un efficace stimolo educativo capace di facilitare i bambini a riflettere sul concetto di bene.

Concludiamo auspicando che il percorso di educazione etica presentato in questo articolo e i risultati emersi sul concetto di bene, risultati che dimostrano la ricchezza del pensiero etico dei bambini, possano costituire utili spunti di riflessione per gli insegnanti che quotidianamente si impegnano a favorire la fioritura interiore dei loro alunni.

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  1. Vengono qui presentate in estrema sintesi le specificità dei diversi approcci, consapevoli della limitatezza delle osservazioni che si possono qui riportare. Per un’analisi più raffinata della complessità e ricchezza delle singole posizioni si rimanda a Mortari, 2014a; Mortari & Ubbiali, 2017.

  2. Nella scuola dell’infanzia le attività introduttive vengono proposte durante un unico incontro (il secondo del percorso, che riguarda il significato generale di virtù e il significato di coraggio, generosità, rispetto e giustizia), mentre nella scuola primaria vengono proposte durante due incontri (il secondo del percorso, che riguarda il significato di coraggio, generosità, rispetto e giustizia, e il terzo del percorso, che riguarda il significato generale di virtù e i modi in cui si possono apprendere le virtù).

  3. Così organizzato, il percorso prevede undici incontri nella scuola dell’infanzia e dodici incontri nella scuola primaria. Per la scuola dell’infanzia gli incontri sono così definiti: il primo incontro prevede una “conversazione socratica” sul bene e sulla cura, il secondo incontro prevede le attività introduttive, gli otto incontri successivi prevedono la presentazione della storia e la proposta delle vignette o l’organizzazione del gioco per ciascuna delle virtù specifiche considerate nel progetto (coraggio, generosità, rispetto e giustizia), e l’ultimo incontro prevede le attività conclusive. Per la scuola primaria gli incontri sono così definiti: il primo incontro prevede una “conversazione socratica” sul bene e sulla cura, il secondo e il terzo incontro prevedono le attività introduttive, gli otto incontri successivi prevedono la presentazione della storia e la proposta delle vignette o l’organizzazione del gioco per ciascuna delle virtù specifiche considerate nel progetto (coraggio, generosità, rispetto e giustizia), e l’ultimo incontro prevede le attività conclusive. Tuttavia, il numero degli incontri organizzati in classe può variare sulla base del numero di attività che si desidera proporre sulle quattro virtù specifiche oggetto del progetto, cioè coraggio, generosità, rispetto e giustizia. Per ciascuna di queste virtù sono state inventate due storie, una situazione eticamente rilevante che può risolversi nelle modalità rappresentate graficamente da tre diverse vignette (con l’eccezione del rispetto nella scuola dell’infanzia, per cui sono state inventate due situazioni diverse con relative vignette) e un gioco (con l’eccezione della giustizia nella scuola dell’infanzia, per cui sono stati inventati due giochi). Nell’anno scolastico 2016/2017 è stato sperimentato un percorso comprensivo di tredici o quattordici incontri nella scuola dell’infanzia e un percorso comprensivo di dodici o tredici incontri nella scuola primaria. Ciascun incontro ha una durata che va dall’ora all’ora e mezza.

  4. Cioè, dopo il secondo incontro nella scuola dell’infanzia e dopo il terzo incontro nella scuola primaria.

  5. Per quanto riguarda le ultime due domande, va specificato che abbiamo scelto di presentarle attraverso questa formulazione per far percepire ai bambini di essere coinvolti in una conversazione piacevole, perché relativa a due concetti positivi su cui ragionare insieme. Si potrebbe replicare che qualificare il bene e la cura come parole “belle” all’interno delle domande potrebbe avere come conseguenza quella di portare l’attenzione dei bambini sul valore di questi concetti e non sul loro significato. In realtà, i dati raccolti disconfermano qualsiasi ipotesi di misunderstanding: durante la conversazione, infatti, i bambini hanno ragionato sull’essenza di questi due fenomeni, coerentemente con l’obiettivo euristico dell’attività. Si è inoltre scelto di non chiedere direttamente ai bambini “cos’è il bene?” e “cos’è la cura?” per evitare che si sentissero coinvolti in un’attività eccessivamente interrogante; riteniamo che domandare cosa viene loro in mente quando sentono le due parole sia una formulazione che consente ai bambini di sentirsi maggiormente a proprio agio nella conversazione, una conversazione in cui le domande costituiscono uno stimolo iniziale che permette ai bambini di esprimere liberamente il loro pensiero.

  6. Per un approfondimento dei concetti di cura come merimna e therapeia rimandiamo a Mortari, 2015.

  7. Dove si riportano delle parti di conversazione, B. sta per “bambino/a” e R. sta per “ricercatrice”.