Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.22 n.50 (2018)
ISSN 1825-8670

Sostenibilità e educazione. Innovazione tecnologica, lavori verdi, imprese generative

Alessandra VischiUniversità Cattolica del Sacro Cuore (Italia)

Alessandra Vischi è ricercatrice in Pedagogia generale e sociale, docente di “Pedagogia dell’organizzazione e sviluppo delle risorse umane” e coordinatrice Area Alta Formazione di Alta Scuola per l’Ambiente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Pubblicato: 2018-04-05

Abstract

La responsabilità verso le generazioni future richiede una conversione ecologica globale. La questione ambientale sollecita le scienze a riflettere sul rapporto tra educabilità e tecnologia, ricerca del benessere e autenticità degli stili di vita. Negli ultimi anni, sostenibilità e circular economy sono concetti che hanno assunto una considerevole popolarità e attirato una crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica. L’articolo presenta una interpretazione pedagogica riguardo alla correlazione tra educazione, innovazione e lavori verdi con peculiare riferimento alla sostenibilità, alla luce dell’ambiguità e dei molteplici significati assunti nell’attuale dibattito culturale.
Responsibility towards future generations requires a global ecological transformation. The environmental issue urges the sciences, first of all pedagogy, to reflect on the relationship between educability and technology, the pursuit of well-being and the authenticity of lifestyles. In recent years, sustainability and circular economy are concepts that have gained considerable popularity and attracted growing attention from the public. The article presents a pedagogical interpretation regarding the correlation between education, innovation and green works, with particular reference to sustainability, in the light of the ambiguity and the multiple meanings assumed in the current cultural debate.

Keyword: Pedagogy; Education; Green Jobs; Innovation; Social Responsibility.

1 Sostenibilità, educazione

La responsabilità verso le generazioni future richiede una conversione ecologica globale. La questione ambientale sollecita le scienze, in modo peculiare la pedagogia, a riflettere sul rapporto tra educabilità e tecnologia, ricerca del benessere e autenticità degli stili di vita.

Negli ultimi anni, sostenibilità e circular economy sono concetti che hanno assunto una considerevole popolarità e attirato una crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica.

L’articolo presenta una interpretazione pedagogica riguardo alla correlazione tra educazione, innovazione e lavori verdi, con peculiare riferimento alla sostenibilità.

L’attenzione per l’ambiente e i contesti in cui si svolgono gli eventi educativi è da sempre rilevante nel discorso pedagogico; in modo peculiare è dagli anni ’70 del secolo scorso che le preoccupazioni per la crisi ecologica si palesano a seguito di una certa idea di progresso tecnologico ed economico e della consapevolezza dello sfruttamento indiscriminato delle risorse. Nota R. Farnè (2017, p. 1) che la sostenibilità “non inibisce la ricerca scientifica e il concetto stesso di ‘progresso’, ma ridefinisce l’intenzionalità dell’intervento umano sull’ambiente, e delle scienze come strumenti di cui l’uomo dispone per migliorare le proprie condizioni di vita”. La pedagogia, nell’accostare il tema della sostenibilità, ha da compiere una ricerca “fenomenologica”, rivolta ad andare alle cose stesse (Bertolini, 1988) che costituiscono l’esperienza, per indagare il senso ed immaginare nuove relazioni e nuove modalità di pensare l’ambiente. È necessario “rendersi conto del carattere storico e quindi irreversibile dell’esperienza educativa che vuol dire sottolineare la sua dimensione di continuità e di collegamento tra passato, presente e futuro” (Bertolini, 1988, p. 186); riflettere in modo critico sulla sostenibilità e riportare al centro la persona e le relazioni. Ciò non può prescindere dall’intenzionalità educativa e dalle categorie di possibilità e di temporalità, per educare le attuali generazioni e quelle a venire al rispetto e alla tutela della casa comune.

La situazione planetaria, caratterizzata dalla gravità delle questioni ambientali, è dovuta ad una distorta idea di dominio dell’uomo sulla natura e di depredazione delle sue risorse, accompagnato da una diffusa noncuranza per le conseguenze delle proprie attività. L’idea di una crescita senza fine ha mostrato negli ultimi anni i suoi limiti (World Commission on Environment and Development, 1987). Occorre “transitare da un’etica antropocentrica, che riduce la natura ad un insieme di enti dal mero valore strumentale, ad un’etica ecocentrica che riconosce alle varie forme viventi un valore intrinseco” (Mortari, 2003, p. 79) e attribuire alla natura un valore che non sia meramente misurabile in termini economici. Si rende necessaria una formazione profonda delle coscienze in grado di smantellare pregiudizi e logiche utilitaristiche tese al profitto fine a se stesso, per favorire il sentirsi responsabili per l’altro, sentire di “dover fare qualcosa” (Noddings, 1984, p. 14), come “postura dell’esserci che si profila essenziale per agire con cura” (Mortari, 2017, p. 100).

Siamo all’alba di un green new deal: nuovi stili di vita e nuove modalità di produzione possono contribuire a fermare il deterioramento della nostra casa comune a patto che al centro ci sia un’ecologia integrale (Francesco, 2015). Si deve agire prendendo le mosse anzitutto da se stessi. L’impegno nei confronti della sostenibilità deve essere accompagnato da percorsi educativi che richiamano, da una parte, “a non cedere la responsabilità ad altri ma ad assumerla con coraggio e fortezza, perché ciascuno è ‘cittadino della terra’; dall’altra, alla comprensione e alla salvaguardia dell’ambiente per costruire un nuovo modello di ‘abitare la terra’” (Galeri, 2003, p. 164). La cultura della sostenibilità chiama in causa la persona e l’ambiente, l’equità e la democrazia, il presente e il futuro, di ogni uomo e di tutti gli uomini; pone l’enfasi sui talenti e sul capitale sociale, sul “potenziamento della professionalità dei singoli soggetti” (Rossi, 2012, p. 146) e sulla promozione della formazione umana, come un’opera aperta la cui significazione non è determinata. L’agire pedagogico si interroga sul senso e sull’esperienza educativa, anche nei contesti lavorativi (Alessandrini, 2012), alla luce delle odierne condizioni di sviluppo tecnologico, economico e culturale, richiama la scelta responsabile di valorizzare l’uomo e la vita, il rispetto profondo per la persona e per la natura, lo “spazio vissuto” (Iori, 1996) e quello da vivere.

La cosiddetta circular economy (European Commission, 2015) è un modello che le organizzazioni possono adottare per ridurre l’impatto ambientale, in termini di consumo di risorse non rinnovabili, diminuzione degli sprechi, creazione del valore alla fine del ciclo produttivo. Evidenzia la Commissione europea che non riguarda soltanto l’impresa ma deve essere inserita in un quadro politico economico più ampio, per sviluppare un'economia sostenibile, responsabile e competitiva, per generare nuovi vantaggi attraverso un adeguato rispetto per l'ambiente, la valorizzazione delle competenze dei professionisti, la delineazione di nuove modalità di produzione e di consumo, la possibilità di creare nuovi posti di lavoro. La circular economy non rappresenta certamente la soluzione per tutte le problematiche ecologiche ma un’occasione per riflettere criticamente sul rapporto tra questione ambientale, disuguaglianze diffuse e criticità economico-finanziarie che interessano la società odierna.

Nonostante un periodo di difficoltà economiche e sociali a livello globale, seppur con differenze geografiche, la tecnologia ha proseguito il proprio percorso di innovazione, in modo particolare verso il digitale. Questo processo ha condotto alla cosiddetta “Industria 4.0”, “caratterizzata dall’uso intensivo e capillare di robot autonomi, realtà aumentata, cloud, big data e analitica, internet delle cose industriali, integrazione dei sistemi orizzontali e verticali, simulazione e produzione additiva, produzioni di tipo sartoriale” (Magatti, 2017, p. 68), che permetterà alle macchine di relazionarsi tra di loro e di apprendere continuamente, sviluppando forme di “innovazione intelligente” (Magatti, 2017, p. 68) coinvolgendo tutta la filiera industriale.

La sfida dell’Industria 4.0 non riguarda solamente la digitalizzazione ma richiede di individuare modelli di governance aziendale e strategie di business per realizzare la trasformazione digitale in modo efficace.

L’enfasi sull’innovazione tecnologica rischia di far prevalere, nelle gerarchie valoriali di una società assoggettata al denaro e al potere, una retorica sotto la quale potrebbe soffocare la possibilità di pensare l’essenza della persona.

La riflessione pedagogica, naturalmente, è consapevole della problematicità del rapporto tra persona e tecnica, dei pericoli che l’umanità corre a causa delle sue stesse possibilità di manipolazione e trasformazione del mondo. Il discorso sull’educazione orienta a definire in modo critico e progettuale l’interazione comunità-sviluppo tecnologico e interpreta i molteplici elementi culturali che intervengono a determinare una certa antropologia tecnica. Essa non può prodursi, in senso ampio, a prescindere dall’interazione tra l’ambito della vita interiore di ogni persona, quello della cultura delle società umane, e l’ambiente naturale. (Malavasi, 1998, pp. 186-187)

Ciò richiama la responsabilità di ciascuno a prendersi cura del destino dei popoli e dell’ambiente, a non sfruttare senza limiti le risorse a disposizione, in modo da rispettare quei delicati equilibri ecologici che sono andati consolidandosi nel tempo.

Il sapere pedagogico è chiamato a decifrare criticamente le ambiguità dell’innovazione, sempre più immateriale, al fine di delineare autentiche progettualità educative per “l’umanizzazione del progresso tecnologico” (Birbes, 2011, p. 9). In tale prospettiva è emblematico il concetto di Society 5.0 che, considerato in Giappone la chiave strategica per lo sviluppo economico e sociale dei prossimi anni, avvalora l’idea delle tecnologie al servizio dell’uomo. K. Matsushima, stimato uno tra i maggiori esperti del tema in parola, sostiene che la strategia nipponica stia perseguendo l’Industria 4.0 con l’obiettivo, più ampio, di dar vita ad una Society 5.0, nella quale la digitalizzazione e la condivisione dei dati, la robotica e Internet of Things (Geng, 2017), siano gli strumenti per sostenere la crescita a medio e lungo termine, migliorare le condizioni di vita individuale e risolvere questioni sociali emergenti. Secondo Matsushima deve emergere una connessione virtuosa tra persone, organizzazioni pubbliche, imprese di servizi, industrie produttive e macchine, oltre i confini fisici e attraverso le generazioni. Il concetto di Society 5.0 consente di ottimizzare i processi produttivi e la qualità del lavoro, riducendo i costi e i mestieri alienanti, per promuovere modalità di lavoro dignitoso e piena occupazione (ILO, 2008). La sfida, anche educativa, consiste non tanto nel miglioramento produttivo quanto nella capacità dell’uomo di utilizzare big data e robotica per contribuire alla costruzione di una “cittadinanza planetaria” (Morin, 1999), nel segno dell’equità, nel rispetto dell’ambiente, per “lo sviluppo personale e il benessere comune” (ILO, 2008).

La Society 5.0 non è scevra di ambiguità da decifrare ma rappresenta un tema presente nel dibattito attuale e sollecita la pedagogia a riflettere sulle ragioni dell’innovazione tecnologica che non può essere disgiunta dalla formazione e dall’esperienza lavorativa quale occasione di sviluppo umano:

Per quanto l’ambiguità semantica del termine innovazione abbia ridotto quasi a feticcio e a panacea il suo uso nei contesti più disparati, la forza creativa di ogni autentico umanesimo attraversa e oltrepassa la tecnica e può scoprire il futuro valendosi dell’inventio, dell’analisi e della sintesi. Un’etica dell’innovazione come creatività orientata a costruire istituzioni giuste, esprime l’anelito ad un mondo migliore ed è l’apertura al Tu. (Malavasi, 2017, p. 121)

L’attenzione alla sostenibilità diviene il quadro di riferimento per la strategia di sviluppo destinata a tutte le persone del Pianeta delle Nazioni Unite che, nel 2015, propongono il programma “Agenda 2030”, declinato nei cosiddetti 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. Questi “mirano a realizzare pienamente i diritti umani di tutti, a raggiungere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione di tutte le donne e le ragazze; sono interconnessi e indivisibili e bilanciano le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: la dimensione economica, sociale ed ambientale” (UN, 2015). Lo sviluppo sostenibile è articolato secondo le 5 P (pace, partnership, prosperità, pianeta e persona) e prende il via dalla consapevolezza del difficile stato dell’ambiente, che può essere considerato un bene collettivo e un patrimonio di tutta l’umanità. L’Agenda 2030 richiama ciascuno, ogni uomo e ogni donna, a farsi responsabile, anche verso le generazioni a venire, per contribuire al raggiungimento degli obiettivi che sono interconnessi e inseparabili, coinvolgendo popoli e nazioni da ogni parte del mondo, superando confini geografici ed economici.

Rileva Mortari che

una pedagogia che sta al suo tempo, che cioè assume la responsabilità di individuare un’idea di educazione mirata a promuovere nelle nuove generazioni la capacità di abitare con signoria ecologica il proprio luogo esistenziale, non può sottrarsi all’impegno di dialogare con quei linguaggi che offrono piste d’indagine orientate a comprendere le radici della crisi ecologica e a prospettare ipotesi per la costruzione di un nuovo humus culturale. (Mortari, 2001, p. 33)

La responsabilità sollecita stili di vita improntati alla sobrietà, rinnovate strategie di governance mondiale e, prima di tutto, la formazione di una coscienza ecologica che permetta di far maturare una nuova idea di civiltà, una “cittadinanza globale” (Tarozzi, 2015).

2 Lavori verdi tra vocazione e innovazione tecnologica

Il rapporto tra tecnologia e “benessere”, in cerca di una concreta realizzazione, dischiude l’urgenza di ripensare “i parametri tradizionali di interpretazione del pensiero scientifico tradizionale, le leggi delle singole scienze, la tecnica ed i suoi strumenti che stanno mostrando il loro fallimento in diverse occasioni” (Iori, 2003, p. 42). È possibile coltivare un dialogo intra e intergenerazionale che permetta di evitare i danni che la deriva tecnocratica sta producendo? Si riuscirà a pervenire ad una politica internazionale che, nel perseguire la crescita economica e tecnologica, ponga davvero al centro la persona? Conoscere, in prospettiva pedagogica, deve comportare un cambiamento nei principi e nelle azioni, una “coscientizzazione” (Freire, 1970) che attraversi le generazioni. Le prospettive della crescita come “umanizzazione della tecnologia e della società” (Ornaghi, 2001) può essere una sfida educativa per ripensare il rapporto tra formazione, vocazione e dignità del lavoro.

Nell’epoca dell’immateriale sviluppare competenze digitali è fondamentale per avversare forme di esclusione professionale e contribuire alla delineazione di professionalità attuali e innovative, entro un contesto culturale legato ai principi della responsabilità e della sostenibilità. La progettualità pedagogica considera le competenze come “risorsa e valore educativo” e può indirizzare le comunità di pratiche (Wenger, 1998) verso spazi immaginativi del non ancora, del possibile, del trascendente. Essa non può prescindere dal valore della persona, dimensione essenziale nel processo di civiltà e di creazione della cultura, in riferimento al percorso dell’essere umano nei diversi ambiti geografici e socio-politici dell’evoluzione storica. L’importanza di una prospettiva di integrazione tra i fattori economici e quelli educativi (Bertolini, 1996) chiama in causa la vocazione al lavoro che rappresenta una dimensione emblematica della formazione umana.

[Una] vocazione è anche necessariamente un principio organizzativo delle informazioni e delle idee, della conoscenza e dello sviluppo intellettuale. Fornisce un centro intorno al quale si raccoglie un’immensa varietà di particolari; fa in modo che diverse esperienze, fatti, oggetti d’informazione, si ordinino l’uno con l’altro. (Dewey, 1916/ 1992, p. 369)

Quella lavorativa non deve condurre ad “una scelta definitiva, irrevocabile e completa, per evitare che il processo educativo e le attività professionali non rischino di perdere flessibilità e possibilità di ulteriore sviluppo” (Dewey, 1916/1992, p. 370). L’impresa si fa “comunità educante” e può concorrere a promuovere “quell’ideale paidetico umanistico cristiano” secondo cui l’educazione morale sia la forma stessa dell’educare, in grado di aiutare ogni persona a “trovare la propria vocazione” (Bellingreri, 2006, p. 169).

I giovani necessitano di opportunità per riscoprire la “vocazione” al lavoro, un impegno che va anche oltre il risultato professionale ed economico, per concorrere all’edificazione della società futura. Accostare il tema della vocazione conduce a valorizzare l’“orientamento inteso come ‘bene individuale’, come cura sui, come coltivazione dell’io, come formazione del sé e come auto-orientamento per realizzare una progettualità personale attraverso una riflessione consapevole su di sé” (Mariani, 2014, p. XIII).

Aspirazioni e desideri, competenze e ambiguità dell’innovazione tecnologica devono fare i conti con un mondo del lavoro che sta subendo profonde trasformazioni. In tal senso si sta sempre più diffondendo lo smart working, che spinge a ripensare il lavoro in una prospettiva inedita, smart e sostenibile; l’utilizzo della rete e dei dispositivi mobili apre spazi imprenditoriali possibili.

Può esser visto come un cambio paradigmatico nel leggere e comprendere il tema del lavoro nella contemporaneità. Lo smart working, consentendo pratiche di conciliazione tra vita privata e lavoro può anche essere visto come uno scenario utopico, sognato e desiderato da masse di persone nel passato, uno scenario inimmaginabile qualche tempo fa (per usare la metafora nella citazione iniziale dell’Abate di Saint Pierre, autore amato da Rousseau) ma oggi possibile. (Alessandrini, 2017)

La progressiva digitalizzazione ha ricadute su modelli e processi organizzativi, incide profondamente sulla configurazione dei rapporti tra persona ed organizzazione e chiama in causa scuole e università per una riflessione sulla formazione dei giovani (Bertagna, 2011).

La pedagogia, impegnata a riflettere sull’educabilità della persona e sui contesti in cui la formazione si svolge, deve occuparsi, iuxta propria principia, del lavoro e dell’organizzazione e delle loro trasformazioni in contesti sociali ed economici in continua evoluzione. Essa non “studia come ‘adattare’ il soggetto adulto alle situazioni di lavoro in cui è impegnato” ma “le costellazioni fenomeniche nelle quali l’interazione tra soggetto e lavoro si estrinsecano” per dare valore e senso al “primato pedagogico della centralità dell’istanza antropologica” (Alessandrini, 2012, p. 65). “Lo sviluppo di un concetto pedagogico del lavoro può essere interpretato come promozione della dimensione educativo-formativa propria del lavoro ovvero come riflessione sul valore formativo-apprenditivo dell’esperienza” (Alessandrini, 2012, p. 66) e chiama in causa temi quali, tra gli altri, i territori per l’apprendimento Lifewide (Fabbri & Tarozzi, 2016), la formazione delle risorse umane (Malavasi, 20072), la differenza di genere (Iori, 2014), la responsabilità sociale (Vischi, 2011).

Nel 14° Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione “I media e il nuovo immaginario collettivo” si legge che nell’epoca della rivoluzione (e della disintermediazione) digitale, i new media hanno contribuito a modificare abitudini e comportamenti quotidiani e a ridefinire l’immaginario collettivo rivoluzionandone attese, simboli, priorità e valori di riferimento. I “miti della contemporaneità” sono cambiati anche grazie a Internet e ai social network (ad esempio Whatsapp, Instagram, YouTube, ecc.) che, nel 2017, registrano un aumento nel loro utilizzo. Nella consapevolezza di una digitalizzazione invasiva, lo smart working saprà migliorare le condizioni di lavoro? O c’è forse il rischio che venga meno il valore delle competenze della persona? Riuscirà a concorrere allo sviluppo sostenibile? Riuscirà l’avvento della Society 5.0 ad umanizzare la tecnologia e ad evitare una sudditanza della persona ai dispositivi elettronici?

Forse si sta andando verso una “total-job society organizzata attorno a un nuovo tipo di lavoro (e di vita) senza luogo e senza tempo, dove la relazione lavoro e remunerazione dovrà essere completamente rinegoziata” (Magatti, 2017, p. 69)?

Ponendo l’attenzione sul tema dell’employability, Istat (2018) rileva che nel periodo settembre – novembre 2017 si registra una crescita degli occupati rispetto al trimestre precedente (+0,4%, +83mila) che interessa donne e uomini e si concentra soprattutto tra gli over50, in misura più lieve anche tra i 15-24enni, a fronte di un calo tra i 25-49enni. L’aumento è determinato esclusivamente dai dipendenti a termine, mentre calano i permanenti e rimangono stabili gli indipendenti. In valori assoluti aumentano soprattutto gli occupati ultracinquantenni (+396mila) ma anche i 15-34enni (+110mila), mentre calano i 35-49enni (-161mila). Nello stesso periodo diminuiscono sia i disoccupati (-7,8%, -243mila) sia gli inattivi (-1,3%, -173mila). Nel medesimo arco temporale, il tasso di occupazione aumenta rispetto ai tre mesi precedenti di 0,2 punti percentuali per gli uomini e di 0,1 punti per le donne. Il tasso di disoccupazione cala di 0,1 punti per gli uomini e di 0,2 punti per le donne. Il tasso di inattività cala di 0,1 punti per gli uomini mentre rimane stabile per le donne. Nel confronto con novembre 2016, il tasso di occupazione cresce di 1,0 punti percentuali per gli uomini e di 0,9 punti per le donne. Il tasso di disoccupazione cala di 1,0 punti per entrambi. Anche il tasso di inattività cala per entrambi i generi (-0,2 punti per gli uomini, -0,4 punti per le donne)" (Istat, 2018)

Il quadro socio economico attuale italiano evidenzia la necessità di potenziare l’impegno per connettere l’adeguatezza della formazione con le dinamiche della congiuntura economica e la questione dell’occupazione. Il discorso pedagogico, che muove dall’educabilità della persona, considera le forme della progettualità educativa per individuare un equilibrio durevole tra prosperità economica, valori e compimento dell’humanum.

Un’interpretazione etico-educativa in riferimento alle transizioni del lavoro sollecita l’individuazione di un rapporto virtuoso tra processi socio-culturali e perfezionamento della persona.

Per creare innovazione occorre rendere la persona capace di esprimere il proprio talento e di far fruttare le conoscenze, far sì che le politiche siano orientate al perseguimento della sostenibilità sul piano locale e globale, siano connesse e basate sui principi della collaborazione e della responsabilità, affinché le risorse finanziarie generino valore umano e non profitto a breve termine.

L’occupazione che registra un trend positivo in Italia, ma non solo, è quello dei green jobs nel quale, nel 2017, secondo il Rapporto GreenItaly, si registra un numero di assunzioni pari a quasi 320mila unità, il cui lavoro è finalizzato in modo diretto alla produzione di beni e servizi green o a ridurre l’impatto ambientale dei cicli produttivi. Il fenomeno dei green jobs richiede per lo più laureati magistrali o con un titolo post-lauream cui si accompagnano caratteristiche emblematiche, tra le quali “flessibilità e adattamento, capacità di lavorare in gruppo, capacità di risolvere problemi, capacità di lavorare in autonomia, capacità comunicativa scritta e orale” (Symbola, 2017, p. 91).

La scuola e l’università, in accordo con le istituzioni e le imprese, hanno la responsabilità di promuovere l’acquisizione di competenze per favorire l’incontro tra giovani e mondo del lavoro; questo ha da divenire contesto educativo in cui la persona possa esprimere la propria creatività e generatività sotto forma di idee, azioni, prodotti. Creatività manageriale, responsabilità intergenerazionale, valore condiviso tra impresa e stakeholders sono elementi emblematici per favorire il progresso socio-culturale i cui benefici siano solidali e durevoli per le giovani generazioni di oggi e di domani.

La sfida che si pone al nostro Paese e alla comunità internazionale è riuscire a ridurre la disoccupazione e a conciliare crescita economica, diffusione del benessere, tutela dell’ambiente. In questa prospettiva emerge l’importanza dell’educazione, soprattutto dei giovani, ad una libertà responsabile per la ricerca della giustizia e del bene comune. La strategia Europa 2020 (European Commission, 2010) mira a creare le condizioni per un’economia più competitiva e una crescita intelligente, investendo nell'istruzione, nella ricerca e nell'innovazione; sostenibile, tutelando l’ambiente e favorendo scelte responsabili; solidale aumentando l’occupazione e diminuendo la povertà. Il sapere sull’educazione è chiamato a considerare la portata euristica delle trasformazioni in atto la cui governance richiede un cambiamento economico, culturale e valoriale che non può non interessare le università, le professioni e le imprese.

Il mondo del lavoro contribuisce a raggiungere gli obiettivi di sviluppo durevole e integrato rafforzando il dialogo sociale e i partenariati pubblico/privato, favorendo la condivisione di responsabilità riguardo all'attuazione di metodi di produzione e di consumo sostenibili. Le organizzazioni come contesti educativi e il lavoro per “prendersi cura” gli uni degli altri, dei vissuti e dei talenti individuali possono essere la trama sulla quale istituire un’inedita modalità di governance, di responsabilità professionale che tenga conto del valore ontologico della persona umana.

3 Imprese generative, responsabilità sociale

La sfida educativa della sostenibilità, questione che attraversa la convivenza attuale, designa le ambiguità di una concezione di progresso avida e rapace, senza rispetto per le risorse umane e naturali. Tra rilevanti differenze semantiche, i termini emergenza, sfida, esigenza alludono all’importanza cruciale di quel bene collettivo che è l’educazione nei diversi contesti di vita. Le organizzazioni sollecitano la riflessione e la progettualità nell’ottica della formazione lifelong; in questa luce emblematico è il concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa, che ha subìto significative evoluzioni nel tempo e ancor oggi non trova una definizione univoca da parte di studiosi appartenenti a diverse discipline che da decenni si occupano del tema.

I primissimi studi sulla responsabilità sociale sono individuabili negli anni ’20 del secolo scorso ma negli ultimi cinquant’anni, in modo compiuto, assumono consistenza le analisi sul tema in parola con particolare riferimento all’area nordamericana. La definizione classica di Corporate Social Responsibility è attribuita a H.R. Bowen (1953) secondo il quale le imprese di grandi dimensioni sono fulcri economici e di potere in grado di condizionare la vita della società da numerosi punti di vista. L’autore pone l’accento sugli obblighi del manager nel perseguire politiche responsabili, nel prendere decisioni che portino a risultati auspicabili in termini di obiettivi e valori della società.

Le ricerche svolte fino ad oggi in merito alla responsabilità sociale d’impresa si connotano per la diversificazione tematica e la numerosità. Diversi fattori quali la globalizzazione dei mercati e gli scandali finanziari, la crisi ecologica degli anni Settanta e la conseguente rilevanza attribuita allo sviluppo sostenibile, l’attenzione ai diritti umani e dei lavoratori e l’attesa di eticità da parte della società civile, il consolidarsi della richiesta di certificazioni e standard accrescono in modo ulteriore, negli ultimi due decenni, la diffusione di trattazioni e pratiche riferibili in vario modo alla responsabilità sociale. Nelle ricostruzioni più recenti essa “si palesa in termini di nuova logica di sviluppo economico, indispensabile per la costruzione dell’ambiente di lavoro come luogo di effettivo benessere personale e comunitario” (Pati, 2010, p. 78) si configura come cultura condivisa per la progettazione organizzativa (Vischi, 2011), ma anche come modalità di governance (Molteni, 2004).

Con l’espressione Corporate Social Responsibility il Libro Verde della Commissione Europea (2001) designa la scelta volontaria da parte dell’impresa (profit, no profit o pubblica amministrazione) di perseguire il proprio obiettivo tenendo in debita considerazione i diversi stakeholder, vale a dire le risorse umane, interne ed esterne all’impresa, e l’ambiente (Elkington, 1997); ha comportato la diffusione di modalità volontarie di certificazione nazionali e, soprattutto, internazionali (ad es. la certificazione SA8000 e ISO14001), linee guida (la più rilevante può essere considerata ISO 26000), modelli e standard per fornire al management strumenti di gestione e possibilità di comparazione tra organizzazioni.

Si possono individuare talune prospettive euristiche della responsabilità sociale: è la scelta strategica di governance di un’organizzazione per acquisire fiducia da parte degli stakeholder; non è filantropia aziendale; necessita di una cultura imprenditoriale condivisa e partecipata; può rappresentare una progettualità organizzativa volta alla valorizzazione delle persone e dell’ambiente; richiama l’opportunità di una formazione “etica” per coinvolgere tutti gli stakeholder in un progetto di responsabilità che va oltre i confini fisici dell’impresa (Vischi, 2011).

A distanza di quasi due decenni dalla pubblicazione del Libro Verde, la responsabilità sociale mantiene oggi un ruolo importante nell’ottimizzare i processi, nella prevenzione dei reati (Parlamento Europeo, 2014), nel contribuire a contenere gli impatti sull’ambiente e nel delineare contesti organizzativi più idonei alla valorizzazione delle risorse umane, anche grazie alla consapevolezza degli stakeholder, soprattutto clienti e consumatori, disposti a pagare di più per prodotti di aziende “sostenibili”.

Per il valore riconosciuto alla cultura dell’iniziativa imprenditoriale e della progettualità formativa, la responsabilità sociale può rappresentare un ambito significativo di sviluppo per la comunità locale e l’impresa stessa se genera profitti sia materiali sia “intangibili”, favorisce processi sociali per l’integrazione delle differenze, promuove l’autenticità della “crescita”.

Il discorso pedagogico, rivolto all’elaborazione della progettualità educativa, ha da sviluppare una comprensione adeguata delle peculiarità dei processi economici attuali, per promuovere il perseguimento della “felicità economicamente sostenibile” (Becchetti, 2009), secondo cui la creazione di valore economico non diviene fine ultimo ma strumento importante per creare risorse da destinare alla generazione di beni superiori. È quanto mai indispensabile che agli innumerevoli beni materiali e di consumo si sostituiscano sempre di più i beni relazionali “che scaturiscono esclusivamente da modalità di interazione con gli altri che si ispirano in modo specifico alla reciprocità e alla condivisione” (Uhlaner, 1989, p. 254). Il bene relazionale non ha un valore o prezzo monetario, è caratterizzato da un orientamento etico-valoriale ed è il risultato di un incontro: “Nei beni relazionali il bene è intrinseco alla relazione in sé […] e la relazione non è soltanto strumento per o funzionale allo scambio economico” (Bruni, 2012, p. 212). In tal senso essi possono diventare talora dei veri e propri “beni pubblici” a favore di tutta la collettività, se i rapporti instaurati con l’altro sono finalizzati a generare reti di cooperazione tese al miglioramento della società. È nello scambio di reciprocità che si concretizza il vero significato di mercato. In esso sono presenti non solo l’efficienza e il profitto, ma anche le dimensioni del dono, della cooperazione e della gratuità. A tal proposito L. Bruni (2012, p. 238) afferma che “oggi come ieri non esiste un umanesimo integrale se l’individuo non si riconcilia con la comunità, la libertà con la fraternità, i mercati con la vita civile, lo spirituale col materiale, la gratuità con il contratto, l’eros con l’agape”; scuole e imprese che, attraverso la cooperazione e la “fraternità civile”, riescano a definire una nuova dimensione sociale, nella quale venga riscattato il dono, come l’esperienza più tipicamente umana. “Nell’ambito di un’economia civile, il mercato è un luogo d’incontro, dove si esercita la socialità e la reciprocità al pari di altri contesti di vita” (Malavasi, 2007, p. 187). Si può parlare, quindi, di una sorta di coscienza educativa ravvisabile nella volontà delle persone di essere responsabili verso se stessi e la comunità d’appartenenza. La cura per l’altro include in sé una sorta di impegno etico, di promessa educativa (Malavasi, 1998) tra generazioni. È nella relazione con l’altro che si stabilisce quell’indispensabile rapporto per creare reti di reciprocità nella logica della fiducia e del dono; non deve stupire la possibilità di considerare l’alternanza scuola lavoro come un bene relazionale, occasione di condivisione di spazi e processi, esperienze e desideri secondo una progettazione educativa orientata al bene comune.

È nel rapporto di alleanza tra imprese socialmente responsabili e bene comune, tra lavori verdi e formazione lifewide, tra vocazione e imprenditorialità, nel segno di un’economia civile, che appare rilevante il contributo di riflessione offerto dalla pedagogia.

Promuovere un’economia civile implica educare in modo intenzionale a comportamenti non-strumentali ma espressivi di virtù civili, educare a far sì che il valore economico sia interpretato oltre i modelli tradizionali di mercato e di profitto, improntati al self-interest. È necessario che la persona, e per tanto l’impresa in qualità d’ambiente educativo e comunità umana, riconosca la necessità di riprendere e armonizzare valori in grado di guidare verso una società democratica, rispettosa dell’altro e orientata alla pace.

La riflessione pedagogica considera la specificità progettuale e ‘competitiva’ della responsabilità sociale al fine di individuare emblematici risvolti etico-educativi, di riconoscere il desiderio di vivere in pienezza con e per l’altro in istituzioni giuste, di far risaltare la dignità del lavoro umano. Avvalora l’impresa socialmente responsabile, quale realtà generativa di valori e di relazioni, di innovazione e di cura, che si impegna per favorire lo sviluppo sociale e della comunità, la tutela dell’ambiente. La responsabilità sociale può divenire lo spazio di progettualità assiologica e teleologica per organizzazioni e stakeholder che “fanno rete” nella prospettiva del bene comune. È possibile superare la concezione secondo la quale è l’impresa che sceglie comportamenti responsabili per addivenire ad una concezione più ampia per la quale gli stakeholder più rilevanti sono partner di un medesimo disegno. La responsabilità sociale diviene corresponsabilità sociale, può dar vita a reti progettuali di sviluppo e permettere scelte parsimoniose nella scelta dei consumi; garantire trasparenza nei processi aziendali e comunicativi; valorizzare le persone, i talenti, le competenze; creare nuovi lavori verdi; contenere gli effetti di eventuali crisi finanziarie, anche a livello mondiale, mantenendo posti di lavoro e produzione. Un’impresa socialmente responsabile, nel perseguire gli obiettivi sociale, ambientale ed economico può contribuire agli obiettivi dello sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 e sarà tanto più efficace quanto riuscirà a far emergere potenzialità di sviluppo attraverso la tecnologia, che deve essere sì al servizio dell’economia, ma di un’economia al servizio del bene comune.

La pedagogia denuncia i tratti riduttivi e antisociali del potere economico-finanziario e contribuisce alla promozione dell’economia civile che si propone di “rispondere ai bisogni profondi degli individui – che sono persone – animate, oltre che da un sano autointeresse, da motivazioni intrinseche, reciprocità, solidarietà e desideri prosociali” e, soddisfacendo tali motivazioni, “creare un’economia nella quale la produzione di beni e servizi è strumentale alla fioritura della persona e della sua vita di relazioni e non viceversa” (Becchetti, Bruni & Zamagni, 2014, p. 477).

L’iniziativa economica può essere testimonianza di vita e di un orientamento culturale, avvaloramento del capitale umano e della qualità intellettuale. Riguarda non soltanto il contesto aziendale e produttivo; riveste evidenti significati nell’ambito del mondo politico e deve divenire risorsa sociale e possibilità di sviluppo equilibrato.

Riprendendo il pensiero di Bertolini, V. Iori (2016, p. 21) evidenzia

la dimensione etico-politica della fenomenologia. In prospettiva pedagogica questo significa che il gesto educativo è legato alla capacità di gettare uno sguardo non indifferente o distratto sulle persone che si incontrano nel rapporto educativo. Vedere è “accorgersi” dell’altro-persona la cui presenza non è insignificante, ma costantemente ci interpella ad un corrispondere che implica assumere responsabilità della relazione. La pedagogia riporta quindi l’attenzione alla responsabilità della relazione educativa

anche nei contesti organizzativi, che divengono comunità di persone volte all’immaginazione del non ancora, alla competizione “nel senso proprio di cum-petere, per cui si condivide insieme il campo, il gioco, il rispetto reciproco, ma ci si affronta/confronta per dimostrare all’altro il meglio di sé” (Farné, 2006, p. 44), una competizione che diviene collaborazione autentica per generare valore. Gratuità e dono, reciprocità e ascolto sono valori emblematici che permettono un’umanizzazione economica, la promozione di uno sviluppo umano integrale (Benedetto XVI, 2009). Non deve stupire al riguardo il riferimento a Olivetti che riconosce non solo una dimensione spirituale del lavoro (Olivetti, 2014) ma investe sul concetto di formazione ed educazione: l’obiettivo è il benessere della comunità e la fabbrica diventa un luogo di incontro e di condivisione; il profitto, che non deve essere trascurato, non ha come scopo principale il mero arricchimento, ma la possibilità di creare valore sociale.

L’attenzione per le persone e la sensibilità per l’humanum e per i suoi bisogni guidano la modalità di “fare impresa” di Olivetti, il cui fine è quello di “modificare il destino di migliaia di persone, ognuna con una sua dignità, una sua luce e una sua vocazione” per “garantire un avvenire, una vita più degna di essere vissuta” (Olivetti, 2014, p. 29). Egli riconosce nella comunità una “sintesi creativa” tra i bisogni e le aspirazioni del luogo territoriale di riferimento, tra tecnico e umano, tra valori estetici e naturali e quelli sociali un luogo di unità e solidarietà umana, espressione di una società rinnovata. La sfida al miglioramento generale delle condizioni di vita ed alla formazione di rapporti equi e solidali esige una razionalità del noi;

se si pone la scelta per cui un fine di benessere, di potere, di utilità, può essere realizzato solo a costo dell’integrità personale, allora tal fine deve restare irrealizzato. Perché si vedrà che la salvaguardia dell’essenziale torna a vantaggio anche dell’utilità; mentre, se ciò che sta a fondamento viene tradito, esso si vendica di tutto, anche del benessere. (Guardini, 2001, p. 817)

Le organizzazioni come contesti educativi e generativi di alleanze con la comunità, il lavoro per “prendersi cura” gli uni degli altri e la sostenibilità sorretta da un’intenzionalità educativa, possono essere la trama sulla quale istituire un’inedita modalità di governance, di responsabilità professionale che tiene conto del valore ontologico della persona umana. “Coltivare l’umanità” (Nussbaum, 1997) significa avversare iniquità e pregiudizi: “se la cultura delle differenze sta diventando sempre più rilevante, le differenze di genere (ma anche di età o di etnia) non possono rimanere invisibili. Devono essere sottratte al pensiero standardizzato e omologante che ignora le potenzialità e l’arricchimento che deriva dal valore delle differenze” (Iori, 2014, p. 25). La pedagogia designa la rilevanza della “formazione umana” (Gennari, 2012) e l’imprescindibilità dell’educazione morale e di un’antropologia che, nel dialogo autentico tra culture e valori, si costituisca sulla specificità stessa dell’umano.

“Farsi persona” (Bruzzone, 2017) tra umanizzazione dell’innovazione tecnologica e lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, è un obiettivo regolativo, sempre da perseguire e mai pienamente raggiunto, “nella prospettiva di un’educazione all’impegno e al senso di responsabilità” (Bertolini, 1988, p. 185).

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