Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.22 n.51 (2018)
ISSN 1825-8670

Philippe Meirieu, Pedagogia. Dai luoghi comuni ai concetti chiave, Roma: Aracne, ISBN 8825510047, 196 pagine, 2018

Enrico Bottero

Pubblicato: 2018-07-30

Da tempo è in crisi la funzione simbolica delle istituzioni. Non è un caso: l’individualismo è il tratto distintivo delle società segnate da decenni di un consumismo sempre più invasivo (Bernard Stiegler lo definisce efficacemente capitalismo pulsionale). Nella scuola in cui prevale l’associazione tra controllo tecnocratico e debole organizzazione non è più possibile contare sull’autorità dell’istituzione per aiutare un insegnante. Anche tra le famiglie si diffonde la sfiducia. Il risultato è che negli ultimi anni abbiamo visto nascere molte iniziative di “scuole alternative” all’istruzione pubblica. La scuola pubblica attuale viene giudicata troppo rigida, poco attenta allo “sviluppo naturale del bambino” e ai suoi interessi, ossessionata da continue prove di valutazione che invece di motivare favorirebbero il cinismo e la competizione. Il termine ricorrente è “libertà di”, un “valore” che si ritiene non venga più soddisfatto nella scuola pubblica. Il successo del libro di Celine Alvarez, insegnante francese, Le leggi naturali del bambino (Mondadori, 2017) e delle conferenze di vedettes internazionali dello show business della pedagogia come Ken Robinson1 non sono eventi casuali. Tutto ciò ha colpito e irritato Philippe Meirieu, anche perché molti luoghi comuni invocati oggi non sono affatto nuovi. Non bisogna dimenticare che era stato proprio Adolphe Ferrière a scrivere circa un secolo fa questi slogan: “La scuola è stata creata su indicazione del diavolo. Il bambino ama la natura: è stato parcheggiato in stanze chiuse. Il bambino vuol vedere che la sua attività sia servita a qualcosa: si è fatto in modo che non avesse alcuno scopo, ecc.”2. Qui a parlare è l’anima mitologica del movimento dell’Éducation Nouvelle. Ad essa non si poteva rinunciare perché offriva motivazioni per impegnarsi a favore di una grande utopia pedagogica: formare l’uomo nuovo capace di vivere in pace con gli altri dopo le tragedie della prima guerra mondiale. Il movimento dell’Éducation Nouvelle però, era anche andato oltre gli slogan. Aveva affrontato concretamente i temi chiave dell’educazione sperimentando metodi attivi, lavorando sull’interesse e sulla motivazione, proponendo situazioni educative finalizzate, sperimentando nuove modalità organizzative che tenessero conto delle differenze individuali. Il libro di Meirieu è l’occasione per chiarire alcuni concetti e le pratiche conseguenti alla luce delle esperienze degli esponenti principali dell’Éducation Nouvelle, da Parkhurst a Kilpatrick, da Demolins a Claparède, da Montessori a Freinet, da Korczak a Makarenko. L’autore non vuole fare della semplice ricostruzione storica ma affrontare i temi e le contraddizioni dell’educazione di oggi attraverso quel patrimonio di idee ed esperienze, oggi poco conosciuto e quasi assente dai programmi di formazione di educatori ed insegnanti.

Se si va oltre gli slogan emerge subito la complessità di ogni concetto. Così, se è vero che bisogna rendere l’allievo attivo per raggiungere gli apprendimenti, è anche vero che per apprendere è necessaria un’attività non solo fisica ma anche mentale. In caso contrario il rischio è quello di consegnarsi a una logica produttiva costruendo una macchina per impedire l’apprendimento proprio di coloro che della scuola avrebbero più bisogno. Facendo proprie le istanze del costruttivismo è possibile ideare situazioni didattiche ed educative che garantiscano l’apprendimento di tutti mantenendo la mobilitazione dei ragazzi all’interno di un progetto collettivo.

Anche lo slogan “partire dall’interesse del ragazzo” va chiarito. Almeno in fase iniziale, ci ricorda Meirieu, il ragazzo non desidera apprendere ma è alla ricerca di un riconoscimento e desidera “fare” qualcosa. Il desiderio di apprendere, la motivazione, non è un prerequisito ma un oggetto di lavoro per ogni educatore. Far nascere il desiderio di apprendere (tema di un altro libro di Meirieu, Il piacere di apprendere, Giunti, 2016) e non solo di sapere o di fare è uno dei più importanti obiettivi da raggiungere perché “non si insegna nulla senza che l’allievo desideri apprendere, non si apprende nulla senza coinvolgimento”.

La questione dell’individualizzazione è una delle più attuali perché si collo­ca nel quadro delle aspettative di una società competitiva in cui rie­merge con forza la questione dei “talenti” personali. L’Éducation Nouvelle si era schierata contro l’insegnamento tradizionale che non teneva conto delle differenze individuali. Anche l’individualizzazione può essere intesa in modi diversi. Il primo modo è quello di costituirsi come sostegno a un individuo già costi­tuito e formato. È il sogno della “scuola su misura”. La diagnosi delle differenze, ricorda però Meirieu, non è un punto d’arrivo, la consta­tazione di un dato di natura, come pensavano Ferrière e Claparède, ma un punto di partenza per andare oltre. La pedagogia differenziata a cui guarda Meirieu parte dai soggetti come sono ma, adattando il tempo e i metodi per realizzare un percorso, vuole permettere a tutti di raggiungere gli obiettivi di apprendimento previsti.

Nei due capitoli conclusivi Meirieu affronta temi educativi di grande portata, quello del rispetto del ragazzo e della sua libertà. La questione del rispetto del bambino/ragazzo richiama il luogo comune della spontanea creatività infantile, una delle pietre miliari della vulgata pedagogica progressista del XX secolo. Anche qui, però, Meirieu sente il bisogno di chiarire. Il successo educativo, infatti, si gioca sulla capacità di coniugare l’esogeno e l’endogeno. Così, se è vero che, come ricordava Rousseau, si impara bene solo ciò che si impara da soli, è anche vero che l’aiuto dell’educatore non è eliminabile. L’educazione, infatti, è una tensione continua tra due esigenze, quella di trasmettere e quella della libera conquista del sapere. È l’adulto che educa ma è il ragazzo che cresce e impara. È un’illusione credere che ragazzi e adolescenti siano spontaneamente capaci di far diventare relazione ciò che hanno da dire. Lo scambio richiede la costruzione individuale e collettiva del simbolico uscendo dal pulsionale. L’educatore responsabile sa che la via per sostituire il piacere della comprensione alla semplice soddisfazione pulsionale è molto lunga e passa per la messa in atto di dispositivi (ad esempio, i rituali) che permettano ai ragazzi di metabolizzare la loro espressione e le loro energie raggiungendo la capacità di pensare.

La questione della libertà è un altro grande problema di ogni educazione. Rispetto della libertà vuol dire comprensione benevola nei confronti del minore non considerato ancora responsabile o riconoscimento immediato di questa responsabilità? Non si deve considerare mai il ragazzo responsabile delle sue azioni a causa della sua storia personale (condannandolo così a riprodurre le abitudini contratte nel suo ambiente di origine) oppure, al contrario, lo si deve ritenere fin da subito dotato di libero arbitrio? Se affrontata in modo teorico, come spesso hanno fatto i filosofi, la questione è insolubile. È però affrontabile praticamente dall’educatore che opera con le persone “in carne ed ossa” e guarda al futuro, a ciò che il ragazzo potrebbe diventare tenendo conto del suo passato (Piero Bertolini aveva chiamato tutto ciò la dimensione originaria della possibilità). Non essendo pienamente responsabile, quest’ultimo va pian piano aiutato ad esercitare autorità e responsabilità, anche attraverso la sanzione, non intesa come esclusione ma come conferma per aiutarlo a riflettere e a ritrovare il suo posto nel gruppo. Emblematico, a questo proposito, il caso citato da Meirieu, quello di Oujikov, un giovane ladro ospite della colonia Gorky diretta da Anton Makarenko.

Il volume si conclude con un’Appendice dedicata al modello medico in educazione. Nella società individualizzata e competitiva che si sta de-istituzionalizzando questo modello è vincente perché esalta un soggetto monade al di fuori della sua dimensione relazionale. Il modello si può sintetizzare in questo modo: bisogna conoscere prima di agire, anche in educazione. Gli insegnanti e gli educatori devono avere a disposizione dati “scientifici”, oggettivi e quantitativi, sui loro allievi per poter meglio intervenire. L’educazione, infatti, serve a costruire l’individuo, il migliore possibile. Il modello medico, che in passato ha costituito un riferimento importante per gli educatori (molte innovazioni pedagogiche sono nate da medici, come Itard o Montessori), oggi rischia di portare a conseguenze negative. La ricerca esasperata di disfunzioni, di “bisogni educativi speciali” e la loro meticolosa individuazione conduce a trattamenti individuali, dentro e fuori la scuola. In questo modo c’è il rischio di confermare le disuguaglianze invece di diminuirle. Secondo Meirieu, una volta conosciute le leggi dello sviluppo e i risultati di apprendimento degli allievi in un momento specifico, l’educatore è chiamato ad agire, a guardare l’allievo non dal punto di vista del suo passato ma da quello del suo futuro possibile. Se, al contrario, l’insegnante si fermasse ai presunti dati “scientifici” sulla persona dell’educando l’effetto Pigmalione sarebbe dietro l’angolo. Consciamente o no, si proietterebbe sull’allievo un’immagine che anche lui farà propria, esaltandosi (perché nato gifted) o demotivandosi (perché collocato al gradino più basso). Il ritorno alla “psicologia delle doti” segnerebbe una pericolosa regressione della pedagogia, nata in epoca moderna proprio in nome della lotta contro il fatalismo.

Il libro di Meirieu3 è interessante sia per i suoi contenuti che per il metodo espositivo utilizzato. Con i continui riferimenti ai grandi educatori l’autore rivela infatti il suo punto di vista sulla pedagogia: non scienza oggettiva ma pratica teorica, ovvero “intreccio dialettico della teoria e della pratica educative che si realizza da e su una stessa persona” (p.191). Ecco dunque un compito per gli educatori e gli insegnanti di oggi: leggere gli educatori del passato per riflettere sulle contraddizioni che hanno incontrato, su quali strumenti hanno utilizzato; non per copiarli, ma come stimolo per interpretare la propria esperienza, il proprio vissuto e le proprie azioni passate, per guardare meglio al futuro e proporre situazioni educative efficaci e produttive.


  1. Ken Robinson è conferenziere del Technology Entertainment De­sign. Le sue conferenze sull’educazione sono ascoltabili all’indirizzo (https://www.ted.com/talks/ken_robinson). Alcuni brani delle conferenze sono visibili con i sottotitoli in italiano sul canale you tube di TED Italia.

  2. Testo scritto in occasione del Congresso fondativo della Lega Internazionale dell’Educazione Nuova, Calais, 1921.

  3. Alcuni scritti di Philippe Meirieu sono disponibili in lingua italiana all’indirizzo (https://www.enricobottero.com/philippe-meirieu). Sullo stesso sito (https://www.enricobottero.com), nella pagina Educatori/insegnanti, è possibile accedere alle biografie, alle proposte didattiche ed educative e ad alcuni testi di autori citati nel volume. Sul sito (http://meirieu.com) (in lingua francese) è possibile leggere molti scritti di Philippe Meirieu.