Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.22 n.51 (2018)
ISSN 1825-8670

Tecniche attive nella formazione per l’outplacement: gli interventi di gruppo migliorano il ricollocamento?

Massimiliano BarattucciUniversità eCampus (Italy)

Massimiliano Barattucci, psicologo, psicoterapeuta e formatore Senior, ha un dottorato di ricerca sul tema degli “ambienti ed outcomes d’apprendimento”, ed è attualmente ricercatore e docente in area Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni.

Dario CafagnaUniversità eCampus (Italy)

Dario Cafagna, psicologo, psicoterapeuta, sessuologo e formatore Senior, è ricercatore e docente nell’area della Psicologia Dinamica

Enrico BocciolesiNational Distance Education University (Spain)

Enrico Bocciolesi, pedagogista con un dottorato di ricerca in Education, formatore Senior, coordinatore di attività didattiche, giornalista.

Valentina FraschettiKleis consulting (Italy)

Valentina Fraschetti, consulente di carriera, Recruiter, formatrice professionale, Project Manager.

Pubblicato: 2018-07-30

Active Training Techniques for outplacement: does group training improve placement?

Abstract

Employability should represent a target for consultants and job agencies with measurable and verifiable outcomes. Outplacement has to meet actual needs of workers and markets, taking into account a rigorous methodology. In order to verify the effect of different training techniques (individual outplacement, classic group activities and psychodramatic group activities) in terms of learning outcomes and employability, an exploratory study was carried out to verify the effect of different training techniques (individual outplacement, classic group activities and psychodramatic group activities) in terms of learning outcomes and employability. 124 unemployed Italian people took part in the study, mostly aged between 40 and 50 years, with a medium-high level of education. Results showed that for candidates who took part in group outplacement activities, the re-placement was easier than expected, they participated more actively and had higher level of satisfaction, compared to those who only participated in the individual paths.
L’occupabilità rappresenta l’obiettivo comune delle attività delle agenzie per il lavoro chiamate a realizzare interventi verificabili attraverso risultati misurabili. Le attività di outplacement devono rispondere alle richieste dei mercati e dei lavoratori, ed ai crescenti standard metodologici e professionali richiesti. Allo scopo di verificare l’effetto di differenti tecniche formative e consulenziali (individuali, di gruppo, psicodrammatiche) interne a percorsi di outplacement, è stata condotta una ricerca a carattere esplorativo. 124 disoccupati italiani hanno partecipato alla ricerca, di età media tra i 40 ed i 50 anni, con un livello medio-alto di scolarità. I risultati hanno mostrato che i candidati che partecipavano ad attività di outplacement di gruppo (in particolar modo in gruppi incentrati sullo psicodramma) si ricollocavano più facilmente, partecipavano più assiduamente e mostravano livelli di soddisfazione più elevati, se comparati con i disoccupati che partecipano esclusivamente alle consulenze di carriera individuali.

Keywords: Training; Outplacement; Employability; Psychodrama; Groups.

1 Mercato, istruzione, apprendimento

Il mondo cambia velocemente e, ancora più profondamente, cambia il mondo del lavoro e quello della formazione. Le tecnologie spostano il focus dall'esecuzione di compiti operativi al loro controllo, abilitando la creazione di attività basate su nuovi modelli di business e competenze. La globalizzazione dei mercati ridistribuisce i nodi delle filiere produttive su scala mondiale obbligando a misurarsi con attori di culture diverse e crescenti livelli di competitività (Barattucci, Alfano & Amodio, 2017). Nuovi canali di comunicazione rivoluzionano le relazioni fra aziende e clienti, riducendo i tempi di comunicazione e imponendo un approccio personalizzato alla relazione. Si aprono nuovi scenari operativi ed organizzativi a cui le aziende devono far fronte in maniera tempestiva e creativa. Il cambiamento non è più un incidente a cui reagire ma è la norma: creatività, flessibilità e proattività acquisiscono un peso sempre maggiore fra i requisiti che determinano la competitività di una azienda e decidono della sua permanenza sul mercato (Boccato & Serra, 1996). Questa trasformazione richiesta alle aziende si concretizza naturalmente anche in una parallela trasformazione delle persone che lavorano (Barattucci et al., 2017). Si iniziano ad apprezzare sempre più competenze di tipo gestionale e organizzativo, flessibilità e autonomia diventano le parole chiave in contesti dove gerarchie complesse ed eccessi di burocratizzazione risulterebbero fatali per l’efficienza, l’agilità e la reattività dell’organizzazione (Fugate, Kinicki & Ashforth, 2004). In organigrammi sempre più piatti ogni dipendente deve essere in grado di portare avanti in autonomia le sue decisioni (Ellig, 1998). Il campo delle mansioni strettamente operative si va restringendo o comunque richiede l’affiancamento di altre attività. La nozione di saper fare non coincide più solo con la capacità di utilizzare determinati strumenti o svolgere determinati compiti operativi, ma si amplia a competenze ritenute tradizionalmente appannaggio del management: la gestione delle relazioni con colleghi, partner commerciali e clienti, la capacità di organizzare e partecipare efficacemente al lavoro di gruppo, la capacità di gestire un progetto, l’attitudine alla formazione continua e alle responsabilità vanno a comporre il quadro dei cosiddetti soft skills (Galluzzi & Simeone, 2003; Treu, 2013). Questo sviluppo parallelo fra nozioni e pensiero critico che abilita le distinzioni tra sapere e saper fare, tra strumento e capacità di utilizzo, tra acquisizione di abilità e la loro valorizzazione, è ancora, tuttavia, appannaggio di pochi: i lavoratori escono dalle scuole non sempre attrezzati ad affrontare il panorama descritto, mentre coloro che si trovano già all’interno di un percorso lavorativo faticano a trovare strumenti per adottare nuovi approcci di crescita e adattamento (Barattucci et al., 2017).

2 Outplacement, orientamento, carriera

I servizi di outplacement collettivo nascono intorno agli anni Sessanta in America, quando la NASA, al completamento del programma Apollo, si trovò con un’enorme eccedenza di personale altamente qualificato. Per evitare una crisi sociale, ma anche la fuga di notizie riservate, la NASA inserì tutti i dipendenti dimissionari in un programma di outplacement supportandoli nel percorso di ricollocazione (Maggiore & Carucci, 2013). In Europa, i servizi di outplacement si svilupparono, a partire dagli anni Settanta. In Italia, approdarono solo alla fine degli anni Ottanta in seguito alla chiusura dell’Italsider di Genova; l’azienda varò un progetto che portava all’allestimento di un Centro Operativo per la Mobilità, situato all’interno dell’area industriale, che portò a compimento la sfida di ricollocare 250 esuberi generati dalla crisi europea della produzione siderurgica (Maggiore & Carucci, 2013). Il progetto fu seguito da altri, altrettanto importanti, come quello della Danone del 1990 o da quello della Zanussi del 1993. Tuttavia, in Italia, l’outplacement è rimasto per lungo tempo un servizio per pochi, riservato principalmente alla classe dirigenziale, mentre l’outplacement collettivo, cioè quello erogato a più di un lavoratore della stessa azienda, rimase appannaggio di una limitata élite di aziende multinazionali (Petrella, 2007). Inoltre, sia la normativa vigente fino a qualche anno fa, sia la tendenza a monetizzare i costi per la ricollocazione con un maggior incentivo economico, piuttosto che con un servizio aggiuntivo, hanno rappresentato un sostanziale freno allo sviluppo di questo servizio (Maggiore & Carucci, 2013). Oggi i licenziamenti collettivi sono diventati uno strumento di gestione di crisi aziendali, ristrutturazioni e transizioni, ed il panorama sociale e normativo si è rapidamente modificato (Petrella, 2007). L’attenzione a livello Europeo verso l’orientamento, il ri-orientamento, la formazione professionale e la mobilità è diventata una priorità, ottenendo uno spostamento dell’accento dalle politiche passive di assistenza ai disoccupati alle cosiddette politiche attive (Treu, 2013). Le novità introdotte dalla legge Fornero e ancor più le nuove discipline introdotte dal Jobs Act, con le modifiche alla normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, stanno indirizzando le aziende a prendersi sempre più in carico i processi di ricollocazione dei dipendenti fuoriusciti dall’azienda stessa. In conseguenza di ciò, le società di outplacement ed i consulenti di carriera hanno cominciato a crescere numericamente e ad organizzarsi: a partire dal 1998 le principali società specializzate si sono riunite nell’AISO (Associazione Italiana Società di Outplacement) nel tentativo di garantire standard di qualità condivisi e misurabili (Carucci, 2010). I percorsi di outplacement si pongono come un primo passo per promuovere un nuovo tipo di approccio all'occupazione dove un nuovo concetto di stabilità e sicurezza sposta l’accento dal lavoro a tempo indeterminato e dalla permanenza nello stesso ambito lavorativo, alla capacità di gestire le transizioni di carriera, volontarie e non, in modo efficace e proattivo (Barattucci et al., 2017; Ellig, 1998). I servizi di outplacement vengono promossi e sponsorizzati attraverso incentivi privati o statali, in numerosi casi di sospensione del rapporto di lavoro, sia esso dovuto a licenziamenti individuali che a licenziamenti collettivi, e supportato o meno da ammortizzatori sociali (Rossi, 1996). Cambia così il concetto di sicurezza: dalla certezza del posto fisso alla certezza di avere capacità di cambiare ed ottenere un nuovo posto di lavoro. Nel particolare compito che è la ricerca di un lavoro, entrano significativamente in gioco buona parte dei soft skills citati in precedenza: risulta, quindi, necessario che il percorso formativo di outplacement lavori sia su nozioni e capacità operative che aiutano a posizionarsi correttamente sul mercato (come ad esempio, vincoli ed opportunità normative, scrivere un curriculum, utilizzare le banche dati ed i motori di ricerca, ecc.), sia sullo sviluppo di capacità di ri-definizione personale e professionale (Fugate et al., 2004; Treu, 2013). In tutti i neo-disoccupati si innesca un certo turbamento emotivo, una ristrutturazione dei propri vissuti, una revisione dei rapporti sociali e dei valori personali che emergono ben presto all’attenzione di chi segue il percorso di outplacement, e che devono essere tenuti nella dovuta considerazione dai consulenti che lavorano in quest’ambito. È tuttavia altrettanto evidente che, sebbene la circostanza della perdita del lavoro possa facilmente mettere alla prova l’equilibrio personale di chi la subisce e, in casi limite, esacerbare situazioni patologiche latenti, il percorso di outplacement non può essere in alcun modo un percorso di sostegno psicologico ed è, quindi, fuori luogo qualunque forma di analisi o supporto specificatamente psicologico che, ove necessario, deve essere affidato a specialisti del settore (Rossi, 1996). Occorre coniugare, in una visione olistica, la trasmissione e lo sviluppo di hard e soft skills con la gestione degli aspetti emozionali, senza sconfinare in campi che esulano da responsabilità ed obiettivi di un percorso di outplacement. L’introduzione dei gruppi di lavoro nei percorsi di outplacement è certamente in grado di rispondere efficacemente a queste esigenze. Questa metodologia, da tempo in uso all'estero e con un ampio riscontro nella letteratura accademica (Carucci, 2010; Treu, 2013), nel nostro Paese appare sottoutilizzata e sovente percepita dagli utenti stessi come poco positiva e di scarso valore aggiunto.

3 I processi dell'Outplacement

Comprendere il significato che l’evento della perdita del lavoro assume per il singolo individuo è fondamentale per poter sviluppare correttamente un buon rapporto tra consulente e candidato, e mettere quest’ultimo in condizioni di sfruttare al meglio il servizio. È, dunque, basilare che il candidato sviluppi una corretta relazione con i consulenti di outplacement ed una esatta percezione del servizio offerto, che non solleva il candidato dalla responsabilità di essere l’attore primario nella ricerca di una nuova occupazione. Al termine del percorso, il candidato svilupperà una nuova identità personale, elaborando la perdita del posto di lavoro, spesso vissuta come un vero e proprio lutto, ed una nuova identità professionale, attraverso la ricostruzione di un adeguato e soddisfacente ruolo sociale (Boccato & Serra, 1996). La ricerca di un nuovo lavoro è il motore che spinge il candidato ad intraprendere il percorso di outplacement. Un nuovo lavoro è il fine ultimo a cui deve condurre il percorso. È questo il contratto sul quale si baserà l’alleanza consulente-cliente. Risulterà fondamentale che si instauri un clima aperto e di condivisione, e che vi sia una verifica costante delle percezioni e delle aspettative del candidato (Rossi, 1996). Ricerca di un nuovo lavoro dunque, ma anche recupero delle energie, della fiducia nei propri mezzi e delle proprie capacità, della costanza, dell'impegno e di una efficace motivazione. Come ben evidenziato dalla Teoria dello sviluppo vocazionale di Super, la carriera professionale consiste nella combinazione della sequenza dei ruoli giocati e delle esperienze vissute nella propria vita: un licenziamento, di conseguenza, inciderà fortemente sulla vocazione professionale e sull'obiettivo lavorativo, che andrà, nel percorso di outplacement, adeguatamente rivalutato ed indirizzato (Super, 1992). Per far fronte a questa mole di obiettivi, i percorsi di outplacement si articolano generalmente attraverso tre tipi di interventi: le consulenze individuali, i seminari, i gruppi di lavoro. Tutti gli interventi sono finalizzati a veicolare le tecniche più appropriate per attivare corretti canali di ricerca e per imparare a comunicare in maniera appropriata i punti di forza dell’esperienza pregressa. In particolare, al fine di rendere il candidato autonomo ed efficace nella attuazione delle strategie di ricerca del lavoro e nelle fasi di selezione, l'outplacement interviene a cascata sui seguenti aspetti: l'analisi dei fabbisogni, l'analisi delle competenze, l'individuazione degli obiettivi professionali e dei mercati target, l'implementazione delle strategie di marketing, la gestione dei colloqui e della negoziazione, il reinserimento in azienda (Carucci, 2010). Una volta acquisiti gli strumenti, elaborate le proprie competenze, implementate le strategie di promozione e definita la strada della ricerca, il candidato entra nella fase della cosiddetta ricerca attiva. Questa fase è certamente delicata, perché il candidato deve gestire stress e frustrazioni generati dalle mancate risposte alle candidature, dall’attesa, dai rifiuti, dallo scorrere inesorabile del tempo (Westaby, 2004). Per supportare il candidato in questa fase, sempre più frequentemente le società di outplacement utilizzano gruppi di lavoro di diversa impostazione, dai metodi classici, a formule analoghe al mutuo-aiuto, passando per gruppi con metodologie esperienziali, a tecniche attive dove è possibile coniugare aspetti informativi, formativi, emotivi e di sviluppo del potenziale, quali lo psicodramma (Dotti, 2008).

4 Il metodo psicodrammatico nell’outplacement

Moreno ha contribuito ad evidenziare – sia con lo Psicodramma che il Sociodramma – l’utilità della rappresentazione scenica di ciò che l’individuo vive, ha vissuto e desidererebbe vivere (Kipper & Ritchie, 2003). Nello Psicodramma, il soggetto sperimenta o rivive alcune situazioni di vita, aumentando la consapevolezza del sé; nel Sociodramma, invece, l’interesse non è rivolto alle dimensioni psicologiche del soggetto, ma ai fattori comuni di esperienza: il focus è centrato sul ruolo sociale e culturale che l’evento o l’esperienza che unisce i partecipanti (sia essa una condizione o patologia, uno stato temporale, una classe o realtà sociale, un evento storico o traumatico, ecc.) svolge sulle rappresentazioni collettive che ne emergono (Baratti & De Marino, 2009). Per questa sua caratterizzazione, il Sociodramma ha una solida tradizione nei processi educativi perché consente riflessioni e cambiamento delle prospettive su temi generali (famiglia, relazioni, comunità, ecc.), sul quotidiano, sulla condizione dei partecipanti (transizioni lavorative, malattia, trasformazioni personali, trasformazioni storiche, ecc.) e sul funzionamento del gruppo stesso (Baratti, 2005; Fonseca, 2004). Il sociodramma è, infatti, particolarmente utile nell’analisi delle relazioni inter-culturali e nella formazione psico-sociale (Kellerman, 2007). Nella pratica, rispetto allo psicodramma, i partecipanti sono tutti protagonisti in azione, e non ruoli o personaggi della storia portata dal singolo protagonista (Pecaski McLennan & Smith, 2007). L’azione formativa del Sociodramma passa attraverso la riflessione condivisa e rappresentata, che consente una comprensione più profonda di numerose tematiche ed esperienze che accomunano gli individui. Evidenze in letteratura sottolineano la sua efficacia in un’ampia gamma di programmi e contenuti formativi, di contesti (aziende, comunità, università, agenzie per il lavoro, etc.) e di destinatari (bambini, giovani, adulti, anziani, ecc.) (Baile, De Panfilis, Tanzi, Moroni, Walters & Biasco, 2012; De Marino & Panetta, 2008; Howie, 2014; Jones, 2001; Kirkegaard & Fish, 2004). Nella consulenza di carriera e nei percorsi di outplacement, essendo l’obiettivo degli interventi generalmente più frequentemente rivolto al cambiamento personale nella gestione della transizione lavorativa, e non all’acquisizione di risorse e capacità socio-relazionali, viene preferito lo psicodramma con gruppi psico-educativi, per fornire un focus più centrato sugli aspetti individuali, sulle capacità e sulle risorse soggettive, piuttosto che sulle comunalità (Corcos, Jeammet, Morel, Chabert & Cohen De Lara, 2012). Lo psicodramma è, infatti, tra i metodi più efficaci per creare consapevolezza relativamente a problemi di vita e aumentare l’attenzione ai propri comportamenti passati, presenti e futuri (Fonseca, 2004). L’approccio psico-educativo dello psicodramma è preferibile al sociodramma quando l’obiettivo finale dell’intervento è quello di creare competenze e consapevolezza delle proprie capacità nella risoluzione di problemi di vita (Konopik & Cheung, 2013). Inoltre, può essere utilizzato per gestire diverse situazioni di vita (transizioni, problemi familiari, lutti, eventi negativi, ecc.) quando si richiede che ci si concentri sulla capacità di gestire le emozioni, gestire il cambiamento e progettare nuove strategie per affrontare gli eventi. Lo psicodramma affonda le sue radici nel concetto di spontaneità, intesa come capacità di giocare ruoli noti in modo diverso o ruoli sconosciuti in modo adeguato (Moreno, 2007). Essa rappresenta l’elemento che consente di sviluppare abilità sociali ed affettive in modo adeguato, una forza propulsiva dell’atto creativo, ma anche spinta alla crescita (Boria, 2003; De Leonardis, 2008). In un momento come la disoccupazione, in cui la revisione del proprio ruolo assume un aspetto primario, lo psicodramma rivela, di conseguenza, la sua efficacia e la sua adeguatezza alla specifica circostanza. Come metodo formativo attivo incentrato sulla rappresentazione scenica, è composto da alcuni elementi costitutivi: il soggetto, la scena, i membri del gruppo in scena (o io ausiliari), l’uditorio ed il direttore (Moreno, 2002). All'interno dello psicodramma viene utilizzata una vera e propria moltitudine di tecniche che rendono questo metodo ricco, stimolante e di grande valenza applicativa (l'Amplificazione, la Concretizzazione, la Costruzione della scena, il Doppio, la Fotografia, l'Intervista, l'Inversione di ruolo, la Presentazione, la Proiezione nel futuro, la Sedia ausiliaria, la Sociometria, il Soliloquio, la Sospensione della risposta, lo Specchio) (Zanardo, 2007). Lo psicodramma, attraverso l’uso del binomio spontaneità-creatività, facilita la presa di coscienza del nuovo ruolo di disoccupato, la strutturazione dei ruoli personali e professionali esistenti, lo sviluppo di capacità relazionali e comunicative funzionali, e consente il mantenimento di una relativa stabilità emotiva personale (Lo Verso & Raia, 1998). Appare importante che la decisione riguardo all’ingresso in questo tipo di gruppo venga presa attivamente dal candidato ed in nessun caso imposta dal consulente, affinché la partecipazione sia vissuta con la dovuta responsabilità nei confronti degli altri membri. Questo tipo di intervento di gruppo, infatti, non è per tutti: per la buona riuscita della tecnica, occorre evitare l'inserimento di persone che non si sentono pronte per la condivisione, i candidati emotivamente destabilizzati o non disponibili al confronto, gli individui non pronti al rispetto delle regole del gruppo (Boria & Muzzarelli, 2009). Dal punto di vista metodologico, l'utilizzo dello psicodramma nei processi di outplacement è preferibile all’interno di gruppi disomogenei, con partecipanti provenienti da diversi settori occupazionali, profili, ruoli, estrazione, scolarità, età e generi: un gruppo disomogeneo genera arricchimento e l'emersione di punti di vista differenti. I gruppi nel outplacement sono generalmente gruppi semi-aperti: essi consentono l’inserimento di nuovi soggetti quando altri escono dal gruppo, al fine di mantenere il numero complessivo costante (De Leonardis, 2008). I candidati verranno introdotti al raggiungimento della fase di ricerca attiva e lasceranno il gruppo quando si saranno ricollocati.

5 La ricerca

L’intervento di outplacement oggetto di ricerca, in tutti e tre i tipi di consulenza, era strutturato con una iniziale analisi dei fabbisogni ed un’analisi delle competenze; successivamente, seguiva la fase dell'individuazione dell’obiettivo professionale, del mercato target e delle strategie di auto-promozione; infine, l’intervento supportava il candidato nella gestione dei colloqui di lavoro, nella ricerca attiva e nel re-inserimento in azienda. I disoccupati iniziavano a far parte dei gruppi di lavoro nella fase di ricerca attiva, successivamente ad una fase di bilancio delle competenze di tipo individuale della durata di 3 incontri. Gli incontri erano strutturati con una attività di gruppo iniziale e con una successiva pianificazione condivisa delle attività settimanali di ricerca attiva del lavoro. Le consulenze individuali e di gruppo avevano l’obiettivo comune di far emergere i vissuti relativi alla perdita del lavoro per una corretta elaborazione, di elaborare una nuova identità personale, e rendere il candidato autonomo ed efficace nelle strategie di ricerca attiva. Una volta compresi gli strumenti, elaborate le proprie competenze, implementate le strategie di auto-promozione e definita la strada della ricerca, il candidato passava nella fase della cosiddetta ricerca attiva. Per supportare il candidato in questa fase, la società di outplacement si avvaleva di consulenze individuali o di interventi di gruppo. Tutti gli interventi di outplacement avevano una durata massima di 12 mesi, ed una frequenza bisettimanale di incontri della durata di 3 ore. Gli incontri si svolgevano in aule interne all’agenzia specializzata. I gruppi di lavoro erano costituiti da 12-15 partecipanti, disomogenei per età, ruolo e settore occupazionale. I gruppi erano di natura semi-aperta, consentendo l’ingresso di nuovi soggetti quando altri uscivano (per re-inserimento lavorativo o termine del percorso di outplacement). I destinatari degli interventi di outplacement erano disoccupati residenti in Lombardia presi in carico da un’agenzia specializzata, all’interno di un percorso di politiche attive per il lavoro, per lo più rivolto ad aziende di medie dimensioni di differenti settori. Con l'obiettivo di verificare l'effetto di differenti tecniche attive sulla proattività dei candidati, è stata effettuata una ricerca, a carattere esplorativo, per valutare gli esiti di differenti gruppi di lavoro di outplacement in termini di outcomes di apprendimento ed occupabilità. Hanno partecipato alla ricerca 124 disoccupati, 88 uomini (71%) e 36 donne (29%), per lo più di età compresa tra i 40 e i 50 anni (età media = 47.8 anni; DS = 6.12), con un livello di istruzione medio-alto (Diploma = 21%, Laurea = 79%), e con una discreta anzianità di servizio nell'ultima azienda di provenienza (anzianità di servizio M = 10.8 anni; DS = 8.2). I disoccupati venivano presi in carico da una società di consulenza specializzata in servizi di outplacement e, successivamente ad un primo colloquio, venivano monitorati periodicamente nel percorso di ricollocamento, scegliendo se partecipare a differenti percorsi di sostegno al ricollocamento. I candidati che hanno partecipato alla ricerca afferivano a differenti percorsi: il gruppo A ha partecipato ad un percorso di outplacement di gruppo con metodologia classica (Outplacement Individuale e di Gruppo; N = 40), il gruppo B ha partecipato ad un gruppo con metodologia psicodrammatica (Outplacement Individuale e Gruppo Psicodramma; N = 37); il gruppo C non ha partecipato a nessuna attività di gruppo (Outplacement Individuale; N = 47). L’assegnazione dei soggetti ai vari gruppi avveniva su scelta volontaria dei partecipanti, successivamente ad un primo colloquio che illustrava i diversi percorsi di sostegno. I gruppi sono risultati spontaneamente bilanciati per distribuzione di genere ed età. Gli interventi di outplacement rientravano all'interno di attività organizzate da una società specializzata nei confronti di disoccupati nell'anno 2015, ed erano composti da incontri individuali con frequenza modulata sulle necessità dei singoli candidati, ed in una seconda fase opzionale caratterizzata da incontri di gruppo con cadenza bisettimanale. Per valutare gli esiti dei differenti percorsi sono stati utilizzati i seguenti parametri: partecipazione agli incontri (numero delle ore presenziate / numero totale delle ore dell'intervento); permanenza o tasso di abbandono delle attività (numero di candidati che hanno portato a termine il percorso / numero di candidati); tasso di ricollocamento a lavoro entro il termine del percorso di outplacement (numero di ricollocati / numero totale candidati); grado di soddisfazione dei candidati relativo alle attività di outplacement (espresso dal candidato al termine del percorso su di una scala da 1 a 10, dove 1 sta per bassa soddisfazione per le attività e 10 rappresenta un alto livello di soddisfazione).

6 Analisi dei dati e Risultati

L’analisi dei dati per valutare le differenze negli outcomes tra i diversi interventi di outplacement è stata effettuata tramite il software Spss 21.0. Le differenze tra gruppi sui valori delle percentuali sono state valutate attraverso il test non parametrico del Chi-quadro (χ2), mentre per le differenze tra i valori medi della soddisfazione è stato utilizzato il t di Student (Tabella 1). Dai risultati, emerge che chi ha partecipato ai percorsi di outplacement di gruppo, si è ricollocato più facilmente (χ2 = 6,40), ha partecipato più attivamente (χ2 = 4,15) ed era più soddisfatto del percorso (t84 = 2,64), rispetto a chi ha partecipato esclusivamente ai percorsi individuali.

Tabella 1 – Confronto tra Gruppi sui parametri valutati
Intervento Individuale
[N=47]
Gruppo Classico
[N=40]
Gruppo Psicodramma
[N=37]
Partecipazione 65.9% 75% 83.7%
Permanenza 74% 77.7% 86.5%
Ricollocamento 61.7% 80% 82.5%
Soddisfazione 7.0 (2.4) 7.3 (1.9) 7.8 (1.7)

I partecipanti ai gruppi di outplacement con psicodramma rispetto a quelli che hanno seguito i percorsi di gruppo classici, hanno mostrato una maggiore partecipazione, un minor tasso di abbandono ed una maggiore soddisfazione per il percorso, tutte differenze, però, non statisticamente significative. Inoltre, chi partecipava ai gruppi di outplacement classico ha mostrato parametri migliori dei candidati che partecipavano esclusivamente alle attività individuali. Il tasso di ricollocamento di chi ha partecipato ad un gruppo di outplacement (classico o attivo) è risultato significativamente aumentato rispetto a quello dei disoccupati che non partecipavano a nessun intervento di sostegno di gruppo (χ2 = 3,86). Una percentuale certamente elevata (82.5%) dei candidati coinvolti in azioni di outplacement di gruppo si è addirittura ricollocata prima del termine dei percorsi.

7 Discussione

L'occupabilità, il fine ultimo delle azioni di ri-collocamento, non deve rappresentare un mero esercizio di stile per tecnici o semplice opportunità di guadagno per le agenzie specializzate, quanto piuttosto un obiettivo dagli esiti misurabili e verificabili. Il rischio che i percorsi di outplacement, e più in generale le prassi di sviluppo di carriera, siano realizzati con modalità standardizzate e poco attente agli effettivi bisogni delle persone che vi partecipano, va tenuto nella dovuta considerazione attraverso una ricerca applicata rigorosa e l'adeguatezza delle competenze degli operatori. Il carattere di discontinuità e magmaticità del lavoro contemporaneo impone ai processi di outplacement, e più in generale alle politiche attive, l'obbligo di un aggiornamento continuo delle pratiche e delle strategie, con l'obiettivo di rendere i lavoratori autonomi ed efficaci nella riformulazione continua dei propri obiettivi professionali, dei mercati target, delle opportunità lavorative circostanziali. Le azioni di gruppo e le tecniche esperienziali appaiono in grado di potenziare la presa di coscienza del proprio ruolo emergente e lo sviluppo di quelle capacità relazionali, comunicative e professionali in grado di rendere le proprie competenze più appetibili al mercato o di renderle più manifeste. Le diverse attività impiegate nel processo di outplacement, complessivamente, hanno mostrato buoni esiti sia in termini di ricollocamento che di outcomes dei partecipanti. I percorsi che prevedevano attività di gruppo, in particolare, hanno evidenziato un miglior tasso di ricollocamento. I gruppi che hanno previsto l’utilizzo dello psicodramma, in particolare, hanno mostrato i migliori outcomes. Dai risultati, è possibile presumere che i percorsi di gruppo, rispetto a quelli esclusivamente individuali, siano in grado di facilitare sia la gestione emotiva implicata nella rielaborazione dell'uscita dall'azienda, che la motivazione nel processo di ricerca attiva del nuovo impiego. All’interno del gruppo, il supporto sociale ed il problem solving condiviso potrebbero agevolare la ricerca attiva, l’auto-promozione ed il re-inserimento in azienda. I risultati relativi ai gruppi psico-drammatici sembrano confermare che la rappresentazione scenica sia in grado di facilitare, da un lato, la revisione del proprio ruolo e la presa di coscienza del nuovo ruolo di disoccupato, dall’altro, la stabilità emotiva. L’efficacia dello psicodramma, rispetto agli altri percorsi di outplacement, appare più evidente proprio nel passaggio dalla fase di rielaborazione del proprio ruolo a quella di ricerca attiva: focalizzando l’attenzione sui comportamenti passati, presenti e futuri del soggetto, lo psicodramma contribuisce a creare maggiore consapevolezza delle proprie capacità nella risoluzione dei molteplici passaggi che compongono il ricollocamento, dalla ricerca attiva sino al re-inserimento in azienda. La gestione dei gruppi di lavoro con disoccupati necessita di accorgimenti speciali a causa della delicatezza della fase di vita attraversata dai partecipanti, che può sovente divenire fonte di grande preoccupazione. Tra le metodologie di gruppo, lo psicodramma può certamente comportare rischi di innalzamento dell’investimento emotivo, o l’insorgenza di conflitti od una certa diffidenza iniziale. Ma alcuni rischi tipici dei gruppi di lavoro, come l’abbassamento della responsabilizzazione o l’eccessiva identificazione, sembrano venire meno nello psicodramma nel outplacement, perché l’approccio psico-educativo risulta fortemente focalizzato all’obiettivo pratico del ricollocamento. Dalle testimonianze dei partecipanti, emerge che il gruppo favorisce il confronto sui metodi di ricerca del lavoro, è efficace nel mantenere alta l’attenzione sull’obiettivo finale, ed è in grado di promuovere la partecipazione e la motivazione. I risultati della presente ricerca, dal carattere del tutto preliminare ed esplorativo, e dalle importanti limitazioni metodologiche, sembrano ricalcare alcune impressioni sul campo riguardanti l'efficacia di metodologie attive e partecipative rispetto a percorsi esclusivamente individuali. In prospettiva, occorrerà lavorare su campioni più rappresentativi, considerare le differenze di genere e di ruolo, utilizzando un impianto di ricerca più rigoroso. Il disegno quasi sperimentale è inficiato dal fatto che i soggetti scelgono spontaneamente che tipo di attività di outplacement seguire, senza un’attribuzione casuale dei partecipanti alle diverse forme di outplacement, non è possibile isolare l'effetto del trattamento stesso sulle vostre variabili di outcomes; gli esiti del processo possono essere dovuti a caratteristiche individuali che possono aver condizionato la scelta di partecipare ad un tipo di programma piuttosto che ad un altro. La spinta motivazionale e il supporto emotivo cambiano radicalmente l'approccio del candidato alla ricerca di un nuovo lavoro e contemporaneamente impattano sui risultati ottenuti (Westaby, 2004). Lo sviluppo della proattività e il sostegno all'autostima, la gestione della rabbia e dell'emotività sono aspetti che vanno tenuti in considerazione ancorché con le dovute cautele e limitazioni. La formazione dell'individuo a tutto tondo è ciò che può trasformare un momento delicato in un momento di crescita personale e professionale che resterà per sempre patrimonio del candidato, anche dopo aver risolto il contingente problema occupazionale. Chi scrive auspica dunque l'inserimento e lo sviluppo di metodologie che siano di reale supporto alla complessità di questi percorsi di vita, e di nuovi e più strutturati studi che portino alla formulazione di percorsi più efficaci e mirati allo sviluppo globale della persona. Il contesto internazionale, infatti, sta mutando profondamente, provocando cambiamenti rilevanti anche nelle concezioni e nelle opinioni del modo in cui la formazione può contribuire allo sviluppo economico e sociale dei Paesi europei (Baldacci, Frabboni & Margiotta, 2012; Barattucci & Bocciolesi, 2018). Da un lato, aziende e mercato esprimono una domanda di competenze in direzione di una maggiore autonomia di apprendimento, dall’altro, si registra una situazione contrassegnata da standard formativi spesso di basso livello in significative porzioni di giovani, e dall’impossibilità di abbattere alcune cause strutturali della disoccupazione in molti paesi dell’area OCSE (Baldacci et al., 2012; Bocciolesi, Melacarne & Gómez, 2017). Alcuni autori ipotizzano che si sia concesso troppo alle ragioni del così detto pensiero debole ed a quelle della tecnica, mentre troppo poco sembra cresciuta la ricerca delle ragioni su cui fonda e si è, nel frattempo, trasformata la filigrana specifica del capitale formativo, in una società contemporanea complessa e multilaterale (Baldacci et al., 2012). La costruzione e la maturazione della propria identità professionale appaiono oggi sempre più legate al processo di elaborazione dell’esperienza – in termini di agire situato – ed a quello di apprendimento dall’esperienza stessa (Rossi, 2012). Nel contesto specifico della formazione per l’outplacement, dove la riabilitazione educativa ed emozionale si accompagnano, la professionalità del formatore diviene guida ed orientamento per il lavoratore che attraversa questa delicata fase di transizione, e le metodologie di gruppo strumenti facilitatori di questo percorso.

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