1 Premessa
Il fenomeno della mobilità studentesca internazionale individuale nella scuola secondaria di II grado è in continua crescita. Secondo le stime dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, il numero degli studenti italiani che hanno partecipato a un programma trimestrale, semestrale o annuale dal 2009 al 2016 è aumentato del 111%.
Secondo la letteratura del settore (ad es., Almeida, 2015; Almeida, Fantini, Simões, & Costa, 2016; Baiutti, 2014/2015, 2017, 2018a; Barrett, 2018; Deardorff, 2006; Deardorff & van Gaalen, 2012; Hammer, 2005; Hansel & Grove, 1985, 1986; Roverselli & Paolone, 2013), uno dei principali obiettivi educativi attesi da tale fenomeno è lo sviluppo di studenti competenti interculturalmente. Attorno al concetto di ‘competenza interculturale’ vi è un dibattito aperto che ha più di sessant’anni (Arasaratnam-Smith, 2017; Spitzberg & Changnon, 2009). Attualmente, nella letteratura accademica è possibile rintracciare diverse espressioni che afferiscono alla sfera della competenza interculturale con varie sfumature semantiche (Baiutti, 2017; Deardorff & Jones, 2012; Fantini, 2009; Spencer-Oatey & Franklin, 2009) nonché diversi modelli e definizioni (Arasaratnam-Smith, 2017; Baiutti, 2017; Borghetti, 2016; Milani, 2017; Portera, 2013; Spitzberg & Changnon, 2009). Allo stesso tempo sono reperibili alcune critiche (ad es., Crosbie, 2014; Ferri, 2014, 2018; Spitzberg & Changnon, 2009; Tarozzi, 2014, 2015) come ad esempio il fatto che le principali teorizzazioni sono di matrice occidentale.1 Nel presente contributo la competenza interculturale è stata compresa come “the ability to communicate effectively and appropriately in intercultural situations based on one’s intercultural knowledge, skills, and attitudes” (Deardorff, 2006, pp. 247–248). Si è adottata tale definizione in quanto: (i) è stata pensata all’interno dell’internazionalizzazione dell’educazione ovverosia il contesto della presente ricerca; (ii) è stata il primo tentativo di trovare un accordo fra interculturalisti rispetto a cosa potesse significare ‘competenza interculturale’; (iii) è alla base di precedenti studi connessi alla mobilità studentesca internazionale nella scuola secondaria di II grado in Italia (Baiutti, 2017, 2018a).
La letteratura pedagogica internazionale trova seguiti nella normativa italiana: nella Nota ministeriale n. 843 del 10 aprile 2013 Linee di indirizzo sulla mobilità studentesca internazionale individuale (MIUR, 2013), fra le varie, si afferma che, per l’attribuzione del credito, i Consigli di classe italiani “oltre alle conoscenze e competenze disciplinari, […] dovrebbero essere incoraggiati a valutare e valorizzare gli apprendimenti non formali ed informali, nonché le competenze trasversali acquisite dagli studenti partecipanti a soggiorni di studio o formazione all’estero”. Fra le competenze trasversali attese, la competenza interculturale è quella più contraddistinguente (Baiutti, 2014/2015, 2017, 2018a; Roverselli & Paolone, 2013).
Tuttavia, come evidenziato da alcune ricerche empiriche (Baiutti, 2017; Paolone, 2010, 2013), le pratiche valutative dei Consigli di classe rimangono quasi esclusivamente ancorate a un paradigma per conoscenze disciplinari.
In questo panorama, con il progetto pilota Protocollo di valutazione Intercultura2 si è elaborato un protocollo per valutare e valorizzare la competenza interculturale degli studenti che hanno partecipato a un programma annuale di mobilità studentesca internazionale individuale. Uno degli strumenti progettati per il Protocollo Intercultura è il diario di bordo (DB). Quest’ultimo non è un diario personale e, a differenza di dispositivi come questionari o test psicometrici, che hanno l’obiettivo di misurare la competenza interculturale, esso è uno strumento di matrice qualitativa il cui precipuo obiettivo è di raccogliere informazioni che, assieme a quelle collezionate mediante gli altri strumenti del Protocollo Intercultura, permettano ai docenti di valutare la competenza interculturale dello studente che ha svolto un periodo di studio all’estero.
Il DB del Protocollo Intercultura è pensato per essere compilato dallo studente due volte mentre è all’estero e condiviso dall’intero Consiglio di classe italiano. Sono state predisposte due varianti: la prima (Allegato 1)3 dovrebbe essere compilata dopo i primi mesi dell’esperienza all’estero, indicativamente entro dicembre; la seconda (Allegato 2) dovrebbe essere compilata verso la fine dell’esperienza. Le domande stimolo del DB sono state sviluppate: (i) tenendo in considerazione il concetto di competenza interculturale elaborato da Deardorff (2006) e gli indicatori di tale competenza specifici per gli studenti che partecipano a un programma di mobilità internazionale individuale (Baiutti, 2017, 2018a); (ii) esaminando un DB elaborato da un gruppo di progetto promosso dalla Fondazione Intercultura e dall’associazione Intercultura4 e l’Autobiografia degli incontri interculturali sviluppata dal Consiglio d’Europa (Byram, Barrett, Ipgrave, Jackson, & Méndez García, 2009).
Il principale codice utilizzato dal DB è la scrittura. Tuttavia, nel secondo DB è stata inserita una domanda stimolo che consente allo studente di utilizzare anche altri codici espressivi.
2 Domanda della ricerca
Durante la raccolta dei dati connessi al progetto pilota Protocollo Intercultura e alla loro analisi, sembrava tratteggiarsi un’idea5 a cui non si aveva dedicato particolare attenzione nelle fasi di progettazione della ricerca ovverosia che il DB, oltre alla funzione sopra descritta, ne avesse un’altra più squisitamente pedagogica e interculturale: quella di contribuire a sviluppare alcuni aspetti della competenza interculturale degli studenti. Si è deciso, pertanto, di investigare i dati a propria disposizione sotto quest’altra prospettiva. Conseguentemente, la domanda di ricerca che sottende al presente articolo è la seguente: secondo gli insegnanti, il DB progettato per il Protocollo Intercultura contribuisce a sviluppare la competenza interculturale o parte di essa? Questa domanda di ricerca potrebbe apparire semplice. Tuttavia va compresa all’interno del contesto della scuola secondaria di II grado che spesso vive con distacco, in modo passivo e, alle volte, con un certo pregiudizio l’esperienza di studio all’estero degli studenti (Baiutti, 2017; Paolone, 2010, 2013). La risposta a tale domanda potrebbe contribuire a determinare una fra le possibili pratiche con cui la scuola potrebbe assumere parte della responsabilità del progetto educativo connesso alla mobilità studentesca internazionale.
3 Dimensione pedagogica del resoconto scritto
Con riferimento alla presente ricerca, l’uso della scrittura autobiografica come strumento di riflessività si ricollega alla originalità dell’approccio con cui abbiamo trattato l’argomento studiato. Anche se viene usata la dicitura: ‘diario di bordo’, ampiamente diffusa nell’ambito degli studi sulla scuola e in particolare sulla professionalità/identità docente (ad es., Batini, 2012; Habermas & Kober, 2014; Menegale, 2018; Moon, 1999), l’angolazione da cui queste pratiche di riflessività vengono qui lette è caratterizzata da almeno due fattori specifici, che ne determinano la singolarità.
In primo luogo, vi è l’influsso derivante dall’impostazione antropologica delle iniziali ricerche da cui la presente deriva in parte (Paolone, 2006, 2010, 2013; Roverselli & Paolone, 2012) nelle quali la riflessività dello studente all’estero fu letta prevalentemente usando le categorie dell’acculturazione e della liminalità. In secondo luogo l’introduzione, nelle ricerche successive, di una particolare visione delle competenze (Baiutti, 2015, 2017) che ha comportato un’ulteriore evoluzione nel modo di intendere questa riflessività.
Ciò premesso, notiamo che lo strumento del DB, di cui si tratta nel presente articolo, riveste un grande interesse con riferimento al tema della valutazione e valorizzazione delle acquisizioni fatte dal returnee durante il suo soggiorno all’estero. Peraltro, se da un lato costituisce uno strumento per espletare le due funzioni appena indicate, esso prevede anche un tipo di scrittura capace di creare uno ‘spazio’ per l’elaborazione e la presa di coscienza della competenza interculturale. È proprio questa integrazione nel vissuto, profonda e consapevole, delle esperienze pregresse, a costituire il momento pedagogico per eccellenza nel percorso del returnee (Paolone, 2013). Il resoconto scritto, dunque, è uno dei principali spazi preposti all’espletamento di questa funzione pedagogica.
La scrittura del DB costituisce lo ‘spazio’ intermedio nel quale lo studente recatosi all’estero può ‘prendere le distanze’ da quel forte e stimolante coinvolgimento nella cultura ‘altra’ (soprattutto nel caso dei soggiorni annuali) nella quale si è immerso, per fare il punto e imparare a collocarsi mentalmente, alternativamente nell’una e nell’altra cultura: la propria cultura di origine e quella del Paese visitato. Nel DB, i due codici culturali tra i quali il returnee cerca di orientarsi, si confrontano, dando vita a spunti proficui (Paolone, 2013) per lo sviluppo di un ‘terzo codice’, quello della personale narrazione (e poi rielaborazione) autobiografica di ‘traduzione’ tra i due precedenti. Questo ulteriore codice parrebbe legato a una sorta di ‘spazio interiore’, quasi un backstage nel senso goffmaniano del termine, dal quale il soggetto ha un tempo gestito i due fronts relativi alla propria cultura e alla cultura ‘altra’ (Paolone, 2006).
Prima di procedere, precisiamo che il DB si colloca all’incrocio di due tipologie di scrittura: autobiografica e memorialistica, e che per scrittura autobiografica in questa sede si intende quella mirante a ricostruire nel modo più obiettivo possibile la vicenda e i trascorsi esistenziali di una persona. Lo scrittore autobiografico scrive ponendosi soprattutto il problema di essere quanto più possibile oggettivo sugli eventi, sulle vicende, sulle cause e sugli effetti.
Il mémoir invece costituisce una forma di scrittura ‘su sé stessi’, nella quale l’autore pone l’accento sulla prospettiva soggettiva, sul modo in cui ha vissuto e visto soggettivamente gli eventi. La combinazione di questi approcci, entrambi funzionali alla realizzazione di ciò che in questo articolo viene definito DB, costituisce un valido strumento per la crescita personale del returnee.
Nel DB l’impulso a scrivere nasce dal bisogno di riordinare e riorganizzare le esperienze e difficoltà vissute, inclusi i dubbi, dolori, insicurezza, incertezza: questi sentimenti costituiscono il carburante che di solito mette in moto il processo scrittorio (Brink, 1982). Da qui ha inizio il lavoro di costruttiva rielaborazione. La scrittura, quindi, usa il linguaggio per fare ordine negli eventi del passato e, dove necessario, ‘ricucire’ gli strappi. Da altri si afferma che la scrittura narrativa si nutre della rievocazione di difficoltà e conflitti. Il conflitto o la perdita sarebbero in questo senso sia la materia che la ragione della narrazione (Gottschall, 2014). In sostanza, per quello stesso meccanismo psicologico per cui ‘rappresentare’ i propri contenuti aiuta il superamento dei problemi e la riorganizzazione del sé, scrivere permette di costruire (Aberbach, 1989) una narrazione personale coesa, elaborata, meditata, con effetti positivi maggiori rispetto al semplice parlare delle proprie esperienze. Attraverso questa sorta di ‘pratica scrittoria pedagogica’, il ricordo di esperienze di ogni tipo, ma in particolare di conflitti e difficoltà, può trasformarsi in crescita. E possiamo usarla come forma di testimonianza per condividere con gli altri i benefici di tale crescita. Possiamo migliorare, mediante la scrittura, il nostro rapporto con le difficoltà affrontate e con gli eventi conflittuali superati, perché guadagniamo fiducia in noi stessi e nella nostra capacità di fronteggiare le difficoltà della vita. In tal modo riusciamo a trovare una sorta di coerenza laddove prima c’era confusione, e mettiamo in evidenza e in ordine gli aspetti più importanti e utili della nostra esperienza. Invece di rimanere passivi verso le difficoltà, scopriamo di essere capaci di ordinarle e risolverle, e riusciamo a conquistare una maggiore autostima e ottimismo.
Queste funzioni pedagogiche della scrittura sono peraltro in parte già riconosciute anche dalla scuola italiana (perfino nelle sue componenti più tradizionali) come strumento capace di aiutare i ragazzi a prendere consapevolezza del proprio vissuto. La scrittura così intesa costituisce anche un terreno di incontro tra le discipline scolastiche tradizionali e le esperienze che comportano l’acquisizione di competenze trasversali. Ad esempio nell’Italiano scritto, la scrittura autobiografica è già in parte il luogo della riflessione e della presa di coscienza di sé, e può anche essere oggetto (già con gli attuali strumenti e parametri di valutazione della scuola italiana e senza bisogno di ulteriori innovazioni) di valutazione attraverso quelle categorie (maturità espressiva, chiarezza argomentativa, ecc.) che vengono comunemente utilizzate per soppesare i temi. Il DB estende questa logica (già in parte presente nella scuola) anche alla riflessione del returnee sulle proprie acquisizioni trasversali costituendo, con riferimento al problema d’attualità della valutazione e valorizzazione delle acquisizioni dei returnees, un potenziale trait d’union tra il vecchio e il nuovo, attraverso una visione della scrittura autobiografica-memorialistica che la scuola italiana già conosce e valuta, e che è al contempo rilevante nel nuovo strumento del DB, in una sorta di continuità concettuale.
4 Metodologia della ricerca
La ricerca empirica, oggetto del presente contributo, ha sostanzialmente seguito un approccio qualitativo (Denzin & Lincoln, 2011).
4.1 Partecipanti
I partecipanti alla ricerca erano insegnanti della scuola secondaria di II grado i quali avevano almeno uno studente all’estero nell’anno scolastico 2016/17 con l’associazione Intercultura. Il reclutamento è stato effettuato mediante diversi canali. Il principale è stato inviare a metà settembre 2016 una email di presentazione del progetto pilota agli insegnanti tutor segnalati all’associazione Intercultura dagli studenti all’estero con un loro programma annuale nell’a.s. 2016/17. Altri canali di reclutamento sono stati: (i) la presentazione del progetto pilota in seminari di formazione per insegnanti; (ii) il sito web della Fondazione Intercultura; (iii) il sito web di TuttoScuola; (iv) contatti personali. Le iscrizioni (mediante modulo Google Drive) si sono chiuse nei primi giorni di ottobre 2016. Al termine della raccolta dati (dicembre 2017) gli iscritti che avevano partecipato all’intero studio erano 113.6 Il campione finale, con prevalenza di docenti donne (103 donne e 10 uomini), risulta essere eterogeneo sotto diversi punti di vista: (i) disciplina insegnata (Tabella 1), (ii) anni di insegnamento (Tabella 2), (iii) ubicazione regionale della scuola (Tabella 3).
Discipline insegnate |
Frequenze assolute | Frequenze percentuali |
---|---|---|
Architettura, Storia dell’arte | 4 | 3,54% |
Economia aziendale | 3 | 2,65% |
Educazione fisica | 1 | 0,88% |
Italiano, Latino, Storia, Filosofia, Scienze umane | 30 | 26,55% |
Lingue straniere (Inglese, Francese, Spagnolo) | 66 | 58,41% |
Matematica, Fisica, Scienze, Informatica | 6 | 5,31% |
Religione cattolica | 3 | 2,65% |
Anni di insegnamento | Frequenze assolute | Frequenze percentuali |
---|---|---|
Da 2 a 5 anni | 1 | 0,88% |
Da 6 a 10 anni | 5 | 4,42% |
Da 11 a 15 anni | 11 | 9,73% |
Da 16 a 20 anni | 23 | 20,35% |
Da 21 a 25 anni | 26 | 23,01% |
Da 26 a 30 anni | 19 | 16,81% |
oltre 30 anni | 28 | 24,78% |
Regioni delle scuole | Frequenze assolute | Frequenze percentuali |
---|---|---|
Basilicata | 8 | 7,08% |
Campania | 11 | 9,73% |
Emilia Romagna | 8 | 7,08% |
Friuli Venezia Giulia | 1 | 0,88% |
Lazio | 22 | 19,47% |
Liguria | 1 | 0,88% |
Lombardia | 10 | 8,85% |
Marche | 1 | 0,88% |
Piemonte | 7 | 6,19% |
Puglia | 14 | 12,39% |
Sardegna | 10 | 8,85% |
Sicilia | 7 | 6,19% |
Toscana | 4 | 3,54% |
Umbria | 1 | 0,88% |
Valle d’Aosta | 1 | 0,88% |
Veneto | 7 | 6,19% |
Tutti i partecipanti alla ricerca hanno ricevuto una formazione iniziale tenuta dall’Assegnista di ricerca.7 La formazione in presenza di sette ore si è svolta fra novembre e dicembre 2016 in 11 regioni italiane.8 Gli argomenti trattati durante la formazione sono stati: internazionalizzazione dell’educazione, mobilità studentesca nella scuola secondaria di II grado, modelli di competenza interculturale e della sua valutazione. Alla formazione in presenza hanno partecipato 105 docenti. Per coloro che non avevano potuto partecipare a tale formazione (8 docenti)9 è stato predisposto un webinar sostitutivo di 2 ore, svoltosi il 15 gennaio 2017.
4.2 Raccolta dati
Per il progetto pilota Protocollo Intercultura, la raccolta dati connessa ai diari di bordo ha previsto l’uso di più metodi qualitativi. Nello specifico, per quanto concerne il primo DB, preso atto che i dati che si desiderava raccogliere erano le opinioni dei docenti dopo che lo avevano somministrato agli studenti, si è adottato il metodo del focus group (FG). Il FG è stato qui inteso come “una tecnica di rilevazione dei dati […] che si basa sulle informazioni che emergono da una discussione di gruppo” (Zammuner, 2003, p. 9): sullo stimolo del moderatore, “i soggetti sono incoraggiati a discutere ciò che pensano su di un certo ‘oggetto’, a spiegare perché hanno quelle certe opinioni, come le giustificano, su quali fonti si basano, a dire cosa ritengono che pensino altri individui sullo stesso argomento, e così via” (Zammuner, 1998, p. 75). Preso atto della natura interazionista, la tecnica del FG ha favorito non solo la partecipazione ma un vero e proprio scambio di opinioni e di riflessioni fra i partecipanti.
Si sono svolti 1210 FG regionali in presenza fra febbraio e aprile 2017 a cui hanno partecipato 89 docenti. I FG sono stati moderati dall’Assegnista11 usando come stimolo delle domande ispirate al modello dell’analisi SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats). L’analisi SWOT è nata come “a key tool for addressing complex strategic situation by reducing the quantity of information to improve decision-making” (Helms & Nixon, 2010, p. 216) e oggi trova applicazioni, con diverse finalità, in svariati contesti (Helms & Nixon, 2010). Uno di essi è la ricerca accademica in ambito educativo dove, fra le varie possibilità di impiego, vi è quella di raccolta dati rispetto alle opinioni degli insegnanti. Questo, ad esempio, è il caso dello studio di Even-Zahav e Hazzan (2018) il quale mira a comprendere come gli insegnati STEM delle scuole secondarie di II grado in Israele percepiscono la propria professione e il proprio sistema educativo. Il principale strumento utilizzato per raccogliere i dati è stato la SWOT interview intesa come un’intervista semistrutturata e in profondità basata sulle quattro dimensioni dell’analisi SWOT.
Le domande stimolo dei FG per facilitare la discussione erano:
Strengths: quali sono i punti di forza del DB?
Weaknesses: quali sono i punti di debolezza del DB?
Opportunities: quali modifiche sarebbe opportuno effettuare al DB? Quali potrebbero essere gli sviluppi?
Threats: quali potrebbero essere i rischi o le conseguenze negative dell’uso del DB?
Oltre a ciò, si è anche chiesto qual è stato l’atteggiamento degli studenti nel compilare il DB e quello dei colleghi del Consiglio di classe nel leggerlo.
Ogni FG è stato audioregistrato (tot. 20 ore e 23 minuti) e parzialmente trascritto verbatim seguendo la tecnica dell’unfocused transcription (Gibson & Brown, 2009). Successivamente a ogni FG, l’Assegnista ha riportato su un diario (i) alcuni dati dell’incontro (ad es., luogo e data dell’incontro, il numero dei presenti), (ii) la sintesi dei principali risultati emersi dalla discussione, (iii) certuni aspetti etnografici e autoetnografici (Adams, Jones, & Ellis, 2015).
Per chi non aveva potuto partecipare ai FG regionali (21 persone12), è stata prevista un’attività sostitutiva inviata tramite email: coerentemente con i FG, è stata predisposta una scheda in formato digitale dell’analisi SWOT più due domande aperte (“Secondo Lei, come ha accolto lo studente/la studentessa il DB?”; “Secondo Lei, come ha accolto il Consiglio di classe il DB?”). Tale scheda è stata compilata individualmente.
Per raccogliere il punto di vista dei docenti rispetto al secondo DB non è stato possibile effettuare un secondo giro di FG per motivi di tempistiche (i FG si sarebbero dovuti svolgere al termine della scuola, durante gli Esami di stato o durante l’estate non garantendo, quindi, un’adeguata partecipazione) e di risorse. Preso atto di questo limite, nel mese di giugno 2017, dopo che era già stato somministrato agli studenti il secondo DB, si è optato per inviare tramite email a tutti i docenti una scheda in formato digitale dell’analisi SWOT contenente anche le domande aperte menzionate nell’attività sostitutiva del primo FG.
I metodi per la raccolta dei dati appena illustrati erano stati stabiliti in accordo alle domande della ricerca del progetto pilota Protocollo Intercultura. Tuttavia, preso atto che (i) la domanda della ricerca sottesa al presente articolo si basa sulle opinioni dei docenti così come per il progetto pilota e che (ii) l’idea da cui ha avuto origine il presente articolo è scaturita proprio durante la raccolta e l’analisi di questi dati, si è ritenuto che i metodi fossero appropriati anche per lo studio qui trattato.13
4.3 Analisi dei dati
L’approccio che si è ritenuto più appropriato per l’analisi dei dati è stato quello della thematic analysis qui intesa come “a data reduction and analysis strategy by which qualitative data are segmented, categorized, summarized, and reconstructed in a way that captures the important concepts within the data set” (Ayres, 2008, p. 867). La scelta di questo metodo di analisi è giustificata principalmente dai seguenti motivi: (i) è coerente con l’impianto qualitativo dello studio e con la natura della domanda della ricerca; (ii) permette di ridurre grandi quantità di dati in modo agile; (iii) ha un approccio flessibile (Braun & Clarke, 2006).
Inizialmente, i dati raccolti, indipendentemente dal metodo con cui li si è collezionati, sono stati analizzati assieme seguendo le principali fasi della thematic analysis proposti da Braun e Clarke (2006):
Si è familiarizzato con i dati: questa fase è corrisposta, nel caso dei FG, alla trascrizione e al loro riascolto consecutivo come suggerito da Hycner (1985); alla lettura e rilettura di tutti i dati14 e all’annotare significati e codici iniziali connessi all’oggetto di ricerca.
Si sono generati i primi codici di codifica (Cohen, Manion, & Morrison, 2011) avvalendosi del software NVivo for Mac. Questa fase ha seguito un approccio sostanzialmente deduttivo (top down) intendendo con ciò che si è codificato i dati “with specific questions in mind” e identificando “particular (and possibly limited) features of the data set” (Braun & Clarke, 2006, p. 89).
Si sono raggruppati i codici in potenziali tematiche.
Si è creata una prima mappa di analisi mediante una rappresentazione grafica in cui si sono prese in considerazione le relazioni fra codici e tematiche. Sulla base di ciò, si sono riviste e raffinate le tematiche: ad esempio, in alcuni casi vi era una sovrapposizione di tematiche ed è stato, quindi, necessario raggrupparle – trasformandole a volte in sotto-tematiche (sub-themes) – in un’unica tematica. Si è, quindi, verificato che ogni tematica potesse essere descritta con poche frasi e fosse autonoma.
Si è riletto consecutivamente tutti i dati raccolti e, poiché non vi erano altri aspetti da identificare (codici o tematiche), si sono selezionate quelle tematiche che meglio rispondevano alla domanda della ricerca.
Si è suddiviso i dati in base alle modalità di raccolta e si è effettuata una triangolazione in cui ci si è accertati che le tematiche selezionate ricorressero trasversalmente fra i diversi tipi di dati. Preso atto di tale ricorrenza, si è iniziato a scrivere il presente articolo. Come suggerito da Braun e Clarke (2006), per motivi di spazio, si sono scelte per ogni tematica gli estratti più significativi.
Una volta scritta la bozza dell’articolo si è analizzata la qualità della ricerca prendendo spunto dalle indicazioni di Miles, Huberman e Saldaña (2014).
5 Presentazione dei risultati
Nel presente paragrafo si presentano succintamente le tematiche identificate nei dati e più significative per rispondere alla domanda di ricerca (Tabella 4).
5.1 Il DB come guida per la riflessione
Un risultato precipuo che spicca trasversalmente dall’analisi dei dati è che, secondo gli insegnanti, le domande stimolo del DB facilitano un profondo e attento esercizio riflessivo così come si evince dalle seguenti citazioni:
Credo che il modo in cui sono poste le domande gli induca, induca lo studente a riflettere veramente su certi suoi comportamenti o dinamiche, sui loro mutamenti. […] [se non ci fossero queste domande gli studenti] non rifletterebbero in modo strutturato, resterebbero forse con una impressione generale ma non analizzerebbero i motivi di quell’impressione. (FG_1.7)15
Il Diario di Bordo è uno strumento utilissimo a sviluppare lo sguardo interiore, cioè quel particolare moto del pensiero che analizza ciò che ci capita e ne verifica i significati. (SWOT_1_I69)
A detta di alcuni docenti, il DB proposto si distingue da altri tipi di modulistiche adottati in certune scuole e dalle email informali fra lo studente e l’insegnante tutor, proprio perché guida lo studente a svolgere un’autentica riflessione critica:
Sicuramente quello che è stato apprezzato [del DB], sia dallo studente, che dai colleghi, e che risaltava come un vantaggio, rispetto ad altre modulistiche che magari girano, era proprio l’autoriflessione, cioè il fatto di esprimere qualcosa di personale che ha permesso anche, magari, anche allo studente più timido e riservato, però, di riflettere sul sé, auto-riflettere su di sé, in modo anche sorprendentemente dettagliato, insomma, dando delle indicazioni precise, ecco, questo è stato credo un punto di forza, cioè il fatto di obbligare lo studente a, obbligare fra virgolette, a riflettere. (FG_1.6)
Il grosso merito di questo diario di bordo rispetto alle esperienze degli anni precedenti, per me, è proprio la capacità di guidare il ragazzo in questa autoanalisi, di cui abbiamo parlato tutti, questa riflessione, perché se io ripenso alle mail che ci scambiavamo gli anni scorsi erano più del tipo ‘ho partecipato a quella festa, abbiamo organizzato un torneo sportivo’ cioè più basate sui fatti che non appunto su questa analisi, riflessione. (FG_1.6)
Secondo questi insegnati, quindi, il DB consente di andare oltre la mera descrizione fattuale in quanto “obbliga” lo studente a svolgere un’accurata analisi di ciò che sta esperendo a livello interiore ed esteriore. Tale analisi è stata riscontrata anche in alunni che non avevano manifestato in passato una particolare propensione alla riflessione, come dichiara questa docente:
Avrei detto esattamente quello che ha detto la collega [rispetto al valore riflessivo del DB] specialmente nei confronti di ragazzi che comunque, insomma, vengono anche da situazioni un po’ particolari, […], quindi comunque non abituati ecco, diciamo così, magari a riflettere sulle cose. Conoscendo in particolare il ragazzo [che è all’estero] vedo che però è stato costretto a riflettere su alcuni punti e in effetti ha dato delle risposte pertinenti, cioè si vede che ci ha pensato. (FG_1.7)
La condivisione formale dell’esperienza all’estero con il Consiglio di classe implica che lo studente debba, in primis, fermarsi e ripensare a ciò che ha vissuto e sta vivendo; secondariamente, debba organizzare ed elaborare un discorso che possa essere fruito dai docenti. A differenza del parlare informalmente della propria esperienza all’estero, questa sembra essere un’operazione complessa, articolata e non scontata come si afferma nel seguente estratto:
Il diario ha permesso alla studentessa di riflettere a fondo sulla sua esperienza al fine di esporla agli altri, riflessione che di certo nel suo intimo non sarà mancata, ma prendere coscienza di sé e riferire e relazionare agli altri e per iscritto è senza dubbio operazione più complessa e non semplice. Esternare ciò che si prova e con chiarezza necessita di un’elaborazione profonda dei propri stati d’animo e una consapevolezza di sé non semplice [da] raggiungere. (SWOT_A1_I31)
5.2 Riflessione sull’esperienza e sul sé
Le direzioni delle riflessioni degli studenti all’estero che emergono in modo più delineato dalle parole degli insegnanti sono essenzialmente due: (i) la riflessione sull’esperienza in quanto tale e (ii) la riflessione su sé stessi.
Per quanto concerne la prima pista, gli insegnanti affermano che il DB consente di dare ordine e coerenza a ciò che lo studente sta vivendo da un punto di vista culturale e sociale permettendogli di cogliere sfumature di significati dell’esperienza stessa che altrimenti rischierebbero di rimanere velate o nascoste:
Ritengo che il Diario di Bordo sia uno strumento efficace nella misura in cui permette allo studente di riflettere in maniera mirata e ordinata sulla propria esperienza. (SWOT_1_I76)
[Il DB] Si è rivelato uno strumento utile al ragazzo all’estero per organizzare e definire le proprie esperienze. (SWOT_1_I72)
Il diario ha incoraggiato la studentessa a fermarsi e riflettere sulla sua esperienza guardandola con occhio in [un] certo senso più distaccato. Ciò le ha permesso di scoprirne anche risvolti non immediatamente evidenti. (SWOT_1_I25)
[Il DB] Ha spinto lo studente a riflettere sulla propria esperienza, sicuramente analizzandola e potenziandola. Aiuta a dare senso [a] quello che fa. (SWOT_A1_I16)
La struttura del DB sembra stimolare un dialogo interiore che consente di ricucire trame spezzettate dell’esperienza all’estero, dandogli forma e significato. Questo è in linea con quanto afferma Bell (2002), secondo la quale gli studenti “make sense of random experience by the imposition of story structure” (p. 207).
La seconda direzione di analisi è quella più intima, ovverosia quella in cui lo studente riflette su se stesso in una sorta di esegesi del sé (Albarea, 2008). Il DB, infatti, invita lo studente a (ri)pensarsi prima della partenza e al momento della scrittura cercando di guardarsi da una prospettiva distaccata. Secondo gli insegnanti, il tempo passato e quello presente si intrecciano nella stesura del DB consentendo allo studente di scorgere il proprio processo di crescita:
Diciamo che il diario di bordo è stata la bussola che le ha consentito di orientarsi nel viaggio interiore che si è svolto parallelamente allo spostamento materiale. (SWOT_1_I1)
Mi sembra che il Diario inviti a riflettere sui cambiamenti personali in modo efficace. I ragazzi si pongono come davanti ad uno specchio che rimanda loro una nuova immagine positiva e analizzano con soddisfazione la crescita. (SWOT_1_I29)
A me sembra che [il DB], appunto, dato che è snello, fondamentalmente, aiuti […] tra le tante cose che potrebbero dire, guardarsi proprio allo specchio, nudi allo specchio e fare i conti con questa esperienza, vedere fino a che punto, appunto, è stata importante per loro o meno. (FG_1.3)
Il DB è, quindi, secondo questi docenti, nella sua struttura, una “bussola” che orienta l’analisi interiore; nel suo essere compilato, uno “specchio” in cui l’atto della scrittura corrisponde al guardare il riflesso del sé nel suo divenire.
Le due piste di riflessioni emerse da questa analisi non sono da considerarsi scontate. Il progetto educativo della mobilità studentesca rientra all’interno della categoria dell’educazione esperienziale (Passarelli & Kolb, 2012; Savicki, 2008). In questo tipo di educazione lo studente è esposto, nella sua globalità, a vivere un’esperienza diretta di alterità. Tale coinvolgimento può essere così “forte” che lo studente rischia di esserne trapassato passivamente, così come emerge dalle seguenti citazioni:
Per esperienza, dai racconti di altri che hanno già fatto questa esperienza ‘forte’, mentre la stai vivendo non riesci a fermarti e riflettere, tutto avviene come un turbine. Il diario di bordo mi sembra un[o] strumento importante se non necessario per introiettare quello che i ragazzi stanno vivendo. (SWOT_A1_I82)
Questo formato [del DB] li costringe in questo, io penso che siano un po’ in una situazione un po’ anche emozionante che li stordisce un po’ fra virgolette, e li costringe perlomeno un giorno a mettersi lì e fare il punto della situazione. Sembra banale, ma a sedici diciassette anni non è così scontato il fatto che abbiano chiaro quello che stanno facendo e la situazione un po’ governabile dal punto di vista anche delle emozioni, di tutto. (FG_1.5)
L’opinione di questi docenti è che il DB consente di ridurre il rischio di subire l’esperienza all’estero in quanto costringe lo studente a fermarsi e a mettere in atto un’azione euristica rispetto a se stesso e i propri vissuti. Questo esercizio riflessivo che, come emerge dai dati, non è automatico, è generativo poiché, come afferma Savicki (2008), “the key to learning from experience is focused reflections” (p. 76). Questa idea che la riflessione giochi un ruolo cruciale nell’apprendere dall’esperienza ha una lunga storia filosofica e pedagogica (Capperucci, 2007).
È possibile, a questo punto, tracciare una prima conclusione ovverosia che, secondo gli insegnanti, il DB è l’archè di un pensiero riflessivo. Lo studente, per “mettere nero su bianco” (FG_1.10) quanto sta esperendo, è costretto, come sostengono Sumsion e Fleet (1996), a “looking back on experiences, decisions and actions; recognizing values and beliefs underlying these actions and decisions; considering the consequences and implications of beliefs and actions; exploring possible alternatives; and reconsidering former views” (p. 121).
5.3 Lo sviluppo di autoconsapevolezza
Dall’analisi dei dati emerge che, secondo gli insegnanti, la riflessione insita nella compilazione dei DB comporta lo sviluppo di autoconsapevolezza:
Il confronto con quanto esposto nel primo diario di bordo induce lo studente a riflettere sul suo percorso e sui propri cambiamenti. Tale attività introspettiva e di riflessione sul proprio vissuto è molto utile e dà molta più consapevolezza di sé. (SWOT_1_I50)
A mio parere il punto di forza principale di questo diario di bordo sta proprio nell’averla aiutata a prendere coscienza e consapevolezza di questo cambiamento, di questa maturazione che stava avvenendo in lei, guidandola a selezionare le informazioni più importanti nei diversi momenti in cui le veniva richiesto. (SWOT_1_I90)
Il Diario di bordo ha dato all’alunno la possibilità di riflettere in modo anche auto-critico sulla propria esperienza e forse scoprire di se stesso aspetti di cui forse non era ancora consapevole. (SWOT_1_I96)
Secondo i docenti, il DB è l’occasione per lo studente di venire a conoscenza di aspetti di sé precedentemente sconosciuti, di cogliere il proprio cambiamento interiore, di sapere quali sono i propri punti di forza come i propri limiti. In generale, nella concettualizzazione della competenza interculturale è trasversalmente accettato che l’autoconsapevolezza è una componente fondamentale: questo è evidente nei principali modelli di competenza interculturale (ad es., Barrett, 2016, 2018; Barrett et al., 2018; Byram, 1997; Deardorff, 2006; Fantini & Tirmizi, 2006; Portera, 2016; Spitzberg & Changnon, 2009)16 e nelle ricerche empiriche riguardanti la competenza interculturale connessa alla mobilità studentesca internazionale (Baiutti, 2017, 2018a, 2018b; Roverselli & Paolone, 2013). Inoltre, va notato che uno degli indicatori della competenza interculturale degli studenti che partecipano alla mobilità studentesca è proprio quello dell’autoconsapevolezza intesa come la “maggiore consapevolezza di sé, delle proprie capacità, potenzialità, come dei propri limiti” (Baiutti, 2017, p. 169).
In ultima analisi, quindi, i dati suggeriscono che l’attività riflessiva insita nel DB è da considerarsi come una delle pratiche che favoriscono lo sviluppo di un aspetto della stessa competenza interculturale dello studente all’estero ovverosia l’autoconsapevolezza. Questo risultato è in linea sia con la letteratura pedagogica concernente la mobilità studentesca (ad es., Deardorff, 2008, 2011; Passarelli & Kolb, 2012; Savicki, 2008) che con alcune ricerche empiriche. Ad esempio, nel suo studio, Jackson (2005) ha analizzato i diari di 15 studenti della Chinese University of Hong Kong. Tali diari, assieme ad altri strumenti, servivano alla ricercatrice per valutare la competenza comunicativa interculturale di questi studenti che stavano partecipando allo Special English Stream. Quest’ultimo, fra le varie, prevedeva un soggiorno all’estero: per cinque settimane gli studenti hanno vissuto presso una famiglia a Oxford, hanno seguito corsi di letteratura e cultural studies in inglese, hanno partecipato ad attività ed eventi culturali, ecc. Durante questo periodo gli studenti dovevano tenere un diario seguendo alcune indicazioni (ad es., gli studenti erano invitati a descrivere e riflettere sugli eventi stressanti o che li avevano confusi). Jackson (2005) afferma che dall’analisi dei dati emerge che i “diaries were found to be well-suited to promote my students’ awareness of and reflection on their intercultural learning during their sojourn in England” (p. 179).17
Si desidera sottolineare che la compilazione del DB è una delle modalità per sviluppare la consapevolezza del sé in quanto essa può trovare origine anche dall’esperienza in quanto tale e, in particolare, dagli incontri interculturali (Baiutti, 2017, 2018a, 2018b).
6 Limiti della ricerca
La ricerca empirica su cui questo articolo si basa presenta alcuni limiti, fra i quali: (i) i FG sono stati svolti solo da una persona (tranne in un caso); (ii) non è stato possibile svolgere un secondo giro di FG per raccogliere l’opinione dei docenti rispetto al secondo DB; (iii) non è stato possibile per l’Assegnista accedere ai DB compilati; (iv) non è stato possibile raccogliere anche il parere degli studenti; (v) non si conosceva la posizione18 e la competenza19 dei docenti rispetto al fenomeno analizzato. Tutti questi limiti, però, andavano oltre le possibilità e le tempistiche della ricerca.
7 Conclusioni
La domanda della ricerca del presente articolo desiderava comprendere se, secondo i docenti che hanno partecipato al progetto pilota Protocollo Intercultura, il DB progettato contribuisse a raggiungere uno dei principali obiettivi educativi attesi dalla mobilità studentesca: lo sviluppo della competenza interculturale.
Dall’analisi dei dati è emerso che, secondo gli insegnanti, uno dei pregi del DB è quello di guidare lo studente in una riflessione profonda sull’esperienza all’estero in quanto tale e su se stesso. Si è, altresì, visto che tale riflessione consente allo studente di sviluppare una maggiore autoconsapevolezza. Quest’ultima, all’interno dei modelli di competenza interculturale si presenta come una componente chiave. Pertanto, analizzando le opinioni dei docenti, sembra affermabile che il DB progettato per il Protocollo Intercultura rappresenti uno spazio di apprendimento interculturale. In questo senso, il DB possiede un valore (Byram, 2008) pedagogico interculturale.
A conclusione, si ritiene opportuno sottolineare che la competenza interculturale è un obiettivo atteso dei progetti di internazionalizzazione dell’educazione poiché, come affermano alcuni studiosi (ad es., Twombly, Salisbury, Tumanut, & Klute, 2012; Vande Berg, Paige, & Hemming Lou, 2012), è venuto meno uno dei principali paradigmi della mobilità studentesca secondo il quale era sufficiente andare all’estero per sviluppare la competenza interculturale. La sconfessione di tale paradigma implica la necessità di predisporre pratiche di sostegno e accompagnamento dello studente all’estero nel suo processo di apprendimento. Una di queste pratiche potrebbe essere quella di prevedere dei momenti di riflessione (Deardorff, 2008, 2009; Passarelli & Kolb, 2012; Savicki, 2008) su ciò che lo studente sta vivendo e su quali conseguenze ha sulla propria identità, giacché, come insegna l’educazione esperienziale, la riflessione è uno degli strumenti chiave per apprendere dall’esperienza concreta (Kolb, 1984). Sebbene alcune organizzazioni che gestiscono la mobilità studentesca predispongano tali momenti, la scuola ha una propria responsabilità in tal senso: nel momento in cui essa dichiara nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa di sostenere e favorire il progetto educativo della mobilità studentesca non può, poi, delegare l’aspetto pedagogico esclusivamente alla famiglia e/o all’organizzazione che la predispone. In quanto attore chiave della mobilità studentesca, la scuola dovrebbe essere partner attivo nel raggiungimento degli obiettivi attesi da tale progetto educativo. Per fare ciò, la proposta avanzata nel presente articolo è, fra le varie, di adottare un DB che, da quanto emerge dalle parole dei docenti, ha un valore pedagogico interculturale.
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A questa critica ha cercato di dare risposta il volume a cura di Deardorff e Arasaratnam-Smith (2017). Per una sintesi delle critiche alla concettualizzazione della competenza interculturale si veda Baiutti (2017) e Spitzberg e Changnong (2009).↩
Il progetto pilota Protocollo di valutazione Intercultura – da ora Protocollo Intercultura – si è svolto presso il Dipartimento di Lingue e Letterature, Comunicazione, Formazione e Società (DILL) dell’Università degli Studi di Udine (Responsabile scientifico: A. R. Paolone; Assegnista di ricerca: M. Baiutti) con il sostegno della Fondazione Intercultura.↩
Le due versioni del DB proposte nell’allegato 1 e 2 sono quelle riviste sulla base dei commenti dei 113 docenti che hanno partecipato al progetto pilota. Allegato 1: https://doi.org/10.6092/issn.1825-8670/8698.s809; allegato 2: https://doi.org/10.6092/issn.1825-8670/8698.s810.↩
Il DB elaborato dal gruppo di progetto è stato pubblicato nella versione di approfondimento on line della Guida operativa per il Dirigente Scolastico: Educazione interculturale e mobilità studentesca elaborata dall’associazione Intercultura e da ANP (Associazione Nazionale Dirigenti e Alte Professionalità della Scuola).↩
L’uso del termine ‘idea’ fa qui riferimento alla research idea definita come “An inkling or a grounded concern which is allowed to be vague, intuitive, or bold. It is a precursor to research questions and often indicates where the researcher’s broad interests lie” (Hua, Holmes, Young, & Angouri, 2016, p. 86).↩
Tutti i partecipanti, prima di iniziare la ricerca, e dopo essere stati informati delle finalità e della metodologia del progetto pilota e dei loro diritti, hanno firmare un consenso informato.↩
Da ora Assegnista.↩
Le regioni in cui si sono svolte le attività in presenza – fra cui la formazione iniziale – sono quelle che avevano raggiunto un minimo di cinque iscritti (Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto). Nelle regioni in cui non si era raggiunto il numero minimo si è chiesto agli iscritti di partecipare alle attività in presenza nelle regioni limitrofe. Unico caso che non ha rispettato tale regola è la Toscana, in quanto inizialmente vi erano 5 iscritti ma hanno effettivamente partecipato in 4 docenti.↩
3 iscritti (conteggiati nel presente articolo fra i partecipanti alle attività in presenza) non hanno potuto essere presenti all’intera durata della formazione in presenza. Per tale motivo, sono stati invitati a partecipare anche al webinar.↩
I FG si sono svolti nelle 11 regioni in cui si è effettuata la formazione in presenza (si veda nota 8). Tuttavia, preso atto del numero elevato di partecipanti, nel Lazio è stato necessario dividere il gruppo e svolgere quindi due FG.↩
In un caso era presente anche il Responsabile scientifico della ricerca in qualità di osservatore.↩
3 partecipanti non hanno partecipato al FG regionale e non hanno completato l’attività sostitutiva.↩
La possibilità di utilizzare dati esistenti per analisi collegate a nuove domande di ricerche è descritta in Hua et al. (2016).↩
La lettura e rilettura dei dati è proseguita per tutta la fase di analisi.↩
Il codice ‘FG’ corrisponde a focus group mentre ‘SWOT’ corrisponde all’analisi SWOT individuale. Sebbene siano stati analizzati anche i dati raccolti dall’Assegnista mediante il diario non è stato selezionato nessun estratto per questo articolo perché ritenuti meno significativi rispetto a quelli riportati.↩
Per un’analisi della presenza dell’autoconsapevolezza nei modelli di competenza interculturale si veda, fra gli altri, Baiutti (2018b).↩
Per altre ricerche che confermano il rapporto fra la scrittura di diari di bordo (o simili) e l’acquisizione di apprendimenti interculturali si veda, ad esempio, Pearson-Evans (2006) e Tarp (2006).↩
Tuttavia, preso atto che la partecipazione alla ricerca è stata volontaria è possibile dedurre che la posizione dei docenti fosse favorevole.↩
Sebbene non si abbiano dati empirici sulla competenza degli insegnanti, è importante ricordare che tutti i partecipanti alla ricerca hanno seguito un percorso di formazione iniziale (si veda paragrafo 4.1).↩