Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.22 n.52 (2018)
ISSN 1825-8670

Monica Crotti, Generazioni interrotte. Riflessioni pedagogiche sull’odierna fragilità del patto generazionale, Sesto San Giovanni (MI): Mimesis, ISBN 885753765X, 188 pagine, 2018

Ivo LizzolaUniversità degli Studi di Bergamo (Italy)

Pubblicato: 2018-12-20

Educare è entrare in una trama di relazioni, un ordito a maglie flessibili, che a volte si stringono per sostenere, poi si allargano per far sperimentare, o accompagnano con una presenza vigile, di cui aver sempre cura. Le generazioni hanno la potenza del tessuto, raccontano i possibilità umane, di esperienze e di soluzioni, senza sostituire la bellezza di confezionare ognuno il proprio abito.

Monica Crotti, con la sua consueta cura nella visitazione di un’ampia bibliografia e con il garbo e la puntualità della sua argomentazione, ci invita a un esercizio del pensare che è anche un esercizio del ripensarci e del riposizionarci in responsabilità attenta nel tempo che ci è dato. Tempo che chiede, che per aprirsi chiede una tessitura nuova della trama tra le generazioni. “Di generazione in generazione” richiama al movimento di continuità/successione delle toledôt biblico, ma il testo di Crotti scandaglia anche il movimento complesso, l’intreccio delle presenze e delle separazioni, delle estraneità e delle interconnessioni, che nei diversi tempi dell’appartenenza generazionale si vive oggi in ogni persona.

Generazioni «contemporanee» e portatrici di tempi diversi: a volte distanti, a volte separati. Tempi diversi che bussano alla porta l’uno dell’altro, tempi diversi che diventano biografie uniche, ed esperienze della vita, tempi che devono «apprendere» ad accogliere il tempo altro, dell’altra generazione, come sorgente di una continua ricerca, di un continuo riposizionarsi generativo nel tempo che ci è dato (personale e storico, sociale).

Così che la contemporaneità tra le generazioni vive e si vive come un’eccedenza, una sorta di «sfasatura», di attesa e di memoria. Di senso. Scrive Secrétan, “Il senso è la relazione di co-nascita/conoscenza (co-naissance) attraverso la quale il mondo diventa umano e l’essere umano familiare con il mondo”. (Secrétan, 1969, pp. 247-248). Per via formativa e co-formativa, che è via pratica di esercizio di convivialità, si apprende l’umano, e la nonviolenza. La riflessione e la testimonianza crescono e si rinforzano reciprocamente, in una esposizione e in un dono reciproco tra donne e uomini, tra generazioni.

Contemporaneità tra tempi diversi è lascito e memoria, inizio e impegno, riconoscimento e cura; dono del tempo, o tempo di nuovo scoperto come vissuto per dono. Offerta e dono, dedizione e attenzione, generosità e ricettività: perché la generazione, il generare, è salto e rischio, affidamento e promessa. Quando promettiamo, promettiamo sempre noi stessi; e promettiamo sempre ciò che non «abbiamo», ciò che abbiamo ricevuto, ciò che sentiamo atteso.

Entrare in una generazione, in una appartenenza generazionale, è entrare in uno spazio e in un tempo lasciato, «fatto» e curato qualche volta da altri ed altre, da altre generazioni. Entrare in un movimento di richiami e responsabilità, di offerte ed obblighi, di possibilità e vincoli, di vicinanze e distanze, che si giocano di generazione in generazione.

È un modo particolare di vivere la contemporaneità, la partecipazione al proprio tempo, ed alla vita concreta, quotidiana, fatta di relazioni. Di essere al cuore e, insieme, di non coincidere con il tempo presente; di non adeguarvisi, di mantenervi una sorta di inattualità. C’è la cura di uno scarto o un «anacronismo», disvelando l’ombra, il buio; ma anche cercando una consegna, un lascito, sempre cercandovi altro. Sapere dialogare e interagire al cuore e a distanza con il proprio tempo, con la propria generazione, per cercarvi la luce e un annuncio, per incontrare ciò che si cela, ciò che attende e che viene a noi pur parendo lontanissimo: può essere frutto di un apprendimento, di una ricerca, tra le generazioni.

Quando si interrompe la danza che prende il tempo e lo lascia, che invita e consegna, che lega e slega, allora le generazioni della vita degli uomini e delle donne e le generazioni della vita comune si interrompono, si disperdono le speranze e non si cura il futuro. È quella «la generatività che passa tra le generazioni» che viene a mancare, annota Crotti. Perché il legame tra le generazioni che fa emergere le dedizioni, le generosità, l'immaginazione, la creatività. È il ritrovarsi nella trama delle attenzioni e dei riconoscimenti tra generazioni diverse che dà forza alle istituzioni, che preserva il valore alle parole, che offre forza simbolica ai gesti e rende celebrazione al rito.

Così maturano le adultità, si ritrovano riconosciute le infanzie, così si esplorano le adolescenze e si ricapitolano ed offrono le vecchiaie, così le giovinezze iniziano e le nascite vengono messe al mondo.

“Non si nasce mai da soli, ma in una relazione che ci chiama ad essere e a far parte” scrive Monica Crotti: e parla di tutte le nascite che si vivono in una vita di una donna, di un uomo. “Una questione complessa – aggiunge – che unisce il generare alle generazioni e inserisce il familiare nel sociale”. Che richiama, oggi, al bisogno di pulire il futuro.

Pulire il futuro chiede, da un lato, di sviluppare un lavoro culturale e formativo di decostruzione: dei pregiudizi, delle «costruzioni del nemico», delle prefigurazioni di sviluppo troppo rigide, rassicuranti, «appropriative» delle prospettive, escludenti. Lavoro critico, esigente, coraggioso. Dall’altro lato pulire il futuro è lasciare che il futuro si annunci in pratiche inedite di esperienza personale e sociale, di prova di vita, comunità, di forme di organizzazioni a movente ideale.

Ci sono luoghi di vita e testimonianza, spesso luoghi ai margini dove c’è poco da difendere e da conservare; luoghi concreti e di impegno di intelligenze e risorse consistenti; a volte luoghi dell’immaginazione e dell’innocenza, dove vivono i bambini e i poveri. Occorre lasciare che si annunci il futuro. Occorre lasciare che venga aperto e vissuto dalla vita giovane, e chiedere che sia iniziato, desiderato. Occorre ritrovare l’infanzia, la capacità di trovarsi nel mondo e nelle relazioni come in un dono, in una recettività, in un richiamo alla coltivazione, ed alla generazione.

Pulire il futuro è opera di donne e uomini di parola, coerenti, attenti anche alla dimensione simbolica dei gesti (ad esempio a quelli di obiezione). Il libro di Monica Crotti richiama alla cura dell'apprendimento intergenerazionale, cura decisiva in tempo d'esodo, del diffuso freddo conflitto, della chiusura impaurita difensiva e aggressiva insieme. Quando ci si trova in trame di apprendimento intergenerazionale nelle comunità, allora si coltivano le risorse, si pulisce il futuro, si riconoscono le diversità. E il pensiero che conosce, che coglie e che immagina è un atto di responsabilità.

Monica Crotti ne mostra la trama nel «ritorno a ciò che origina» il vivere, nella «capacità di dare inizio», nella «costanza dell’impegno» che si fa attenzione, nel «lasciare andare e fare posto», che è consegnare.

Così si dà quella «generazione tra le generazioni» di cui parla Crotti nelle pagine nelle quali la delinea come «resistenza» e delicato slancio di tanti uomini e donne, di tante esperienze e comunità che fronteggiano le forti e corrosive forme della de-generazione che coinvolgono la vita comune, che interrompono la continuità dell’esperienza di vita, che contrappongono i “diritti” delle generazioni ridotte a gruppi di interesse.

Ma molte sono le pagine dedicate alle indicazioni e alle proposte, ben delineate e dai chiari riferimenti filosofici e pedagogici. Pagine rivolte ad educatori, insegnanti, adulti e giovani, a politici e persone con ruoli di progetto, o di cura, comunque di responsabilità. Sono pagine attente alle dinamiche del riconoscimento, della speranza e dell’attesa, dell’incontro e della partecipazione alla vita gli uni degli altri, dell’appartenenza e dell’alterità. Dinamiche che chiedono oggi declinazioni inedite, e riscoperte e nuove fondazioni. Nella età nella quale “si educano bambini sconosciuti per un mondo sconosciuto” e nella quale un giovane può dire a un vecchio, o a un adulto “tu non sei stato giovane nel mondo in cui io sono giovane e non lo sarai mai”, come annotava Mead ripresa da Monica Crotti.

Pratiche di prossimità e ponti di significatività, tirocini relazionali e scoperte di legami che liberano: questo può permettere di tenere vive nuove esplorazioni delle dinamiche relazionali e simboliche tra le generazioni. Per questo tratteggio di orizzonte alla fine della lettura di Generazioni interrotte di Monica Crotti si sente gratitudine.

Riferimenti bibliografici

Secrétan P., (1969). Autorité, pauvoir, puissance. Principes de philosophie politique réflexive, Lausanne: Èditions L’Age d’Homme.