Encyclopaideia – Journal of Phenomenology and Education. Vol.23 n.54 (2019)
ISSN 1825-8670

Elena Madrussan, Educazione e inquietudine. La manoeuvre formativa, Ibis, Como-Pavia, ISBN 9788871645445, 302 pagine, 2017

Gianmarco Pinciroli

Ricercatore indipendente e redattore di Paideutika

Pubblicato: 2019-07-30

“Quali i significati pedagogicamente più fecondi del possibile? E quali le declinazioni dell’esercizio o lavoro di trasformazione qui chiamato ‘manovra formativa’?” (p. 263). Sembrano essere questi gli interrogativi di fondo che attraversano tutto il volume alla ricerca di risposte, per quanto provvisorie, agglomerate attorno ad alcune parole chiave (inquietudine, perturbante, avventura, possibilità, disperazione, tragico, situazione-limite, rischio, incertezza, violenza, negazione, critica, impensato, inatteso, decostruzione, metafora) e soprattutto attorno ad alcuni nomi della cultura filosofica novecentesca (ma non solo) europea, e della riflessione pedagogica più recente, che di queste parole, a diverso titolo, si sono fatti carico.

Interrogativi e parole chiave che, insieme, concorrono a fare della ‘manoeuvre formativa’ sia un movimento di torsione tras-formativa agita in prima persona dal soggetto, sia una “pratica del mondo” che ricompone dinamicamente le relazioni con la situazione, con gli altri e con il conoscere.

L’articolazione della materia in tre sezioni (e quadripartita all’interno di ognuna delle tre sezioni) scandisce le tappe del percorso con precisione al fine di rendere conto del fulcro del progetto che il titolo problematico del lavoro illustra. L’«educazione come inquietudine», infatti, si pone in antitesi a tutte le derive assolutistiche, autoritarie e falsamente conciliative, che così spesso costituiscono lo sfondo inesorabile di gran parte delle pratiche formative vigenti, soprattutto in ambito scolastico.

Complessivamente, la «manoeuvre formativa», come la intende Madrussan, imposta una pratica di pensiero e d’azione che faccia salva sempre una certa qual distanza (si accennava in apertura alle risposte che si vogliono fecondamente provvisorie) tra predisposizione di mezzi e conseguimento di fini, ogni volta che sorga il sospetto di una loro relazione automatica, non riflettuta, non problematizzata, le cui connessioni non risultino adeguatamente manifeste grazie al necessario lavoro di decostruzione del quadro concettuale che le supporta. Una fondamentale cultura del sospetto deve quindi potersi esercitare ogni volta che una falsa pacificazione anestetizza la complessità del reale, soprattutto laddove si richiede di formare uomini e donne all’insegna della consapevolezza nei confronti del proprio autentico esserci, e rispetto alle molte radicali differenze di cui essi, vivendo, fanno esperienza e danno testimonianza, invece di favorire l’ottundimento dentro l’offerta di formule educative generiche e omologanti.

La prima delle parole-chiave sopra elencate – inquietudine – trova il suo radicamento teoretico soprattutto nella prima parte del libro, sulla scorta del pensiero di Kierkegaard (quello de La ripresa) e di alcuni suoi commentatori (da Paci a Wahl a Cantoni), di Freud e Lacan (a proposito del ‘perturbante’, l’Unheimlichkeit), e di Jaspers (circa la ‘situazione-limite’). Scrive Madrussan a conclusione della disamina kierkegaardiana: “[…] sottratta la scuola dell’angoscia dalle ingiurie di un tempo troppo frivolo o troppo ottuso per poterla comprendere, l’educazione interiore kierkegaardiana anticipa ed argomenta l’inquietudine etica come chiave di volta non solo e non tanto di qualsiasi concezione pedagogica capace di universalità e di trascendenza, ma soprattutto come perno esistenziale decisivo per chiunque tenti di esercitare davvero la propria coscienza” (pp. 63-64).

Questa stessa parola, nella seconda parte, innesca una ricca fenomenologia dell’«educazione come inquietudine», attraverso la focalizzazione sui temi del ‘ruolo sociale’, della rappresentazione della giovinezza, del dispositivo sotteso all’organizzazione educativa, e infine dell’avventura come prototipo dell’«inatteso». Jankélevitch, Simmel e Blumenberg, tra gli altri, forniscono alla disamina il loro contributo; l’avventura, come esperienza-limite, s’incardina sul piano pedagogico attorno a tre domande: “che ne è dell’io alle prese con l’avventura? Quale forma assume l’esistenza individuale in virtù (e dopo) tale esperienza? oppure, se si preferisce, quali sono le conseguenze dell’esperienza del limite? È, infatti, vero che è proprio grazie all’esperienza-limite che l’educazione stessa acquisisce peso e senso” (p. 195).

Il punto sull’educazione come «manoeuvre formativa» trova il suo fulcro nella terza parte, nella quale il tema dell’inquietudine, con punti di riferimento a una vasta gamma di autori (da Paci a Sartre, da Prini a Gargani, da Valéry a Blumenberg, da Jankélevitch a Žižek, per citare soltanto i più richiamati) acquista tutto il suo rilievo nella misura in cui si radica nel concetto di possibilità, qui equivalente alla proposta di una ricca teoresi dell’apertura, dell’incompletezza, dell’imperfezione, della finitezza, della provvisorietà: tutti termini, questi, che intendono rendere conto, articolandone la generalità, della necessità di una formazione sempre in fieri, e dunque mai soddisfatta di sé, tesa verso un orizzonte educativo capace di interpretare ogni volta il divenire imprevisto degli accadimenti. Scrive Madrussan: “In tal senso, la manovra formativa è un intervento di messa in discussione, che plasma la propria forma in direzione dinamica. È un’azione di disturbo, anche, sugli inganni dell’esperienza. Una provocazione del pensiero. Una tentazione etica di ricominciamento nella scelta. Il possibile della manovra formativa, a sua volta, riguarda il ricominciamento, l’operari, l’esercizio del limite” (p. 273). Un ricominciamento, quindi, che fa della «manovra formativa» non soltanto il gesto di messa in questione problematizzante, ma anche il luogo di una azione sulla propria esistenza e sulla propria modalità di relazione con il mondo.